Per concludere…
La nascita è un fenomeno vasto e sfaccettato, luminoso e misterioso. La nascita contiene moltitudini, e attraverso di essa diamo alla luce le nostre moltitudini. Diamo alla luce le nostre speranze e le nostre paure, la nostra estasi e le nostre agonie, la nostra gioia e le nostre delusioni. Diamo alla luce i nostri figli, tutti perfetti e luminosi. Diamo alla luce attraverso il nostro istinto, e diamo alla luce il nostro istinto. Diamo alla luce la nostra capacità di seguire l’istinto, che ci unirà in modo perfetto ai nostri figli, creature, ora e sempre, istintive.
Che la nascita istintiva ci benedica tutti.
La nascita di emma - dolce e oceanica
La nascita del primo figlio segna un inizio la cui importanza non può essere sopravvalutata. Decisi di dare alla luce la mia primogenita in casa poiché percepivo che un evento tanto cruciale sarebbe stato più dolce e più agevole, per me e per la bambina, in un ambiente familiare.
Esorterei tutti genitori a operare scelte ben ponderate in merito alla nascita del primo figlio, che ha maggior probabilità di implicare, in condizioni standard, il maggior grado di intervento - come sarebbe avvenuto per Emma in un contesto diverso. In questo caso specifico suggerisco di investire tempo e denaro nella scelta di un parto rispettoso; optando per operatori preparati e premurosi; rispettando il proprio istinto e il proprio corpo e restando consapevoli dell’ottica del bambino, così da permettere anche a lui un avvio festoso alla vita in famiglia.
Mettere al mondo Emma, mia primogenita, fu un’esperienza cruciale della mia vita. Non solo mi iniziò alla maternità, ma mi insegnò anche quanto il parto, accendendo in me un’eterna passione per la nascita e per l’essere madre, potesse essere immenso ed esaltante.
Emma fu concepita nel marzo del 1990, pochi mesi dopo che io e Nicholas, l’amore mio, ci eravamo sposati. Era nostra precisa intenzione. Durante tutta la gravidanza fui provata dalle nausee – ma ripensandoci credo che la responsabilità maggiore fosse imputabile a una vita lavorativa molto intensa – il che, tuttavia, non mi impedì di godere l’attesa e di apprezzare i cambiamenti del mio corpo. Trovavo ulteriore sostegno nello yoga, che non smisi di praticare, e nella lettura di tutti i libri di Sheila Kitzinger che riuscivo a reperire, trovando in essi un approccio rispettoso alla nascita da cui trassi ispirazione e che interiorizzai senza difficoltà.
Decidemmo per il parto in casa, e riuscimmo facilmente a trovare un’ostetrica e un medico che ci aiutassero. Nel corso del tirocinio ospedaliero avevo assistito molte donne ed avevo avuto anche il privilegio di sostenere due amiche che avevano partorito in casa, rilevando un enorme divario qualitativo tra l’esperienza ospedaliera e quella domestica. Inoltre la sorella di Nicholas, Sue (presente nella storia) era ostetrica specializzata in parti in casa, e fummo fortunati nel ricevere l’influsso della sua saggezza ed esperienza.
Ulteriore, e fondamentale ascendente all’epoca fu l’assidua psicoterapia junghiana, grazie alla quale ebbi modo di esaminare a fondo il mio rapporto con la maternità, le mie primissime esperienze con mia madre e il rapporto con lei. Riflettere su certi aspetti con la mia terapeuta durante la gravidanza, spesso attraverso i sogni, mi condusse a uno stato di benessere, aiutandomi a rendere più dolce e delicato il passaggio verso la maternità.
Ero certa della data di concepimento di Emma e consapevole, senza bisogno di ecografie, che la data presunta del parto cadesse ai primi di dicembre. Alla fine di ottobre scoprimmo con sorpresa che la bambina era già impegnata – con la testa – nella parte inferiore del bacino, e ci chiedemmo se saremmo andati incontro a un parto anticipato. Terminai di lavorare i primi di novembre, così da riservarmi un mese di riposo e di attesa… ma le cose non andarono così.
Il fine settimana in cui Emma venne alla luce, circa quattro settimane prima del termine, Sue, la sorella di Nicholas (la mia ostetrica) si trovava a Melbourne, dove vivevamo (in procinto di mettersi in viaggio da casa sua in Nuova Zelanda a Hobart, a un’ora di aereo più a sud, dove si trovava il padre, John, ammalato di cancro). La domenica mattina ero con Sue in giardino a chiacchierare amabilmente di parti, e lei mi raccontava come, secondo la sua esperienza, la presenza di troppe persone ad assistere al parto rischiasse di rallentare il travaglio. Importante precisazione: contavo già quattro persone, più mia sorella dalla Nuova Zelanda, ad assistermi, a condizione, tuttavia, che non le avrei chiamate tutte. All’incirca in quel momento mi accorsi che la normale, e leggera, attività contrattile si stava intensificando, e mi avvidi di una piccola perdita rossa. Nel pomeriggio, accompagnando Sue dalla sua amica, dalla parte opposta della città, misurai le contrazioni – regolari ogni dieci minuti, e al nostro arrivo le tracce ematiche risultarono più evidenti.
Sue propose di lasciar perdere la passeggiata sulla spiaggia che avevamo programmato, per goderci una serata tranquilla. Rientrate a casa, mi sedetti sul divano, percependo che se camminavo le contrazioni si facevano più forti. Nicholas mi preparò un meraviglioso piatto di uova strapazzate e ci chiedemmo se fosse il caso di chiamare Chris, l’ostetrica. Io ero un po’ titubante – negando, in realtà, l’evidenza – ma alla fine fu chiaro che bisognasse contattarla. Lei arrivò intorno alle 22, mi visitò, e mi informò che era iniziato il travaglio. Per quanto fosse palese a tutti, quelle parole pronunciate mi sconvolgevano. Chris ci consigliò di andare a letto presto e di chiamarla al mattino, quando – secondo le sue previsioni – il travaglio avrebbe preso il giusto avvio.
Alle 10,30 io e Nicholas eravamo a letto, alle prese con i nuovi sviluppi. Dovevo ancora lavare e sistemare i vestitini del bebè, né avevo passato la seconda mano di vernice alla camera degli ospiti… ma il nostro bimbo stava arrivando, impaziente. Quindi, mentre io restavo stesa a letto, Nicholas riordinò il corredino e ci rendemmo conto che il resto non contava. Il nostro compito era di accettare quei tempi, quel travaglio, in quel momento.
Con quell’arrendevolezza il mio travaglio ebbe davvero inizio. In principio capii che camminare su e giù durante le contrazioni mi era di aiuto; così come appendermi alle ante dell’armadio! Guardare l’orologio mi aiutava a constatare che i picchi più duri delle contrazioni duravano soltanto mezzo minuto; dopo di che, scesa l’onda che attraversava il mio corpo, ricorrevo agli esercizi di yoga per rilassarmi profondamente tra una contrazione e l’altra. Al culmine, la respirazione e poi i suoni erano miei alleati. Con l’avanzare del travaglio dondolavo il bacino disegnando movimenti circolari, gemendo e muovendomi in sincronia.
Era uno spazio dolce e intimo; la casa al buio e silenziosa e, per quanto non volessi essere toccata da Nicholas (mi distraeva troppo), mi sentivo sorretta dal suo amore e dalla sua presenza. Aleggiava una sensazione oceanica; era come se cavalcassi le onde, provata ma euforica a ogni discesa. A un certo punto Nicholas aveva le lacrime agli occhi: “È doloroso vederti soffrire così tanto”, mi confessò. “Sto bene”, risposi “c’è un bell’intervallo tra una contrazione e l’altra, così riesco a ricaricarmi per bene”.
Qualche ora dopo dissi “Bisogna chiamare Chris”. Nicholas era titubante: “Ce la stiamo cavando così bene, io e te…”. Ero d’accordo, ma l’istinto mi spingeva a chiamarla.
Lui contattò pure Sue, sempre controvoglia, ma io ero certa di volerla. Nella mezz’oretta che trascorse prima dell’arrivo di Chris, cominciai a sentire una morsa alla gola e un sottile urgenza di spingere a ogni ondata. Nicholas cominciò a spostare i mobili poiché avevamo previsto di portare il letto in sala, più facilmente riscaldabile in vista del parto.
Appena dopo le due del mattino, Chris sbucò dal corridoio e Nicholas la informò “Sta già spingendo”. Lei si voltò e uscì di nuovo a prendere gli strumenti per il parto! Intanto io mi trovavo carponi sul letto. Sapevo che la bimba sarebbe nata presto, e un po’ mi spaventava. Era piccola e in anticipo: sarebbe andato tutto bene? Ricordo ancora la rassicurazione percepita dallo sguardo di Chris: mi fidavo di lei e sapevo che sarebbe andato tutto bene.
Le spinte furono la parte meno piacevole del mio travaglio: la sensazione della testa, nella vagina, come una roccia alla quale volevo oppormi – mentre ogni fibra del mio corpo spingeva e spingeva ad ogni ondata. Così come l’oceano, l’istinto del corpo era immenso e inarrestabile.
Poiché spuntava il sacco amniotico acconsentii che Chris lo rompesse. Subito lei mi consigliò di stendermi su un fianco, il che mi dette sollievo. Desideravo che si svolgesse tutto velocemente, e così fu. Dopo qualche spinta, e con nostra grande sorpresa, uscì la testa a faccia in su (posteriore). Nicholas scattò alcune foto eccezionali del momento in cui la bambina veniva alla luce. Nel mentre arrivò Peter, il nostro medico di famiglia, con straordinario tempismo. Erano le 2 e 50 del mattino. Chris la prese e me la pose, calda e bagnata, in grembo. Ne scoprimmo il sesso immediatamente dopo: “Oh, Emma!”, esclamai: minuscola ed esile come un coniglietto pelato. La coprimmo – con un berretto di diverse misure più grande – quindi l’abbracciai teneramente. Cinque o dieci minuti dopo, il cordone smise di pulsare; Chris lo clampò e lo tagliò. La placenta fuoriuscì agevolmente, dodici minuti dopo la nascita e appena prima dell’arrivo di Sue.
Io mi sentivo euforica, stupefatta, e un po’ frastornata: era successo così in fretta, e in modo così inaspettato. Iniziammo le telefonate di lì a un paio d’ore, svegliando mia madre in Nuova Zelanda che, nel sonno, rispose: “Bene, cara”. Quando la richiamai più tardi, mi confessò di non avermi creduto! Per quanto piccina – due chili e venticinque – la mia era la bimba più piccola che sia Chris, sia Peter avessero mai fatto nascere in casa; Emma era vigile e si nutriva correttamente.
Nei giorni seguenti fummo prodighi di attenzioni speciali, rilevando la temperatura della bimba con regolarità e annotandone puntualmente poppate ed evacuazioni. La prima pipì, circa dodici ore dopo il parto, fu decisiva in quanto indice del corretto nutrimento ricevuto dal mio primo latte senza la necessità di aggiunte. Successivamente la bambina manifestò un leggero ittero, per cui ricorremmo alla fototerapia casalinga: qualche minuto di sole e sonnellini alla finestra.
Sue ci sostenne in modo impareggiabile e ci fu di grande aiuto per l’allattamento; Chris e Peter, per una settimana, ci fecero visita due volte il giorno. Pure gli amici (e le persone che avrebbero dovuto presenziare al parto ma che non avevamo chiamato) ci portavano da mangiare e ci facevano la spesa. Io ed Emma ce ne stavamo nel nostro nido domestico, facendo, una settimana più tardi, qualche timida tappa al negozio all’angolo, con lei accoccolata nel marsupio. Il negoziante mi disse: “Pensavo ci tenessi una bambola lì!”. Nicholas si prese due settimane di congedo, così ci godemmo una luna di miele con bebè di pace e d’amore.
Quando Emma aveva tre settimane venne a trovarci mia sorella Louise (che dapprincipio doveva arrivare per il parto), la quale ci fu di grandissimo aiuto e sostegno. Fu una fortuna averla con noi quando Nicholas fu chiamato all’improvviso per andare dal padre in fin di vita, e quando, successivamente, mi diede una mano a raggiungere la Tasmania per il funerale. Fu una benedizione per Betty, la madre di Nicholas, tenere l’ultima nipotina tra le braccia, il che anche a noi sembrò legittimo. Come scritto alla nostra cerimonia di nozze, eravamo “… parte del ciclo infinito della nascita e della morte che, con le sue gioie e i suoi dolori, ci coinvolge tutti”.
Sono tanti gli elementi legati alla nascita di Emma di cui esser grata. Un particolare apprezzamento va ai miei assistenti – l’ostetrica d’eccezione Chris Shanahan e l’ottimo dottor Peter Lucas – fiduciosi nel fatto che, per quanto in anticipo, nascere a casa non avrebbe comportato rischi né per il parto, né per la bambina. Per via del tirocinio e dell’esperienza nei reparti di ostetricia sapevo che in ospedale le cose sarebbero andate in modo ben diverso.
Sono altresì grata dell’aiuto e del sostegno ricevuti da amici e parenti, che, come in un cerchio esterno, ci tennero stretti durante quel periodo. Ringrazio anche la sincronicità che ha voluto anticipare la nascita di Emma a poche settimane dalla scomparsa del padre di Nicholas, concedendomi, nella difficoltà di qui momenti, la vicinanza di mia sorella. Infine profonda gratitudine va a Emma stessa: con la saggezza dell’anima, ci scelse come madre e come padre, facendoci dono di una nascita dolce e oceanica che ci indirizzò con gioia verso il cammino di genitori.