prima parte - capitolo ii

Il ricettario della nonna

In qualità di genitori, educatori, o di persone che hanno scelto per mestiere di occuparsi della salute, dell’accompagnamento, della cura, dell’educazione, si è anche portatori di speranza, di gioia e di possibilità di cambiamento. Un cambiamento che comporta una mutua fecondazione e una capacità di essere in relazione con l’altro per riconoscere e riconoscersi, scoprire e scoprirsi, sognare, immaginare e creare insieme.1

Elena Malaguti

Siamo tutti potenzialmente capaci di inventare e raccontare, ma non tutti esercitiamo queste capacità affinché si traducano in competenze vive, operative. Non tutti però abbiamo ricevuto in eredità il ricettario della fantasia, un vecchio preziosissimo quaderno dalle pagine ingiallite con gli ingredienti e le istruzioni per fare delle nostre giornate pietanze fragranti preparate con le nostre mani.
Esercitare, lo dice la parola, presuppone un esercizio. Così come la nonna ti svela dei segreti, ti dice che la farina ha un amido, che l’uovo va prima mescolato con lo zucchero e la sua chiara si monta in un certo modo se vuoi che il tuo soufflé non diventi “sgonflé”, altrettanto per utilizzare al meglio la propria creatività e far fiorire situazioni immaginifiche è necessario avere le conoscenze e gli strumenti di base. Questi strumenti sono stati esaurientemente elencati da Giorgia Cozza in Me lo leggi?2, manuale utilissimo e di piacevolissima lettura al quale rimando chi volesse accedere a informazioni esaustive e focalizzate sulla lettura.
Mi limiterò a raccontare di seguito come le varie “categorie” e i differenti “attrezzi” da racconto sono usciti dalla loro cassetta per mia, nostra utilità familiare quotidiana, alla bisogna, e hanno costituito un prezioso ausilio, come un comodissimo stampo per torte, una croccante base biscottata di sicuro successo, o una pioggia di gocce di cacao che rende appetitoso anche il più goffo dei dolci.

La “fiabola” e la “fava”

[…]non tutte le fiabe sono destinate ai bambini così come non tutti i libri per bambini sono fiabe.3

Bianca Pitzorno

Scriveva Bruno Bettelheim:

Proprio questo è il messaggio che le fiabe comunicano al bambino in forme molteplici: che una lotta contro le gravi difficoltà della vita è inevitabile, è una parte intrinseca dell’esistenza umana, che soltanto chi non si ritrae intimorito ma affronta risolutamente avversità inaspettate e spesso immeritate può superare tutti gli ostacoli e alla fine uscire vittorioso.4

Una sera, dopo avere assistito ad una mia telefonata con un’insegnante in cui si parlava delle tipologie di storie da scegliere per un progetto, con particolare riferimento alla distinzione fiaba/favola, la mia bambina mi annunciò: “Mamma, vieni qua che ti racconto una fava.”


Ci acciambellammo insieme sul divano e lei mi ammaliò con un racconto avventurosissimo e rocambolesco che conteneva molte delle parole che aveva sentito pronunciare poco prima al telefono, mescolate con simpaticissime trovate e tenere e buffe situazioni. Non convinta delle distinzioni che avevo appena illustrato alla maestra, riunì a modo suo fiaba e favola facendo abbracciare i loro nomi così calorosamente che li fuse. Cominciò a raccontar una storia con capo e coda, e un bel corpo centrale. Cucì il tutto con strepitosa maestria, e finì con l’epitaffio: “Ecco, adesso la fiabola è finita e si devono chiudere i coperchi degli occhi.”


Ora, per non confondere con esagerate spiegazioni che facciano venir voglia di sbadigliare e “chiudere i coperchi degli occhi”, proverò di seguito a chiarire la distinzione generale che viene proposta dagli addetti ai lavori nel campo della letteratura fra favola e fiaba.

La favola

In una calda estate, un’allegra cicala cantava sul ramo di un albero, mentre sotto di lei una lunga fila di formiche faticava per trasportare chicchi di grano…5

Per favola si intende un breve racconto che ha per protagonisti animali o cose che hanno vizi e difetti propri degli esseri umani.


Non sempre le favole finiscono bene, e questo trova ragione nel fatto che la favola è fatta apposta per trasmettere un insegnamento morale.

La fiaba

C’era una volta una regina che con il suo re ogni giorno diceva: – Ah, se avessimo un bambino…


La fiaba è invece un racconto popolare fantastico, che ha per caratteristica l’elemento magico e si snoda attraverso uno schema ben preciso, con sequenze (situazione iniziale, problema, avventura, risoluzione del problema) e con personaggi archetipici come l’eroe, l’antagonista, l’aiutante magico.

Egli avverte grazie alla fiaba che la condizione di essere umano in questo nostro mondo comporta l’accettazione di ardue prove, ma anche l’incontro di meravigliose avventure.6

La fiaba ha sempre un lieto fine e si è tramandata come genere di racconto orale e poi letterario come risorsa per intrattenere e meravigliare ma soprattutto per fare coraggio, consolare, trasmettere l’idea che anche gli ultimi possono riuscire, che le difficoltà della vita si possono superare.


È fiaba il Mago di Oz7, che si pone come prima contestazione della fiaba tradizionale, spaventosa e orrorifica, e prima rivendicazione di un’infanzia liberata.”8


Nell’Ottocento la fiaba popolare è spesso diventata fiaba d’autore e si è contaminata di elementi miscelandosi con altri generi (il romanzo moderno, la novella) e nutrendosi di altre forme narrative (il teatro, la Bibbia)9.

La dicotomia fiaba/favola appena illustrata, che, ribadisco, è nota soprattutto agli addetti ai lavori (in alcuni dizionari fiaba e favola sono indicati come sinonimi), può servire per avere più consapevolezza e padroneggiare meglio l’attività di creare storie insieme ai bambini, e sapere non tanto dove si vuole arrivare, quanto a cosa non bisogna rinunciare se si è intrapresa una certa strada.


C’è da dire comunque che se nel processo ludico e creativo di invenzione di una storia ci si avventura dandosi davvero la mano, fra adulti e bambini, lasciando parlare i piccoli, ascoltandoli nei loro bisogni emotivi e comunicativi più profondi e urgenti, saranno loro a suggerirci gli argomenti e i sentieri, e avremo sorprese molto piacevoli a riguardo.


Mamma e Alice inventano una storia


Mamma: “C’era una volta una bambina che si chiamava…”


Alice: “Ciuccettina, che andava nel parco ma nel parco vedò un lupo.”


Mamma: “Cosa faceva Alice nel parco?”


Alice: “Prendeva i fiori e vedò un lupo là.”


Mamma: “Il lupo cosa disse?”


Alice: “Ciuccettina dice: che brutto che sei, pussa nera che fai!”


Mamma: “E il lupo, cosa dice il lupo a Ciuccettina?”


Alice: (gesticolando e mimando): “Il lupo diciò: Argh! Ahm! Ahia!”


Mamma: “Cosa è successo?”


Alice: “Il lupo aprò la bocca… il lupo voleva mangiare Ciuccettina ma il babbo gli diedò una spinta nei denti.”


Mamma: “Il babbo di Ciuccettina è arrivato al parco e ha mandato via il lupo?”


Alice: “Babbo Renato. Babbo Renato (che è il papà di Alice, ndr) diciò Pussa via!, e fa la spinta e il Lupo piangiò e scappa scappa.”

Il racconto e la novella

Il condominio Quattro Stagioni, dove ho vissuto dalla nascita fino ai dieci anni, si ergeva su sette piani. Quattro appartamenti per pianerottolo. Ciò sta a dire ventotto famiglie, ventotto storie, e soprattutto una cinquantina di nomi e cognomi sulle targhette dei citofoni, strabilianti trampolini per tuffarmi nel mondo del divertimento e della fantasia.


Non che io abbia passato il tempo suonando citofoni e scappando via, come i ragazzini più scapestrati: io i citofoni li leggevo.


Conoscevo quelle persone: il giovane taciturno, la signora con il bastone, le due sorelle con il barboncino, i miei compagni di scorribande. Una delle targhette che più attirava la mia attenzione era quella su cui stava scritto “Novella”. Che appetito mi creava quel nome! Immaginavo che suonando il campanello di Novella avrei ricevuto in risposta il dono di una storia. Ma che tipo di storia?


La novella è un racconto breve, dall’intreccio lineare, che proviene dalle narrazioni orali; rappresenta situazioni molto concrete e riconoscibili e, come dice il nome, dice di un fatto “nuovo”, reale o immaginario. La novella, quasi sempre in prosa, veniva utilizzata per intrattenere e anche per insegnare qualcosa.


Quella che mi rispondeva al citofono, invece, era la signora Novella, mamma di due amiche con cui si giocava, fra l’altro, a inventar storie.

Il mito e la leggenda

Il mito era un racconto sulle divinità che, con sembianze e comportamenti simili a quelli umani ma con i loro poteri straordinari, interagivano con i mortali cambiando gli eventi del mondo.


Veniva raccontato nell’antichità, quando ancora non esisteva la scrittura, e mescolava elementi della realtà con aspetti sacri, divini.


L’obiettivo era quello di dare una spiegazione agli accadimenti e agli stravolgimenti della natura e della vita, allo svolgersi degli avvenimenti nella storia di un popolo.


La leggenda proviene anch’essa da antichissime tradizioni orali di popoli e gruppi sociali da cui è scaturita con l’intento di rinsaldare i legami o dare spiegazione a fatti della realtà colorandoli di fantasia e avventura.


Si trattava di una spiegazione fantastica a più voci, cioè non nasceva da un solo narratore ma si stratificava e si arricchiva di dettagli sempre più mirabolanti a mano amano che passava di bocca in bocca.

La filastrocca e la canzone

I nostri primi tre bambini cantavano la loro personalissima canzone al quarto figlio in arrivo nel pancione. Il gioco fu molto spassoso nella sua prima fase durante la gravidanza, e strabiliante nella seconda fase dopo la nascita, quando il piccolo Simone “ci ha raccontato” con l’espressione del viso e tutto il protendere del suo corpo la reazione che gli suscitavano le nostre diverse voci che cantavano. Provate!


L’anno scorso ho comprato una raccolta di canzoni italiane degli anni sessanta, e le ho utilizzate tantissimo nel momento fantastico del relax pomeridiano: ne sono nate storie, parodie, nuove versioni rock, ninne nanne strepitose. Queste canzoni non sono state scritte precipuamente per i bambini, ma basta un semplice ascolto da parte degli adulti per capire se sono adatte o meno.

Il pullover che mi hai dato tu
sai mia cara possiede una virtù
ha il calore che tu davi a me
e mi illudo di stare insieme a te
10
Con le pinne il fucile e gli occhiali
quando il mare è una tavola blu
sotto un cielo di mille colori
ci tuffiamo con la testa all’ingiù
11
Con te con te con te
che sei la mia passione
io ballo il ballo del mattone12
Il suo nome era Cerutti Gino
ma lo chiamavan drago
gli amici al bar del Giambellino
dicevan che era un mago…13
Da bambina ho consumato lo specchio e le orecchie di mia sorella a furia di cantare. Però anche lei non scherzava. Ad un certo punto nostra madre ha realizzato che sapevamo tutte le sigle televisive e tutte le canzoni dello zecchino d’oro ed eravamo in grado di eseguirle tutte, tipo maratona, senza soluzione di continuità. Così (deve avercelo anche chiesto, e noi dobbiamo averle risposto di sì) ci ha portato ad una trasmissione di una televisione locale dove si esibivano i bambini. La canzone era Cocco e Drilli14, storia di due alligatori del Marocco che tra l’altro adoravo.

Quando è stato il mio turno mi sono dimenticata le parole, e l’ho candidamente annunciato provando contemporaneamente vergogna per la figuraccia e stupore per l’effetto della mia voce al microfono.


Ho vinto il premio simpatia, una scatola di costruzioni strepitosa.

Le canzoni, da allora, sono rimaste ancora per molto affare domestico, privato. Uno strumento portentoso di sfogo e diletto, ma anche di apprendimento: l’esercizio mnemonico, l’immaginazione delle situazioni cantate, la coordinazione parola-movimento, l’affinamento dell’ascolto, la costanza nell’attesa (non c’erano i lettori cd!), l’apprendimento di parole e lingue sconosciute.

Quando ero piccolissima, mio padre faceva il calciatore e il suo fischio tornava a casa prima di lui; prima la sua voce che cantava (ha passato la sua infanzia in Argentina, e i suoi motivetti ricorrenti erano la strappalacrime Adios muchachos, compañeros de mi vida/ barra querida de aquellos tiempos15… e la sua versione demenziale di un tormentone estivo: Luglio16, ho perso il portafoglio e non lo trovo più, ahi ahi ahi àààà…) e poi la sua faccia furba di bambino mai cresciuto.


Mia madre, pittrice e maestra d’arte, oltre a libri meravigliosi ci ha messo a disposizione un giradischi e una compilation (il mio primo inglese l’ho imparato dai Beatles, l’americano da Elvis Presley e Dean Martin). E poi c’erano i cartoni animati del pomeriggio, e i fumetti in Tivù della sera. Io pensavo che la canzone cantata la domenica sulla RAI da Pippo Franco “Isotta Isotta dài che ce la fai/strombetta metti la marcia e vai17, fosse stata scritta appositamente per me. Ne ero convinta e orgogliosa, e cantavo e ballavo impettita come la macchinina rossa che non si arrendeva mai, e aveva un nome e un temperamento simile al mio.


Ora riconosco le parole di autori importanti dietro le trasmissioni musicali che seguivo (i vari Rodari, Piumini, Pitzorno, Quarenghi e molti altri apprezzatissimi scrittori scrivevano allora per la Tivù), e capisco perché abbiano costituito un bagaglio immediatamente efficace nel mio vissuto.


Un buon testo fa la differenza. Invito i genitori di oggi a cercare canzoni con testi, se non aulici, quantomeno accettabili e rispettosi dell’infanzia!


Ma anche e soprattutto la musica, che arricchisce un testo e lo fa diventare canzone, fa la differenza.


La canzone sigla di Orzowei18 (per citare un altro grande scrittore al quale la televisione italiana deve moltissimo), ricordo, mi caricava alla grande e andavo a tutta birra per il resto della giornata. I tamburi erano gli stessi che battevano nel mio cuore. Ogni bambino, a proposito, ha una propria inclinazione per uno o più strumenti musicali, ma le percussioni attirano tantissimo tutti i piccoli. L’importante è presentarle in maniera creativa, pian piano, e non aggressiva, non forte.


Indovinello: che cos’hanno in comune un tegame (possibilmente non troppo grosso), un tavolo (possibilmente pulito), la schiena di un fratello o una sorella (possibilmente disponibile), la pancia di un nonno (possibilmente in sovrappeso)? Sono tamburi fantastici!


Per tornare a Orzowei: ho scoperto da grande che l’autore del romanzo da cui aveva avuto origine il film era Alberto Manzi, grande maestro di cui mi colpivano l’audacia e la mitezza, la saggezza e l’abnegazione, che portò avanti il progetto televisivo “Non è mai troppo tardi19”.


Prendo in prestito da lui l’esortazione e la estendo al contenuto di questa riflessione: non è mai troppo tardi per cominciare a cantare, ballare, tamburellare e comporre canzoni insieme ai nostri figli!

La poesia

Mi hanno portato una conchiglia. Dentro le canta un mare di carta. Il mio cuore si riempie di acqua con pesciolinid’ombra e d’argento. Mi hanno portato una conchiglia.20

Federico García Lorca

A scuola, nel buco che avevo un giorno in un guanto, un bambino ha visto “un dito libero”. In biblioteca, dall’enorme dimensione del mio quarto pancione una bambina ha dedotto che insieme al mio piccolo nascituro forse c’erano dentro anche dei libri misteriosi.


In spiaggia, avevo appena cominciato la mia presentazione-lettura con “C’era una volta”, quando un piccolo tesoro con i capelli riccissimi mi ha fermata dicendomi che aveva una pellicina nel mignolo.


Gioiose poesie.

Uno dei personaggi preferiti da me e dai miei bambini è sempre stato il topo Topazio21, a cui Alberto Benevelli ha dato parola e Loretta Serofilli ha dato forma, che adora scrivere e donare poesie ai suoi amici.

La poesia eleva, libra. La poesia sta anche nella spontaneità dei bambini.

Da quando sono diventata narratrice, e poi mamma, mi è sembrato di poter fare a meno di leggere poesie. I miei piccoli amici di storie, e poi i miei figli, mi offrivano quotidianamente situazioni ed espressioni poetiche.


Poi, grazie al contatto con insegnanti e scrittori, poeti e appassionati conoscitori di poesia, mi sono messa di nuovo a disposizione, come lettrice, di questo genere che definisco


Parole, Onde, Emozioni Scritte In Armonia.


Ho ancora tanto da scoprire, perciò devo alzare le mani e ammettere di non avere validi suggerimenti da trasmettere (in realtà ho provato ad elevarmi abbozzandone qualcuno, ma sono caduta, sbattendo il sedere, nel terreno della filastrocca, quella che sento mia, nostra, dove si rimbalza da un suono all’altro, ci si sporca un po’ di terra, per poi uscirne sgualciti e felici).

Oltre

Fantasia, macchina eccezionale che ti porta dove non si può andare anche ventimila leghe sotto il mare…

Edoardo Bennato22

Ora la questione rimane: conosciamo abbastanza il mondo delle fiabe e delle novelle, delle favole, dei miti, abbiamo ascoltato abbastanza canzoni, assaggiato abbastanza filastrocche per poter andare oltre e fare uno slancio di fantasia che non si limiti al loro utilizzo con i nostri figli, ma si spinga fino all’invenzione di situazioni, rime, atmosfere, parole, nuove?


Se non lo conosciamo, come possiamo muoverci per recuperare, per intraprendere una strada proficua nel bosco fantastico delle storie? Le biblioteche e le librerie sono i primi luoghi in cui possiamo approvvigionarci. Poi chiediamo ai nostri genitori se hanno conservato qualche libro in soffitta e qualche racconto nella memoria, facciamoci aiutare.


Ma soprattutto ricordiamoci di noi da piccoli, chiamiamoci dentro e rispondiamo al richiamo. Riaffioreranno bambine e bambini colmi di idee e desiderosi di impastarle con creatività fino ad ottenere saporitissimi racconti.


Papà Marco chiude gli occhi e gli viene in mente una barchetta di carta.


C’era una volta…

una barchetta.

E poi?

Poi cosa?

Com’era la barchetta?

Rossa.

Cosa faceva?

Navigava nel mare.

Dove andava?

A pescare.

Chi la portava?

Io.

Cosa diceva?

Chi?

La barchetta.

Ah… diceva Attento, c’è il vento!

Hai fatto la rima!


C’era una volta… una pannocchia.

Che cosa? Una pannocchia? Sì, di granturco. Una pannocchia che voleva crescere più delle altre per sovrastarle tutte, per essere lei la più bella e la più maestosa. Si alzò, si sforzò, finché non arrivò molto in alto, vicino al sole.


“Stai attenta, così non va bene!”, le gridava dal basso lo spaventapasseri. “E perché mai?”, fece in tempo a rispondere la pannocchia, ma poi cominciò a scoppiettare perché il calore dei raggi del sole a cui si era troppo avvicinata aveva scaldato i suoi chicchi a tal punto da farli diventare pop corn…


(Fonte di ispirazione: Dedalo e Icaro, il mio mito preferito).

Il panchetto dove lo metto?

Mamma: “Bambini, ecco la merenda, mi raccomando, dividetela con equità.” Bambini in coro: “E chi è questo Equità?”

Anche alcune parole servono ad elevare. Le parole difficili o strane o straniere sono il panchetto che la mamma ti dava per cucinare la piadina. Per arrivare un po’ più in alto. Ma riflettiamo su questo panchetto: serve anche a noi adulti (soprattutto a chi, come me, non riesce a stare tanto tempo seduto a terra) per sederci al livello dei bimbi e parlare con loro, ascoltarci, giocare e fare insieme.


Attenzione a mettere il panchetto nel punto giusto.


Mia nonna mi ha raccontato che quando era piccina aiutava la mamma ai fornelli. Saliva su un panchetto, un rialzo in legno costruito da suo padre che le permetteva di arrivare dove altrimenti non sarebbe riuscita. Era piccola ma sapeva che il panchetto non andava messo in certi punti pericolosi: davanti al focone grande, per esempio.


Sapienze e lungimiranze di un tempo.


Spostiamo il discorso dalla preparazione delle pietanze a quella delle storie: noi mamme e papà possiamo fornire piccoli panchetti ai nostri figli, perché possano crescere in conoscenze, competenze e autonomie innalzandosi a qualcosa di più complesso.


Ma dobbiamo badare di metterli nei punti giusti, altrimenti quei rialzi diventano ostacoli, non sono più qualcosa che eleva ma che fa cadere, che fa incorrere in pericoli: se si somministrano ai piccoli fatiche eccessive e traguardi irraggiungibili si rischia di vederli cadere nell’apatia e nella frustrazione.

Mi fai una storia?
Mi fai una storia?
Elisa Mazzoli
Inventare, raccontare, vivere avventure fantastiche nel quotidiano con i nostri bambini.Un manuale per riscoprire l’importanza e il valore del racconto ad alta voce, con suggerimenti e consigli per imparare a raccontare storie ai più piccoli. Mi fai una storia? è un manuale ricco di spunti, aneddoti e rimandi per conoscere e applicare strategie narrative con i bambini piccoli.Come far diventare “amica” la fatica usando le storie?Come gestire in maniera fantastica i rituali della giornata?Elisa Mazzoli, formatrice Nati Per Leggere e autrice, invita mamme e papà a scoprire e a ricordare quanto possa essere utile condividere narrazioni con i propri figli, con esempi concreti e incoraggianti suggerimenti. Conosci l’autore Elisa Mazzoli vive da sempre a Cesenatico.È scrittrice, narratrice, consulente editoriale, formatrice nell’ambito della letteratura per l’infanzia.Laureata in Scienze Politiche, dal 1996 è autrice di libri per bambini e ragazzi.Premio nazionale Nati per Leggere 2018 con Il viaggio di Piedino (Bacchilega Junior), svolge incontri di narrazione per bambini e corsi in scuole, biblioteche, librerie, centri famiglie, per insegnanti, genitori e operatori del settore infanzia sulla letteratura per bambini e la mediazione narrativa sul territorio nazionale. Si occupa di formazione sulla letteratura per l’infanzia per insegnanti dai nidi d’infanzia alle scuole primarie.www.elisamazzoli.blogspot.com