terza parte - materiale congeniale

capitolo vii

Storie con le mosse

Omwana ku omwaka akasyo omukwatsa akati
[Non togliere il coltello al bambino senza offrirgli in cambio un fiorellino]

proverbio africano

Non abbiamo più scuse: i bambini sono pronti per fare le storie, e adesso lo siamo anche noi.


In poche mosse sapremo creare la situazione proficua per il gioco delle storie. Proviamo a metterci subito in gioco?

Ma io non sono capace!

Tutti sono capaci.

Spegniamo i cellulari, vestiamoci comodi, tiriamoci su le maniche, mostriamo ai bambini il nostro orecchio acerbo1 e prepariamo insieme a loro l’occorrente per scendere (salire) nel campo del fantastico.

Un giorno sul diretto Capranica-Viterbo

vidi salire un uomo con un orecchio acerbo.

Non era tanto giovane, anzi era maturato

tutto, tranne l’orecchio, che acerbo era restato.


Cambiai subito posto per essergli vicino

e potermi studiare il fenomeno per benino.

Signore, gli dissi dunque, lei ha una certa età

di quell’orecchio verde che cosa se ne fa?


Rispose gentilmente: – Dica pure che sono vecchio

di giovane mi è rimasto soltanto quest’orecchio.

È un orecchio bambino, mi serve per capire

le voci che i grandi non stanno mai a sentire.


Ascolto quel che dicono gli alberi, gli uccelli,

le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli.

Capisco anche i bambini quando dicono cose

che a un orecchio maturo sembrano misteriose.


Così disse il signore con un orecchio acerbo quel

giorno, sul diretto Capranica-Viterbo.

Gianni Rodari

Gli strumenti

…perché gli adulti, i papà, le mamme, gli insegnanti, si sentano invogliati a maneggiare forbici, colla, colori, non solo per dovere di assistenza verso i più piccoli, ma per il piacere di “fare insieme”, uniti, grandi e piccini, nel gioco di dare forma a un’idea.2

Elve Fortis de Hieronymis

Strumenti, utensili, prodotti e materiali utili ai giochi con le storie che proporrò di seguito:

  • farina
  • amido di mais
  • bicarbonato
  • stracci
  • tempere colori base
  • pennarelli colorati
  • pastelli colorati
  • fogli bianchi
  • matite
  • gomme
  • grembiuli o vecchie magliette
  • lenzuoli vecchi
  • vecchi calzetti
  • forbici
  • cartoni da scatoloni
  • cartoncini da disegno
  • macchina fotografica o cellulare
  • colla stick
  • colla vinilica
  • brillantini
  • vecchie riviste
  • carta adesiva per rivestimenti
  • carte da parati
  • legno
  • chiodi

  • martello
  • carta crespa
  • carta velina
  • rotoli di carta da cucina
  • rotoli di carta igienica
  • gomitoli di lana
  • rape rosse lessate confezionate
  • olio
  • aceto
  • sale
  • riso
  • stuzzicadenti
  • spago
  • carta vetrata
  • elastici
  • carta alluminio
  • cotone idrofilo
  • sabbia
  • conchiglie
  • rametti
  • sassolini
  • biglie
  • sacchetti
  • torce
  • carta da fritto

Storie dalla finestra

La vita che si svolge fuori dalla finestra ci dà tanti suggerimenti per cominciare un racconto o per invitare il nostro bimbo a osservare e interpretare narrativamente la realtà. Rivolgersi al “fuori” significa anche trasmettere un atteggiamento di apertura, di intraprendenza, una voglia di esplorare creativamente e entrare in contatto con l’altro da sé.


Sempre a proposito delle cose che vediamo dalla finestra, parliamo di sguardi fotografici. Abbiamo a disposizione tecnologie semplici e veloci che ci consentono di immortalare i momenti più belli. Tutti gli adulti, o quasi, hanno in tasca un cellulare che può scattare foto, e troppe volte, per la preoccupazione di fotografare, si perdono istanti preziosi e li fanno perdere ai loro bimbi.


Che senso ha che io mostri al mio bambino piccolo, per intrattenerlo ed emozionarlo, il video di quel granchio che passava vicino ai suoi piedi in riva al mare, se in quel momento lui era un po’ allarmato, voleva esser preso in braccio e io gli ho detto di no perché dovevo filmare e mi si poteva bagnare il telefono?

Basta esserci con i propri sensi naturali, con la presenza viva e gli occhi attenti a captare le storie e le emozioni, non le tacche del cellulare o le inquadrature migliori.


Una delle opere fotografiche che suggerisco e che trovo narrativamente utili è “Cosa vedo dalla finestra?”, cioè cosa si muove, cosa cambia nel tempo e nelle stagioni?


Primavera, estate, autunno e inverno: solo 4 fotografie, che messe una accanto all’altra racconteranno la storia meravigliosa del tempo che passa e della natura che si rigenera. Le foto devono essere stampate su carta e sfogliabili, o comunque indicabili con il dito da parte del piccolo. Si dilaterà il senso della pazienza nell’attesa, della meraviglia, dell’osservazione, ma anche della fortuna di avere un nido in cui abitare, come gli uccellini sull’albero nella foto. (Se dalle finestre di casa non si ha modo di vedere piante e alberi, si possono andare a catturare immagini nel punto verde più vicino).

Storie di esperimenti

Un pomeriggio d’estate, spazzando in terrazza, ho trovato una minuscola buccetta a forma di sorriso. Di quale frutto si trattava? Dentro era arancione, pareva albicocca. Ma all’esterno era reticolata… melone!


Ho commentato: “Non abbiamo mai mangiato meloni così piccoli, forse questa buccia non è nostra, forse l’ha portata il gabbiano per ringraziarci delle crocchette del gatto che gli offriamo ogni sera…” (veramente ce le ruba, ma volevo essere gentile).


Ma poi abbiamo capito: il piccolo Simone, che quando gli consegni una fetta di melone la mangia camminando felice per casa come farebbe l’orso Yoghi al parco di Jellystone, deve essersi disfatto della buccia, che è finita sotto il mobiletto del terrazzo, e lì si è essiccata senza ammuffire, tipo baccalà, rimpicciolendosi lillipuzianamente.


Una storia fantastica! Ora che si fa?

  • Si prova con altre bucce (pesca? cocomero?).
  • Si inventano storie che parlano di cose grandi che diventano minuscole e viceversa.
  • Ci si ricorda di quando eravamo piccoli.
  • Si fanno ipotesi fantastiche ed esperimenti divertenti con elementi che potrebbero ingrandire in diverse condizioni ambientali (acqua che diventa ghiaccio, latte che bolle e fa schiume vulcaniche, palla di farina e acqua che lievita, e così via).

Storie bianche

Quando mi sembra che la situazione in casa sia tesa o elettrizzata a tal punto che sta per diventare ingestibile, mi suona in testa questo campanello:

S.O.S. PALLA DI PASTA!

Nella mia cucina non manca mai un chilo di farina da impastare insieme ai bimbi. Con questa manna (è proprio il caso di dirlo!) estratta dalla dispensa nel momento propizio si possono fare tante cose:


Impastare farina e acqua e fare una palla.

I bambini più impastano e più si tranquillizzano. Quelli che non vogliono sporcarsi le mani non vanno forzati, ma incentivati. Lasciamo che guardino come facciamo noi e come fanno i fratelli, anche questo serve a calmare e attivare l’“immaginifico”.


Raccontare la storia attuale della distribuzione del cibo nel mondo.

Noi siamo molto fortunati, abbiamo farina in sovrappiù, mentre in tantissimi Paesi del mondo la gente fa fatica ad avere la sua razione quotidiana. Non potendo effettivamente occuparci in prima persona della distribuzione equa e solidale della farina (argomento sul quale i piccoli hanno sempre proposte interessantissime), giochiamo con consapevolezza, senza sprecare oltremodo questo elemento.

Aggiungere altri elementi al nostro impasto.

Vediamo cosa succede se aggiungiamo all’impasto: un cucchiaino di bicarbonato e lo lasciamo riposare un po’ (si ingiallisce e si gonfia, perché fa da lievito); un po’ del liquido della confezione delle rape rosse cotte che si comprano al supermercato (poi le rape le mangiamo a cena, magari tagliate a cubetti e infilate in uno spiedino… comunque la palla diventa rosa come un porcellino pulito o come Barbapapà); qualche tocco di colore a pennarello, magari sotto forma di puntini altrimenti il pennarello si rovina un po’. Ricordiamo che nel caso in cui il gioco si dovesse fermare per qualche motivo, la palla di pasta si può conservare per una notte in frigorifero, avvolta in una pellicola trasparente, per essere ripresa il giorno dopo e rimodellata aggiungendo un pizzico di farina per togliere l’umidità.

Stendere l’impasto col mattarello e dividerlo in piccole forme.

Il che vuol dire utilizzare la fantasia e le mani per creare forme, come quelle della pasta fresca che conosciamo oppure forme nuovissime, inventate da noi; oppure ancora usiamo degli stampi per fare tante forme diverse. Non sono indispensabili le formine da biscotti: se ci guardiamo intorno con occhi che vedono il fantastico scopriamo che in casa abbiamo un sacco di oggetti utili: un bicchiere, una tazzina, una scodella, i pezzi più grandi delle costruzioni, i vasetti dello yogurt… Possiamo anche fare tante basi di pasta uguali con un bicchiere abbastanza largo, e poi imprimere su ognuna di esse alcuni soggetti: piccoli personaggi di plastica (possono essere anche nascosti dentro e poi ritrovati!), l’impronta delle mani, un anello, una chiave, una moneta, una carta con scritte in rilievo come la tessera sanitaria o una scatola di medicinali (e qui, con i più grandi, si attivano le tante storie su chi legge per rilievi utilizzando il codice Braille) Le forme ottenute si possono mettere ad asciugare stese su un vassoio e un canovaccio. Aggiungendo all’impasto del sale fino si può prolungarne la resistenza per poi dipingerle in un secondo momento3.


Alla fine del gioco si passa a farne un altro: quello del lavaggio, in una grande scodella, degli oggetti sporcati di farina. E la narrazione cambia.

Fare la piadina romagnola, cucinarla e mangiarla.

Questo gioco permette di narrare la semplicità e la bontà del cibo più antico, la competenza dei piccoli nella preparazione di veri e propri pasti, la magia e il profumo della cucina. Le condizioni igieniche devono essere rispettate al meglio, e bisogna seguire l’adulto e fare attenzione al fuoco di piastre e fornelli. Si può fare.

Storie di nuvole

Quando l’inverno finiva e il cielo diventava azzurro, io guardavo le nuvole bianche che passavano sopra di me. Le guardavo dalla terrazza, dal giardino, dal campo sportivo, dai prati. Ma le guardavo di più quando c’era vento, perché mentre si muovevano cambiavano forma, diventavano più grandi o si spezzavano in tante altre piccole nuvole.4

Ricordo il momento in cui, a un certo punto della mia “bambitù”, ho scoperto che le nuvole si muovevano. Era un pomeriggio di vento forte, e io stavo giocando nel cortile dell’albergo dei nonni a setacciare la ghiaia e fare l’“origano” per poi passare al gioco della pizzaiola, che consisteva nel fare pizze immaginarie da farcire con olive, cioè sassi, e “origano”, cioè frammenti di erba secca e minuscoli rametti. A un certo momento ho puntato lo sguardo al cielo e ho percepito indistintamente il movimento dei cumulonembi. Possibile che mai nessuno me l’avesse detto prima? Oppure forse erano state create le condizioni perché io facessi da me la mirabolante scoperta? Quanti anni potevo avere? Forse quattro. Sono rimasta immobile per alcuni secondi per verificare che la mia ipotesi corrispondesse al vero e poi sono corsa in giro a dirlo a tutti. Ero elettrizzata, mi sentivo di avere il cielo in mano. “Le nuvole si superano!” gridavo.


Non ricordo la reazione degli adulti a cui mi rivolgevo con la mia rivelazione. Ricordo la mia gioia, colma di speranza e vivacità. Sono sensazioni che riaffiorano ogni volta che guardo le nuvole. Le ho provate e riprovate da piccola, perfezionando sempre di più la mia osservazione del cielo: l’albergo dei nonni aveva un grande terrazzo di servizio tutto attraversato da fili di ferro rivestiti di plastica bianca che servivano per stendere le lenzuola, le tovaglie, le tende e le federe. C’era un tavolo al centro del terrazzo. Quando c’erano i tessuti stesi facevo coreografie zompettando fra un lenzuolo e l’altro, ed era il mio nascondino danzato. Quando non c’erano panni stesi salivo sul tavolo, mi ci stendevo sopra e da lì guardavo il cielo attraversato da fili bianchi che parevano corsie per la gara delle nuvole. La cosa bella era che mi pareva di stare in cielo, non vedendo confini intorno, dal momento che il tavolo era alto quanto le ringhiere del grande terrazzo, ma queste ultime erano molto lontano da me. Non c’ erano pericoli, soltanto occasioni di serena scoperta.


Perciò le nuvole che si muovono, che si sovrappongono, che cambiano forma “superandosi” di continuo fanno parte del serbatoio dall’immaginazione infantile a cui attingo per proporre storie da inventare, letture e laboratori in famiglia e nel lavoro.


Il gioco della forma delle nuvole, la scommessa sul tempo che impiegherà quella certa nuvola a scomparire dietro a quell’albero, oppure l’utilizzo dell’ovatta per creare nuvole da incollare sulla carta, o da infilare dentro ai calzetti per fare pupazzi da animare.


Le nuvole che mi piace far muovere in questo periodo sono soprattutto quelle create con l’amido di mais, che utilizzo per il bagno dei bambini ma anche come materiale da toccare, bagnare, mescolare e applicare sulle pagine sceniche dei libri che uso negli incontri per bambini, insegnanti e genitori. L’amido di mais ha una composizione chimica particolare che lo rende davvero duttile. La sua consistenza è piacevolissima, passa dallo stato liquido (quado aggiungiamo acqua) allo stato solido (quando lo impastiamo) per poi ritornare a quello liquido (quando smettiamo di lavorarlo.) Non sporca, e lascia le mani morbidissime, rilassate e carezzevoli.

Storie morbide

Giocando ancora con le parole si potrebbe dire che i pupazzi sono fantastici “immediatori”, cioè mediatori immediati, personaggi a cui basta dare un filo di voce per essere condotti all’istante nel mondo della fantasia. Con le dovute attenzioni in merito alla sicurezza dei bambini, si possono costruire insieme e utilizzare nel gioco delle storie tanti tipi di pupazzi e pupazzetti a costo zero (o quasi). Tre esempi (mettiamo che vi imponiate di costruire un pupazzetto nella prossima ora di gioco che trascorrerete con i vostri figli… quale delle tre opzioni scegliereste?):

  • burattini a dita fatti con dita di vecchi guanti o, ragionando al contrario, con guanti o calzini bucati;
  • personaggi creati incollando e colorando rotoli di carta igienica o carta da cucina (finita);
  • calzini o guanti imbottiti di cotone idrofilo.

Storie al posto giusto

  • Storie delle cose al posto giusto

    Ai piccoli piacciono le file, le processioni, le collezioni, gli ammucchiamenti e le spartizioni. Raggruppano, mescolano e poi magari succede che alla fine del gioco c’è una gran confusione di cose da sistemare.

    Filastrocca delle cose al posto giusto
    metto tutto a posto e ci provo gusto
    i giocattoli nei barattoli
    le bambole nelle scatole
    le costruzioni nei loro bidoni
    i colori nei contenitori
    gli animaletti dentro ai cassetti
    e tutto il resto dentro al cesto
    tutto il resto dentro al cesto
    tutto il resto dentro al cesto!
    5

    Sempre “ragionando con la fantasia”, proviamo a capovolgere l’ordine del gioco, o quantomeno a ripristinare la voglia iniziale di raggruppare: coinvolgiamo i bimbi nella messa a posto raccontandola con una storia.

    La giraffa chiamava tutti gli animali perché era arrivato il momento di tornare nel cassetto, ma dovevano fare presto, c’era il temporale con i tuoni, l’uragano con i fulmini, il fortunale con le saette, il vortice di vento, presto, prestoooooo! (La parola “presto”, detta con vemente convinzione e con la voce da pompiere, funziona sempre.)

  • Storie delle “case” al posto giusto
    C’è un altro super jolly che mi gioco spesso, oltre alla palla di pasta:

    S.O.S. CAPANNA!


    Con un lenzuolo annodato negli angoli, così si collega meglio allo spago che uso per legarlo in almeno due estremità, creo la capanna. Posso passare un tratto di spago per tutta la stanza e appoggiarci sopra il lenzuolo oppure, se ci spaventa il trambusto che una casa nella casa può creare, iniziamo facendo una capanna con un lenzuolo.

    Capanne a parte, ai bambini piace molto metter su giochi simbolici dentro scenari ben precisi, magari dislocati in più parti della casa: più case dentro la casa, insomma.

    Facciamo un esempio:
    Marta si fa l’ufficio in camera da letto: porta un tavolino, una sedia, una grande borsa, un grande libro cartonato che apre come se fosse un pc portatile e per farlo star fermo lo appoggia ad altri libri.

    Giacomo invece decide di essere un veterinario, e che il suo ambulatorio deve assolutamente essere nel gabinetto. Lì c’è il lavandino (vasca per preparare medicamenti), il mobiletto delle spazzole e dei prodotti (che diventano tutti attrezzi e flaconi da veterinario), il bidè (barella concava così gli animali non scappano mentre li visita), il water da chiuso è la sua sedia, la doccia (cabina per le radiografie), lo specchio (tabellone per osservare i referti delle radiografie).

    Dove vanno Marta e Giacomo quando finiscono di lavorare? Nelle rispettive case, ovviamente: Giacomo abita sotto il tavolo della cucina, dove lo aspetta suo figlio Jack che è ancora piccolo. Marta invece, che abita nello sgabuzzino, non ha bambini ma tre cani che dormono e una gatta che miagola forte perché ha male alla pancia: “Prestooooo! Prestoooooo! Andiamo dal veterinario!”

    Marta corre in bagno con la gatta in braccio. Bussa, e la mamma che ha trovato finalmente il bagno libero e sta facendo la pipì in santa pace, risponde: il veterinario non c’è, è andato a casa. Per le emergenze devi chiamare il suo numero di cellulare. Che numero è? Chiede Marta che non sa leggere ancora. Tre-tre-tre, tre-tre,tre-tre,tre-tre-tre, risponde la mamma. In effetti è proprio così, lo aveva letto prima di entrare in bagno sul cartello scritto da Giacomo e attaccato con lo scotch sulla porta.

    Marta, preoccupata, telefona a Giacomo.
    “Aiuuuuuuto dottore, prestoooooooo, la mia Gattina Ponzyponzy si sente male, piange molto e ha tutta la coca cola (formicolio) nelle zampette!”

    “Arrivo subito con la turbo-ambulanza!” annuncia il veterinario.
    Marta capisce che le cose andranno presto per il meglio.
    La mamma capisce che deve liberare il bagno.

    Ecco, in linea di massima cerco sempre, una volta arrivata l’ora di andare a letto per davvero, cioè una volta esaurito il gioco, di far mettere in ordine tutte le case, gli uffici, gli ambulatori.

    Ma devo ammettere che, per gran gioia dei bambini (felici di riprendere il gioco l’indomani) non sempre mi riesce, e al risveglio del giorno dopo, al momento della colazione, i piedi di qualcuno di noi incappano sotto il tavolo in un bambolotto e un biberon, mentre qualcun altro si siede sul water e non si accorge che ha appena detto buongiorno a un pupazzo maiale malato, davvero “paziente”, che sta aspettando di esser visitato a pancia in su nel bidé.
  • Il nascondino degli oggetti

    Nascondiamo un oggetto e diamo degli indizi agli altri per trovarlo. Gli indizi possono essere “acqua, fuoco, fuochino…”, ma meglio ancora, per l’esercizio della fantasia, se li forniamo sotto forma di storie. Esempio: nascondo un piccolo aeroplano giocattolo dentro a un calzino di mio marito, nell’armadio.

    Comincio a dare indizi: “L’aeroplano aveva freddo”. I bambini corrono a guardare nel freezer. “Ho detto che aveva freddo, non che ce l’ha ancora”, specifico. Corrono a vedere sul termosifone. Non c’è. “Ha volato un sacco di volte al Polo Nord in mezzo agli orsi polari, brrr, aveva così freddo che ha detto: provo ad andare dall’altra parte, al Polo Sud, ma lì era ancora più freddo infatti c’erano i pinguini…”

    C’è un quadernone con i pinguini sul tavolo, lo aprono, lo sfogliano come se l’aereo potesse essere lì… la loro fantasia è pronta a tutto!

    “L’aereo così ha chiesto notizie al babbo, che sa tante cose. Il babbo è molto gentile e gli ha proposto di ospitarlo… in un posto tranquillo e caldo, dove anche il suo piede a volte cerca di sistemarsi per riposare…”

    Corrono a vedere nel letto. Non c’è.

    Poi si avvicinano all’armadio e cominciano ad aprire le ante. Sanno che non devono muovere le cose e fare confusione, tastano un po’ sulle pile di vestiti, e aspettano un altro indizio.

    “Quando il babbo ha detto all’aereo con cosa poteva coprirsi, gli ha detto: vuoi un bel sacco a pelo? Bianco, grigio o nero? L’aeroplano ha scelto quello nero, e adesso è lì che dorme e si riposa al calduccio.”

    “Trovato, è in un calzino!”

    “Bravissimi! Adesso a chi sta?”


Storie suonate

Non siamo esperti musicisti. Forse anche per questo, quando improvvisiamo concerti fantastici, ci viene da dire: come siamo suonati! Ma è bello provare a raccontare anche con la musica, cercando di imitare le storie con accompagnamento musicale che abbiamo sentito dal vivo, o sui cd, o alla radio (www.radiomagica.org, una grande risorsa!)6.


Costruiamo un bastone della pioggia come quello degli aborigeni con i rotoli della carta da cucina e ci mettiamo dentro il riso; costruiamo un richiamo per anatroccoli con un vasetto di yogurt e dello spago, e poi le maracas, un tamburo, uno strumento per uno e tre, due, uno… si strimpella!


Si stabilisce un tempo massimo di esplorazione e utilizzo fantastico di ogni strumento e poi si fa cambio.


Non sapete da dove partire e come lasciarvi andare? Angelo Branduardi, Alla fiera dell’est7.

Storie di merende e di pace

Le storie sono colombe di pace. Devono esserlo, anche quando cominciano con una guerra. Quando si è arrabbiati non si ha voglia di fare storie insieme. Ma una colomba bianca può passare in volo…


– Nell’aria sembra di vedere nuvolette di rabbia, fulmini e saette. I bambini hanno litigato. La questione è stata affrontata e mediata dall’adulto, ma le scuse non si sono manifestate. È l’ora di merenda. La mamma serve il melone che piace tanto a tutti. Non a fette, ma tagliato a cubetti in un grande piatto con tante forchettine quanti sono i bambini.


“Questo è il melone della pace, prendete un cubetto alla volta, se vi piace.”


Le nuvolette a questo punto dovrebbero allargarsi un po’, e far passare qualche raggio di sole.


– “Non è giusto che lei abbia la fetta più grande!”

“Invece sì, perché sono più grande di te!”


C’è una torta da dividere, noi abbiamo annunciato che la taglieremo in parti uguali, e i nostri figli, già grandicelli, litigano comunque per le dimensioni delle fette che avranno e si perdono la dolcezza del momento.


Consegniamo a uno di loro (quello che si lamenta e dice che le fette non verranno mai uguali) l’utensile per tagliare le fette e lanciamo un gioco-sfida. Chiediamogli di fare tutte le parti uguali, perché se non sarà così lui avrà quella più piccola. Scoprirete di avere un figlio geometra!

Non lo toccare, quel gioco è mio

togliti tu, che qui ci sto io

non ti conosco, non mi parlare

che non ho voglia di ascoltare

voglio mangiare, dammi da bere

e spostati, non riesco a vedere!

Portami subito quel che mi piace…

non è così che comincia la pace.


Lo vuoi usare? È un gioco mio

ma insieme a te mi diverto anch’io.

Non ti conosco, dimmi di te

poi ti racconto qualcosa di me.

Bevi, se hai sete. Vuoi da mangiare?

Che gusti hai, che ti piace fare?

Dammi la mano, siediti qui

Ecco, la pace comincia così.8

Storie a rovescio

Con i bambini più grandi è uno spasso giocare a stravolgere, camuffare ed esagerare le storie in maniera così comica che diventa esasperata, delirante, e si arriva alla fine del gioco ad un traguardo di creatività che all’inizio sarebbe stato pressoché inimmaginabile.

È un gioco più serio di quanto non sembri a prima vista. Ma bisogna giocarlo al momento giusto. I bambini quanto a storie, sono abbastanza a lungo conservatori. Le vogliono riascoltare con le stesse parole della prima volta, per il piacere di riconoscerle, di impararle da cima a fondo nella giusta sequenza, di riprovare le emozioni del primo incontro, nello stesso ordine: sorpresa, paura, gratificazione. Essi hanno bisogno di ordine e di rassicurazione: il mondo non deve allontanarsi troppo bruscamente dai binari sui quali, con tanta fatica, lo vanno avviando. Può dunque darsi che sulle prime il gioco di sbagliare le storie li irriti, perché li fa sentire in pericolo.9
Proviamo a divertirci trasformando le storie e anche le filastrocche (che sono più brevi e quindi più semplici) utilizzando diverse chiavi. Alcune possibilità riferite alla già vista filastrocca-storia-tiritera di Pimpirulin:
Chiave cronologica: dalla fine all’inizio.

Pimpirulin piangeva perché non era riuscito a leggere la scritta sotto un aeroplano che era passato troppo velocemente, la mamma gli chiese dov’era finita la mela e lo incolpò di averla mangiata, ma lui non era stato e si mise a piangere ancora di più.

Chiave della lente e del microscopio: dal piccolo al grande e dal grande al piccolo.

PimpirulOn piangeva lacrime di un litro l’una, perché voleva una cassa di mele e la mamma non l’aveva. Dopo due mesi che piangeva, il mondo per colpa delle sue lacrime si era quasi tutto riempito di mare, passò un moscerino che tirò fuori un telecomando che azionò una molla che rimbalzò in una roccia da cui si aprì un portellone da cui uscì un cannone che sparò un pallone che scoppiò in un fuoco d’artificio che illuminò tutta la galassia con la scritta: PimpirulOn, sta’ zitto!

  • Chiave tematica: ad esempio dal bosco al mare;
  • Chiave linguistica: da una lingua all’altra;
  • Chiave fiabesca: con l’arrivo di un aiutante magico.

Storie in movimento

  • Mamma porta nella fascia/tasca il suo piccolo bimbo come se fosse un canguro appena nato.
  • Papà si mette a quattro zampe e il suo cucciolo primogenito gli sale sopra.
  • “Questo è l’occhio bello e questo è suo fratello”, canta la nonna che ha appena finito di cambiare il suo piccino sul fasciatoio.
  • “Saltiamo la pozzanghera dei coccodrilli!”
  • “Aggrappati! Ti salvo io!” grida Giacomo al nonno che sta per cadere dal divano-burrone.
  • Lo zio prende in braccio le gemelle, una di qua e una di là: “Mamma, guardaci, siamo scimmie sull’albero!”
  • “Vedi l’ombra sul muro? È un coniglietto che ti saluta…” rivela la sorella al fratello più piccolo muovendo le mani davanti alla luce del comodino.

Sono tutte storie in movimento, dove la voce è aiutata dal corpo, e talvolta la voce non serve nemmeno (le potentissime, affascinanti storie mimate, raccontate con i gesti).


Alcuni altri spunti:

  1. Stendiamo a terra un maxi foglio di carta da pacchi bianca: sarà un grande tappeto narrante su cui stenderci, rotolare, colorare e fantasticare.
  2. Prendiamo il treno o il bus per un breve tragitto: sarà un modo per spostarsi diverso dal solito, e vivremo un’esperienza che racconteremo agli amici e ai nonni come l’avventura del viaggio con i mezzi pubblici.
  3. Mettiamo su qualche canzone e mimiamone il testo, come se dovessimo raccontarla a chi non può sentire con le orecchie oppure capire la nostra lingua. Il silenzio è il lievito della fantasia!
  4. Prepariamo un percorso motorio in casa, qualche ostacolo e qualche angolo addobbati a seconda della storia che ci vogliamo inventare. I bambini dovranno raccontare i vari passaggi mano a mano che li affrontano: il mucchio di paglia, il tunnel dei pipistrelli, la pozza degli ippopotami, il prato dei quadrifogli, la rupe delle aquile…
  5. Durante il bagnetto, con i bimbi immersi nella schiuma, invitiamoli a tirare fuori un piede e poi nasconderlo di nuovo: “Non trovo più il piede, è sparito, dove sarà? Eccolo qua!” Narrare servendosi di piccoli cucù rende più piacevole e rilassante questo rituale, in cui c’è proprio bisogno che le tensioni si trasferiscano e si incanalino in un piccolo gioco liberatorio.

Storie-miccia

Ci sono racconti che partono con un piccolo sibilo ma finiscono col botto finale, che potrebbe coincidere con una sorprendente risoluzione delle vicende, oppure con una formula come quelle da narratore “alla Capuana”:

Chi l’allunga e chi l’accorcia,
la mia è detta, ora la vostra.
Il re ebbe molti figliuoli
e noi restiamo da cetriuoli.
Stretta la foglia, larga la via,
dite la vostra che ho detto la mia.
Stretta la via, larga la foglia
Ne dica un’altra chi ne ha voglia.10

Ci dev’essere, in una storia-miccia, un fattore innescante. Una situazione, una frase, un personaggio, una parola, magari una sola lettera, che faccia venir voglia al narratore di partire con la sua esposizione fantastica.


Un piccolo aneddoto: una volta fui chiamata dai pompieri (per un attimo ho pensato ci fosse un incendio in casa, poi loro mi hanno tranquillizzata: “Signora, siamo stati noi a chiamarla, non viceversa!”): mi chiesero di andare alla loro sede per intrattenere i bambini delle scuole che venivano a trovarli e dovevano fare un po’ di fila per salire uno ad uno nella cabina guida del camion. Accettai con gioia, e pensai di inventare per l’occasione una storia sui pompieri. Anzi no, di più: una storia sui pompieri che avesse tante parole quanto è il numero che si fa per chiamare i pompieri al telefono: 115. Centoquindici parole per raccontare i pompieri? No, non bastava. Dovevo trovare un’altra sfida fantastica. Il mio racconto doveva essere composto da 115 parole che iniziassero tutte con la P di pompiere, e comunque avere un senso.

“Pronto, pompieri? Presto, partite!”

Premurosi pompieri: proteggono persone

Potenti, povere, perbene, pazze, piloti, pedoni,

persino piccoli pelosi, pennuti palmipedi,

pure pupi piccini…

Portentosi pompieri: predispongono piani,

piattaforme, ponteggi, procurano prolunghe,

prelevano piante precipitate.

Perché? Per passione, per pietà,

pure per poca paga.

Professionali pompieri: portano panni purpurei,

per pranzo preparano picnic

purché pienamente proteici:

polpette (possibilmente più piselli)

piadina (preferibilmente più prosciutto)

pollo, paté, parmigiano, pesce, purè…

Pochi premi, poche parate, poca pubblicità:

parlano poco, proteggono parecchio.

Precisi pompieri: punto per punto

perlustrano posti per prevenire pericoli.

Pervengono presso palazzi per placare problemi

Purtroppo provocati per piromania prepotente, pigra.

Pompano pioggia positiva, producono pace.

Provano paura? Probabilmente.

Però perseverano, proseguono, permangono

Perpetuamente presenti…

Pare poco?11

Ai bambini a cui leggo questa storia-miccia propongo di fare qualcosa di simile, ma più alla loro portata: inventa e scrivi una storia o una frase, o una poesia, con tante parole quanti sono i tuoi anni e che inizino tutte con la prima o l’ultima lettera del tuo nome.


Un altro tipo di storie che definisco “miccia” richiede che il bambino finisca la frase che l’adulto ha cominciato, o viceversa.


“C’era una volta una bambina che aveva in testa una grande scodella piena di…”


“Rane.”


“Le rane stavano bene perché camminando la bambina muoveva la scodella e loro ballavano nella loro acqua torbida, che la bambina non cambiava da…”


“Due anni.”


“Due anni prima la bambina aveva fatto una scommessa con un suo compagno di scuola: chi sarebbe riuscito a portare più a lungo sulla testa una scodella con acqua e rane senza farla cadere avrebbe vinto, e l’altro avrebbe dovuto dargli…”


“Duecentomila euro.”


“Sì. Erano stati tutti e due molto bravi, e l’ultimo giorno di scuola si erano salutati con le loro belle scodelle di rane in testa. Poi lui era partito per le vacanze, e poi aveva cambiato casa e città, era andato ad abitare a:”


“Canicattì.”


“Esatto, a Canicattì. Quindi la bambina non l’aveva più visto. Ora, per essere sicura di vincere la scommessa, perché nel frattempo era cresciuta e aveva capito quanti sono duecentomila euro, e che lei non li avrebbe mai avuti, aveva ancora la scodella di rane in testa e non aveva neanche mai cambiato l’acqua perché aveva paura che la scodella le cadesse dalla testa facendo quell’operazione. Le ranocchie erano contente dell’acqua sporca, che ogni tanto calava per il sole, ma poi aumentava per la pioggia. Stavano lì e si cibavano di…”


“Zanzare.”


“…di zanzare che cadevano dai terrazzi quando le persone con le racchette elettriche che davano la scossa le scacciavano via.”

La tipologia sopra può diventare anche canzone, soprattutto per i piccolini. Ad esempio:


“Andiamo in giro in bi…”

“CI!”

“In bi…”

“CI!”

“In bi…”

“CI!”

“Andiamo in giro in bi…”

“CI!”

“Tutto il…”

“DÌ!”

“Diciamo ciao al so…”

“LE!”

“Al so…”

“LE!”

“Al so…”

“LE!”

“Diciamo ciao al so…”

“LE!”

“Tutto il…”

“DÌ!”

“Mangiamoci un gela…”

“TO!”

“Gela…”

“TO!”

“Gela…”

“TO!”

“Mangiamoci un gela…”

“TO!”

“Tutto il…”

“DÌ!”

“Torniamo dalla mam…”

“MA!”

“La mam…”

“MA!”

“La mam…”

“MA!”

“Torniamo dalla mam…”

“MA!”

“Tutto il…”

“DÌ!”

Storie farcite

[…] “Non raccontarla fino in fondo per ora” lo pregò lei. “Prima cerca di ricordarti qualche altro dettaglio.12

“Farcite” significa riempite di dettagli ogni volta che le si torna a raccontare: già dalla seconda volta acquisteranno l’aura della leggenda. Ad esempio:

Un giorno di ottobre…

“Vi ricordate quella volta che la nonna stava facendo il bagno al mare, aggrappata ai suoi due tubi galleggianti, e noi da lontano le dicevamo: Nonna, attenta all’onda! Lei non ha capito e non si è spostata, e l’onda le è arrivata in testa.”


“Cosa dite? Io lo sapevo benissimo che c’era l’onda, e sono rimasta lì perché volevo lavarmi i capelli.”


“No, nonna, tu non te l’aspettavi: avevi appena fatto la messa in piega, avevi anche gli occhiali da sole e ti sono saltati via.”


“E allora? Siete sempre i soliti che cambiano le storie per prendermi in giro.”

Un giorno di gennaio…

“E quella volta che la nonna era nell’acqua con i suoi quattro tubi, vi ricordate? Dall’orizzonte arrivavano due onde di dieci metri, e noi da riva cercavamo di avvisarla con i cartelli e le bandiere rosse, ma lei non ci ha visto perché non aveva gli occhiali da vista, aveva solo quelli da sole, e ha fatto due, tre passi di aquagym prima di essere travolta da una cascata di onde…”

“Sì, certo, sicuro…”

Un giorno di maggio…

“Fra un po’ di giorni si torna al mare. Oh nonna, non fare mica come quella volta, che stavi facendo surf con i tuoi dieci tubi trainata dal salvataggio sul motoscafo rosso, e il mare si è aperto ed è arrivata alle tue spalle l’orca assassina con la bocca grande come una piscina, e noi prima ti abbiamo avvisato con i fuochi d’artificio e i petardi ma tu non ci hai visti e sentiti perché avevi gli occhiali da sole foderati e i tappi nelle orecchie, allora noi volevamo tuffarci per salvarti ma siamo svenuti tutti dalla paura, e l’orca ti ha ingoiata ma poi ti ha sputata perché le frappe del tuo costume le hanno fatto il solletico!”

“Ah sì, e come avete fatto a vedere se eravate svenuti?”

“Ce l’ha raccontato il salvataggio.”

Storie-gomitolo

Alcune storie-gomitolo sono storie da Mille e una notte: dobbiamo cercare di farle finire con l’appetito per una nuova “puntata”, o per una nuova storia.


…e alla fine della giornata il nostro eroe fece uno sbadiglio grandissimo: si mise a dormire perché doveva sognare un modo per trovare la mappa del tesoro…


Ce l’ha fatta papà?

Lo sapremo domani.”

Altre sono un filo che si passa di bocca in bocca:

“Sofia, sei sveglia? Non riesco a dormire!”


“Sì, sono sveglia. Conta le pecorelle!”


“Le pecorelle non mi va! Non mi piace contare. Raccontami una storia!”


“No Pietro, sono troppo stanca per inventare una storia. Ci diciamo come si chiamano i nostri compagni di scuola? Sarà come contare le pecorelle, una tu e una io.”


“Va bene, comincia!…”


Variante: ognuno racconta la cosa più bella e la cosa più brutta che gli è successa oggi, o durante un’esperienza particolare vissuta da poco.


Questa variante consente agli adulti di avere elementi in più per capire come i bambini interiorizzino le esperienze, e di continuare a trasmettere ai propri figli il messaggio che in ogni vicenda, anche in quella più brutta, c’è sempre un lato positivo, un punto di luce.

Storie-puzzle

Nelle storie-puzzle, per definizione, si mettono insieme dei pezzi. La cosa si può svolgere in varie maniere. Una delle nostre preferite è la seguente.


Partiamo da un pezzo del puzzle per poi cercare di completarlo:

BRR, che freddo, dice uno di noi.

Prendiamo la palla al balzo! Quante parole conosciamo che abbiano dentro il suono BR?


Ognuno dice la sua: BRivido - BRuco - omBRello – semBRare - BRaghe - sBRigare – BRodo – imBRanato – BRetelle – sBRuffone - BRuciato – BRutto - sBRaita – BRaccio - BRando – BRiciolo…


Facciamo una storia con alcune di queste parole, oppure con tutte, e anche di più?

“SBRigati BRando!” SBRaita la mamma dalla finestra “Come sei imBRanato sotto la pioggia con l’omBRello chiuso nel BRaccio, sei tutto un BRivido, volevi fare lo sBRuffone? E che BRutto, con le BRetelle rotte ti sono cascate le Braghe, semBRi un BRuco, non hai un BRiciolo di giudizio, ecco, adesso mi si è anche BRuciato il BRodo!”

(I bambini adorano drammatizzare e sdrammatizzare le sgridate materne.)

Storie-carosello

Sono piccole pantomime in pantofola, sotto i riflettori familiari, magari la sera, riuniti in salotto. Sono esibizioni che si fanno un po’ improvvisando, in allegria e in sintonia, della durata di due minuti o tre, per ridere e meravigliarsi delle proprie capacità di inventa-storie e anche di quelle altrui.


Qualche traccia:

  • spettacolo di burattini fatti con i piedi;
  • piccole coreografie ed equilibrismi;
  • travestimenti esagerati e bizzarri;
  • interviste impossibili;
  • show & tell”, in cui si mostra un oggetto e il suo funzionamento, un animale o una persona e le sue caratteristiche.

Storie dell’attesa

Raccontare le attese rilassa. Le attese non sono soltanto gravidanze: significano anche aspettare un compleanno, il Natale, un parente che deve tornare da un viaggio, il tempo necessario per essere dimessi da un ricovero o per togliere un fastidiosissimo gesso o cerotto.

  • Dobbiamo aspettare venti giorni? Un piccolo libro illustrato al giorno. Prepariamoli su uno scaffale e, a mano a mano che li leggiamo, cambiamoli di posto o posizione: i bambini saranno meno impazienti e frustrati perché avranno l’immagine mentale del tempo dell’attesa che si accorcia.
  • Facciamo un elenco di nomi inventati, ad esempio diciotto come i giorni, che corrispondono a personaggi di cui ci inventeremo insieme le gesta ogni sera. Faranno compagnia nell’attesa, e poi il giorno successivo si potranno anche disegnare.
  • I giorni da aspettare sono dieci? Le dita delle mani ci aiuteranno ogni giorno a vedere a che punto siamo.
  • La clessidra degli oggetti (uso questo metodo anche nell’aiuto per i compiti scolastici): preparo due scatoline, la prima è piena di conchiglie, o tappi, o palline. La seconda è vuota. Ogni giorno che passa (ogni consegna eseguita, operazione fatta, difficoltà superata) corrisponde ad una conchiglia che passa da una scatola all’altra. Le conchiglie che si accumulano giorno dopo giorno (compito dopo compito) nella seconda scatola sono le loro fatiche e i loro sacrifici, le loro conquiste materializzate. Come tutte le storie delle vittorie dopo le tribolazioni, danno molto coraggio.

Storie sul carrello

Al supermercato il mio bimbo di un anno e mezzo si intrattiene con i colori e le confezioni e i rumori… L’attenzione dura poco. Devo cercare di intrattenerlo e allo stesso tempo portare a termine la missione spesa. Provo a farmi aiutare a mettere le confezioni nel carrello… dura poco anche questo. Allora metto su la scena melodrammatica della mamma che perde il carrello: “Il mio bambino, il mio bambino!” poi mi riavvicino e lo riprendo. Gli piace un sacco, e non lo devo fare tante volte per attivargli la fantasia. Tutte le volte che faccio un passo in là per afferrare un prodotto lui si mette a ridere e allunga le braccia, raccontando ancora la storia (molto divertente e profonda, comica e catartica) di prima.


Se racconto ai bambini la storia di un pulcino smarrito che va in cerca della mamma e dapprima crede di riconoscerla in un gatto, […] poi in una mucca, in una motocicletta, in un trattore… e infine incontra la chioccia che lo stava cercando e sfoga su di lui la sua ansia in quattro scapaccioni (ricevuti, per una volta, con beatitudine), io mi ricollego fondamentalmente ad uno dei loro bisogni profondi, che è quello di avere in ogni momento la sicurezza di trovare la madre; faccio rivivere loro, prima dello scioglimento consolante, la tensione con cui spesso hanno temuto e temono di perdere i genitori; tocco certi meccanismi del riso; ma al tempo stesso metto in moto nella loro mente un processo essenziale alla fabbricazione di strumenti conoscitivi.13

Storie sotto terra

Either the well was very deep, or she fell very slowly, for she had plenty of time as she went down to look about her, and to wonder what was going to happen next.
[O il pozzo era molto profondo oppure Alice cadeva lentamente: il fatto certo è che essa, prima d’arrivare in fondo, ebbe tutto il tempo di guardarsi intorno e di chiedersi che cosa le stesse capitando.]
14

Lewis Carroll, Alice nel paese delle Meraviglie

Non tantissimi anni fa mettere le mani in terra era un tabù. I parassiti, lo sporco nei vestiti e nelle mani, erano gli inaccettabili effetti collaterali del gioco nella terra. Ora, per fortuna, si sta riscoprendo che il gioco a terra ha più vantaggi che svantaggi.


Da piccoli, indisturbati nel giardino della scuola materna, scavavamo buche nel suolo secco e duro fino a che non sentivamo con i nostri polpastrelli di talpe curiose un frammento di sassolino appuntito, e allora via, colti da un brivido ci affrettavamo a chiudere la galleria: qualcuno di noi aveva sparso la voce che si trattasse non di una semplice piccola pietra, bensì dell’“unghia del Diavolo”, che dall’Inferno cercava di afferrare i bambini.


In spiaggia, non proprio sulla riva del mare, ma decine di metri prima, scavavamo nella sabbia fino a trovare l’acqua: che emozione quando l’ultimo strato di granelli umidi cedeva all’arrivo del primo rivolo! L’acqua affiorava timida e poi prendeva il suo spazio con prepotenza, facendo allargare e franare le pareti del buco e diventando un bacino.


Era una lezione di scienze e un’avventura fantastica al tempo stesso che, rinforzata poi con una lettura serale ad alta voce del libro di Jules Verne Viaggio al centro della terra, coglieva davvero nel segno.


Una volta, sempre nell’albergo dei nonni, dovevano essere eseguiti dei lavori alle tubazioni nel terreno. Sono stati fatti degli scavi. Ho visto affiorare delle ossa, era lo scheletro di un cane. Ho messo il teschio del cane in una scatola e l’ho portato a scuola il giorno dopo. Ero così fiera della mia scoperta!


“Cosa c’è lì dentro?” Mi ha chiesto la maestra.


“Un cane!”, ho risposto io, e ho aperto il coperchio della scatola. Ricordo ancora il suo viso quando ha visto il contenuto: diciamo che non fu immediatamente partecipe della mia gioia. Ma mi stupì il tempo e la cura che dedicò a mitigare l’euforia che si era creata in classe spiegando che scavando sotto terra archeologi e storici hanno fatto molte scoperte interessanti. Seppe raccontare molto bene una storia che usciva dal libro di storia e prendeva il volo per arrivare fino al nostro paese sul mare, fino a dentro di noi.

Mi fai una storia?
Mi fai una storia?
Elisa Mazzoli
Inventare, raccontare, vivere avventure fantastiche nel quotidiano con i nostri bambini.Un manuale per riscoprire l’importanza e il valore del racconto ad alta voce, con suggerimenti e consigli per imparare a raccontare storie ai più piccoli. Mi fai una storia? è un manuale ricco di spunti, aneddoti e rimandi per conoscere e applicare strategie narrative con i bambini piccoli.Come far diventare “amica” la fatica usando le storie?Come gestire in maniera fantastica i rituali della giornata?Elisa Mazzoli, formatrice Nati Per Leggere e autrice, invita mamme e papà a scoprire e a ricordare quanto possa essere utile condividere narrazioni con i propri figli, con esempi concreti e incoraggianti suggerimenti. Conosci l’autore Elisa Mazzoli vive da sempre a Cesenatico.È scrittrice, narratrice, consulente editoriale, formatrice nell’ambito della letteratura per l’infanzia.Laureata in Scienze Politiche, dal 1996 è autrice di libri per bambini e ragazzi.Premio nazionale Nati per Leggere 2018 con Il viaggio di Piedino (Bacchilega Junior), svolge incontri di narrazione per bambini e corsi in scuole, biblioteche, librerie, centri famiglie, per insegnanti, genitori e operatori del settore infanzia sulla letteratura per bambini e la mediazione narrativa sul territorio nazionale. Si occupa di formazione sulla letteratura per l’infanzia per insegnanti dai nidi d’infanzia alle scuole primarie.www.elisamazzoli.blogspot.com