seconda parte - capitolo x

Genitorialità:
quando l'attaccamento
incontra la cura parentale

Il mondo non lo abbiano ereditato dai nostri padri,ma lo abbiamo preso in prestito dai nostri figli.

Proverbio Navajo

…perché una prima infanzia custodita, protettaè il fondamento per un’età adulta accompagnata dal successo.Non è contemplabile la possibilità che un bambino sia amato troppo.

D. Morris

Mai come in questi ultimi anni si sente così tanto parlare del tema della genitorialità. È un concetto estremamente importante e complesso, che tuttavia molto spesso viene trattato in modo semplicistico, errato e deleterio. Una genitorialità spesso relegata alla semplice e ingenua domanda “cosa devono fare dei bravi genitori?”. E qui giù tutta un’interminabile serie di regole, punizioni, modelli educativi e luoghi comuni snocciolati sinteticamente da presunti professionisti del settore.


Dilaga infatti il boom di libri, veri e propri manuali d’istruzioni per genitori e neo-genitori. La formula è molto semplice: se hai difficoltà nell’educare il tuo bambino, segui queste brevi e semplici regole e il gioco è fatto!


Non nascondo la mia perplessità e la mia sfiducia nei confronti di un approccio così semplicistico e preconfezionato a un tema invece così complesso e delicato come quello del rapporto genitori-figli e più in generale dell’infanzia. Troppo si è parlato, si è straparlato, troppo poco si è realmente compreso ciò di cui il bambino ha davvero bisogno e dunque ciò che un genitore deve mettere in atto per rispondere alle sue esigenze.


Il concetto di genitorialità è comprensibile solo in rapporto al concetto di attaccamento.

Comprendere cosa significhi essere genitori implica necessariamente la comprensione di cosa significa essere bambini e figli. Sono convinto che non “si fa” il genitore, ma “si è” un genitore.

E la distinzione non è solo accademica. Si è mai visto un animale, in particolar modo un mammifero (e noi siamo mammiferi), o ancora meglio uno scimpanzé chiedere spiegazioni su come prendersi cura del proprio cucciolo? Si è mai visto in natura una tata pelosa con caschetto biondo insegnare ai cuccioli a fare i bravi e ai genitori ad essere dei bravi genitori? Credo proprio di no.


Con questo voglio dire solamente che ciò che viene richiesto ad un genitore rispetto alla presa in cura del proprio piccolo, è tutto già scritto nei nostri geni.


Un genitore (mi riferisco a genitori medi non patologici; qui infatti si aprirebbe tutto un altro capitolo sul maltrattamento subìto nell’infanzia che viene poi reiterato a sua volta sui propri figli) sa già come comportarsi con i propri figli piccoli, basta seguire il proprio istinto. Questa non deve essere vista come una brutta parola, ma anzi rappresenta il normale e naturale corso che la genitorialità dovrebbe seguire se qualcuno o qualcosa non si frapponesse tra genitori e bambini.

D. Winnicott1 sostiene proprio questo: “Accadrà spesso che persone sconsiderate cerchino di insegnarvi come fare le cose che voi siete in grado di fare meglio di quanto chiunque possa mai insegnarvi a fare. È mia opinione che non ci sia bisogno di dire alle madri che cosa devono fare o come devono essere. Ciò che possiamo fare è non interferire”. Alice Miller si è battuta tutta la vita per creare un movimento “anti-pedagogico”, perché ha sempre considerato inutile e deleteria qualsiasi forma di pedagogia volta all’imposizione dell’adulto sul bambino.


K. Lorenz2 coniò il concetto di “imprinting” per sottolineare il fatto che un individuo alla nascita si “attacca” al “primo oggetto di cura” con cui entra in relazione (a Lorenz si attaccò l’oca Martina). È un processo spontaneo, programmato geneticamente, finalizzato alla sopravvivenza della specie. Il bambino, infatti, non ha alcuna possibilità di sopravvivere senza l’accudimento del genitore, da solo non può nulla, è totalmente inerme.

L’imprinting nell’uomo è collegato a un processo cerebrale che dura circa trentasei mesi chiamato “sinaptogenesi” e che rappresenta la piena formazione dei collegamenti sinaptici, più semplicemente la maturazione di base del cervello. Come sappiamo, infatti, nell’uomo si parla di “esogestazione” per indicare come i nove mesi di vita intrauterina non siano sufficienti al feto per svilupparsi completamente. Una grossa parte del cervello, con annesse tutte le su funzioni, si sviluppa dopo la nascita.

E a chi spetta far sì che il tutto proceda per il meglio? Chiaramente ai genitori.

L’imprinting infatti è un processo irreversibile, che dura tutta la vita. È legato alla memoria che farà da riferimento per le future esperienze relazionali: svilupperemo una personalità e faremo delle scelte relazionali proprio in base a quanto abbiamo “appreso” su di noi e sul mondo circostante nei primissimi anni della nostra vita.


L’attaccamento è un comportamento innato, il primo a essere messo in atto dal bambino già al momento della sua nascita e serve per mantenere vicini un individuo totalmente immaturo e un individuo totalmente maturo che svolga per il primo le funzioni che questo non è in grado di svolgere da solo per la propria sopravvivenza. Lo scopo ultimo dell’attaccamento è dunque quello di essere protetti dalle minacce del mondo circostante (ieri predatori, oggi incidenti, malattie, pedofili, pericoli in generale).


Come dimostrano i precedenti studi pioneristici, il “cucciolo” non ricerca solo la soddisfazione di bisogni fisiologici primari (fame, sete, sonno, addirittura “sesso” secondo la teoria freudiana), ma prevalentemente è mosso dalla ricerca di protezione e di relazione.


Questa breve digressione per sottolineare come la genitorialità debba essere intesa rispetto al proteggere e all’amare chi abbiamo messo al mondo, dal momento che da solo non può farlo.


In questo senso credo che i genitori, nei primi anni di vita del bambino, rappresentino a tutti gli effetti un “corpo in comodato d’uso ai propri figli”. Il genitore è agevolato in questo, perché è la natura stessa del bambino che lo spinge alla ricerca di protezione, unico vero comportamento per lui fondamentale. La natura infatti ha donato al bambino una serie di “caratteristiche” specifiche che gli permettono di riuscire in questo suo intento:

  • a) la “configurazione infantile”: testa e occhi grandi, pelle liscia, movimenti goffi, rotondità. Tutte caratteristiche del bambino che attraggono il genitore verso di sé;

  • b) l’attenzione del bambino “focalizzata” sul viso della madre, sia a livello visivo, sia a livello acustico: “Ehi, io sono qui, mi vedi?”;

  • c) il “sorriso ammaliante”: anche nei bambini nati ciechi, a dimostrazione del fatto che il sorriso rappresenta un comportamento non appreso, ma innato, che ha l’unico scopo di avvicinare a sé il genitore;

  • d) il “pianto” come richiesta di attenzioni: chi può rimanere impassibile di fronte al pianto di un bambino?

Il bambino perciò fa di tutto per poter essere protetto dai genitori, massimizzando l’utilizzo degli “strumenti comportamentali” in suo possesso per attirare la loro attenzione.

È inoltre dotato di risposte innate che mettono in risalto proprio questo suo bisogno di attaccamento:

  • a) il “riflesso di presa”: lo stringere le dita al semplice passaggio di un dito per esempio;

  • b) il “riflesso di Moro”: il bambino sollevato tende ad aggrapparsi al genitore per non cadere;

  • c) il “riflesso di suzione”: il tendere a succhiare appena ci si avvicina intorno alla bocca con la mano o con un oggetto;

  • d) il “riconoscere” l’odore materno (anche al buio). E la madre riconosce quello del figlio.

Insomma, il bambino molto piccolo non fa altro che dire: “Ehi sono qui! Mi raccomando non distrarti da me! Ho bisogno di te, senza te non vivo!”. Lo fa, ripeto, perché programmato per farlo. Non sa probabilmente fare altro, ma questo gli riesce davvero bene!

Cosa deve fare allora un genitore per essere un bravo genitore?


Semplicemente rispondere con il suo naturale amore, che si tradurrà in “adeguate cure parentali” come risposta alle richieste e ai bisogni del bambino. È sicuramente molto impegnativo e faticoso, ma il cosa fare è tutto qui. Per le regole e l’educazione, sicuramente importanti, ci sarà tempo.


Invece il come fare non ce lo può insegnare davvero nessuno, ce l’abbiamo già dentro di noi. Credo che una volta stampati bene in mente quei pochi fondamentali e universali passaggi di cui sopra, il più è fatto. La modalità per tradurre tali concetti (scientifici) in strategie genitoriali è a vostra libera espressione.


S. Agostino diceva “Ama e fai quello che vuoi”: ebbene, amate incondizionatamente i vostri piccoli bambini, fate quello che vi sentite di fare, il come farlo sta a voi. Ognuno di noi, infatti, ogni bambino, ogni relazione genitori-figli rappresenta una realtà unica e irripetibile.

Ho sempre avuto un grande fiducia nell’essere umano, nel suo cuore e nella sua intelligenza e sono perciò convinto che ognuno di noi è potenzialmente in grado di vivere nell’amore e nel rispetto degli altri. Nella testa e nel cuore di ognuno di noi, se lo vogliamo, troveremo incredibili risorse per svolgere al meglio, in modo naturale, il nostro ruolo di genitori.

Per i consigli legati alla nutrizione, alle malattie dell’infanzia, più in generale per tutto ciò che concerne la parte “fisico-medica” del bambino è evidentemente logico rivolgersi ad un medico-pediatra, ma per tutto quanto concerne la vostra relazione con il vostro bambino fate da voi.


Napoleone era solito dire ai suoi soldati che voleva che sulla punta dei loro fucili ci fosse un’“idea”. Ecco, sarebbe opportuno che ognuno di noi pensasse con la propria testa e con il proprio cuore a come relazionarsi con il proprio bambino, senza indottrinamenti o interferenze esterne.

Anche il genitore infatti, come abbiamo visto, è programmato geneticamente per reagire alle richieste infantili. Sappiamo che nella neomamma si innalza l’ossitocina, il cosiddetto “ormone dell’amore” o delle “coccole”, segno evidente che il nostro stesso corpo ci suggerisce di empatizzare di più con il nostro piccolo, di entrare in una “sintonizzazione affettiva3 con i suoi bisogni, perché di questo lui ha bisogno nei primi mesi di vita.


Benché ancora senza l’utilizzo del linguaggio, dunque, il bambino comunica a livello non verbale con i genitori e questi fanno lo stesso con lui, innescando una sorta di “valzer” che i due danzano. La madre, anche lei, è “programmata” per rispondere adeguatamente ai segnali e agli stimoli inviati da suo figlio.


Stern afferma a riguardo:

Quando avrete un bambino, vi troverete spesso nella condizione di agire senza tanto riflettere, facendo ricorso alle vostre doti istintive e sviluppando intuitivamente vari modi di tenerlo in braccio, toccarlo o produrre suoni che servono a sviluppare la relazione con lui. Ben presto giungerete ad accettare come parte del vostro nuovo assetto l’inattesa presenza di un repertorio di reazioni e di comportamenti istintivi mai esplorato in precedenza. Forse, prima dell’arrivo del piccolo, vi sforzavate di mantenere un controllo sulla vostra vita; […] Con un bambino, invece, gran parte del tempo se ne va in attività spontanee, che vi obbligano a pescare alla cieca nella vostra provvista di intuizioni per trarne la reazione più idonea, da utilizzare al momento4.

È quello che Stern definisce l’“assetto materno”: la neomamma automaticamente tenderà ad entrare in sintonia con i bisogni del proprio piccolo, a conoscerlo, ad anticiparne emozioni e comportamenti, ad attivare tutte quelle risorse fisiche, emotive e psicologiche per prendersi cura di lui.


Dello stesso parere Bortolotti rispetto alla “naturalità” del rapporto genitore-bambino:

Ogni genitore ha dentro di sé la maggior parte degli strumenti per crescere i figli ed è necessario essere disponibili a mettersi in gioco in prima persona5.

Aron6 parla di “due nascite” che avvengono con l’arrivo del nuovo membro della famiglia. Non nasce solamente il neonato, ma nasce anche la madre: si innescano una serie di cambiamenti emotivi e psicologici che spingono la donna a prendersi cura nel migliore di modi della propria prole.


Stern7 conia il concetto di “costellazione materna”: nella neomamma, a livello profondo, si attiva un processo psichico e affettivo che lega il proprio diventare mamma al come si è vissuta la propria madre e il proprio bambino a come si è vissuta la propria infanzia.


Quello del genitore non è dunque il ruolo di “colui che comanda e detta le leggi familiari”: “I genitori non sono i costruttori del bambino, ma i suoi custodi. Essi devono proteggerlo e curarlo in un senso profondo, come chi assume una missione sacra, che supera gli interessi e i concetti della vita esteriore8.

Sarebbe dunque più opportuno parlare di “funzioni” che il genitore deve svolgere per permettere un sano sviluppo del bambino. Vicentini9 individua varie funzioni genitoriali tra le quali, oltre a quella normativa legata alle regole sociali, importantissima è quella protettiva, legata all’attaccamento, quella predittiva, legata al ciclo di vita e ai compiti evolutivi specifici dello sviluppo del bambino, quella rappresentativa, cioè la funzione del genitore dell’“essere con” il bambino e quella significante, che si traduce nel dare una “cornice di senso” al bambino, un significato che il bambino ha per il genitore e che diventa per il bambino il significato stesso del suo esistere.


Guttentag e collaboratori10 sottolineano, tra le funzioni principali di un genitore, la capacità di rispondere alle richieste del bambino, la capacità di mantenere un’attenzione focalizzata e la capacità di donare calore affettivo.

Tutto quanto sopra descritto rientra a pieno titolo nelle “verità sull’infanzia”: per comprendere la realtà infantile non possiamo non prendere atto dell’importanza della relazione dei genitori con i figli e della complessità delle dinamiche psicologiche e affettive che vengono a instaurarsi al suo interno. Freud, abbiamo visto, ignorò totalmente la componente relazionale tra genitore e figlio, relegandola a mere spinte sessuali e sadiche del piccolo verso l’adulto e concentrandosi esclusivamente sul bambino. Non colse l’importanza del rapporto “bi-direzionale” tra i due protagonisti della relazione.


Un aspetto da non trascurare è che molti genitori, seppur senza consapevolezza, rischiano di trattare il proprio bambino nello stesso modo in cui sono stati trattati dai propri genitori quando erano piccoli. Ognuno di noi perciò, oltre a seguire il proprio prezioso “istinto genitoriale”, dovrebbe anche chiedersi cosa stia rimettendo in atto sul bambino di ciò che da bambino ha sperimentato nella propria famiglia. Sottolineo in breve questo aspetto, perché molto spesso più che chiedere come si fa il genitore, è importante sapere che il nostro essere padre o madre risentirà inevitabilmente dei modelli genitoriali che abbiamo appreso da bambini: farò perciò il genitore così come i miei genitori lo hanno fatto con me.

Esiste un’intervista semistrutturata, la “Adult Attachment Interview11 che viene somministrata in ambito clinico per valutare lo stile di comportamento dell’individuo. Secondo questa intervista il comportamento in sostanza varia da uno sicuro/normale, ad uno completamente insicuro, passando per comportamenti intermedi.


Alcuni ricercatori hanno somministrato l’intervista a futuri genitori durante la gravidanza, mentre ai loro figli a un anno dalla loro nascita è stato somministrato un test specifico per bambini (la Strange Situation di Ainsworth): è emerso che lo stile di comportamento dei figli era in una percentuale molto alta identico a quello dei loro genitori12. Dunque è scientificamente dimostrato che senza consapevolezza trasmettiamo da una generazione all’altra il modo in cui siamo stati trattati dai nostri genitori.

È perciò di vitale importanza per essere davvero un genitore:

  1. conoscere i bisogni profondi del bambino;

  2. conoscere le funzioni profonde del proprio ruolo di genitore;

  3. avere ben chiaro che la genitorialità è soprattutto una relazione dove i soggetti in gioco sono due. Non è solo l’adulto che, seguendo un copione predeterminato, si attiva nei confronti di un oggetto passivo, ma c’è anche il bambino che reagisce in modo attivo, con bisogni, pensieri ed emozioni allo scambio di relazione e comunicazione con l’adulto;

  4. avere ben chiaro nella mente e nel cuore che l’essere genitori implica inevitabilmente l’attivazione di importanti cambiamenti a livello psicologico ed affettivo profondo (ruoli, fantasie, aspettative, ricordi, gioie e conflitti). Non si tratta solamente di nutrire, lavare, far dormire e dettare regole. Si tratta soprattutto di prendere consapevolezza di queste dinamiche profonde dentro di noi e di gestirle al meglio nella relazione con i nostri piccoli.

Che cosa posso suggerire allora?

Prendendo spunto dalle parole di Winnicott, “il prototipo di tutto il prendersi cura del bambino è nel tenerlo in braccio”, posso solamente dire: guardate il vostro bambino, accarezzatelo, abbracciatelo, parlategli in tono amorevole, baciatelo, giocateci, dedicategli il vostro tempo, tenetevelo il più vicino possibile, “veneratelo”. Vedrete che vi ripagherà non con il diventare “viziato”, “capriccioso” o, da adulto, uno “smidollato mammone”, ma al contrario con una personalità sana, forte ed equilibrata. Vostro figlio non potrà far altro che ricordare tutto il vostro amore e per questo ringraziarvi ogni giorno della sua vita.

Possiamo dunque riassumere la genitorialità in due grandi funzioni:

  1. massima protezione e cura nei primi anni di vita del bambino;

  2. massima spinta all’esplorazione, alla socialità e all’autonomia solo in un secondo momento.


Queste due funzioni le troviamo racchiuse in una meravigliosa frase di Goethe: “Di due cose hanno bisogno i bambini. Radici e ali”. Inutile dire che troppo spesso avviene esattamente il contrario: massimo distacco nei primi anni di vita del bambino, massima resistenza all’indipendenza del figlio ormai cresciuto. E, questo sì, porterà a una personalità insicura, non equilibrata, non in armonia con sé, né con gli altri.


Non è errato, in conclusione, affermare che la genitorialità altro non è che l’“accudimento” del bambino in risposta al suo bisogno di “attaccamento”. In quest’ottica è evidente come la genitorialità non sia altro che un DARE, un DARE INCONDIZIONATO, senza chiedere nulla in cambio.

Fromm13 parla di quattro grandi pilastri sui quali deve poggiare l’amore. Credo sia valido per l’amore tra adulti, e a maggior ragione valido per l’amore dei genitori verso i propri figli. La matrice comune è sempre quella: amore allo stato puro.

I pilastri sono:

  1. PROTEZIONE: le cure genitoriali di cui sopra per un sano sviluppo del bambino.

  2. RESPONSABILITÀ: l’impegno costante nei confronti del bambino.

  3. RISPETTO: vederlo con gli occhi di un bambino e non con i nostri.

  4. CONOSCENZA: consapevolezza profonda dei bisogni e delle emozioni del piccolo.


E se tutto quanto fin qui emerso non ci dovesse venire spontaneo?

Allora forse c’è da rivedere qualcosa dentro di noi, a partire dalla nostra infanzia. In psicoterapia succede sempre che, solo dopo essere entrato in contatto con il bambino che si è stato, si riesca poi, come per magia, ad entrare in un contatto più profondo con i propri figli, a mettersi nei loro panni e a rimettersi in discussione come genitore. Superata la “cecità emotiva” iniziale, possiamo finalmente vedere dentro di noi e automaticamente anche dentro le persone intorno a noi, a cominciare dai nostri figli.

Meravigliosa infanzia
Meravigliosa infanzia
Alessandro Costantini
Dalle menzogne di Freud alle verità sul bambino.Da una visione adultocentrica del bambino a una nuova cultura dell’infanzia, che vede nel bambino una ricchezza da proteggere e tutelare. Meravigliosa infanzia rappresenta una pietra miliare per tutte quelle persone (genitori, educatori, avvocati, psicologi, formatori) che a vario titolo si occupano di questa fase della vita, un libro che si impegna a demolire la pedagogia nera creata ad hoc “contro il bambino” per creare e diffondere una nuova cultura dell’infanzia, che vede nel bambino una ricchezza da proteggere e tutelare. La motivazione a scrivere questo libro parte infatti dalla necessità di far luce sul modo errato, superficiale e deleterio con cui si parla di bambini. È diffusa infatti una non-cultura dell’infanzia: il bambino è cattivo, il bambino mente, il bambino non va coccolato troppo…Una sorta di visione adultocentrica, basata sulla considerazione dell’infanzia non con gli occhi di un bambino, ma con il filtro distorcente dell’adulto stesso. Nella prima parte del libro, l’autore Alessandro Costantini, elabora una durissima critica a Freud e al suo perverso modello di comprensione dello sviluppo del bambino, ancora oggi molto diffuso, basato su “menzogne” senza alcuna validità scientifica e per questo estremamente dannoso per i bambini e per chi si occupa di loro. Freud avrebbe creato una cultura del bambino estremamente negativa, che si ritrova anche nell’educazione dei figli, nelle scuole, nei tribunali. L’intento è quindi quello di smantellare la clinica freudiana e il suo approccio contro il bambino. La seconda parte si focalizza invece su quelle “meravigliose verità”, scientificamente validate, che sottolineano la più completa innocenza e purezza del bambino e il suo primario bisogno di amore, protezione e adeguate cure genitoriali.Non viene spiegato “come” si fa il genitore, ma “chi” sia e quali siano le principali funzioni da svolgere per un sereno sviluppo infantile. Un piccolo mattone nella costruzione di una cultura bambino-centrica, che possa garantire ai bambini maggiore rispetto e comprensione dei loro bisogni e fragilità, ma anche delle loro numerose risorse e potenzialità. Conosci l’autore Alessandro Costantini, psicoterapeuta, è responsabile per il Lazio del Movimento per l’Infanzia. Da anni lavora come consulente tecnico di parte nei procedimenti per l’affidamento dei figli e nei casi di presunto abuso sessuale o maltrattamenti nei confronti dei minori. Si occupa di genitorialità e temi legati al maltrattamento infantile.