prima parte - capitolo v

I famosi pazienti

I pazienti sono gentaglia. Sono buoni solo a farci vivere, materiale per imparare.A ogni modo non possiamo aiutarli.

S. Freud

Freud è famoso in tutto il mondo per aver trattato dei casi clinici, a suo dire brillantemente risolti. In verità, se consideriamo l’immensa opera freudiana (più di cinquanta anni di studi sull’inconscio, centinaia di scritti, decine di migliaia di pagine), i casi di cui tratta in maniera approfondita sono davvero molto pochi. Se si considera poi che alcuni di questi casi non sono stati analizzati direttamente in prima persona, ma basandosi su quanto riportato da altri sul caso in questione (per es. il caso del piccolo Hans) o basandosi su biografie di grandi personaggi del passato (per es. Leonardo da Vinci e Goethe) o su autobiografie di personaggi del suo tempo (Schreber), o ancora su casi seguiti dal suo mentore Breuer (Anna O.), i pazienti analizzati di cui Freud ha trattato nel dettaglio si riducono a un numero davvero molto esiguo.


E non finisce qui. Una quantità di accurate ricerche, svolte nell’arco di molti anni, di recente ha dato vita alla pubblicazione di libri che hanno suscitato in tutto il mondo un grande clamore: hanno dimostrato come quei già pochi casi noti trattati da Freud siano stati anche falsificati; tutto naturalmente documentato e riferito con cognizione di causa. Ma parlerò di questo in un secondo tempo.


Per rendere più chiaro come Freud abbia messo in pratica sul campo il suo modello terapeutico, voglio di seguito accennare in breve ad alcuni dei suoi casi più celebri, che meglio rendono il senso di quanto fin qui emerso. Non mi soffermerò sui dettagli, ma evidenzierò in sostanza quelli che per lui furono i sintomi e la diagnosi del paziente e come sia stata secondo lui (non) risolta la patologia.

Il piccolo Hans

Nel caso del piccolo Hans (Herbert Graf), seguito come già detto tramite il padre del bambino e non in prima persona, Freud si trova di fronte a un bimbo di quattro anni nei confronti del quale commenta: “Il nostro piccino sembra proprio essere un campione di depravazioni!”1; da tempo vive un forte stato di ansia dovuto al suo intenso masturbarsi, tanto da suggerire ai genitori di bloccarlo e punirlo per questa sua pratica riprovevole. Inoltre il bambino sviluppa una fobia specifica per i cavalli; ne è terrorizzato, non esce di casa per paura di questi, teme possano entrare addirittura in camera sua. Il nostro Autore si scervella per comprendere le cause di tale angoscia. Solo dopo un ricordo rievocato dal piccolo Hans, legato a una precedente esperienza traumatica in cui aveva visto per strada un cavallo con carrozza a seguito impennarsi e cadere violentemente per terra, Freud pensa di aver trovato la risposta a tutti i mali del bambino.


Ora di sicuro si penserà che questa paura sia stata interpretata come una “fobia specifica”2, collegata cioè a un evento reale che ha così fortemente traumatizzato il bambino da far sì che questo ne sia ancora terrorizzato.

E invece no. Il buon vecchio Freud ritenne quell’evento soltanto un fattore “scatenante” la fobia del piccolo, ma non la causa primaria. Quest’ultima infatti è stata trovata ancora una volta nei desideri edipici incestuosi tipici di tutti i bambini: il cavallo, avendo come si sa un pene enorme, è inconsciamente associato dal bambino al padre (che ha un pene più grosso del suo). Il cavallo che cade è l’espressione del desiderio rimosso di Hans di vedere morto (uccidere) il padre per possedere la madre (Edipo). La conseguente paura di essere punito dal padre per questi suoi desideri genera dunque la fobia per i cavalli. Paura del cavallo = paura del padre. Ora, per quanto ingegnosa e affascinante possa essere questa interpretazione, spero sia evidente il fatto che non ci sia assolutamente alcun nesso tra la patologia in questione e la sua causa. La fobia semplice nasce da uno stimolo, un evento traumatizzante che genera una forte paura dalla quale diventa difficile fuggire anche a distanza di molto tempo dall’evento traumatico. Ci sono fobie anche simboliche, dove l’oggetto fobico sta inconsciamente a rappresentare qualcos’altro, ma non è questo il caso, sia perché qui c’è stato un reale trauma, sia perché le spiegazioni fantastiche addotte da Freud, come abbiamo visto, non hanno alcuna valida base clinico-scientifica.


Anche qui Freud prese un enorme abbaglio, costringendo il povero Hans a lunghissimi e faticosi interrogatori condotti dal padre su indicazione del grande professore. Alla fine di questa pseudo-analisi, Freud ci dice che il bambino è guarito. Ma come? Secondo lui semplicemente spiegandogli i suoi sentimenti edipici nei confronti dei genitori e imponendogli la rispettiva giusta “educazione”. Basta così poco.

Il presidente Schreber

Un altro caso famoso ed emblematico è quello del Presidente Schreber3, anche questo seguito non direttamente, ma sulla base di una autobiografia in cui il paziente stesso narra di quando era molto malato mentalmente, intitolata Memorie di un malato di nervi4.

Schreber fu Presidente di Corte d’Appello a Dresda sul finire dell’800, ma ad un certo punto della sua vita si ammalò di una grave forma di paranoia. In particolare i suoi deliri ed allucinazioni riguardavano la convinzione di essere un cadavere in decomposizione, il cui corpo era sottoposto a torture e a manipolazioni atroci. Questo, continuando nel suo delirio, era dovuto ad uno scopo sacrosanto, mistico, religioso che consisteva nella redenzione del mondo e nel ritorno dell’umanità al perduto stato di beatitudine. Era dunque un martire vittima di un dio crudele. Il paziente racconta moltissimi dettagli in questo suo delirio, con personaggi e una trama molto articolati, ma che qui tralasciamo perché non necessari per il discorso che ci interessa. Sottolineo solo come tutto il delirio sia fortemente incentrato sulla figura di uno psichiatra che lo aveva in cura nella clinica in cui era stato internato, un certo Professor Flechsig, che spesso definiva come “assassino di anime”. Tutte le torture partivano da questo personaggio, ma in realtà in seguito il paziente si riferirà anche ad un “Dio”, prima suo alleato, e ora diventato complice di Flechsig. È un Dio crudele, totalmente incapace di comunicare con i viventi, ma in grado di farlo solo con i defunti. Schreber arricchirà questo delirio sostenendo anche che la parte essenziale della sua missione redentiva sia quella di essere trasformato in una donna, non per suo volere, ma per necessità imposta dall’“Ordine del Mondo”.


Freud interpreta il delirio in questione come l’espressione di una potente sessualità rimossa e che ora viene a galla sotto forma di un “assalto di libido omosessuale” nei confronti dello stesso Flechsig.


Secondo Freud in realtà il paziente vedeva inconsciamente nel professore la figura del padre deceduto prematuramente, dunque la spiegazione fu che la malattia fosse originata da intensi desideri omosessuali del bambino nei confronti del padre che erano stati rimossi, ma che in un momento di particolare stress emotivo, come la nomina ad una carica molto importante, riaffiorarono sfociando nel delirio. Il padre, secondo Freud, compare comunque simbolicamente anche sotto forma del Dio crudele. Anche qui, Freud utilizza una chiave di lettura di tipo sessuale. Ma questa sessualità da dove origina secondo lui? Sempre da pulsioni perverse che sono insite nell’individuo e mai comunque, anche volendo accettare la lettura sessuale di ogni comportamento umano, eventualmente conseguenti ad un ambiente familiare deficitario in fatto di cure parentali. La colpa è sempre del bambino. In questo caso particolare poi, Freud ci dice che questa “nostalgia” per il padre morto prematuramente ha creato nel paziente un dolore tale da essere “pervenuta ad esaltazione erotica”.


Come si vede, nell’opera freudiana troviamo sempre una relazione genitori-figli basata in modo esclusivo sul sesso, in cui non esistono per nulla scambi di semplice e puro affetto tra le due parti: un amore fortissimo di un figlio verso il padre diventa inevitabilmente erotizzato. Non è contemplabile una manifestazione di affetto (il semplice “bene”) tra genitori e figli; l’affetto passa immancabilmente per il canale sessuale (il discorso del bambino soggetto e oggetto). “L’affetto è sesso”, questo sembra essere il diktat freudiano.

Da molti anni, invece, sappiamo che “erotizzare” o “sessualizzare” (una forma ancora più forte) una relazione che nulla ha a che vedere con il sesso, rappresenta un meccanismo di difesa primario (primitivo) tipico di coloro che hanno dovuto sperimentare sulla propria pelle di bambino questo tipo di relazione: volevo affetto dai genitori, come è giusto che sia, ma l’ho ricevuto attraverso un canale sessuale. Da adulto, avendo appreso che l’unica forma di affetto, da dare e da ricevere, è l’eros/il sesso, automaticamente (inconsciamente) per dare e ricevere affetto utilizzo il solo canale sessuale5. Alcuni studi mettono addirittura in relazione gli abusi sessuali infantili con la scelta di alcune donne di darsi alla prostituzione6. E in questo caso è giusto dire “l’affetto è sesso”, ma non è questa la normalità, bensì la diretta e tragica conseguenza dell’essere stato esposto prematuramente alla sessualità. Ancora una volta, Freud confonde tragicamente la causa con l’effetto.


Egli lascia intendere che questa ammirazione del figlio nei confronti del padre è sacrosanta, dal momento che il padre in questione godeva di un grande rispetto, non negato dallo stesso Freud, in quanto si trattava del famoso dottor Daniel Gottlob Moritz Schreber, medico pediatra. Ma chi era costui?


Il dottor Schreber era noto per aver creato e diffuso un modello pedagogico molto particolare, preso subito come modello di riferimento da genitori e da quanti avevano a che fare con i bambini. Tale approccio è stato riassunto in un suo libro dal titolo L’educazione totale7. In questa opera il buon pediatra dà tutta una serie di indicazioni pedagogiche su come crescere dei figli sani e moralmente ineccepibili. Si parte anche qui dal presupposto che i bambini siano portatori di una “naturale rozzezza” sin dalla nascita, che va elevata con una rigida educazione.

Partendo da questo concetto del bambino, Schreber inventa una serie di strumenti specifici come il “raddrizzatore”, uno strumento che nulla ha da invidiare agli strumenti di tortura medioevali, costituito da una sorta di busto indossato dal bambino e collegato al tavolo che gli permetterebbe di mantenere una posizione eretta durante i compiti. Questo per far sviluppare bene la schiena, ma impedendo di fatto ogni minimo movimento del bambino. Un’altra sua invenzione è il “reggitesta”, utilizzato per lo stesso scopo di cui sopra, ma ad essere bloccati a un’asta di legno sono i capelli, prontamente tirati ad ogni minimo accenno del bambino ad abbassare troppo la testa. Oppure ancora i lacci per legare a letto il bambino così da mantenere una posizione supina durante il sonno, perché altri tipi di posizione nuocciono alla salute del corpo. Una prescrizione raccapricciante è quella di non permettere ai bambini di rimanere a letto da svegli,

perché stando a letto i pensieri possono prendere facilmente una direzione impura. La triste frequenza di traviamenti sessuali segreti in bambini di ambedue i sessi, nota a tutti i medici, insegna che bisogna tenere gli occhi bene aperti già molto tempo prima della pubertà

(è qui molto forte il richiamo che ne farà Freud nel parlare della sessualità del bambino).


Un’altra è quella di non lodare troppo i bambini perché altrimenti crescono deboli, ma anzi di temprarne il carattere mediante frustrazioni finanche arrivando a vere e proprie percosse corporali. Una sana frustrazione da far vivere al bambino è per esempio mangiare davanti a lui di proposito un dolce che a lui piace tanto e nel momento in cui ne chiede un po’ per sé, rifiutare subito la sua richiesta.


L’autore continua con tante altre prescrizioni, come far piangere il neonato fin quando non smette perché il pianto, a differenza di quello che si pensa, e cioè che rappresenta una manifestazione di disagio, in realtà aiuta a liberare i polmoni.

Anche il gioco diventa un pretesto per opprimere il bambino. Schreber infatti consiglia di osservare i bambini mentre giocano e di assicurarsi che utilizzino entrambe le braccia per esempio quando trasportano la carrozzina o il bambolotto; se non lo fanno vanno immediatamente invitati a farlo. Insomma, in base a questa scuola pedagogica il bambino non può mai rilassarsi, non gli è mai consentito di essere semplicemente un bambino. Il bambino è letteralmente “perseguitato” in una sorta di “olocausto bianco”8 che ritroviamo fortemente in Freud, evidentemente cresciuto a sua volta secondo i perversi (definirli semplicemente “rigidi” mi sembra un eufemismo) princìpi di cui sopra e che più o meno inconsciamente ha rimesso in atto creando la Psicoanalisi.

Nonostante tutto ciò (o forse proprio per questo) Freud dice apertamente di stimare il noto professor Schreber!

Tornando al caso del presidente Schreber, l’aspetto che dovrebbe colpirci in maggior misura è come l’autore austriaco non abbia minimamente pensato che potesse esserci un qualche legame tra i contenuti del delirio del paziente e la sua esperienza di figlio cresciuto secondo i dettami della “pedagogia nera”9 di cui sopra. Legame questo a mio avviso lampante, a cui M. Schatzman ha dedicato un libro intero10. Il delirio infatti è solo la forma con cui si manifesta il disagio, ma il contenuto che l’individuo ci mette dentro è del tutto soggettivo, dettato dalle proprie esperienze con l’altro (a parità di diagnosi si possono rilevare infiniti tipi di delirio).

Il presidente Schreber parlava di torture fisiche che doveva subire e di un corpo martoriato in decomposizione che altro non sono che l’espressione delirante di un’esperienza vissuta in prima persona sul suo corpo martoriato da raddrizzatori, lacci, botte e quant’altro. Questa tortura è finalizzata a un bene superiore che altri non è che il famoso padre che credeva fermamente nella nobilitazione della bassezza infantile e nel raggiungimento di una perfezione spirituale assoluta. Il suo timore di “demascolinizzazione”, di dover essere trasformato in una donna, potrebbe a mio avviso essere legato ad abusi sessuali subiti proprio dallo stesso padre; padre che abbiamo visto credeva fortemente in una sessualità perversa del bambino, una sessualità che evidentemente lui voleva vedere. Il fatto di fare sesso con un adulto dello stesso genere potrebbe averlo indotto a sentirsi una donna. In due passaggi delle sue Memorie scrive in riferimento al rapporto con il suo Dio/Padre:

Io credo addirittura, in base alle impressioni da me ricavate, di poter esprimere l’opinione secondo cui Dio non passerebbe mai a un’azione di ritirata […], bensì seguirebbe l’attrazione senza opporre resistenza e con uniformità costante, se mi fosse possibile recitare sempre la parte della donna in amplesso sessuale […]” e “D’altro canto Dio pretende un godimento continuo […]; è mio compito procurarglielo nella forma del dispiegamento più ricco della voluttà del’anima […].

Freud ha letteralmente ignorato queste considerazioni, perché evidentemente le aveva già lui per primo ignorate rispetto al proprio rapporto con il padre, mosso com’era da una spinta emotiva molto potente a rimuovere e negare la sua infanzia. Quello che non ha potuto vedere prima dentro di sé, non ha poi potuto vederlo nell’altro. E questo credo sia davvero un grosso problema nel momento in cui si crea un modello terapeutico che dovrebbe invece lavorare in senso contrario, permettere cioè proprio a questi sentimenti negati e rimossi nell’infanzia di essere finalmente rivelati.

Va considerato anche il fatto, io credo assai significativo, che al padre del presidente Schreber fu posta una diagnosi di “idee ossessive con impulsi omicidi” (uccisione di bambini? sorge spontaneo chiedersi) e che gli altri suoi due figli (oltre al presidente) non godettero di una sorte migliore: entrambi sofferenti di gravi turbe psichiche, uno dei due morì suicida11.


In conclusione, Freud interpretò ancora una volta il caso in modo fortemente fuorviante e giunse alla conclusione che la guarigione del presidente fosse dovuta al riconoscimento e ammissione della propria omosessualità e della attrazione erotica verso il padre. Oggi sappiamo che: 1) l’omosessualità non ha nulla a che vedere con la paranoia e viceversa; 2) la paranoia è il frutto di una paura nei confronti dell’altro collegata a reali maltrattamenti infantili in cui il bambino in qualche modo è stato (o si è sentito) letteralmente perseguitato12: ho avuto paura di reali maltrattamenti da bambino; ora da adulto, avendo memorizzato quelle esperienze traumatiche, temo possano ripetersi ancora. Così pensa il paranoico ed è uno stato emotivo devastante per la persona che lo vive. Tutto qui, non c’è necessità di fare virtuosismi mentali, né di tirare in ballo per l’ennesima volta il sesso.

Quello che penso è dunque esattamente il contrario di come l’ha messa Freud: in realtà è il padre del presidente Schreber a nutrire dei sentimenti incestuosi omosessuali verso il figlio e ad averne probabilmente abusato, oltre ad avergli inferto tutta una serie di “torture educative”. Freud l’ha interpretata in modo diametralmente opposto, proteggendo l’intoccabile padre e additando come pazzo paranoico omosessuale il figlio.


A conferma di ciò, è doveroso sapere che il terzo volume dell’opera Memoria di un malato di nervi fu censurato: era interamente dedicato alla famiglia dell’autore, ma per riguardo nei confronti della famiglia Schreber (così come affermato dal curatore dell’edizione italiana) è stato ritenuto “non adatto alla pubblicazione”.


La domanda viene da sé: avrebbe forse, questo capitolo del libro, confermato questa tesi, gettando così fango sulla stimata figura del padre?

La piccola Dora13

Freud ci dice che Dora (Ida Bauer) è una ragazza minorenne di sedici anni che, all’epoca in cui Freud la prende in cura, manifesta sintomi quali irritabilità, depressione, inappetenza, idee suicide, aggravati da una tosse nervosa e da una completa afonia.

I genitori di Dora avevano stretto amicizia con una coppia, i signori K. Dora ad un certo punto manifesta il suo disappunto rispetto a questa nuova amicizia dei genitori, perché il signor K. le aveva fatto degli apprezzamenti e delle proposte di tipo sessuale. Il padre di Dora non crede alla figlia e pensa che sia solo una sua fantasia (aveva già letto Freud!) creata per rovinare questo loro rapporto di amicizia. Durante una seduta Dora racconta anche a Freud di essere stata molestata fisicamente all’età di quattordici anni dal signor K., il quale creò una situazione per rimanere da solo con lei, dopodiché la strinse a sé e la baciò. Freud ritiene che nella presa la ragazzina abbia percepito anche l’eccitazione dell’adulto.


Ora, da queste poche informazioni emerge un evidente caso di molestia sessuale (oggi considerato un abuso sessuale vero e proprio) su una minorenne che potrebbe aver creato come conseguenza traumatica i sintomi di cui sopra. Freud però, pur credendo alla paziente, segue una strada che mira comunque a colpevolizzare la ragazzina e a tutelare l’abusante in questione: Dora non avrebbe dovuto infatti reagire all’abuso con un senso di disgusto e vergogna, perché

la situazione era certamente atta a suscitare una sensazione netta di eccitazione sessuale in una ragazza di quattordici anni che non aveva mai avuto esperienze del genere.

Eccitazione che “non sarebbe certo mancata in una ragazza sana in circostanze analoghe”. Dunque il messaggio di Freud è ancora una volta estremamente chiaro:

non c’è niente di anormale se un adulto seduce un minorenne. La anormalità è invece nel minore che dovrebbe gioire per la molestia sessuale subita e reagire dunque eccitandosi a sua volta, permettendo così all’adulto abusante di raggiungere in tutta tranquillità i suoi scopi.

Dunque per Freud il comportamento da incriminare non è quello di chi abusa di un minore, ma quello della minorenne che si spaventa e si tira indietro e che non esita ad etichettare come “isterica”:

Non esito infatti a considerare isterici tutti coloro in cui un’occasione di eccitamento sessuale provoca soprattutto o soltanto sentimenti spiacevoli […].

Inoltre, la tosse nervosa viene interpretata come la manifestazione somatica (conversione isterica) di un desiderio inconscio rimosso di Dora di voler praticare del sesso orale al signor K. Questo, continua Freud, avvalorato dal fatto di aver saputo che già da bambina Dora era solita succhiarsi il pollice, indice questo di una precoce sessualità orale:

[…] non occorrono grandi sforzi inventivi per sostituire al capezzolo originario, o al dito che ne teneva il posto, l’oggetto sessuale attuale, il pene, nella situazione atta al soddisfacimento. Dunque questa fantasia quanto mai ripugnante e perversa di succhiare il pene ha l’origine più innocente.

Io credo che invece occorrano proprio dei grandi, grandissimi sforzi inventivi per sostenere un’ipotesi del genere.


La povera Dora riesce anche a spiegare il comportamento del padre nei suoi confronti: non le crede e non la protegge dal signor K., perché è innamorato della moglie di costui, la signora K. con la quale probabilmente ha una relazione adulterina. Dice Freud di Dora:

Nei momenti di maggiore amarezza le s’imponeva l’idea di essere stata consegnata a K. come prezzo per la sua tolleranza della relazione tra suo padre e la moglie, e sotto la tenerezza di Dora per suo padre si poteva sentire l’indignazione per un simile impiego di se stessa.

Io credo che la povera Dora avesse colto in pieno tutta la tragicità della situazione: un padre che la dà in pasto a un uomo barattandola con sua moglie.


Freud in questo caso fa ulteriori passaggi interpretativi: l’amore sessuale per il signor K. altro non è che lo spostamento su costui di un amore sessuale che in origine è rivolto al padre (inevitabilmente, per il complesso di Edipo). Inoltre, tramite il racconto di un sogno, Freud ritiene che inconsciamente Dora trasferisse anche su di lui (Freud) i suoi desideri sessuali e che volesse essere da questi baciata. Questo probabilmente era più un desiderio dello stesso Freud. Ma perché l’ha pensato? Perché Dora dice che al risveglio di questi sogni sente odore di “fumo”. Il fumo viene associato a un “fuoco”, cioè la passione sessuale di Dora per il signor K. e per suo padre, tra l’altro entrambi noti fumatori. Siccome anche Freud è un fumatore, e Dora lo sa, inevitabilmente la passione, secondo Freud, è rivolta anche nei suoi confronti.

Visto che Dora era già rimasta traumatizzata dal bacio del signor K., trauma esplicitamente già riferito al suo analista, perché avrebbe dovuto desiderare di ripetere proprio con il suo analista quell’esperienza per lei così traumatica?

Freud seguì Dora in analisi per diverso tempo, spingendo esclusivamente su questi tasti. Un giorno Dora si lamenta dei risultati ottenuti dall’analisi, dopo che Freud pensò di aver brillantemente interpretato i suoi sogni, e decide di interrompere la terapia, con grande sorpresa di Freud che interpretò la prematura interruzione come una vendetta della ragazza trasferita dal padre/sig. K. su di lui (per il processo denominato transfert, per cui il paziente inconsciamente proietta sull’analista le figure importanti del suo passato).

Credo in verità che Dora abbia avuto sentore che non avrebbe trovato con Freud la risoluzione ai suoi problemi e che, in un lampo di lucidità, abbia deciso di sottrarsi a quell’inutile e deleterio processo contro la sua persona. Dagli studi sulla vita di Dora, sappiamo che dopo l’interruzione dell’analisi con Freud non manifestò mai più alcun segno di instabilità psichica e che non parlò mai bene della sua analisi14.

L’uomo dei topi

Il paziente (Ernst Lanzer) richiede l’aiuto di Freud per una gravissima forma di “nevrosi ossessiva”: da sempre ha pensieri intrusivi legati a sue azioni malvagie contro qualcuno. A questo fatalmente viene associata la paura che possa capitare qualcosa di brutto alle persone a lui care, in particolare a suo padre e a una signora che aveva molto a cuore. Nello specifico, il paziente aveva in passato sentito parlare di una particolare atroce tortura adottata in Oriente: il prigioniero incriminato veniva legato, e un vaso rovesciato pieno di topi veniva appoggiato contro le sue natiche. I topi si facevano gradualmente strada nel suo ano.

Il caso15 è descritto in maniera molto prolissa e con un filo conduttore talmente labile, contorto e a tratti incomprensibile, che risparmierò al lettore la fatica di seguirmi anche in questo. Mi soffermerò sui dettagli principali e sul modo con cui è stato trattato e risolto, ancora oggi considerato uno dei casi meglio riusciti di Freud e di cui si discute ancora molto in dibattiti e conferenze.
Il paziente racconta a Freud degli eventi, a mio parere molto tragici, legati alla sua infanzia: “La mia vita sessuale è cominciata assai presto. Ricordo un fatto di quando avevo quattro o cinque anni (i miei ricordi sono completi dai sei anni in poi) tornatomi chiaramente alla memoria anni dopo. Avevamo una governante molto bella e giovane, la signorina Peter. Riesco a ricordare un episodio di quando avevo quattro o cinque anni. Una sera ella stava sdraiata a leggere sul divano, vestita di un abito leggero; io, che ero disteso vicino a lei, le chiesi il permesso di infilare la mano sotto la gonna. Acconsentì a patto che non lo dicessi a nessuno. Aveva ben poco addosso, le toccai i genitali e il ventre che mi fece un effetto strano. Da allora mi rimase una curiosità cocente e assillante di vedere il corpo femminile. Ricordo ancora con che agitazione aspettavo (a quell’epoca mi permettevano ancora di andare al bagno con le mie sorelle e con la signorina) che la governante si spogliasse per entrare in acqua. Rammento di più dai sei anni in poi. Avevamo allora un’altra governante, anch’essa giovane e carina. Soffriva di ascessi alle natiche e la sera aveva l’abitudi ne di spremerli. Io aspettavo con impazienza quel momento per soddisfare la mia curiosità. Lo stesso accadeva al bagno, sebbene la signorina Lina fosse più riservata dell’altra. […] Ricordo un’altra scena di quando dovevo avere sette anni circa. Una sera eravamo seduti insieme, la signorina, la cuoca, un’altra domestica, io e mio fratello, minore di me di un anno e mezzo. Colsi al volo dalla conversazione delle ragazze una frase di Lina: ‘Col più piccolo si potrebbe fare benissimo, ma Paul – io – è troppo balordo, non ce la farebbe di certo.’Non capii bene che cosa volesse dire, ma mi sentii umiliato e mi misi a piangere. Lina cercò di consolarmi e mi raccontò che una domestica che aveva fatto una cosa simile con un bambino a lei affidato era stata messa in prigione per parecchi mesi. Non credo che Lina facesse nulla di male con me, però mi potevo prendere su di lei molte libertà. Quando andavo nel suo letto, la scoprivo e la toccavo e lei lasciava fare tranquillamente. Non era molto intelligente e, evidentemente, aveva forti bisogni sessuali”. Freud parla del paziente, quando era bambino, come di un “piccolo libertino” e che “i suoi impulsi sessuali erano stati in generale molto più forti nell’infanzia che non all’epoca della pubertà”.
Ho voluto riportare per intero la testimonianza del paziente, perché credo che già qui possiamo trovare l’origine dei suoi problemi psicologici: è evidente che il bambino abbia subìto molestie sessuali da donne adulte, che sia stato vittima di quel mondo sommerso rappresentato dalla “pedofilia femminile” e che questo trauma, come sappiamo, lascia segni indelebili nello sviluppo psicologico e affettivo dell’individuo16. Freud in realtà ignorerà affatto questo aspetto e, come al suo solito, leggerà il caso facendo risalire i sintomi del paziente ai desideri sessuali edipici rimossi nell’infanzia! È un disco rotto.

Freud ci dice infatti che il paziente, seppur a livello cosciente si dica molto affezionato al padre, in realtà a livello inconscio lo odia e lo vorrebbe morto. Questo perché il paziente è da anni innamorato di una donna che pensa di poter conquistare solamente sposandola e garantendole una agiatezza economica. Possibilità queste che si verificherebbero soltanto grazie all’eredità e dunque con la morte del padre. Il padre era dunque un “intralcio”, un ostacolo da superare. Questa ambivalenza tra amore paterno e odio paterno crea nel soggetto un grave conflitto. E fin qui potrebbe anche andare. Freud però si chiede da dove origini questo odio e immagina (in realtà lo sa sin da subito) che sia collegato ad un odio antico che il paziente già da bambino aveva evidentemente sviluppato (e rimosso) nei confronti del padre. E quale può essere questo misterioso desiderio segreto se non… ebbene sì: voler uccider il padre!


Perché, da bambino, voler uccidere il padre? Perché una volta il padre, quando il paziente era un bimbo di meno di sei anni, lo ha “beccato” mentre “si masturbava” e lo ha punito con uno dei “severissimi castighi” che era solito infliggere ai figli piccoli, spesso vere e proprie percosse. L’associazione tra il soddisfacimento dei propri istinti sessuali e il divieto e punizione paterni di allora, si ripresenta a livello inconscio nel desiderare la morte del padre per poter appropriarsi della donna che ama.


Cosa c’entrano i topi, che danno il nome al caso clinico, con tutto questo?

Ecco la risposta: “In primo luogo, il supplizio dei topi risvegliava l’erotismo anale, che nell’infanzia del paziente aveva avuto un’importanza precipua ed era stato per anni alimentato dalla presenza di vermi intestinali [di cui il paziente soffriva da bambino, N.d.A.]”. Inoltre Freud, facendo dei voli pindarici assolutamente arzigogolati e inverosimili, ci dice che, siccome il paziente ha sicuramente associato i topi alle malattie infettive di cui sono portatori, ed essendo anche il pene portatore di malattie sessualmente trasmissibili, allora “il significato fallico dei topi si basava nuovamente sull’erotismo anale”. In un altro passaggio l’autore fa una associazione tra il pene del bambino, che secondo lui è identico nell’aspetto a un verme (!), guarda caso proprio con i vermi che nella fanciullezza avrebbero irritato l’ano del paziente…


Ebbene, forse è un mio problema, ma non riesco a vedere nessun collegamento tra queste associazioni ed il disagio del paziente. Assomigliano davvero a deliri fantastici di uno schizofrenico in pieno scompenso. Come dire che 2 sembra 2, ma in realtà siccome assomiglia al 5, va interpretato come 9, che guarda caso è la metà di 18, come il numero civico dove abita tizio e quindi… 2+2 è uguale a 5. Come volevasi dimostrare. Come nel romanzo orwelliano, dobbiamo convincerci di questo e la guarigione sarà presto raggiunta.


Quello che mi preme sottolineare, e concludo, è come Freud abbia lasciato completamente fuori dalla terapia i ricordi delle molestie sessuali subite da bambino, che pure il paziente non ha esitato a “donargli”. Nessuna analisi nemmeno dei severi castighi e punizioni inflitti da padre al bambino, per spiegare eventuali legami con l’attuale stato di nevrosi, di ansia, di paura che attanagliano il povero uomo dei topi. Come si può raggiungere in questo modo una vera guarigione?

In una lettera a Carl Gustav Jung, dopo l’ufficiale guarigione, Freud scriverà infatti che l’uomo dei topi non aveva assolutamente risolto i suoi problemi17.


L’interpretazione freudiana dei problemi di una persona è sempre una spiegazione maligna a danno della persona stessa: tutto è ricollegato al sesso, ma ad un sesso infantile, sporco, incestuoso, peccaminoso, del quale il bambino/paziente è sempre e comunque l’unico colpevole; altre spiegazioni, seppur evidenti, non sono neanche lontanamente prese in considerazione.


Anche il famoso caso di “Anna O.” (Bertha Pappenheim)18, considerato a tutti gli effetti il capostipite della pratica freudiana, risulta essere un falso. La donna fu seguita da Breuer, mentore e collega di Freud, che lo teneva al corrente sull’evoluzione dell’analisi. Ne parlò in termini di una perfetta guarigione. In realtà la donna, dopo Breuer, fu ricoverata altre volte. Lo stesso Freud, in una lettera alla sua fidanzata, scrisse che Breuer gli aveva confidato che la paziente non sarebbe mai guarita e che sperava che morisse quanto prima per poter porre fine a tutti i suoi mali19. Freud però, parlando di questo caso, anche a distanza di molti anni continuò a sostenerne la più completa guarigione20.


Il famoso “Uomo dei lupi” (Sergej Konstantinovič Pankeev)21 fu realmente abusato da bambino22, ma l’analisi freudiana seguì come al solito tutt’altro percorso, fatto di Edipo, scena primaria e desiderio sessuale rimosso nei confronti del padre. E questo portò il povero uomo, dopo la conclusione dell’analisi con Freud, ad essere analizzato da moltissimi altri analisti per un totale di settanta anni23 e ad affermare ormai allo stremo delle forze:

Ho già fatto talmente tante analisi […]. Ne ho abbastanza di analisi” e “Tutta la faccenda mi fa l’effetto di una catastrofe. Mi trovo nelle stesse condizioni in cui ero prima di entrare in cura da Freud. […] Invece di farmi del bene, gli psicoanalisti mi hanno fatto del male24.

Si percepisce in Freud un disprezzo profondo nei confronti dei suoi assistiti, che non esita a definire “gentaglia”, “buoni a nulla”, “feccia” della società e nei confronti dei quali confessa di provare spesso “indifferenza”25. Date queste premesse, mi viene da pensare che anche la sua prescrizione di un’“attenzione liberamente fluttuante” nei confronti del paziente, sia in realtà solo un modo politicamente corretto per dire che la persona non va ascoltata fino in fondo, sia perché non lo merita (gentaglia, feccia…), sia perché “tanto so già a monte qual è il suo problema (l’Edipo), indipendentemente da quello che realmente l’individuo è, dice o fa”.

Perché ascoltarlo? Perché sforzarsi di comprenderlo? Perché empatizzare con lui?

Meravigliosa infanzia
Meravigliosa infanzia
Alessandro Costantini
Dalle menzogne di Freud alle verità sul bambino.Da una visione adultocentrica del bambino a una nuova cultura dell’infanzia, che vede nel bambino una ricchezza da proteggere e tutelare. Meravigliosa infanzia rappresenta una pietra miliare per tutte quelle persone (genitori, educatori, avvocati, psicologi, formatori) che a vario titolo si occupano di questa fase della vita, un libro che si impegna a demolire la pedagogia nera creata ad hoc “contro il bambino” per creare e diffondere una nuova cultura dell’infanzia, che vede nel bambino una ricchezza da proteggere e tutelare. La motivazione a scrivere questo libro parte infatti dalla necessità di far luce sul modo errato, superficiale e deleterio con cui si parla di bambini. È diffusa infatti una non-cultura dell’infanzia: il bambino è cattivo, il bambino mente, il bambino non va coccolato troppo…Una sorta di visione adultocentrica, basata sulla considerazione dell’infanzia non con gli occhi di un bambino, ma con il filtro distorcente dell’adulto stesso. Nella prima parte del libro, l’autore Alessandro Costantini, elabora una durissima critica a Freud e al suo perverso modello di comprensione dello sviluppo del bambino, ancora oggi molto diffuso, basato su “menzogne” senza alcuna validità scientifica e per questo estremamente dannoso per i bambini e per chi si occupa di loro. Freud avrebbe creato una cultura del bambino estremamente negativa, che si ritrova anche nell’educazione dei figli, nelle scuole, nei tribunali. L’intento è quindi quello di smantellare la clinica freudiana e il suo approccio contro il bambino. La seconda parte si focalizza invece su quelle “meravigliose verità”, scientificamente validate, che sottolineano la più completa innocenza e purezza del bambino e il suo primario bisogno di amore, protezione e adeguate cure genitoriali.Non viene spiegato “come” si fa il genitore, ma “chi” sia e quali siano le principali funzioni da svolgere per un sereno sviluppo infantile. Un piccolo mattone nella costruzione di una cultura bambino-centrica, che possa garantire ai bambini maggiore rispetto e comprensione dei loro bisogni e fragilità, ma anche delle loro numerose risorse e potenzialità. Conosci l’autore Alessandro Costantini, psicoterapeuta, è responsabile per il Lazio del Movimento per l’Infanzia. Da anni lavora come consulente tecnico di parte nei procedimenti per l’affidamento dei figli e nei casi di presunto abuso sessuale o maltrattamenti nei confronti dei minori. Si occupa di genitorialità e temi legati al maltrattamento infantile.