seconda parte - capitolo v

I luoghi delle storie

La casa dei bisogni

Lasciamo perdere la casa dei nostri sogni, e pensiamo invece ad arredare la casa dei nostri bisogni. Piccole o grandi che siano, le case devono essere a misura di bambino. Devono cambiare e trasformarsi nel tempo. Avendo predisposto spazi funzionali e disponibili alla trasformazione calerà il senso di tensione che abbiamo noi adulti nell’intraprendere una attività creativa con i bambini.


Faremo volentieri una capanna estemporanea, o un laboratorio artistico. E metteremo i bambini in grado di sistemare in autonomia le loro cose, da soli, rendendoli responsabili e ordinati ma anche e soprattutto fiduciosi in se stessi e creativi in ogni momento, non soltanto per quanto riguarda ciò che è prettamente artistico, ma anche al momento di prendere decisioni e pensare a soluzioni per i piccoli problemi e ostacoli quotidiani.


Un televisore può bastare, e non dovrebbe stare in camera da letto. Niente cactus a portata di bambino. Pochi soprammobili. Più luce possibile dalle finestre.


Quali spunti narrativi possono offrirci gli spazi di casa? Quale tipo di storia possono contenere, lanciare, incentivare?

La camera da letto

Ogni tanto ci accorgiamo di avere troppi oggetti intorno. I bambini allora preparano scatoline da donare agli amici e organizzano mercatini. Queste attività stimolano vari tipi di riflessione:

  • Sto rinunciando a questo oggetto: posso farcela.
  • Qualcun altro sarà felice per il mio dono.
  • Con i soldi della vendita sarò in grado di comprare qualcosa da solo.
  • Mi piace la stanza diversa, più ordinata.

Attacchiamo alle pareti dei disegni dei nostri figli e cambiamoli ogni tanto: daranno forza d’animo nel momento dell’addormentamento (sono loro stessi ad averle fatte, queste immagini che li accompagnano nel mondo dei sogni).


Applichiamo insieme qualche stellina fluorescente alla parete o sul soffitto, e sulla testiera del letto (o sulle doghe del letto di sopra nel caso del letto a castello) qualche adesivo con piccoli personaggi. Il nostro bambino si trastullerà inventando storie e situazioni ogni sera differenti, a partire da quei piccoli personaggi. Uno stereo e qualche libro a disposizione per le narrazioni e le canzoni, lenzuola dal colore non troppo “sparato”, non troppi pelouche e cuscini lanosi, né moquette, per respirare il meglio possibile durante le storie e durante il sonno.

La cucina e il soggiorno

Della cucina si è già detto: per quanto mi riguarda è la regina delle storie. È la stanza del nutrimento della famiglia, della preparazione delle pietanze e della relazione conviviale.


Chi è protagonista indiscusso del soggiorno? Il televisore al plasma? No! I nostri bambini! Sono i piccoli che devono avere un posto centrale per giocare e rilassarsi e rotolare.

Perciò chiediamoci se nella nostra “zona living” ci sono:

  • un tavolino largo e basso senza spigoli e senza il piano di vetro;
  • un pavimento non troppo scivoloso e un tappeto lavabile;
  • una zona ad altezza occhi di bimbo in cui lui stesso possa sistemare i suoi giochi (mobiletto con sportello? Due o tre scaffali della libreria?) a suo piacimento;
  • uno o più contenitori un po’ più grandi, scatole, o magari cesti: il cesto delle costruzioni, il cesto degli animaletti, delle bambole, delle macchinine, il cesto degli attrezzi, il cesto del gioco euristico1 per i più piccoli… e il già citato piccolo tamburo, con altri strumenti musicali, se ci sono.
Le mensole alla parete, le credenze o i mobili del soggiorno sono contenitori che mettono in mostra le esperienze: ci sono fotografie, libri importanti, oggetti che ricordano avventure vissute. Possiamo quindi fare piccole mostre di pigne, sassi o conchiglie raccolte, tenervi un erbario, e non dimentichiamo altri oggetti utili alla fantasia dei bambini e dei grandi: le carte, il domino, gli scacchi, i puzzle, i giochi di società, il mappamondo.

La soffitta e la cantina, dispense, sgabuzzini e garage

Ogni tanto, muniti di stivaletti, vestiti comodi e torce, mascherine o foulard per proteggere il respiro, organizziamo una spedizione in soffitta o in cantina: ci sentiremo come Indiana Jones!


Per provare l’emozione di scoprire quale meraviglie si nascondano in fondo all’armadio, invece, giochiamo alle storie insieme ai bambini coinvolgendoli davvero nei cambi stagionali degli indumenti, nel mettere a posto la spesa in dispensa o chiedendo loro aiuto a sistemare lo sgabuzzino… sarà come essere una squadra di argonauti a Narnia2!

Fuori di casa: all’avventura!

Il mio bambino e il suo papà che camminavano e camminavano, e camminavano in quella trappola che è la città.

Bruno Lauzi

Pronti, partenza… via!

Ogni storia è un viaggio. Un muoversi nell’altrove, varcare le soglie di mondi nuovi, migrare nei territori del fantastico, rompere la barriera del reale superando il limite umano delle colonne d’Ercole!


Ai piccoli riesce di farlo anche in giardino. Le storie diventano un meta-viaggio, un viaggio nel viaggio, quando le inventiamo gironzolando allegramente e spostandoci nello spazio.


Se, al ritorno da qualche piccola commissione di dovere o da una camminata fino alla gelateria dietro l’angolo con i bambini noi adulti ci sentiamo spossati, frastornati, qualcosa da cambiare ci sarà.


Mamma: Andiamo a piedi a prendere il gelato. Datevi la mano bambini, mi raccomando! Tutti dietro di me, che intanto faccio una telefonata.

PUM

Diego: Ahiaaaaa!

Mamma: Cos’è successo?

Nina: Diego è caduto!

Diego: Ahhhhhhhh!

Mamma: Non è successo niente Diego, non ti viene neanche il sangue, dài che non è niente, andiamo a prendere il gelato!

Diego: Ahhhhhhhh!

Mamma: Certo che però se lo tenevi ben stretto come ti avevo detto non cadeva…

Nina: Non è colpa mia, c’è quella radice che viene fuori e fa la gobba, e lui è inciampato!

Mamma: Te la dò io la gobba! Ora mi tocca prenderlo in braccio e ho anche il mal di schiena.

Diego: Ahhhhhhhh!

Nina (col pensiero): Uffa però!

Qualsiasi viaggio, come ci ricordano Bellatalla e Bettini3, è un “travaglio” (to travel). Un’avventura che lascia piccole cicatrici che fanno crescere. Dobbiamo restituire ai nostri bambini l’idea della fortuna che si ha di poter partire, ma anche della fatica del viaggio, del coraggio che ci vuole ad intraprenderlo.


Proviamo a raccontare la caduta di Diego in maniera diversa, costruttiva?

Mamma: Andiamo a piedi a prendere il gelato. Datevi la mano bambini, mi raccomando! Tutti davanti a me. Attenzione… parte il treno per il gelato!! Ciuf ciuf ciuf.

PUM

Diego: Ahiaaaaa!

Mamma: Fermi tutti, c’è bisogno di soccorso?

Nina: C’è una gobba per terra!

Diego: Ahhhhhhhh!

Mamma: Diego, ti sei fatto un po’ male? Fammi vedere il ginocchio. Come stai? Pensi di farcela a continuare?

Diego: Ahh…

Mamma: Nina, aspettiamo il nostro capotreno e vediamo se si sente meglio. Certo che in quel punto il marciapiede diventa avventuroso… la radice dell’albero è cresciuta fino a venir fuori. Che voglia andare a prendere il gelato anche lei?

Nina: Mamma cosa dici, gli alberi non mangiano il gelato.

Diego: Gelato, io gelato!

Mamma (ricominciando a camminare con Diego per mano): Manca ancora poco Diego, cammina per bene che quasi ci siamo. Sei proprio coraggioso. Sì, certo Nina, ma se per caso un albero volesse un gelato, che gusti sceglierebbe secondo te?

Nina: Pistacchio perché è verde. Oppure ciliegia perché è un frutto che nasce sull’albero. Oppure cioccolato, così, perché gli piace.

Mamma: E ci vorrà sopra la panna montata? Forse d’inverno sì…

Diego: Cioccoàta, cioccoàta!

Mamma: Voi invece che gusti volete?

Diego: Cioccoàta, cioccoàta!

Nina: Crema e fragola.

Mamma: Eccoci arrivati!

Nina e Diego in coro (e mamma col pensiero): Yeeeeee!


L’immagine del mondo che finisce dopo le colonne d’Ercole è significativa: una cascata d’acqua che va a finire nel nulla. Questa è un po’ la percezione di quei genitori che dicono di non saper raccontare storie. Pensano forse di precipitare oltrepassando quel limite, di non saper come fare. Se ci mettessimo in mano ai bambini, cercando di mantenere un atteggiamento sempre costruttivo e fantasioso, autorevole ma non prevaricante, curioso ma non indagatorio, succederebbero cose bellissime. Se i piccoli fiutano intorno aria di pessimismo e disfattismo, si adeguano.


Matteo, 4 anni, con me in fila in un ufficio: “Mamma, stai attenta: dentro quel quadro dietro di te c’è un ananas che ti guarda male”.


Se noi sorridiamo con tutti noi stessi, anche loro lo faranno. La gioia è un vento potente che trascina verso giorni migliori e scaccia le nuvole nere del vuoto e della solitudine.

Due storie da conoscere (anche nelle loro illustri versioni cinematografiche): La storia infinita4, con il suo nulla che tutto inghiotte, e Il giardino segreto5, con il miracolo della vita che può tornare a fiorire.


Io mi affido ai piccoli nel mio lavoro di narratrice. Alla fine della narrazione non si arriva mai al punto che pensavo, ma ad un altro, inaspettato, migliore perché scaturito da qualcosa che si è creato insieme. E anche come mamma, mi faccio appunti mentali prima di uscire di casa, ma non li immagino tutti come obiettivi: mi destabilizzerebbero troppo tutti i cambi di rotta fisica e mentale a cui si incorre quando si è in “combriccola”. La riuscita è assicurata, l’appetito per domani rimarrà. Situazione: papà, figlio e figlia.

Bimbo - Domani cosa facciamo, papà?

Papà - Dunque, domani mattina… dopo la colazione… si va… a fare la spesa con il vascello di papà!

Bimbo - Sì!!! All’arrembaggio! Io sono il pirata che trovava il tesoro di monete d’oro.

Bimba - Me ne dài una che la metto nel carrello? Posso papà?

Papà - Sì, certo… tesoro.

Passeggiate nella natura

Sapremo ritrovare tempi naturali? Sapremo attendere una lettera? Sapremo piantare una ghianda o una castagna sapendo che saranno i nostri pronipoti a vederne la maestosità secolare? Sapremo aspettare?6

Gianfranco Zavalloni

Un paio di stivali e alcuni sacchetti. Se abbiamo sempre pronti questi ingredienti, oltre che il giusto abbigliamento a cipolla per i bambini e per noi, non perdiamo occasione di cercare strade magiche nella natura: la più splendida delle sale giochi è proprio lei!


Fermiamoci a fare un pic-nic, a guardare il cielo, osserviamo, fotografiamo, raccontiamo. Portiamo il binocolo per scrutare lontano, scovare animaletti, indagare piccoli segreti particolari. Tempriamo i bambini trasmettendo loro racconti incoraggianti sul fatto che vale la pena fare qualche passo in più, stringere i denti per andare oltre, aspettare la sorella che va più lenta, resistere alla fame per un pochino. Che avventura, la natura!

I bambini che siamo stati

Quel gufo con gli occhiali
Che faccia che fa
Me lo prendi papà?
Sì.
7

La bambina che sono stata è sempre dentro di me, e ho ricordi vividissimi delle mie emozioni, desideri, attitudini e capacità. Spesso quando scrivo mi riferisco e attingo dalla piccola Elisa. E mi accorgo che quando devo svolgere compiti da mamma che richiedono particolare concentrazione, la piccola Elisa mi dà ancora tanta linfa, permettendomi di entrare nei panni dei miei bambini, suggerendomi le risposte più adatte e auspicabili nei momenti più delicati, ricordandomi i tempi e le istanze di una creatura in esplorazione e in crescita.


Dal momento in cui, verso i due anni e mezzo, i nostri figli hanno cominciato a esplorare il mondo calpestandolo e scandagliandolo fino a portarne a casa le testimonianze (lividi, graffi, schegge sottopelle, escoriazioni e irritazioni varie), noi ci siamo messi a loro disposizione con i nostri temperamenti e competenze.


Io sono tendenzialmente indoor, mio marito outdoor. Lui si occupa anche delle avventure legate alla bicicletta, alle macchinine e autoscontri, agli scivoli vari, e così via. Tutto ciò è legato alle esperienze della nostra infanzia (eccezione che conferma la regola: farli salire sugli alberi viene bene a entrambi).


Siccome non sempre c’è il papà a disposizione, allora capita che la mamma si occupi (un po’ maldestramente ma sempre con ironia, rispetto del bambino e la massima coerenza possibile) di un’attività di solito gestita dal babbo. E se la mamma è via ci pensa lui a supplire e inventare, con le sue coccole porcospine e le sue rassicurazioni.


I bambini che siamo stati e i bambini che abbiamo avuto sono un patrimonio vivido a cui attingere per tutte le storie che desideriamo inventare.


I miei genitori mi hanno fatto semplici doni consapevoli e inconsapevoli: una sorella, i libri, la libertà. Quando incontro adulti nel mio lavoro di mediatrice della narrazione mi piace sapere di loro (e che loro provino a rievocare) poche cose semplici, che scrivo su fogli che distribuisco. Loro li compilano con non poche difficoltà, con qualche blocco, ma con fiducia, sentimento e entusiasmo sempre crescenti.


Propongo anche qui questo gioco, che auspico possa aiutare gli adulti ad aprire piccole porticine del ricordo e della fantasia, che per qualche motivo con la maturità si erano chiuse:


Mi chiamo:

Disegno la casa dove vivevo da bambino:

Da piccolo in famiglia mi chiamavano:

Da bambino ero molto:

Mi cantavano questa canzone:

I miei gusti preferiti di gelato erano:

Giocavo spesso con queste cose:

Giocavo spesso con queste persone:

Aiutavo in casa nelle faccende domestiche?

Desideravo:

Collezionavo:

Leggevo:

Guardavo alla tivù:

Racconterò ai miei bimbi che un giorno è successo che:

E allora io ho pianto, e poi:

Il circo delle circostanze

Il circo è qua, su venite nel tendone il circo è qua, scoprirete che emozione il circo è qua, scoprirete un mondo nuovo nuovo e antico, ma vi dico meglio non ce n’è!8

“Venghino venghino siòre e siòri!” sembra annunciare il piccolo Simone che gira allegro in circolo sul perimetro del tappeto del salotto e ogni tanto ci si tuffa sopra.


Da quando ha cominciato a camminare fa spesso questo gioco gongolando e gorgheggiando. Si mette qualcosa in testa, qualcosa di non pericoloso ma di molto appariscente, come un paio di calzoni che sembrano buffe orecchie di un coniglio gigante oppure una scodella come cappello ufficiale. Procede con una marcetta scanzonata e irresistibile, tiene il tempo con uno spaghetto crudo che agita a mo’ di frustino e accorcia ad ogni giro di circo con un morso da roditore. E con trasporto totale ci presenta, ci introduce ad un pubblico immaginario che lui pensa (perché ci ama e ha piena stima in tutti noi) stia per fare una standing ovation alle nostre avventure familiari quotidiane.


Non sono una maestra in fatto di ordine. Ho sempre dato tutto il “consegnabile” in mano ai bambini e quel tutto prendeva anime e forme che sfuggivano al mio controllo. Ma non mi lascio mai scappare l’occasione di trovare una storia. Quante circostanze, ostacoli, imprevisti, dilazioni da affrontare e gestire nell’arco della giornata!


Meno “uffa” diciamo noi adulti e più “sì” ci diranno i nostri figli. Più storie siamo in grado di individuare nelle varie situazioni e riporre nello sportellino mentale del “Questaprimaopoilaùso”, meno fatiche faremo. Se vogliamo imparare ad accogliere i fatti e le circostanze della vita con un venghino venghino, invece che con un e mo’ che famo? e a raccontare nel nostro circo storie degne di attenzione e meraviglia, dobbiamo andare dietro le quinte e allenarci.


A proposito di circo: a volte dobbiamo essere equilibristi, a volte trapezisti, ballerini, contorsionisti, maghi, pagliacci (mai domatori).

Pensiamo al numero dei piattini: ne fai girare uno sulla stecca perché non cada e ti accorgi che quell’altro sta vacillando. Allora corri da quello mentre comincia a vacillare il primo. Sbrigare, fare, preparare, lavorare. Se ci mettiamo dentro anche il raccontare e l’ascoltare, il giocare e l’inventare, è tutto un altro circo, senza persone o animali che soffrono, un circo di fatica ma anche di meraviglia, un cirque du reveil, un Cirque du Soleil9.

L’esperienza africana

Umwana yakunaniye womusigira uwundi
[Se tuo figlio non ubbidisce affidagli un altro figlio]

Proverbio africano

Nel villaggio di Kyhonda, a Morogoro, in Tanzania, abbiamo trovato alloggio nella missione delle Suore Collegine della Sacra Famiglia (Masista wa Colegina wa Familia Takatifu), diretta da Suor Teresa Drago, illuminato esempio di vocazione e umanità, che Matteo (3 anni) chiamava, sbagliandosi ma non sbagliandosi, Suorpresa.


Partita da Palermo molti anni prima, portento di fede, tenacia e fantasia, aveva messo in piedi una grande missione con scuole di ogni ordine e grado, alloggi per suore in formazione, un’infermeria frequentatissima dagli abitanti dei villaggi circostanti e una fattoria semplice e laboriosa.


Suor Teresa aveva costruito con dei binari in disuso uno scivolo e un’altalena per i bambini.

La sua abnegazione e dedizione totale, il suo essere madre sempre e comunque, ce l’aveva negli occhi sereni e nelle parole pazienti, nella preghiera costante e anche nell’umorismo e nella risata, nell’inventiva, nell’intraprendenza.


Ci trovavamo in una terra che non aveva avuto mai guerre, ma tanta povertà, di vari tipi, e malattie. Una terra dove l’orologio comincia a contare quando il sole sorge (all’ora di pranzo sono le sei), e dove nella famiglia padri e madri vengono chiamati con i nomi dei figli, e non viceversa (io venivo chiamata Mama Mattej, mio marito Baba Viola).


Le nostre giornate nella missione erano scandite da un ritmo sereno, i nostri gesti erano semplici e talvolta faticosi, ma c’era sempre qualcuno, nel cerchio della vita che ci ruotava intorno, pronto a soccorrerci con un sorriso, una storia, una canzone.


C’è bisogno di andare a dodicimila chilometri di distanza per trovare un’idea di armonia nel quotidiano? Non può esistere “armonia a chilometro zero”?

Suor Teresa risponderebbe di sì, e darebbe qualche suggerimento, non pedante, ma celato in un racconto, forse una barzelletta, o un indovinello.

  • Facevamo la doccia con 9 bicchieri d’acqua dalla cisterna a disposizione. Dopo aver perso il dentifricio ci lavavamo i denti con il bicarbonato. Viola aveva un anno e mezzo e al posto del pannolino portava vecchie t-shirt di mio marito che avevamo tagliato.
  • La cucina della missione. I bambini partecipavano, anche se in maniera simbolica, al lavaggio dei piatti.

  • La dispensa e l’orto. Il gioco di nominare i prodotti, capirne la provenienza e riporli nell’apposito scaffale è di per sé una importantissima narrazione.





  • Senza lavatrice si lavavano i panni a mano, insieme, raccontando e ascoltando storie vere.





  • Verso una certa ora ci si riparava sotto la zanzariera (era una zona malarica): i libri diventavano tesori preziosi.


  • Il mattino Matteo raggiungeva i suoi coetanei alla scuola materna della missione, di impostazione montessoriana.



Mi fai una storia?
Mi fai una storia?
Elisa Mazzoli
Inventare, raccontare, vivere avventure fantastiche nel quotidiano con i nostri bambini.Un manuale per riscoprire l’importanza e il valore del racconto ad alta voce, con suggerimenti e consigli per imparare a raccontare storie ai più piccoli. Mi fai una storia? è un manuale ricco di spunti, aneddoti e rimandi per conoscere e applicare strategie narrative con i bambini piccoli.Come far diventare “amica” la fatica usando le storie?Come gestire in maniera fantastica i rituali della giornata?Elisa Mazzoli, formatrice Nati Per Leggere e autrice, invita mamme e papà a scoprire e a ricordare quanto possa essere utile condividere narrazioni con i propri figli, con esempi concreti e incoraggianti suggerimenti. Conosci l’autore Elisa Mazzoli vive da sempre a Cesenatico.È scrittrice, narratrice, consulente editoriale, formatrice nell’ambito della letteratura per l’infanzia.Laureata in Scienze Politiche, dal 1996 è autrice di libri per bambini e ragazzi.Premio nazionale Nati per Leggere 2018 con Il viaggio di Piedino (Bacchilega Junior), svolge incontri di narrazione per bambini e corsi in scuole, biblioteche, librerie, centri famiglie, per insegnanti, genitori e operatori del settore infanzia sulla letteratura per bambini e la mediazione narrativa sul territorio nazionale. Si occupa di formazione sulla letteratura per l’infanzia per insegnanti dai nidi d’infanzia alle scuole primarie.www.elisamazzoli.blogspot.com