Seconda parte - capitolo vi

Con amore

A volte cucino pranzi che nei miei propositi iniziali avrebbero dovuto essere da gourmet, ma poi nel risultato osservo che nessun ristorante li presenterebbe mai nel suo menù.


Eppure mio marito e i bambini assaggiano, apprezzano, si leccano i baffi e mi chiedono in coro: cosa ci hai messo? “L’amore”, rispondo, sospirando di sollievo.

Scegliere le storie

La prima è lunga assai che a dirla non si finirebbe mai.

La seconda è così bella che a dirla mi fa mancare la favella.

La terza è così pesante che a portarla ci vorrebbe un gigante.

La quarta fa spavento, dimentichiamola in un momento.

La quinta è troppo sciocca, a dirla si rifiuta la bocca.

La sesta è corta così e prima di cominciare finì.

Le storie che sapevamo raccontate ve le abbiamo: se altre ne volete ascoltare ce le dovete insegnare.

Gianni Rodari10

Racconta il pescatore: “Io da piccolo lavoravo sulla barca. Il mio compito era di fare il mozzo. Mi svegliavo con il sole la mattina, e con lui andavo a dormire. Ero un privilegiato rispetto agli altri marinai, perché ero il più piccolo. Facevo quello che mi dicevano di fare e prendevo sgridate solo se me le meritavo. I lavori che dovevo fare sulla barca non erano pesanti: togliere l’acqua dalla stiva, leggere il pesce…”


Leggere il pesce, dalle mie parti, significa scegliere il pesce buono da vendere e separarlo da quello che, per vari motivi, non va bene, insomma. Scegliere (da ex-eligere) significa eleggere, e implica una distinzione, una cernita, in base ai nostri gusti e ai nostri valori.


Io credo che noi adulti siamo faro e filtro per i nostri bambini piccoli. A mano a mano che crescono dobbiamo illuminare il cammino, bene tutto intorno (non un po’ sì e un po’ no), e lasciar loro la libertà di scegliere la strada. Dobbiamo però anche scegliere per loro quando non sono ancora in grado di farlo da soli. Ed è un piacere, insieme al dovere, cercare storie, ascoltare racconti.


Il mio naso di mamma narratrice ha una propensione per gli intrecci di amicizia, accoglienza, crescita, catarsi, per le peripezie di animali pensanti e parlanti, le storie cantate, tenere e buffe, quelle con i giochi di parole. Cerco anche uno stile di scrittura che mi dia degli impulsi, che mi faccia migliorare quando invento e racconto io stessa. Storie importanti, scritte in tempi recenti ma anche nel passato. Questa è l’orma sulla sabbia che voglio seguire, la lampada d’amore che voglio accendere.

Dice Bianca Pitzorno nel suo Storia delle mie storie:

I ragazzini imparano presto a distinguere tra i libri “di genere”, di pura evasione, di consumo, e quelli che gli parlano a un livello più profondo. E possono, nei diversi momenti della loro vita o della loro giornata, esattamente come il lettore adulto, sentire il bisogno di alternare gli uni o gli altri. Ma se fra i primissimi incontri di un bambino con la narrativa non ci saranno anche testi belli e importanti, non ci sarà una preponderanza della qualità “alta”, egli non potrà formarsi un metro di giudizio e il suo “vagabondare” non sarà una libera scelta, ma un camminare alla cieca, senza criterio, […]11

“Ma tu vuoi una letteratura edificante, oppure interessante?” Mi ha chiesto un giorno qualcuno. Ho risposto che i due aggettivi non sono in contrasto. Non tutti i libri con intento edificante sono pesanti mattoni moralistici. Non tutte le storie che intendono trasmettere un messaggio profondo sono noiose!


Le mamme e i papà, e anche i nonni, raccontano ai loro bambini una gamma assortitissima di storie, molte delle quali, che sono anche le preferite dai piccoli, sgorgano dal cuore come scintille che portano l’urgenza di sollevare gli animi, di asciugare le lacrime. Questa motivazione non toglie affatto dignità ai racconti, al contrario io credo che conferisca nobiltà e autenticità alla relazione fra adulto e bambino.


Nella bolla delle storie su cui scelgo di salire viaggiamo e ci divertiamo insieme, ma trepidiamo anche, e riflettiamo coltivando quella speranza che noi adulti vogliamo consegnare nelle mani dei nostri bambini con tutto il nostro amore, il conforto, l’incoraggiamento.

Con moderazione

Fa ancora più risalto, in questo mondo arruffato, essere tranquilli.

Alfredo Martini

Insieme ad un gruppo di bambini appassionati di storie lette ad alta voce, qualche anno fa, ho scelto di approfondire la conoscenza di un personaggio letterario che ci ha fatto molto ridere e riflettere: Dominic, il bracchetto all’avventura nel bosco protagonista dell’omonimo racconto di William Steig12. Un bell’esempio di gentilezza e coraggio.


Chi sta calmo, pur nella sua inquietudine interiore, di fronte ai grandi misteri e alle sfide della vita riscuote di molto successo presso i bambini.


Erano bambini di seconda elementare, vivaci e attenti, con forti personalità individuali e una identità di gruppo ben definita.


Cercavano divertimento e avventura, e sapevo che andare controcorrente sarebbe stata la strategia giusta.
La manifestazione massima dell’anticonformismo di questo personaggio risiedeva nella sua pacatezza. Inoltre, a dispetto dei modelli discutibili che aveva intorno, Dominic riusciva a destabilizzare con la profondità e la simpatia delle sue domande profonde.


Ogni volta che Dominic faceva un incontro e superava una difficoltà con aiuti magici che comparivano sempre al punto giusto e sempre inaspettatamente, tutti noi ci sentivamo più forti.


“Che imparino tutti i comportamenti di vita: ascoltarsi a vicenda con mansuetudine, ascoltarsi con attenzione, tenere in considerazione gli altri, aprirsi agli altri, rispettare. Che imparino la mansuetudine in una cultura che propone loro, continuamente, il metodo dell’aggressione, della rabbia, dell’insulto.”13


L’educazione umana e quella morale richiedono amore e dedizione totali, ma anche strumenti culturali. Non aspettiamo troppo per far entrare in contatto i nostri bambini con l’arte, la musica, la letteratura. Non deleghiamo soltanto alla scuola, lasciamole entrare nel nostro quotidiano, cerchiamo, scegliamo, ammiriamo il bello e il buono che c’è nella nostra e in altre culture.


Sarà un modo per far sì che da grandi i nostri figli abbiano voglia di costruire e percorrere ponti verso le storie e le esperienze altrui.


I libri le aprivano mondi nuovi e le facevano conoscere persone straordinarie che vivevano una vita piena di avventure. Viaggiava su antichi velieri con Joseph Conrad. Andava in Africa con Ernest Hemingway e in India con Kipling. Girava il mondo restando seduta nella sua stanza…


Da Matilde, di Rohald Dahl14

Con impegno

Alfie Kohn, in Amarli senza se e senza ma15, ci invita con forza ad esercitare il nostro amore incondizionato nei confronti dei nostri figli e dell’infanzia in senso lato. Non deriderli, non mentire loro.


Quali storie scegliamo di raccontare ai nostri figli? Qual è il repertorio da cui attingiamo? Ci facciamo influenzare dalle mode, o dalle nostre paure? Vorrei invitare, in continuità con l’urgenza appena sottolineata, a non essere mai superficiali quando scegliamo, compriamo o prendiamo in prestito storie sotto forma di libri, cartoni animati o film; a trascorrere con i bambini un tempo di storie semplici e ricche di situazioni immaginifiche ma profondamente sincere, leali, oneste.


Onestà significa anche impegno: ci impegneremo a conoscere i loro desideri, accettare i loro caratteri sulla base della relazione affettiva che avremo costruito anche per mezzo delle narrazioni? Cercheremo, proporremo, racconteremo, condivideremo con loro racconti pieni di fantasia ma anche di verità, che custodiscano la visione del mondo in cui crediamo, storie di catarsi, di speranza? Ci assicureremo che alla fine di tutte le peripezie vinca il bene, lo preferiremo con tutti noi stessi, nella parola e nell’azione, al male?


E quando i piccoli diventeranno grandi, continueremo a prenderli sul serio, con rispetto, li ascolteremo sempre, e ancora, e ancora, anche nel momento in cui non parleranno? Ci fideremo di loro? Li lasceremo scegliere autonomamente?


Il fatto che anche nei bambini si manifesti la identificazione con il personaggio positivo fa riflettere su una importante funzione della narrazione, una funzione poietica, che riguarda la formazione della persona e che consiste nel fornire dei modelli, attraverso i quali il lettore arricchisce la propria esperienza, mette in gioco se stesso, e si confronta con gli ideali forniti dalla narrativa. […] Questo meccanismo agisce congiuntamente a una sorta di assunzione implicita sulla narrativa, a una teoria sulla funzione del discorso narrativo, secondo la quale la narrazione deve presentare un mondo bene ordinato nel quale chi bene opera verrà premiato e chi male opera verrà punito. Le narrative, in genere, operano questo principio etico, e anche quando presentano una vicenda che se ne discosta, molto spesso, lo riaffermano.16

Con perseveranza

Comincia ad agitarci l’annoiato, il rumoroso, il curioso della vita e dei suoi misteri, stancano le domande e il suo essere sorpreso, le scoperte e gli esperimenti dal finale poco fortunato. Raramente siamo consiglieri e consolatori, sovente rigorosi giudici. […] Così raro l’azzurro dei perdoni, frequente invece lo scarlatto dell’ira e della collera.17

da Janus Korczak

Ci sono bambini curiosi, ansiosi, impertinenti e impauriti, bambine che guizzano dappertutto nervose come alicette di argento vivo prese nella rete.

Si potrebbe pensare: “Le storie, con quei bambini terribili? Non funzionerà.”

Non conosco bambini terribili.


Conosco bambini “che rompono” perché è stata raccontata loro una storia di rottura. Lo dico in senso metaforico: se si trasmettono con parole ed esempi quotidiani messaggi di rancore, rivalsa, chiusura, sprezzo e quant’altro, poi i bambini disturbano con il loro atteggiamento irrequieto, fragile, e si interessano a cose minime, frastagliate, inconsistenti. Si girano ad ascoltare da dove viene un suono, per poi ritornare nel loro guazzabuglio. Non si fermano mai, e gli adulti sono sfiniti.


Forse possiamo fare meno fatica nel gestire e calmare le loro irrequietezze. Dobbiamo provarci, anche con la narrazione.


Se la rendiamo un’abitudine da subito, nell’arco di età che arriva fino ai dodici anni difficilmente i nostri figli rifiuteranno di giocare insieme a noi a inventare una storia.


Lo scambio di sguardi, sorrisi, idee e attenzioni che avviene nel momento delle storie rappresenta un abbraccio talmente prezioso e carico di emotività che il gioco di inventare insieme è solitamente irrinunciabile e attesissimo.


Se però un rifiuto dovesse manifestarsi e non riusciamo a ricondurlo a una problematica o a un avvenimento specifico, non dobbiamo giungere sbrigativamente alla conclusione che le storie non facciano per noi o per loro.

Innanzitutto è bene osservare, ascoltare, valutare e distinguere almeno i seguenti aspetti:

  • In quale contesto abbiamo provato il gioco delle storie?
  • Quale storia abbiamo inventato?
  • In quale momento della giornata?
  • In quanti eravamo?
  • Qual era l’atteggiamento di tutti?
  • Qual era lo stato d’animo del bambino quando gli abbiamo proposto il gioco?

Non bisogna demordere, si può provare a cambiare uno degli elementi elencati, uno alla volta. Ma al contempo non è bene insistere subito, meglio lasciare tempo al tempo, rimanere sereni (l’allenamento e il linguaggio narrativo procedono spontanei nella nostra relazione comunicativa). Prepariamo intanto qualche aiuto sotto forma di oggetto da sperimentare nel momento di una delle routine quotidiane: uno o più mediatori narrativi che arricchiscono e stimolano l’elaborazione e l’esposizione di un racconto.


Per fare qualche esempio:

  • utilizzare burattini a dita;
  • procurarsi adesivi da attaccare sulla testiera del letto, o su un mobile, o sulle doghe del letto a castello superiore per chi si trovasse in quello inferiore…;
  • provare a giocare con il cibo preparando il piatto insieme e narrando una storia mentre si sistemano i prodotti, sempre con tanto rispetto e senza sciupare nulla;
  • avete una scacchiera in casa? Provate a proporre l’ingresso di un personaggio alla volta, che entra in scena descritto da voi: il bimbo potrebbe seguirvi con piacere;
  • gli stessi giocattoli dei vostri bimbi, soprattutto nel momento del gioco simbolico e delle file, possono esservi di valido aiuto e grossa ispirazione nel creare situazioni narrative;
  • piccoli oggetti in sicurezza e pupazzetti lavabili possono essere interessanti compagni di bagnetto e di storie;
  • prendere qualche libro in biblioteca scegliendo soggetti che possano attirare la sua attenzione.

Un consiglio che mi sento di aggiungere è di provare a potenziare le energie rivolte al racconto della storia personale nostra o dei nostri bambini, ad esempio:

Simone trova una lucertola in giardino. La mamma commenta:

  • Che carina, è tutta verde! Guarda come va veloce! Ha paura, facciamole capire che non le faremo del male… starà cercando la sua mamma? Lasciamola libera, così la trova…
  • Quando ero piccola anche io ho trovato una lucertola. L’ho chiamata Elisabetta. Che nome diamo a questa qui? Mi ricordo che avevo cercato di prendere Elisabetta dalla coda e lei mi ha dato un morsetto… non riuscivo più a staccarmela dal dito: “Ahi, ahi!”, piangevo.
  • Quando arriva il papà, o il nonno, la nonna, uno zio, un fratello, un amico: lo sai che oggi Simone ha trovato una lucertola? Si chiama Teresa e adesso non c’è più perché l’abbiamo lasciata libera ed è andata dalla sua mamma…
  • E voi, che cosa raccontereste?

Con autorevolezza

Lo sappiamo: no all’autorità, sì all’autorevolezza. Autorità rimanda a qualcosa di grave, pesante, unidirezionale, limitante, schiacciante. Autorevole invece è una guida ma anche un interlocutore. Elemento chiave in tutto questo è la fiducia: l’adulto autorevole gode di fiducia da parte del bambino, quello autoritario no.


Posto che grandi e piccoli nel cerchio delle storie stanno allo stesso livello, c’è posto per l’autorevolezza o questa deve essere messa da parte quando si è dentro il gioco dell’invenzione e della creatività?


Ascolto autorevole, risposte autorevoli, direi anche domande autorevoli. Siamo nelle storie ma siamo sempre noi. Nuotiamo nella piscina della fantasia con tutta la nostra disponibilità a giocare, ma siamo noi che, appunto, autorevolmente, rappresentiamo il “grande” del gruppo.

Con spontaneità

Così finiva la storia e tutti erano contenti come colei che la narrava.18

Dicono Luciana Bellatalla ed Elena Marescotti, nell’introduzione al loro lavoro Il piacere di narrare, il piacere di educare19: “Solo una lettura emotivamente partecipata consente all’elemento narrativo di tradursi in effettivo strumento dell’educazione”.

Narrando con piacere si educa e si trasmette il piacere di leggere, di inventare, di scoprire, di giocare, di conoscere. La spontaneità e la partecipazione emotiva sono i presupposti per una buona riuscita del gioco delle storie. Se siamo distratti o tesi i nostri bambini, piccole spugne con le antenne, percepiranno il nostro stato d’animo, e immediatamente lo faranno loro.


Se siamo stanchi ma sereni possiamo provare a metterci a disposizione dichiarando che ogni tanto potrà capitare che ci si chiuda un occhio, o l’altro, o entrambi. Questo stesso stato di spossatezza è divertente e fantasioso, quindi favorevole per vivere un piccolo momento creativo insieme. Se la stanchezza invece è sinonimo di stress, meglio rimandare o delegare.


“Oggi la mamma è stanca, ma c’è papà che vuole raccontare una storia con te!”, o viceversa.


La riflessione sulla spontaneità trascina con sé qualche corollario: non c’è campo per le forzature nella bolla della fantasia. Riguardo a tematiche, stili, ambientazioni ognuno ha le sue preferenze e le sue carte da giocare, elementi e situazioni che sfodererà più spesso, talvolta in maniera comicamente recidiva, dunque paradossalmente efficace per la riuscita di una buona narrazione.

Con le letture che ci si può procurare andando in biblioteca o acquistando qualche libro in libreria e le esperienze della vita che si acquisiscono giorno dopo giorno il “bagaglio delle storie” si arricchisce notevolmente, ma direi che i punti fermi possono restare questi:

  • ciò che abbiamo dentro è un buon punto di partenza;
  • i bambini percepiscono le idee più veraci e quelle che sono invece forzature acquisite in maniera artificiosa;
  • quando inventiamo storie con i nostri bambini, ripetere gli schemi, le sequenze e i personaggi visti in tivù è un esercizio rischioso e stagnante, non produttivo. Proviamo invece a prendere un elemento televisivo familiare a noi e a loro e a farlo viaggiare, portarlo in altre situazioni, fargli incontrare il nostro medico, mandarlo a scuola dove c’è la nostra maestra, o in giro con la nostra bicicletta, o facciamogli fare una telefonata con una conchiglia per ordinare le pizze da mangiare sulla riva del mare, e quelle pizze farciamole con ingredienti strabilianti, come zucchero filato, alghe, neve, aghi di pino… (provate ora, sulla scia della fantasia, a trovare altri ingredienti e altre forme originali per la pizza!);
  • lasciamoci un po’andare: saranno i bambini ad aiutarci ad entrare nel meccanismo del loro pensiero magico e creativo20.

Lasciamo alle bambole il “bamboleggiante”

Il melenso, lo stucchevole, il bamboleggiante, l’edulcorato, sono caratteristiche che non aiutano a spiccare il volo. Appiccicano e appesantiscono un po’ la narrazione. I bambini sono audaci e vogliono volare alto con la fantasia.


Ecco un esempio di come una storia che al primo sbocciare aveva l’effetto di alzare un po’ il livello di zuccheri, mentre in seconda battuta acquisisce elementi che la rendono più divertente ed efficace.

Storia delle due farfalle – 1° versione

C’era una volta una farfalla che si chiamava Wendy e cercava la sua sorellina dentro ad ogni fiore. Il nome della sorellina piccola era Polly. “Sorellina Polly, dove sei?”


La piccola Polly era rimasta incastrata nella corteccia di un albero e piangeva lacrime leggere e luccicanti. Era tanto stanca e aveva paura che arrivasse il buio.


Ma la fata dei boschi, bellissima e leggiadra, che con la sua bacchetta magica trovò la farfalla piccola, fece: “Salagadula!”; la salvò dalla corteccia e fece anche un incantesimo perché fosse sempre giorno.


Con tutta quella luce la farfalla Wendy trovò la sua sorellina, si abbracciarono irrorando il cielo con gocce di polline magico e non si lasciarono mai più.

Storia delle due farfalle – 2° versione

C’era una volta una farfalla che si chiamava Alda e cercava la sua sorellina dentro ad ogni fiore. Doveva accudirla e tenerla a bada, ma era difficile perché a volte si distraeva e quella piccola curiosona le scappava da sotto le antenne e si infilava sempre in un guaio. Il nome della sorellina era Gumilla.


“Gumillina, dove ti sei andata a cacciare questa volta? Sei un disastro di sorella”, sbuffava Alda. Stava cominciando a preoccuparsi quando sentì: tof! gol! tof! gol! Che cos’era questo rumore?


“Gumi, Gumillina, sei tu?”. Chiamò Alda. Ma non era la piccola Gumilla. Quel rumore lo facevano la fata Giorgiona e l’orso Gordo che stavano giocando a tennis.


La racchetta dell’orso era di legno e ragnatele, un po’ pesante ma anche un po’ leggera, e Gordo non riusciva mai a respingere la palla perché la ragnatela si rompeva ogni volta e si doveva cambiare. La fata gridava: “gol!” ad ogni battuta che faceva con la sua racchetta magica, che arrivava volando dappertutto e non c’era nemmeno bisogno di tenerla in mano. Per questo Giorgiona ne approfittava per mangiare, fra un tiro e l’altro, i bomboloni che crescevano nei cespugli.


“Scusate, avete visto Gumilla, la mia sorellina?” chiese Alda alla fata e all’orso.

“No!” rispose Gordo mentre cambiava la ragnatela.

“Sì!” rispose Giorgiona con la bocca piena.


Alda raccolse la palla per consegnarla alla fata ma in quel momento sentì un odore cattivissimo.

“Cos’è questa puzza?”

“La palla!”


Alda non capì, e fece per consegnare la palla: “Tieni la tua palla, ma cos’è questa puzza, perdincibacco? Neanche Gumillina fa delle puzze così!”. “Ti ho detto che è la palla farfallina, cerca di stare attenta: la palla è una puzzola. Tua sorella comunque è andata per di là”, disse Giorgiona spazientita.

Vola vola, Alda proseguì la ricerca verso quella direzione.

Il bosco stava diventando sempre più fitto, e il cielo più buio.


Ma lei non si stancava di cercare perché voleva troppo bene a Gumilla, anche se non stava mai ferma, e non si sarebbe arresa per niente al mondo.


A un certo punto sentì una vociaccia: “Ciao bella farfallina, cosa fai tutta sola nel bosco?”


Alda ingoiò la saliva e tirò dritto senza rispondere.


“Ciao bella farfallina, cosa fai tutta sola nel bosco? Non lo sai che è maleducazione non rispondere ai lupi vecchietti che ti fanno le domande?”


Era un lupo! Si mise davanti ad Alda, chiuse gli occhi e aprì la bocca grandissima; sembrava una galleria e Alda stava per finirci dentro! Con un colpo d’ali Alda cambiò direzione. Nella bocca del lupo ci finì la palla lanciata da Giorgiona. Il lupo ingoiò e fece segno di soffocare perché la puzzola aveva un cattivo odore ma anche un orrendo sapore. Il lupo svenne e l’orso Gordo corse a chiamare il taglialegna per aprirgli la pancia, non tanto per salvare la puzzola quanto per riavere la sua palla.

Alda volò con Gordo.


Il taglialegna era appostato fra l’erba perché era appassionato di fotografia e aveva trovato una farfalla minuscola da fotografare per farla vedere alla sua bambina che si chiamava Pimpiripettenusìna.


La farfallina era Gumilla! Gordo portò il taglialegna a salvare la puzzola e ingabbiare il lupo.


Alda invece portò a casa Gumillina, le fece un grosso rimprovero e poi le diede un grosso bacio.


Gumillina era così emozionata che le scappò una puzzetta, e promise di non allontanarsi mai più.

Storie di mamma, storie di papà

– Mamma, mettimi al mondo!
– Un bambino che parla nel ventre di sua madre si mette al mondo da solo.
21

La voce di un piccino che dice: “Ancora, ancora!”

La voce di mamma che culla, nutre, calma e canta.

La voce di papà che protegge e incoraggia, sollecita, solleva.

La voce di un fratello o una sorella che stuzzica, propone, abbraccia.


Tante voci ma si sa, per fare un abbraccio d’amore e di storie ne bastano due. Papà è da un’altra parte? Racconto con la mamma. Mamma è al lavoro, ritarda, mi manca? Faccio una storia con papà. Con gli amici e i fratelli poi, faccio storie tutto il tempo.


Ma soffermiamoci sulle voci del padre e della madre, di cui ha ben raccontato Giorgia Cozza in un capitolo apposito del suo lavoro22.

Da grandi, più che le storie, conserviamo il ricordo della vicinanza e della voce di chi ce ne ha fatto dono. Le voci di mamma e papà sono insostituibili. Non importa quanto siano abili nel raccontare, importa il carico di affetto e spontaneità che portano. Importa ciò che rappresentano, e il dono di sé che fanno nella relazione affettiva. Ognuno di loro, come noi, preferisce un tipo di gioco, ha un’attitudine verso certe storie piuttosto che altre.

Ma ci mettono la grinta, e si vede che si divertono e si emozionano con i loro piccoli. Non rinunciano al gioco di pronunciare nomi e espressioni che fanno parte di un immaginario avventuroso, esotico.


Provano a cavalcare questo immaginario con grande slancio di fantasia, elevandosi negli scalini della crescita e dell’audacia narrativa.


Facciamo una prova?


Ciurma, all’arrembaggio!

Ucci ucci, sento odor di bambinucci…

Ih ih ih, rise la strega malvagiamente.

Povera me, come farò senza più la mia corona?

Ora soffierò, e sbufferò, farò cadere questa casa!

La vuoi una bella mela rossa?

Specchio, specchio delle mie brame…

Apriti sesamo!

Oh mio adorato principe, quanto ti ho aspettato!

Gira, gira, macinino!

Chi vuol comprare questa mucca?

All’improvviso si sentì un rumore…

Chi ha mangiato la mia zuppa?

Nonna, che bocca grande che hai…

Per mangiarti meglio!

Resisti amico mio! Ti salvo io!

Storia libera tutti!

E vissero per sempre felici e contenti.

Mi fai una storia?
Mi fai una storia?
Elisa Mazzoli
Inventare, raccontare, vivere avventure fantastiche nel quotidiano con i nostri bambini.Un manuale per riscoprire l’importanza e il valore del racconto ad alta voce, con suggerimenti e consigli per imparare a raccontare storie ai più piccoli. Mi fai una storia? è un manuale ricco di spunti, aneddoti e rimandi per conoscere e applicare strategie narrative con i bambini piccoli.Come far diventare “amica” la fatica usando le storie?Come gestire in maniera fantastica i rituali della giornata?Elisa Mazzoli, formatrice Nati Per Leggere e autrice, invita mamme e papà a scoprire e a ricordare quanto possa essere utile condividere narrazioni con i propri figli, con esempi concreti e incoraggianti suggerimenti. Conosci l’autore Elisa Mazzoli vive da sempre a Cesenatico.È scrittrice, narratrice, consulente editoriale, formatrice nell’ambito della letteratura per l’infanzia.Laureata in Scienze Politiche, dal 1996 è autrice di libri per bambini e ragazzi.Premio nazionale Nati per Leggere 2018 con Il viaggio di Piedino (Bacchilega Junior), svolge incontri di narrazione per bambini e corsi in scuole, biblioteche, librerie, centri famiglie, per insegnanti, genitori e operatori del settore infanzia sulla letteratura per bambini e la mediazione narrativa sul territorio nazionale. Si occupa di formazione sulla letteratura per l’infanzia per insegnanti dai nidi d’infanzia alle scuole primarie.www.elisamazzoli.blogspot.com