seconda parte - capitolo xi

La pedagogia nera e i falsi miti

Spesso, tra bambini e genitori, si invertono le parti.I bambini, che sono degli osservatori finissimi, hanno pietà dei loro genitorie li assecondano per procurare loro una gioia.

Maria Montessori

Alice Miller, psicoterapeuta ed ex-psicoanalista freudiana, utilizza il termine “Pedagogia nera”1 per indicare un approccio educativo basato sull’utilizzo di castighi, punizioni corporali, regole rigide, manipolazione, induzione di paure, sottrazione d’amore, isolamento, umiliazione, disprezzo, derisione e più in generale una relazione con il bambino che sia distaccata e mai troppo amorevole. L’autrice sottolinea come questa pedagogia venga in qualche modo razionalizzata, da chi la sostiene, con il fatto di essere messa in atto “per il bene del bambino”. In realtà, continua la Miller, l’unico vero bene che ne può scaturire è esclusivamente quello dei genitori stessi e mai, in nessun modo, quello del bambino.

Volendo riassumere il pensiero milleriano, la pedagogia nera si basa su alcuni concetti ben definiti:

  1. gli adulti sono i padroni (anziché i servitori) dei bambini che da loro dipendono;

  2. essi, atteggiandosi a dèi, decidono che cosa sia giusto o ingiusto;

  3. la loro collera deriva dai loro conflitti personali;

  4. essi ne considerano responsabile il bambino;

  5. i genitori vanno sempre difesi;

  6. i sentimenti impetuosi del bambino rappresentano un pericolo per il loro padrone;

  7. si deve “privare” il più presto possibile il bambino della sua volontà;

  8. tutto questo deve accadere molto presto affinché il bambino “non si accorga” di nulla e non possa smascherare gli adulti.


La pedagogia nera fornisce sin dal principio delle false informazioni che il bambino acquisisce a livello cognitivo ed emotivo e che si trasmetteranno poi di generazione in generazione. Eccone alcune:

  1. l’amore può nascere per senso del dovere;

  2. subire da piccoli ferite che nessuno considera tali;

  3. non reagire con ira al dolore;

  4. dimenticare tutto;

  5. i genitori meritano rispetto a priori proprio in quanto genitori;

  6. i bambini, a priori, non meritano rispetto;

  7. l’obbedienza fortifica;

  8. un alto grado di autostima è nocivo;

  9. un basso grado di autostima favorisce l’altruismo;

  10. le tenerezze sono dannose (amore cieco);

  11. è male venire incontro ai bisogni dei bambini;

  12. la severità e la freddezza costituiscono una buona preparazione per la vita;

  13. i genitori sono creature innocenti e prive di pulsioni;

  14. i genitori hanno sempre ragione.


Anche nei casi in cui l’adulto sia sinceramente convinto di agire per il bene del bambino, sostiene Alice Miller, in realtà in questo approccio pedagogico l’adulto soddisfa propri bisogni inconsci:

  1. trasmettere a qualcun altro le umiliazioni vissute in passato [una sorta di vendetta, N.d.A.];

  2. trovare una valvola di sfogo per gli affetti respinti;

  3. possedere un oggetto vivente sempre disponibile e manipolabile;

  4. conservare l’idealizzazione della propria infanzia e dei propri genitori, cercando attraverso la giustezza dei propri princìpi educativi una conferma di quelli dei genitori;

  5. paura del ritorno del rimosso, che si ripresenta nuovamente nel proprio figlio e che ancora una volta si deve combattere, dopo averlo già annientato in se stessi.


Credo che questo tipo di pedagogia sia ancora molto in auge oggi. Il problema è che troppo spesso appare in una forma velata, mascherata e dunque più difficile da percepire.

Appare inoltre in una forma professionale di “pseudo-scientificità” estremamente difficile da mettere in discussione, soprattutto per un non addetto ai lavori (psicologi, medici, educatori). Per dirla con Foti2, è una sorta di “maltrattamento invisibile” che, come una silenziosa goccia cinese, va a deteriorare lo sviluppo e la personalità del bambino. Non è un maltrattamento manifesto, eclatante, ma molto sottile e silente e per questo, io credo, ancora più pericoloso: è meglio vederlo chiaramente il male, piuttosto che subirlo senza rendersene conto e pensare che sia il bene.

Sono per fortuna lontani i tempi in cui, come abbiamo visto, si applicavano metodi che letteralmente tormentavano il bambino, come ampliamente descritto e suggerito per esempio dal pediatra D.G.M. Schreber nella seconda metà dell’800, in cui si consigliava al genitore di utilizzare veri e propri strumenti di tortura per educare i propri figli.


Rimane però di fatto un tipo di educazione che, come vedremo, nuoce gravemente alla salute psichica ed emotiva del bambino, benché spacciata per l’unica vera “educazione infantile” possibile.


I manuali a cui accennavo prima, per esempio, oltre a programmi televisivi tanto in voga in questi ultimi anni, nascondono a mio avviso i germi di una pedagogia nera, benché di fatto siano vendutissimi ed accessibili davvero a tutti. Hanno copertine accattivanti, spesso in piena contraddizione con i reali messaggi contenuti all’interno, e sono reperibili addirittura nei supermercati. I grandi numeri di vendite ci fanno pensare per logica a una triste realtà: c’è effettivamente un disperato bisogno dei genitori di farsi dire cosa e come fare per poter svolgere al meglio il proprio ruolo genitoriale.


L’aspetto inquietante di questi manuali parte già dal titolo: Neonati maleducati, Fate i bravi, Fate i compiti, Fate la nanna, Facciamola finita, Si fa come dico io, Manuale di sopravvivenza per neomamme, per finire in bellezza con l’ironico ma quanto mai agghiacciante Fai la nanna bastardo! Altri titoli di manuali ancora non pubblicati in Italia sono ancora più folli, non si sa se facciano più ridere o più piangere: Non temere di punirlo, Come correggere tuo figlio-senza sensi di colpa, Perché sono tua madre, ecco perché, La risposta è NO e via discorrendo…


Il prossimo in uscita potrebbe essere direttamente Bambini, non rompete i coglioni! oppure Maledetto il giorno che vi ho generato!

Si potrebbe iniziare con la ben nota Tata Lucia che, nei suoi libri e nella sua famosa trasmissione, sembra relegare la funzione di genitore all’unico ruolo dell’imporre un’educazione: in sostanza imporre regole in base alle quali, in un’ottica skinneriana3, stabilire premi e punizioni. Gli aspetti neri di questo approccio pedagogico sono legati alla visione del bambino come un essere capriccioso da correggere, da far crescere quanto prima, come ai tempi dell’antica Grecia e dell’antica Roma, quando l’infanzia era vista come un periodo inutile per l’individuo, da superare il più in fretta possibile per raggiungere l’età adulta, unico vero status degno di nota.


L’autrice4 rimarca per esempio l’importanza di sistemare fin dai primi momenti il neonato in una sua stanza, diversa da quella dei genitori e ci mette in guardia dal prendere il neonato in braccio a ogni suo minimo cenno di protesta. Nella sua trasmissione televisiva la tata osserva, come una sorta di orwelliano “Grande Fratello”, il comportamento di bambini e genitori, appuntando tutto e pronta a dare un voto. Mi sento angosciato quando vedo la casa riempita da regole affisse sui muri, davvero come il monito del romanzo di Orwell che, affisso nelle strade e nelle case, avvisa: “Il grande fratello vi guarda”. L’approccio di questa tata, è importante segnalarlo, ha ricevuto recentemente moltissime e durissime critiche da varie associazioni pediatriche e da associazioni legate alla tutela dell’infanzia.

Ma Lucia non è certo l’unica tata in circolazione. Da tempo in Italia vanno in onda su un canale satellitare molto seguito alcune serie americane, con tate americane che per certi aspetti sono anche peggiori di quella italiana. In particolare c’è una certa Jo Frost che incarna a mio avviso l’emblema della pedagogia nera. Mi è rimasta impressa una puntata in cui prescriveva alla madre di un bambino molto piccolo, che le avrebbe disobbedito, di rinchiuderlo in uno sgabuzzino per la durata di un minuto per ogni anno di età. Atroce!


Ci sono poi alcuni autori che vanno ben oltre questi suggerimenti, andando a inficiare seriamente quello che credo rappresenti uno dei significati profondi della nostra esistenza e cioè la relazione tra genitori e figli nei primi anni di vita.

Ecco alcuni esempi:

Si possono ottenere risultati solo se si è capaci di instaurare un rapporto che riesca a convertire l’inevitabile frustrazione del piacere immediato in obbedienza a ciò che ‘impone’ il genitore […]”, oppure “sottoporre il bambino a frustrazioni non vuol dire di per sé sottoporlo a traumi irreversibili che lo condanneranno a malesseri gravi nella vita adulta. Anzi. Una ‘giusta’ dose di frustrazioni lo aiuterà a crescere, a fare i conti con la realtà, che porrà sempre problemi conflittuali tra ciò che desideriamo e ciò che possiamo. È però il genitore che spesso non regge alla prova di fronte a un bambino che piange, strepita, si dispera, urla5.

Si parla di bambini “antipatici”, di genitori che sbagliano a utilizzare le “coccole”, perché non lo fanno per il bambino, ma per una loro grave incapacità di imporre delle regole.


Questo testo trasuda a mio avviso un vero e proprio disprezzo verso i bambini, palese per esempio in questo passaggio:

E non sarebbe poi meglio che i figli pensassero anche che ogni tanto i genitori si divertono facendo cose ‘da grandi’, proprio perché e quando loro non ci sono? Non è giusto fargli credere che tutto ciò che è ‘senza di loro’ è fatica, brutto e noioso […].

In realtà, stiamo vedendo, il bambino ha bisogno proprio di sentirsi al centro dell’attenzione dei suoi genitori, pena un senso di annientamento psicologico ed esistenziale. Sempre questo l’autore:

L’ultima, ma non minore, antipatia è quella di quando si ritrovano esortati e autorizzati a fare lo spettacolino, con noi, impossibilitati a fuggire, costretti a fare da spettatori. Non mi riferisco tanto al classico, ormai antico ‘Fai ciao con la manina!’ o alla recita della poesia di Natale (tortura storica, che è toccata un po’ a tutti […]. Parlo piuttosto dell’antipatia di cene dopo cene immancabilmente trascorse a parlare solo di loro, a far parlare solo loro, ad analizzare e approfondire solo ciò che fanno loro […] quando noi ospiti, ormai stremati, possiamo finalmente liberarci, salutare e ringraziare per la splendida serata.

Il bambino è dunque visto come un adulto in miniatura, egoista, narcisista, con gli stessi bisogni dell’adulto e ci si relazione con lui proprio come con un adulto: lo si disprezza, lo si umilia, non se ne riconoscono i bisogni profondi di amore, attenzione, conferma e si dà per scontato che voglia solo consapevolmente rovinare la vita agli adulti.

Altri autori come R. Albani6 vedono nel bambino un soggetto attivo che ha un grande “potere”, un potere di cui è consapevole e che utilizzerebbe in modo distruttivo contro i suoi genitori per ottenere soddisfazione immediata ai propri bisogni istintuali. Un potere di cui il bambino abusa sin dai primi mesi di vita. Si parla del rapporto tra genitori e figli come di una “guerra” in cui spesso e volentieri è proprio il bambino a vincere, sapendo utilizzare al meglio il proprio armamentario bellico:

I bambini, anche in tenerissima età, non sono affatto gli esseri indifesi che sembrano, ma, nel contesto del rapporto d’amore con i genitori, posseggono mezzi perfettamente adeguati per ottenere ciò che desiderano […]. Anzi, se non limitati con fermezza, sono in grado di conquistare agevolmente una posizione di predominio nella famiglia.

Nel loro armamentario rientrerebbero, secondo l’autore, l’essere “polemico”, “manipolatore” e “ricattatore”. Tutti requisiti, io credo, tipici invece dell’adulto, consapevole di ciò che è e di come ottenere ciò che vuole, e lontani anni luce invece dalla mentalità semplice e fragile del bambino. Non si parla di amare il bambino, di comprenderlo, di proteggerlo, che come abbiamo già visto rappresentano l’essenza dell’essere genitori, ma di “dargli qualche delusione già entro le prime settimane di vita”, frustrando i suoi bisogni, che altro non sono che ‘capricci’ e facendogli capire subito chi è che comanda. Ma questo, è ovvio, sempre e solamente per il bene del bambino.


Con una visione del bambino così negativa, diventa normale dare credito a tutte quelle teorie centrate su regole, castighi, punizioni corporali.


L’importante dunque sembrerebbe essere solo il punire. Di recente ho scoperto con mio grande stupore che in alcune scuole elementari la maestra è solita non mettere direttamente la nota sul diario del bambino, ma di scrivere alla madre del bambino invitandola a scrivere lei stessa la nota al figlio. Lo trovo agghiacciante. Si crea così una collusione maligna tra maestra e madre che si ripercuote sulla fiducia che il bambino può riporre negli adulti: non sono solo io che ti punisco perché sei cattivo, ma è d’accordo anche tua madre. Siamo due contro uno. Sei senza ombra di dubbio un bambino cattivo.

Albani7 ritiene che l’educazione dei bambini possa e debba passare anche attraverso l’uso delle percosse, visto che “è enormemente esagerato affermare che, picchiando un figlio, si rischia sempre di danneggiarne la personalità o di spingerlo a essere a sua volta violento”.


E invece è esattamente quello che succede: si rimettono in atto da adulti quegli stessi comportamenti e atteggiamenti che per primi, da bambini, abbiamo vissuto e subìto. Alice Miller ha sapientemente dimostrato proprio questo, analizzando per esempio a fondo le biografie di grandi dittatori della storia, come Hitler, Stalin e Ceausescu:

le violenze subite nell’infanzia vengono “inconsapevolmente” rimesse in atto su terzi una volta diventati adulti. Questo è l’unico motivo della violenza, non c’è di fatto alcun valore pedagogico.

Anche autori ben noti come G. Gabbard8 e N. McWilliams9 descrivono in lungo e in largo come esperienze traumatiche nell’infanzia possano creare un disagio psicologico più o meno grave in età adulta. J. Bowlby10 ha studiato sul campo le reazioni emotive e comportamentali dei bambini ai differenti stili di accudimento genitoriale e dimostrato che, una volta adulti, quegli stessi bambini utilizzeranno uno stile relazionale più o meno disfunzionale, introiettato nell’infanzia e automaticamente applicato alla vita adulta.


Nello specifico, molti studi dimostrano le gravi conseguenze psicologiche delle punizioni corporali (schiaffi, sculacciate, utilizzo di oggetti per colpire il bambino) inferte al bambino11. Nel 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un rapporto sulla violenza educativa e le gravissime ripercussioni, a breve e a lungo termine, a carico dell’individuo che ne è vittima. Tra queste conseguenze troviamo: depressione, angoscia, deficit intellettivi, problemi scolastici e di socializzazione, disturbi alimentari e del sonno, problemi psicosomatici, tendenze suicide, autolesionismo. Dal rapporto emerge anche una connessione strettissima tra la violenza subita da piccoli e quella poi perpetrata sugli altri una volta adulti. Per esempio è dimostrato come l’aggressività parentale nei confronti del bambino ne aumenti, una volta adulto, il rischio di condanne per violenza e di violenza nei confronti del partner e dei propri figli12.


D’altronde, a pensarci bene, quando un adulto picchia un altro adulto, questo si configura come reato. Perché se un adulto picchia un bambino, non solo non è considerato reato, ma viene fatto passare come un “metodo educativo?”. In questo senso trovo di grande valore le parole della Montessori13:

Eppure si sono aboliti i castighi corporali per gli adulti, perché avviliscono la dignità umana e sono una vergogna sociale. Ma esiste villania maggiore dell’offendere e battere un bambino? È evidente che la coscienza dell’umanità è sommersa in un sonno profondo.


Nell’ennesimo libro su come far dormire i propri bambini si legge:

Non più considerare il vostro pupo come un agnellino dolce e paffuto da lenire e blandire, ma come quello che la scienza e l’esperienza ci insegnano essere: un vero perverso polimorfo, come dice Freud. Uno cui non frega niente se voi non dormite, anzi che ci gode, a non farvi dormire. Un egoista assoluto, un tiranno senza pietà, dedito solo ed esclusivamente al suo proprio piacere. Un piccolo mostro. […] è una battaglia da combattere faccia a faccia e con le stese armi del nemico: l’astuzia, la furba malizia, l’inganno, qualche volta anche la necessaria crudeltà14.

Non metto in dubbio che nel libro si sia voluto utilizzare un linguaggio ironico e provocatorio, ma i messaggi sull’infanzia che ne emergono sono infondati e soprattutto deleteri. I concetti di “perversione” e “crudeltà” sono evidentemente mutuati dalla letteratura freudiana che, come abbiamo visto, nessun contributo scientifico ha dato alla comprensione dello sviluppo infantile, creando invece solamente falsi miti che ancora oggi, ahimè, permeano la nostra (non) cultura dell’infanzia.


Inoltre, un’ironia del genere rapportata all’infanzia credo sia di cattivo gusto. Un po’ come accade nelle trasmissioni di “papere in tv”, dove per esempio un padre continua a riprendere con la telecamera il proprio bambino e a ridere di gusto, nonostante questo sia caduto dalla sedia, si sia fatto male e stia piangendo disperato in cerca di un soccorso: per me è una stupidaggine, non è successo nulla al bambino, deve viverlo così anche lui, è divertente, si dice il genitore dall’alto del suo codice pedagogico.


Tanto si è detto anche sul pianto del bambino. Secondo il filone pedagogico di cui sopra, moltissime volte il pianto non sarebbe un indicatore di reale disagio, ma solo un capriccio, una modalità manipolatoria che il bambino utilizza per attirare l’attenzione su di sé anche in assenza di una evidente necessità.

Naturalmente esistono anche i capricci, ma di solito quando un bambino molto piccolo piange, lo fa per esprimere un vissuto di disagio che va sempre preso molto sul serio.

Non padroneggiando ancora il linguaggio e non avendo ancora una struttura di personalità ben definita, il bambino utilizza il pianto come unico canale di comunicazione a lui noto e per il quale è programmato geneticamente.

Il pianto ha infatti una funzione adattativa, permette cioè al bambino di mostrare il suo bisogno di aiuto e di attivare nell’adulto una risposta di cure parentali, anche questa programmata. M. Sunderland e J. Panksepp15 hanno raccolto circa ottocento ricerche che dimostrano i danni psicologici e neurologici del pianto prolungato nel bambino. Ottocento studi scientifici! Occorre aggiungere altro? La massima espressione della pedagogia nera la troviamo però in un autore spagnolo, E. Estivill che, nel suo libro Fate la nanna16, arriva perfino ad associare il bambino appena arrivato in famiglia ad un “oggetto”, il cui libretto di istruzioni è rappresentato dal suo metodo che, a detta dell’autore, sarebbe efficace nel 96% dei casi. È un metodo che nasce per far addormentare i bambini, o meglio per permettere ai genitori di dormire. L’insonnia del neonato, infatti, è secondo l’autore solo uno degli “orrori domestici” a cui i genitori devono sottostare per colpa del bambino, in aggiunta a coliche, prima dentizione, deambulazione e quant’altro. Ecco allora che il suo illuminante metodo risolve definitivamente il problema del nostro bambino, che proprio non ne vuole sapere di prendere sonno. Senza entrare nei dettagli, basti sapere che questo metodo è molto tecnico: si comincia con una fase, per poi passare alle altre; l’autore indica cosa fare, come farlo, per quanto tempo farlo… il risultato è garantito! Provate ad andare su internet e a digitare “Metodo Estivill” e vedrete che i video varranno più di mille parole.

Ebbene, cosa ne pensate? Che effetto vi fa? Io personalmente lo trovo agghiacciante, a stento riesco a trattenere le lacrime pensando a quanta sofferenza quel povero bambino deve provare. Sofferenza e frustrazione che, a detta dell’autore, è normale e salutare per il bambino. Mi colpisce anche l’angoscia della povera mamma che è evidentemente in uno stato confusionale, di ambivalenza; fa quello che l’esperto le dice, ma emotivamente non regge, percepisce il dolore del suo piccolo. Un metodo dunque che nuoce al bambino, ma credo anche al genitore che lo mette in atto, perché va a snaturare una sana e serena relazione tra genitore e figlio.


È importante sapere che se il bambino, ignorato dai genitori, alla fine si addormenta, questo non rappresenta altro che la scoperta dell’acqua calda: in etologia questo fenomeno si chiama “tanatosi”, ossia il modo con cui l’animale predato simula di essere morto per evitare di essere divorato dal predatore. Il bambino dunque non si addormenta perché ha sonno ed è finalmente tranquillo, ma perché è come se il suo istinto gli dicesse “la minaccia (buio, solo nella stanza, genitori non protettivi) è troppo grande per te, non puoi sconfiggerla, arrenditi e fingiti morto”. È lo stesso meccanismo emotivo inconscio che troviamo per esempio alla base della depressione. Il bambino che si addormenta in questo modo è un bambino terrorizzato, depresso, che vivrà nel terrore (ansia, attacchi di panico, insicurezza) anche da adulto. In tempi recenti tutto il mondo si è scandalizzato per la sconcertante verità legata all’educatore di cani César Millan il quale, per educare gli animali all’obbedienza, li maltratta con violenti calci e percosse. Io sono un amante degli animali e sono felice di queste nostre reazioni di disgusto di fronte a simili maltrattamenti. Mi domando però: possibile che non riusciamo a provare lo stesso disgusto per i metodi coercitivi proposti e utilizzati contro i nostri bambini? Il metodo di Estivill, tate e quant’altro sui bambini, è forse così lontano da quello di César Millan sui cani? Estivill dedica alcune righe anche ai “movimenti autocullanti” del bambino, cioè quei movimenti di dondolamento che il bambino mette in atto da solo per addormentarsi. Secondo l’autore sono comportamenti infantili normali, che non devono mettere in apprensione il genitore. In realtà essi rappresentano un mezzo che il bambino ha per fare da sé ciò che qualcun altro dovrebbe fare per lui: essere cullato, coccolato e protetto, soprattutto in un momento così delicato e fragile come quello del sonno, in cui il bambino è totalmente inerme. Una sorta di “movimento transizionale”, per dirla con Winnicott, che va a sostituire il cullare materno. Una mamma “naturale” culla il proprio piccolo per farlo addormentare, non lo lascia da solo in un lettino lontano da sé, a tal punto da metterlo nella condizione di cullarsi da solo. Altro che comportamento normale!

C’è però una buona notizia: di recente Estivill, dopo aver ricevuto durissime critiche e svariate denunce, ha fatto un passo indietro, ammettendo che il suo metodo non è valido e che rischia di danneggiare seriamente il sano e naturale sviluppo psicologico ed emotivo del bambino. Nel suo ultimo libro17, inoltre, non si fa per fortuna più riferimento al perverso metodo per far addormentare i bambini, che ha invece lasciato spazio a un approccio più sereno e rispettoso di quello che è realmente il mondo del bambino, con i suoi bisogni, le sue fragilità, i suoi tempi.
Ben vengano i ripensamenti e i passi indietro, se questi portano ad una maggiore comprensione dell’infanzia e a un approccio che sia sempre e comunque “dalla parte del bambino”. Ma i danni ormai inferti ai bambini e ai loro genitori, chi li ripaga?

Tutti gli autori fin qui citati peccano inoltre di alcune errate convinzioni:

a) confondono la causa con l’effetto: il bambino che piange, per esempio, non è capriccioso, ma il suo pianto altro non è che una conseguenza di un deficit delle cure genitoriali. Così il bambino che richiede molto affetto, non è un bambino “appiccicoso”, ma uno che evidentemente non sta ricevendo dai suoi genitori la giusta dose di affetto. Questi autori sostengono che il bambino troppo coccolato diventerà poi un “mammone” o addirittura un “narcisista” o un “criminale”, ma la ricerca scientifica dimostra proprio il contrario: un bambino amato crescerà più autonomo e più sicuro di sé e della relazione con gli altri. Il cosiddetto “narcisista”, per esempio, è al contrario colui che ha ricevuto poche attenzioni da bambino e, da grande, in una sorta di idealizzazione compensatoria, si convincerà di essere speciale e di meritare attenzione, quell’attenzione che proprio da piccolo ha ricercato e non trovato nei suoi genitori. Ricordiamoci che tanto più ricerchiamo qualcosa, tanto più manifestamente questo qualcosa ci è mancato. E non il contrario.


b) sembra che i genitori di oggi siano tutti “mollaccioni”, pronti a rispondere ad ogni minima richiesta del loro bambino e che per questo necessitino di imparare ad educare i loro figli. Ma è davvero questo ciò che vediamo nelle famiglie di oggi? A me, senza voler generalizzare, sembra esattamente il contrario. E se anche ci fossero (e fortunatamente ce ne sono) genitori davvero competenti, ecco che arriva puntuale e feroce la critica dei pedagoghi neri!


c) sembrano non rendersi conto che è molto più semplice per un genitore dire di “no”, piuttosto che cercare una relazione con il bambino e mettersi in discussione. Ferire un bambino è davvero la cosa più semplice del mondo; comprenderlo invece è molto più difficile. La battaglia del bambino con noi adulti è per lui una battaglia persa ancora prima di cominciarla. Non dobbiamo punirlo, né difenderci da lui, ma provare a guardare il mondo con i suoi occhi.

d) probabilmente a livello inconscio i sostenitori della pedagogia nera non hanno loro per primi elaborato e superato le sofferenze e i conflitti legati alla loro infanzia. Dice infatti D. Stern che nei confronti del bambino “le risposte dell’adulto dipendono, in gran parte, dal trattamento che egli stesso ha ricevuto durante l’infanzia, ovvero dalla interpretazione che i suoi genitori hanno dato, a loro volta, dei suoi sentimenti e del suo comportamento18.


Il cosiddetto bambino “viziato”, sostiene D. Morris19, non è quello che è stato amato, preso in braccio e protetto, ma quello che non ha ricevuto tutto questo. È quest’ultimo invece che è “viziato” nel senso che viene “forzata” la sua normale espressione e il suo normale sviluppo. È dunque la definizione esattamente opposta a quella che viene data di solito.

Meravigliosa infanzia
Meravigliosa infanzia
Alessandro Costantini
Dalle menzogne di Freud alle verità sul bambino.Da una visione adultocentrica del bambino a una nuova cultura dell’infanzia, che vede nel bambino una ricchezza da proteggere e tutelare. Meravigliosa infanzia rappresenta una pietra miliare per tutte quelle persone (genitori, educatori, avvocati, psicologi, formatori) che a vario titolo si occupano di questa fase della vita, un libro che si impegna a demolire la pedagogia nera creata ad hoc “contro il bambino” per creare e diffondere una nuova cultura dell’infanzia, che vede nel bambino una ricchezza da proteggere e tutelare. La motivazione a scrivere questo libro parte infatti dalla necessità di far luce sul modo errato, superficiale e deleterio con cui si parla di bambini. È diffusa infatti una non-cultura dell’infanzia: il bambino è cattivo, il bambino mente, il bambino non va coccolato troppo…Una sorta di visione adultocentrica, basata sulla considerazione dell’infanzia non con gli occhi di un bambino, ma con il filtro distorcente dell’adulto stesso. Nella prima parte del libro, l’autore Alessandro Costantini, elabora una durissima critica a Freud e al suo perverso modello di comprensione dello sviluppo del bambino, ancora oggi molto diffuso, basato su “menzogne” senza alcuna validità scientifica e per questo estremamente dannoso per i bambini e per chi si occupa di loro. Freud avrebbe creato una cultura del bambino estremamente negativa, che si ritrova anche nell’educazione dei figli, nelle scuole, nei tribunali. L’intento è quindi quello di smantellare la clinica freudiana e il suo approccio contro il bambino. La seconda parte si focalizza invece su quelle “meravigliose verità”, scientificamente validate, che sottolineano la più completa innocenza e purezza del bambino e il suo primario bisogno di amore, protezione e adeguate cure genitoriali.Non viene spiegato “come” si fa il genitore, ma “chi” sia e quali siano le principali funzioni da svolgere per un sereno sviluppo infantile. Un piccolo mattone nella costruzione di una cultura bambino-centrica, che possa garantire ai bambini maggiore rispetto e comprensione dei loro bisogni e fragilità, ma anche delle loro numerose risorse e potenzialità. Conosci l’autore Alessandro Costantini, psicoterapeuta, è responsabile per il Lazio del Movimento per l’Infanzia. Da anni lavora come consulente tecnico di parte nei procedimenti per l’affidamento dei figli e nei casi di presunto abuso sessuale o maltrattamenti nei confronti dei minori. Si occupa di genitorialità e temi legati al maltrattamento infantile.