prima parte - capitolo iv

La psicoanalisi
come processo giudiziario

È impensabile cercare soluzionicon lo stesso modo di ragionare che ha creato il problema.

A. Einstein

Da quanto fin qui emerso risulta ormai evidente come il bambino sia di fatto colpevole del suo male, così come colpevole è l’adulto che, entrando in analisi, dovrà subire un lunghissimo (forse interminabile) “processo a suo carico” fino a quando, ormai sfinito, non avrà ammesso e riconosciuto le sue colpe. A meno che non rinsavisca e decida di chiudere quanto prima la sua analisi e chiedere aiuto altrove.


Credo davvero che la Psicoanalisi sia un “processo”, e più precisamente un “processo alle intenzioni”, dal momento che le accuse che muove sono basate solo su presunte intenzioni (desideri rimossi, fantasie) che il bambino/l’adulto, oltre a non aver mai messo in atto, probabilmente neanche ha mai pensato.


Sembra di immergersi nel surreale mondo kafkiano de Il processo, in cui il povero protagonista si ritrova ad essere accusato e perseguitato per un reato mai commesso e di cui è totalmente all’oscuro.


Leggendo le pagine di Freud si ritrovano frequentemente termini come “prove” da scoprire, “sospetti”, “confessioni”, contenuti onirici solo “apparentemente innocenti”, “conferme” da tirar fuori dalla bocca dei pazienti, “resistenze del paziente” interpretate brutalmente e in modo arbitrario come indizi di verità nascoste che devono emergere, ma che l’autore ha già ben chiare nella sua mente ancor prima di conoscere chi ha di fronte, lunghi ed estenuanti “interrogatori” (come quelli condotti dal padre del piccolo Hans su indicazione di Freud). Leggere Freud è come leggere un romanzo poliziesco (tra l’altro scritto anche in modo avvincente e scorrevole), ma con una trama e una risoluzione del caso molto discutibili. Alcuni psicoanalisti, come Cesare Musatti, il padre della psicoanalisi italiana, utilizzano infatti l’espressione “subire un’analisi” per riferirsi al paziente che inizia questo processo lungo e penoso.


E davvero la psicoanalisi freudiana altro non è che un lungo, doloroso e inutile processo da subire e che non giunge da nessuna parte, se non nello stesso vicolo cieco in cui il paziente già si trovava all’inizio del trattamento. Anzi, con ogni probabilità alla fine del processo la persona starà peggio, non avendo risolto davvero i suoi problemi, trattati nella stessa ottica che li ha evidentemente generati. Infatti è come dire stai male perché sei colpevole e te lo meriti. La colpa è tua e di nessun altro, perché non è assolutamente contemplato che qualcun altro possa averti fatto del male, sì da giustificare il tuo disagio psicologico. E il senso di colpa infatti altro non è che un tragico sentimento che il paziente ha già appreso nella sua infanzia e che prese allora il posto dei suoi sentimenti autentici di paura, disperazione e rabbia, conseguenti ai maltrattamenti subiti proprio dalle figure di accudimento, prepotentemente rimossi perché troppo dolorosi da sopportare per un bambino.

Non si può curare il senso di colpa amplificando e rafforzando il senso di colpa, ma solamente eliminandolo del tutto a vantaggio della riscoperta e dell’accettazione del Vero 1.

La Psicoanalisi dunque “mette il dito nella piaga” della persona invece di “disinfettarla e ricucirla”. In questo senso trovo efficace la frase di Albert Einstein quando sostiene che “È impensabile cercare soluzioni con lo stesso modo di ragionare che ha creato il problema”. E quanto mai esauriente e definitiva trovo l’espressione dello scrittore Karl Kraus “La psicanalisi è la malattia che la psicanalisi presume di guarire”.

È un atteggiamento che trovo assai pericoloso. Tempo fa parlai a un collega freudiano di una ragazza che conoscevo che era stata picchiata a sangue dal fidanzato; raccontai l’episodio senza nascondere la mia sofferenza. L’unica cosa che questo collega riuscì a dirmi fu: “Certo peròanche queste donne che si fanno picchiarese le cercano proprio”. No comment.


Alla base di questo processo contro il bambino e contro l’individuo c’è una spiegazione. Abbiamo già visto i simpatici aggettivi con cui lo scrittore austriaco definisce il bambino, ma credo ci sia un sostantivo che li riassume tutti, un sostantivo che è stato così importante per l’autore da non poterlo non associare all’infanzia e che giustifica in qualche modo la necessità del processo: “cacca”.

In diversi passaggi delle sue opere l’autore sottolinea molto il fatto che il bambino “secondo una delle teorie sessuali infantili, viene acquisito mangiando e partorito attraverso l’intestino2. E “Il fatto di non conoscere la vagina consente inoltre al bambino di credere anche nella seconda delle sue teorie sessuali. Se il bambino cresce nel corpo della madre e ne viene poi espulso, ciò può avvenire soltanto attraverso l’unico percorso disponibile costituito dall’apertura anale. Il bambino deve venir evacuato come un escremento, come feci”3. E ancora “[…] secondo la teoria sessuale infantile, un bambino è una ‘tattetta’ [‘cacchetta’, N.d.A.] […]4 o “il bambino non era ancora così lontano dalle proprie inclinazioni costituzionalmente coprofile5; non era in alcun modo degradante venire al mondo come un mucchio di feci che il disgusto non aveva ancora condannato”6.


In buona sostanza quello che ci vuole insegnare Freud è che il bambino di cento anni fa, per rispondere alla fatidica domanda infantile sul “come nascono i bambini”, abbia creato una sua risposta secondo la quale i bambini nascono dall’ano e per questo sono partoriti come fossero feci. Non so voi, ma io mi ricordo che da bambino non mi ponevo minimamente questi quesiti esistenziali, i miei unici pensieri erano Bim Bum Bam, l’Uomo Tigre e Gig Robot d’acciaio. Avrò certo fatto ai miei genitori anch’io questa domanda, ma la cicogna fu per me una risposta più che convincente.


In questo passaggio l’autore supera se stesso:

Tutte e tre le cose, la colonna di feci, il pene e il bambino, sono corpi duri, che entrando o uscendo eccitano un condotto mucoso (il retto e la vagina che è per così dire presa a nolo dal retto […])7.

Cosa significa questo passaggio? Il bambino è come un pene e come le feci? C’è inevitabilmente una stimolazione sessuale in comune tra penetrazione ed espulsione vaginale/anale, sia rispetto al sesso e alle funzioni escretorie, sia rispetto al senso stesso della vita e cioè alla nascita di un bambino?

In tutto il modello freudiano non si parla altro che di peni, vagine, ani, masturbazione, incesto, urina, feci… Un lettore poco attento potrebbe pensare si stia parlando della sceneggiatura di un film a luci rosse di serie B, ma in realtà si sta parlando del bambino. Incredibile! Come si può parlare del bambino, esaurendone la comprensione, trattando di sesso? È la “normale” associazione di questi due mondi, così diversi e così diametralmente opposti, infanzia e sesso, a spaventare parecchio.

Freud ci dice che i genitori di questi bambini spiegavano loro la teoria sessuale della cicogna che porta il bambino ai genitori, ma che

un numero di bambini assai più grande di quello che i genitori non suppongano è insoddisfatto di questa soluzione e solleva contro di essa vigorosi dubbi, anche se non sempre apertamente ammessi8.
In un altro passaggio l’autore ci dice che i bambini hanno una loro personale teoria anche rispetto al matrimonio. Teoria, anche questa volta, a mio parere molto strampalata e che racchiude in sé una qualche “sporcizia”, idea della quale palesemente Freud non riesce proprio a fare a meno: “La concezione, che ho trovato più di frequente, è che ‘orinano l’uno davanti all’altra’; una variante, che sembra accennare simbolicamente a una conoscenza più estesa, è che ‘il marito orina nel vaso da notte della moglie’. Altre volte il senso del matrimonio è posto nel fatto che ‘ci si mostra a vicenda il didietro’ (senza provare vergogna). In un caso in cui l’educazione era riuscita a differire di un tempo particolarmente lungo la conoscenza sessuale, una ragazza di quattordici anni che già aveva cominciato ad avere le mestruazioni si fece, in base alle sue letture, l’idea che l’essere sposati consista in un ‘miscuglio del sangue’, e, poiché sua sorella non aveva ancora i suoi cicli, l’impudica cercò di assalire una visitatrice che aveva confessato di avere proprio allora i mestrui, al fine di costringerla a questo ‘miscuglio di sangue’9.
Se chiediamo ai nostri nonni ci diranno senz’altro che nella loro teoria sessuale infantile c’era già la cicogna e che mai hanno pensato di essere stati generati come feci. Lo stesso che abbiamo pensato noi da bambini e i nostri bambini oggi. Credo che la cultura europea dell’epoca fosse in questo senso molto vicina alla nostra; non è questione qui di culture affatto diverse, come gli aborigeni australiani o le tribù neoprimitive dell’Africa (ma anche in queste credo non si spieghi la nascita in termini di defecazione). Impossibile ci fossero così enormi differenze rispetto all’educazione sessuale dei bambini e al come intendessero la loro venuta al mondo.
Freud ci dice anche altro. Alcuni bambini arrivano vicino alla verità, qualora siano esposti alla cosiddetta “scena primaria” (che altro non è che il rapporto sessuale tra i genitori), ipotizzando di essere nati da un contatto fisico tra il padre e la madre. Secondo lui però il problema è che i bambini, vedendo l’atto sessuale, lo interpretano come una violenza di un genitore sull’altro, una sodomizzazione della madre da parte del padre. Nelle parole di Freud una “concezione sadistica del coito10. Il bambino dunque, oltre ad essere “cacca”, diventa inevitabilmente il “frutto di una scena violenta”. Anche qui ne scaturisce l’immagine di un bambino visto come “prodotto di scarto” di un’unione perversa (anale e violenta). In definitiva, io credo, un “bambino non voluto”.

Cosa può mai avere di buono un bambino siffatto? E perché creare una teoria e una cultura a suo favore se la sua natura è di siffatta specie?


Dove vogliamo arrivare? Il passaggio è molto semplice, ma è difficile riconoscerne l’esistenza e l’impatto: se il bambino nella teoria freudiana (o per meglio dire, nella teoria sessuale dei bambini creata da Freud e non da questi e dunque sì, nella teoria freudiana) è un “pezzo di cacca”, non è sbagliato dire per estensione che esso sia letteralmente “spazzatura”; il concetto non cambia. Ebbene, essendo i bambini per Freud della semplice spazzatura, egli ha pensato bene di creare e diffondere tutto un modello teorico e una cultura contro l’infanzia, per cercare di “ripulire” il mondo da questa spazzatura. Sono parole molto forti, ma credo rappresentino la logica conseguenza del ragionamento fatto fin qui.

Questo potrebbe essere il motivo per cui Freud ha “processato” l’infanzia e non ha mai utilizzato un solo, dico uno soltanto, aggettivo positivo per parlare dei bambini; mai una lancia spezzata in loro favore.

Gli adulti, i genitori invece, sono sempre descritti come pressoché perfetti, povere vittime degli attacchi sessuali e sadici dei bambini nei loro confronti.


La domanda successiva da porsi è: perché Freud ha deciso di parlare male dell’infanzia, di condannarla e di perseguitarla? Il perché è da ricercarsi probabilmente nella sua stessa infanzia, che tratterò in seguito.

Meravigliosa infanzia
Meravigliosa infanzia
Alessandro Costantini
Dalle menzogne di Freud alle verità sul bambino.Da una visione adultocentrica del bambino a una nuova cultura dell’infanzia, che vede nel bambino una ricchezza da proteggere e tutelare. Meravigliosa infanzia rappresenta una pietra miliare per tutte quelle persone (genitori, educatori, avvocati, psicologi, formatori) che a vario titolo si occupano di questa fase della vita, un libro che si impegna a demolire la pedagogia nera creata ad hoc “contro il bambino” per creare e diffondere una nuova cultura dell’infanzia, che vede nel bambino una ricchezza da proteggere e tutelare. La motivazione a scrivere questo libro parte infatti dalla necessità di far luce sul modo errato, superficiale e deleterio con cui si parla di bambini. È diffusa infatti una non-cultura dell’infanzia: il bambino è cattivo, il bambino mente, il bambino non va coccolato troppo…Una sorta di visione adultocentrica, basata sulla considerazione dell’infanzia non con gli occhi di un bambino, ma con il filtro distorcente dell’adulto stesso. Nella prima parte del libro, l’autore Alessandro Costantini, elabora una durissima critica a Freud e al suo perverso modello di comprensione dello sviluppo del bambino, ancora oggi molto diffuso, basato su “menzogne” senza alcuna validità scientifica e per questo estremamente dannoso per i bambini e per chi si occupa di loro. Freud avrebbe creato una cultura del bambino estremamente negativa, che si ritrova anche nell’educazione dei figli, nelle scuole, nei tribunali. L’intento è quindi quello di smantellare la clinica freudiana e il suo approccio contro il bambino. La seconda parte si focalizza invece su quelle “meravigliose verità”, scientificamente validate, che sottolineano la più completa innocenza e purezza del bambino e il suo primario bisogno di amore, protezione e adeguate cure genitoriali.Non viene spiegato “come” si fa il genitore, ma “chi” sia e quali siano le principali funzioni da svolgere per un sereno sviluppo infantile. Un piccolo mattone nella costruzione di una cultura bambino-centrica, che possa garantire ai bambini maggiore rispetto e comprensione dei loro bisogni e fragilità, ma anche delle loro numerose risorse e potenzialità. Conosci l’autore Alessandro Costantini, psicoterapeuta, è responsabile per il Lazio del Movimento per l’Infanzia. Da anni lavora come consulente tecnico di parte nei procedimenti per l’affidamento dei figli e nei casi di presunto abuso sessuale o maltrattamenti nei confronti dei minori. Si occupa di genitorialità e temi legati al maltrattamento infantile.