E.B.: È proprio così: come afferma l’antropologa Meredith Small, oggi abbiamo la possibilità di “combinare ciò che la moderna tecnologia e la conoscenza scientifica hanno da offrire con ciò che è meglio per la biologia del bambino”; e allora perché non farlo?
Ora, per concludere, ci potresti raccontare invece, attraverso un caso clinico, l’esperienza della nascita pretermine?
A.V.: Per farlo vi racconterò una storia: la storia di Valentina, una bambina nata piccola piccola…
Valentina ormai è in prima media e vorrebbe andare a scuola da sola, come molte sue amiche. La mamma però preferisce continuare ad accompagnarla; ha paura che ancora non riesca a gestire gli imprevisti, e poi la sua bambina è nata in anticipo e quindi rispetto alle amiche è meglio che attenda ancora un po’. Valentina è nata alla 28° settimana di gestazione con un peso di 1100 grammi. La mamma ricorda come fosse ieri il giorno in cui la pancia è diventata dura e poi sono partite le forti contrazioni. Il seguito è come un film: il tracciato, la faccia preoccupata del medico, la successiva difficile spiegazione, la sua mente confusa, l’anestesista con le sue strane domande, poi la luce accecante della sala operatoria… in questa sequenza veloce e spezzata rimane incisa, come un fiore su un muro di pietra, il pianto flebile di Valentina e la sua pelle rossa e pulsante. Dopo il cesareo c’è stato il silenzio e la solitudine della pancia vuota; un attimo prima erano una cosa sola, ma ora Valentina è sparita in un altro mondo. È ancora dolce il ricordo del papà che corre da un piano all’altro: dopo aver ricevuto notizie della piccola si precipita dalla moglie per raccontare e per consolare. Tutto questo era già capitato a due loro amici, ma non immaginavano che la stessa esperienza avrebbe colpito anche loro.
E adesso che fare? I pensieri volano in alto e lontano. Se Valentina sopravvive, come sarà? Potrà laurearsi, sposarsi e avere a sua volta dei figli? E la loro vita di genitori come sarà? Bisogna cancellare tutti i progetti e i sogni, o qualcosa è possibile conservare? Queste domande non hanno risposta, anche perché non vengono formulate e rimangono nascoste dentro (e ogni tanto affiorano nel viso e nello sguardo).
I due giorni passati in ostetricia sono molto difficili, la vita è come sospesa, il dolore del cesareo non viene giustificato da un visetto che ti guarda e che ti succhia. La paura è che per troppa bontà non ti dicano la verità sulle condizioni di Valentina, e poi ogni parente cercando di consolare fornisce la propria versione della situazione e si lancia in pronostici fantasiosi.
Il terzo giorno è un grande momento, in carrozzella la mamma riesce a recarsi in reparto per conoscere la sua bambina. Ma l’incontro è una tempesta di emozioni contrastanti, la situazione è incomprensibile e confusa. Valentina è un bambolotto nudo; al posto dei vestitini ci sono fili e tubicini, sensori e cerotti, solo il minuscolo pannolino permette di ricordare che quello è un mondo per bambini. Durante la visita le parole delicate dell’infermiera si mescolano a quelle difficili del medico, assieme al suono dei monitor e degli allarmi (che il personale sembra neppure sentire) si sente il richiamo di qualcuno che annuncia l’andata in mensa o di un altro che non ha capito se lo sciopero è revocato… ma in tutto questo Valentina dov’è? Cosa fa? Cosa pensa?
Al ritorno dalla visita la delusione è profonda, la mamma era andata per conoscere la sua bambina ma si rende conto che Valentina per lei è più sconosciuta di prima. I giorni successivi vanno meglio, guardandosi intorno si vedono tante altre Valentine e tanti altri genitori come lei. Una mamma, già lì da due mesi, appare particolarmente tranquilla e fiduciosa; racconta di come sono bravi i medici e sensibili le infermiere, e questo incoraggia e alimenta la speranza.
Valentina supera la fase acuta dell’immaturità polmonare, inizia anche un’infezione che per fortuna viene bloccata sul nascere, comincia e interrompe più volte l’alimentazione con il sondino, ma alla fine riesce a tollerare i pasti; per alcune settimane deve rimanere in incubatrice con un po’ di ossigeno, mantenendo la flebo con tutte le sue pompe attaccate. Una sera i genitori di Valentina sono accolti dal responso funesto di una ecografia cerebrale che ha mostrato un sanguinamento, ma nessuno è in grado di spiegare con precisione quali conseguenze questo potrà provocare; un medico parla di un rischio del 60% ma non è in grado di dire se Valentina appartiene al gruppo che svilupperà danni o a quello che ne uscirà bene. È in questo periodo che la mamma di Valentina non riesce più a spremersi il latte come prima: proprio adesso che la bambina mangia più latte, lei ne produce di meno.
Un giorno la mamma quasi sviene nel vedere Valentina fuori dall’incubatrice. Nessuna l’aveva preparata a questo evento e lei non sa come comportarsi; fino ad ora aveva sempre toccato e accarezzato la bambina tenendo le mani dentro l’incubatrice, adesso invece ha la possibilità di tenerla in braccio, ma alla proposta dell’infermiera rifiuta, ha paura di non essere capace, di fare male, di trasmettere infezioni… Qualche infermiera definisce questo rifiuto un segno di scarsa affettività o di iniziale depressione. Invece il giorno successivo il loro incontro riesce benissimo, si guardano e si abbracciano. Valentina è accoccolata tra i seni della mamma, ha gli occhi chiusi, è concentrata per non perdere nulla di quello splendido momento; tutti i loro sensi sono attivi per riuscire ad assorbire il più possibile l’una dell’altra. A distanza di alcuni mesi la mamma capisce che è stato in quel momento che per lei Valentina è nata; quel giorno finalmente l’ha conosciuta e da quel giorno non ha più smesso di amarla.
Negli anni successivi la mamma rinuncia al lavoro per seguire la bambina, prima per i vari controlli di follow-up e poi per favorire le diverse tappe di crescita. Per lei Valentina rimane sempre un po’ più debole degli altri bambini, ogni problema viene collegato a quella nascita intempestiva, ogni scelta è condizionata dall’esperienza di quei mesi. La mamma continua a sentirsi un po’ inadeguata, come in quei giorni quando Valentina era curata dalle mani esperte delle infermiere; quella paura di sbagliare e di non farcela è rimasta, rendendo più difficili le numerose sfide del diventare grandi.
In realtà Valentina già dal secondo anno di vita si è comportata come qualunque altra bambina della sua età, presentando le normali infezioni e crescendo con lentezza ma regolarmente, mangiando poco, ma manifestando l’energia necessaria e sufficiente. Neurologicamente non ha sviluppato alcun problema, soltanto molta vivacità e un po’ di difficoltà nel concentrarsi a lungo.
Ora che è arrivata alle medie cerca di spiccare il volo, tentando di separarsi un po’ dalla mamma che invece resiste per eccesso d’amore. Non è difficile immedesimarsi in questa mamma che dopo aver tanto sofferto per la prima nascita di Valentina, adesso è restia a lasciarla nascere un’altra volta.