capitolo iii

Bambino reale e bambino idealizzato

Se ormai sembra superata la generazione che obbligava i figli a scegliere un percorso di studio o di lavoro prestabilito dai genitori, in molti non riusciamo a nascondere la delusione quando i nostri figli non sono come pensiamo che dovrebbero essere. Il bello è che di solito non ce ne rendiamo nemmeno conto. Perché in fondo noi li amiamo con tutto il cuore e vogliamo solo il loro bene. Ma perché non riusciamo a capire che pretendere di snaturare il loro modo di essere non è nel loro interesse?


“Mio figlio è timido, cosa posso fare?”. Accettarlo così com’è. Chi ha detto che essere timidi è un difetto? Certo, la società ci propone modelli di persone brillanti e sicure di sé, ma questo non significa che tutti debbano aderirvi. Facendolo sentire inadeguato non faremo che peggiorare la situazione e il bambino, oltre che timido, diventerà anche insicuro, innescando un circolo vizioso.


Ovviamente se il problema di timidezza è così grande da causare sofferenza al bambino, il discorso è diverso e va affrontato insieme. Ma in questo caso parliamo di un bambino (in genere più grandicello) che vuole cambiare. Il desiderio parte da lui, e non dai genitori.


Certo, penso anche io che la faccia tosta (che purtroppo non ho) sia una gran qualità. Ma non siamo tutti uguali e anche le persone timide e sensibili hanno un loro fascino, che spesso riescono a esprimere in altri modi. Attraverso l’arte, ad esempio.


Poi ci sono i bambini turbolenti: “Cosa posso fare per calmarlo?”. Non molto, temo. Ma davvero essere pieni di energia può essere un problema? A me sembra un’enorme ricchezza. Certo, può essere faticoso per i genitori. In questo caso prendetevi qualche pausa affidandolo ogni tanto ad amici o parenti per poter respirare un po’.

Mia figlia è così testarda… quando vuole una cosa non c’è modo per farle cambiare idea.

Benissimo! Ecco una persona che otterrà quello che vuole nella vita! Questo non significa che dobbiamo cedere ai suoi capricci, ma impariamo ad apprezzare la sua perseveranza, anche se oggi non ci fa tanto comodo. O almeno ad essere felici per lei. Essere decisi è una qualità.


Insomma, più che cercare una soluzione per cambiare il modo di essere dei nostri figli, dovremmo chiederci per quale motivo non riusciamo ad accettarli così come sono, e lavorare su questo. Probabilmente ci hanno insegnato che per essere felici (o per avere successo) bisogna essere in un certo modo. Ma la verità è che per essere felici è necessario accettarsi. Ed essere accettati dai genitori è senz’altro il primo passo verso l’autoaccettazione.


Se il vostro bambino ha difficoltà ad accettare i cambiamenti, cercate di limitarli al minimo e preparatelo con largo anticipo.


Non riesce a stare fermo sulla sedia? Probabilmente ha bisogno di muoversi di più: perché non andare o tornare da scuola a piedi, o concedersi una passeggiata nel pomeriggio?


Non sopporta i luoghi affollati? È proprio necessario portarlo al mercato, dove si ritroverà circondato e magari spintonato da persone a cui arriva appena alla cintura?


Piange spesso? Non servirà a nulla sgridarlo o esortarlo a comportarsi “come un uomo”. L’unico risultato che potreste ottenere è quello di farlo sentire inadeguato, minando la sua autostima. Le emozioni intense ci mettono in crisi, ma non per questo dobbiamo stroncarle sul nascere (anche perché, se ci riuscissimo, sarebbe a detrimento del bambino stesso).


Perché non cercare, semplicemente, di preservare i nostri figli dalle situazioni che provocano stress in loro? A volte le loro reazioni ci sembrano proprio assurde, ma sono le loro e non possiamo metterle in discussione. In fondo da adulti cerchiamo di evitare (nei limiti del possibile) le situazioni che riteniamo sgradevoli; non c’è motivo di imporre ai nostri figli un trattamento diverso.


Ovviamente in tutto questo è necessario rispettare una giusta via di mezzo, cercando di andare incontro alle esigenze di tutti senza assecondare, ad esempio, la tendenza di un bambino a stare sempre solo, ma senza nemmeno spingerlo continuamente a interagire con gli altri se ha un carattere riservato.

Focalizzandoci sulle cose non come sono ma come vorremmo che fossero neghiamo la realtà, neghiamo il presente. Negando il presente, neghiamo la vita stessa. Concentrandoci sul nostro bambino idealizzato invece che su quello reale, gli neghiamo il permesso di esistere e di essere se stesso.

Non dobbiamo dimenticare che quelli che noi consideriamo come dei difetti possono invece costituire una grande ricchezza. Secondo Rolf Sellin, autore del libro Le persone sensibili hanno una marcia in più1, ad esempio, gli ipersensibili (spesso ritenuti “esagerati” nelle loro reazioni) sono potenzialmente in grado di trarre dalla vita “più gioia, più piacere e più ricchezza interiore”. I numerosi studi sull’intelligenza emotiva confermano queste affermazioni.


Secondo Elaine N. Aron, autrice del libro Persone altamente sensibili2, tutti nasciamo con determinate caratteristiche. La società in cui viviamo, però, tende a privilegiarne alcune rispetto ad altre, che vengono apertamente scoraggiate o semplicemente ignorate. Di conseguenza queste tendono a scomparire o vengono tenute nascoste. L’ipersensibilità, argomento che la Aron tratta nel suo libro, è una di queste caratteristiche. Le persone molto sensibili vengono incoraggiate a “diventare più forti”, a non avere reazioni “esagerate” o, semplicemente, a nascondere i propri sentimenti. Questo significa trattenere il respiro e accumulare tutte le tensioni all’interno del corpo. Scrive il maestro Arnaud Desjardins:

Quando costringete un bambino, agite sulla sua respirazione e quindi su una funzione importante per il bambino, che è quella di piangere e gridare. Cade e piange, gli si rifiuta qualche cosa e piange, un ragazzino lo spinge e piange. “Smetti di piangere” o “Smetti di gridare!”. Il bambino che siamo stati non ha potuto smettere di piangere o di gridare se non bloccando lui stesso la sua respirazione. Un bambino che piange con grossi singhiozzi non può bloccare il suo pianto e le sue grida se non trattenendo il respiro sino a quando non sia più che un povero, breve affanno.3

La mindfulness permette di prendere semplicemente coscienza di ciò che accade (a livello fisico) quando un’emozione si presenta. Il semplice fatto di notarla, accettarla e osservarla ci aiuta a lasciarla andare, contrariamente a ciò che avviene se tentiamo di reprimerla. Con la pratica, l’intensità della nostra reazione alle emozioni diminuisce: “Se prima reagivamo su una scala da +10 a –10”, scrive Christine Barois4, “la scala si riduce allo spazio tra +3 e –3. Collera, tristezza e paura avranno un impatto meno forte su di noi”.

Non cerchiamo quindi di cambiare i nostri figli (e nemmeno i nostri genitori, il nostro partner o i nostri colleghi): accettiamo gli altri così come sono. In ogni caso, non ci permetteranno di cambiarli, e resistere alla realtà non potrà che provocare stress e sofferenza.


C’è una sola cosa che possiamo cambiare, ed è il nostro modo di reagire a ciò che avviene intorno a noi: ai pianti dei nostri figli, alle pretese dei nostri genitori, alle mancanze dei nostri partner. Vivere nel momento presente è senz’altro un ottimo punto di partenza per affrontare tutti i problemi che lo abitano.


Non fraintendetemi: non vi sto esortando a lasciare i vostri figli liberi di esprimersi accettando qualsiasi comportamento, anche ineducato o distruttivo. Si tratta di aiutarli a esprimersi in modo accettabile, senza eccedere in un senso o nell’altro. Invece di costringerli a reprimere i propri sentimenti, aiutiamoli a esprimerli in un modo accettabile. Invece di zittirli o punirli, cerchiamo di essere in ascolto e di trovare un punto d’incontro. Educare i nostri figli non significa plasmarli, ma aiutarli a esprimersi. Il termine deriva dal latino e (fuori), ducĕre (condurre): si tratta quindi di tirare fuori l’essenza autentica di ciascuno. Ovviamente questa essenza dovrà esprimersi nei limiti della civiltà e della buona educazione. Un lavoro lungo e paziente che dovremo svolgere insieme ai nostri figli.


Imparare a identificare le proprie emozioni, senza identificarsi con esse, è un passo fondamentale per tutti i bambini (e non solo). Dovremmo insegnare ai nostri figli che non devono vergognarsi delle loro emozioni. Penso, ad esempio, a quelle negative come la gelosia nei confronti di fratelli e sorelle. Dovremmo rassicurarli spiegando loro che non c’è niente di male nel provare emozioni negative, ma che è proibito compiere azioni aggressive. L’emozione va vissuta, osservata e superata. Solo in questo modo smetterà di tornare a disturbarci.


Essere genitori è un lavoro duro. Sia fisicamente che psicologicamente. Alcuni bambini sono più impegnativi di altri; hanno bisogno di maggiori attenzioni, e questo alla lunga può esasperare i genitori.


Spesso consideriamo “buono” un bambino che se ne sta tranquillo, in silenzio, e non ci disturba. Ma c’è una grande differenza tra un bambino che sta calmo perché è sereno, e uno rassegnato perché sa che i suoi pianti sarebbero inutili.

Se il nostro bambino ha bisogno di contatto, di tenerezza, di rassicurazione, è nostro dovere fornirglieli. Del resto, come scriveva quasi cent’anni fa Maria Montessori: “chi mai piangerà un giorno per l’immenso desiderio di vederci, sia pure digiunando, mentre noi mangiamo? […] quando mai succederà nella vita che qualcuno, appena desto, desideri di correre da noi, superando ogni difficoltà, senza l’intenzione di svegliarci, ma solo per vederci e darci un bacio? Chi mai farà questo per noi?”5.


Per quanto oggi possa sembrare strano, questi momenti ci mancheranno tra qualche anno. Forse sarebbe meglio cercare di viverli appieno invece di desiderare una vita diversa. Questo è proprio ciò che insegna la mindfulness: vivere pienamente il momento presente, accettandolo così com’è.


A volte un bambino piange semplicemente perché ha bisogno di scaricare la tensione. In momenti del genere è inutile cercare di farlo ragionare: essere presenti e accogliere il loro sfogo è tutto ciò che possiamo (e dobbiamo) fare.


Jon e Myla Kabat-Zinn suggeriscono ai genitori di guardare le esplosioni di collera dei propri figli come si osserva una tempesta: non possiamo fermarla. Aspettiamo che passi, lasciamo che i tuoni e i fulmini scarichino la tensione e aspettiamo che torni il sereno. Proviamo ad essere, per loro, il rifugio nel quale potranno ripararsi durante la tempesta. Cerchiamo di non perdere la calma, tenendo presente che i primi ad essere spaventati da questi “temporali” sono proprio loro. Sapere che possono contare su di noi, che hanno un solido punto di riferimento anche in quei momenti, li rassicurerà. In fondo lo sappiamo: passate le nuvole il sole torna sempre a splendere. Essere capaci di ascoltare e di accogliere il loro pianto rinforza il rapporto tra genitori e figli.


Non possiamo proteggere i nostri figli dalle sfide della vita, ma possiamo stare loro accanto nelle avversità. Secondo Aletha Solter6, i principali canali che il bambino utilizza per scaricare stress e tensione sono la parola, il gioco simbolico, il riso e il pianto, capricci compresi.

Questi ultimi vengono spesso considerati come tentativi di manipolazione da parte del bambino, o come inutili lamenti. Si crede che il bambino si sentirebbe meglio se smettesse di piangere. Il piccolo sta invece utilizzando quel mezzo per scaricare la tensione. Dopo, sì, si sentirà meglio. Se imparassimo a vedere i capricci come una nuvola passeggera risparmieremmo un bel po’ di stress anche a noi stessi.


Questo vale anche per gli adulti. Pensate all’ultima volta che avete pianto. Avreste preferito avere accanto qualcuno che vi tappasse la bocca o qualcuno che vi abbracciasse accogliendo il vostro stato d’animo? Tutti meritiamo una spalla su cui piangere, un abbraccio che ci conforti quando siamo tristi o stressati.


Un bambino che riceve amore e approvazione solo quando è felice e sorridente imparerà a reprimere le proprie emozioni per ottenere l’amore dei genitori e, più tardi, di tutti gli altri. Un bambino che sa di essere amato indipendentemente dal suo stato d’animo potrà esprimere liberamente le proprie emozioni, imparando a conoscerle e a gestirle.


Il libro della Solter mi ha permesso non solo di gestire meglio il pianto dei miei figli, ma anche di far luce su alcune problematiche mie. Sono infatti una persona dalla lacrima facile, e spesso mi è capitato di essere rimproverata o di sentirmi a disagio per questo.


Questo libro parla del pianto come di uno strumento che va compreso e addirittura ascoltato, e non condannato a ogni costo.


Secondo l’autrice, infatti, il pianto è una forma importante di espressione (o di sfogo) delle emozioni che non andrebbe inibito né bloccato, nemmeno con trucchetti “innocui” come quello di far ridere il bambino o di distrarlo attirando la sua attenzione su qualcos’altro. Allo stesso modo una persona che piange una perdita andrebbe sostenuta e accompagnata nel suo dolore. Questo dolore, per quanto ingiustificato possa apparire ai nostri occhi, va prima di tutto accettato; cercare di bloccarne l’espressione o ignorare la situazione impedisce di elaborarla.

Vi è mai capitato di piangere tra le braccia di una persona cara? Ecco, a me no. Purtroppo le mie lacrime hanno sempre allontanato chi mi stava vicino, lasciandomi in preda alla solitudine e accentuando la tristezza. Ma da quando ho letto questo libro accolgo in questo modo le lacrime dei miei figli. Lascio che si sentano al sicuro tra le mie braccia, liberi di esprimere il loro dolore, la loro rabbia o la loro frustrazione. Per quanto il motivo possa sembrarmi insignificante, se provoca una reazione emotiva così intensa è perché smuove qualcosa in loro. Scrive Aletha Solter: “Spesso gli adulti impediscono ai bambini di piangere per pura incomprensione del fenomeno che, inoltre, risveglia in loro uno stress che non hanno mai potuto scaricare e un bisogno di piangere che non è stato soddisfatto. Questa repressione del pianto si trasmette di generazione in generazione”.7


Molti genitori cercano di far cessare il pianto dei propri bambini pensando che questi staranno meglio se smettono di piangere. È invece il genitore, prigioniero di un tabù secondo il quale piangere è sbagliato, a mal sopportare il pianto. Il bambino (in particolar modo il bambino piccolo, che ancora non sa esprimersi a parole) usa questo meccanismo non solo come valvola di sfogo, ma anche come mezzo di comunicazione. Il pianto permette di ridurre lo stress, abbassare la tensione arteriosa e rallentare il ritmo cardiaco. Se i nostri antenati correvano di fronte al pericolo, a noi uomini evoluti e sedentari non resta… che piangere.


Il libro cita uno studio secondo cui, in un campione di donne ammalate di cancro al seno, quelle che esteriorizzavano il loro dolore vivevano più a lungo rispetto a quelle che soffocavano le proprie emozioni.


Crescere significa anche attraversare momenti di stress. Non possiamo proteggere i nostri figli dalle frustrazioni della vita, ma possiamo offrire loro un riparo sicuro, un luogo nel quale possano esprimere il loro sconforto senza essere respinti o giudicati: “Il bambino ha bisogno di genitori capaci di ascoltare con empatia l’espressione della sua collera, della sua sofferenza, della sua paura. Se avrà la possibilità di esprimere apertamente i propri sentimenti fin dalla nascita, imparerà che non ha bisogno di reprimere le emozioni negative e si sentirà amato in maniera incondizionata”.8


Secondo l’autrice, un bambino che impara ad abbandonarsi al pianto con fiducia tra le braccia dei genitori riuscirà più facilmente, durante l’adolescenza, ad aprirsi con loro. Al contrario, un bambino che incontra affetto e approvazione solo quando è felice e sorridente imparerà a negare una parte di sé per piacere agli adulti. Se pensa che i sentimenti negativi che immancabilmente proverà siano qualcosa di cui vergognarsi, avrà grandi difficoltà a costruire una buona stima di sé. Tutti, non solo i bambini, abbiamo bisogno di sapere che le persone che ci amano continueranno a farlo, qualunque sia il nostro stato d’animo.


A volte anche una reazione spropositata a un piccolo incidente (un graffio, uno spintone) può essere un pretesto per scaricare lo stress dovuto ad altre situazioni. Succede anche a noi di perdere le staffe per un episodio insignificante. È bene quindi cercare di non reprimere il pianto con il pretesto che “non è niente”. Il bambino non sta esagerando: sta cercando di guarire le sue ferite emotive.


Ma come reagire quando il pianto è associato a una reazione violenta? L’autrice suggerisce di stringere il bambino con forza e con dolcezza, contenendo i suoi movimenti e fornendogli la giusta dose di contatto perché si senta rassicurato. Il bambino ha bisogno di capire che esiste qualcosa di più forte e più potente della sua rabbia. E cosa c’è di più forte dell’amore di un genitore? “Il momento in cui sembrano meritarlo meno, è quello in cui i bambini hanno maggiormente bisogno di amore e di attenzione”.9

La Solter sostiene inoltre una cosa che ho potuto constatare personalmente: crescere i propri figli è un’occasione unica e meravigliosa per comprendere meglio se stessi e guarire le ferite della propria infanzia. Questo testo è stato un balsamo per le mie, di ferite. Mi ha aiutata a capire i motivi per i quali non sopportavo il pianto dei miei bambini (e guarda caso la vita mi ha messo di fronte a tre bambini che piangevano tanto). Ce n’è voluto di tempo, e di esperienza, per riuscire a capire!

I due lupi

Una leggenda indiana parla di un nonno Cherokee che raccontava questa storia al nipote:

dentro ognuno di noi ci sono due lupi che combattono in continuazione tra di loro. Uno è bianco: è buono, calmo e paziente. L’altro è nero: è aggressivo, egoista, avido e invidioso.

“In ciascuno di noi? Anche dentro di me, nonno?”, chiede il bambino.

“Anche dentro di te”, risponde il nonno.

“Qual è il più forte? Quale dei due vincerà?”

“Quello a cui darai da mangiare.”

Tutto ciò che nutriamo, che coltiviamo e a cui dedichiamo la nostra attenzione, si rinforzerà. Invece tutto ciò che trascuriamo, si indebolirà. Questo vale sia per noi stessi che per i nostri figli.


Mindfulness per genitori
Mindfulness per genitori
Claudia Porta
Suggerimenti ed esercizi per praticare la consapevolezza in famiglia.Una guida per allenare la consapevolezza e vivere con maggiore serenità, lucidità ed equilibrio il rapporto con i propri figli. Essere un genitore consapevole è la chiave per vivere relazioni autentiche e appaganti con i propri figli.In Mindfulness per genitori, l’autrice Claudia Porta vuole fornire un aiuto concreto a tutti i genitori che desiderano rafforzare questa consapevolezza, senza dedicare necessariamente tanto tempo alla meditazione: ogni occasione, infatti, è buona per praticare la mindfulness e sviluppare quell’atteggiamento che consente di vivere il quotidiano con serenità, lucidità ed equilibrio.Uno strumento utile per affrontare quelle situazioni che sembrano sfuggire al controllo, come i capricci dei bambini piccoli, gli attriti con i figli più grandi, le difficili relazioni in famiglia, e ritrovare la pace e lo stato di grazia nel quale si sente di non avere bisogno di un motivo per essere felici.Un libro scorrevole e di facile lettura, che suggerisce esercizi da fare da soli o con i bambini, per godere appieno degli innumerevoli benefici che questa pratica riesce a dare. L’ebook di questo libro è certificato dalla Fondazione Libri Italiani Accessibili (LIA) come accessibili da parte di persone cieche e ipovedenti. Conosci l’autore Claudia Porta è autrice, blogger e insegnante di yoga e di meditazione. Dal 2007 vive in Provenza e cura il blog lacasanellaprateria.com. Organizza anche corsi di yoga e meditazione guidate.