capitolo iii

Voce che coccola,
ninnananna e filastrocca

Vita che succhia latte appena nata
con parole di latte va narrata.
Con parole di seno e di calore
succhiate insieme al battito di un cuore.43

Silvia Roncaglia

Ed eccolo tra le braccia dei suoi genitori. Il bambino è nato. È una creatura di mistero e meraviglia, venuta dal grembo di sua madre, venuta dal cuore dei suoi genitori.


Per nove mesi, ovvero per tutta la sua vita, quello che ha conosciuto è il corpo della madre. Avvolto, cullato, contenuto dal suo grembo e dal suo amore.


La madre è tutto ciò che lui conosce, è fonte unica di sopravvivenza e di benessere, e sono il suo corpo, la sua voce, il suo calore che il bambino cerca dopo la nascita. Per ritrovare le sensazioni che ha vissuto, per ritrovare il mondo come lo conosceva prima.


Il suo bisogno di contatto, vicinanza, rassicurazione è urgente e fondamentale quanto il suo bisogno di essere nutrito.


Al seno materno il bambino riceve il nutrimento che lo fa crescere e allo stesso tempo assapora il calore, la morbidezza, il profumo della madre. Tra le sue braccia ritrova il suono che più ha amato, il battito di quel cuore che gli ha tenuto compagnia nei lunghi mesi dell’attesa. Ma non basta ancora. È quando la mamma gli parla o canta per lui, che il bimbo si sente finalmente, completamente, a casa.

Il neonato è competente

Un tempo si pensava al neonato come a una tabula rasa, destinata a riempirsi pian piano grazie alle esperienze e agli stimoli esterni. Grazie ai tanti studi compiuti negli ultimi decenni, oggi sappiamo che questo non è vero. L’essere umano, sin dai primi istanti successivi alla nascita, è competente. Un neonato posato sul petto della madre è in grado, guidato solo dall’istinto e aiutato dall’olfatto, di muoversi verso il capezzolo e iniziare a succhiare. Poche ore dopo aver lasciato il grembo materno, è attratto da un viso umano e distingue il battito cardiaco della madre. Il neonato cerca la relazione, i suoi occhi sono attratti dal volto dei genitori, le sue orecchie sono pronte a cogliere ogni sussurro materno. “Subito dopo la nascita, nelle prime ore di vita – scrivono i pediatri Marshall H. Klaus e John H. Kennell e la psicoterapeuta Phyllis Klaus – un bambino normale ha un periodo prolungato di veglia, di quaranta minuti circa, durante il quale guarda direttamente il volto e gli occhi della madre e del padre ed è in grado di reagire alle loro voci. È come se avesse fatto le prove per il primo incontro con i genitori”44.

Alcuni studi, condotti dall’Università di Padova nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dall’Unione Europea, hanno dimostrato che la mente del neonato è, in un certo senso, ‘programmata’ per riconoscere i propri simili e creare con loro un legame forte. Ad attirare la sua attenzione su una sagoma che riproduce i tratti essenziali di un volto, facendogliela preferire a qualsiasi altra immagine, a fargli gradire la voce umana mentre i rumori lo disturbano, sarebbe una sorta di istinto di sopravvivenza. Una dote innata che lo porta istintivamente a volgersi verso i suoi simili e, così facendo, creare con loro un legame fatto di sguardi e attenzioni reciproche.

Il neonato è ‘recettivo’

Nelle prime settimane di vita il cervello cresce a un ritmo vertiginoso. Alla nascita contiene circa 100 miliardi di cellule nervose, i neuroni, ed è al lavoro per stabilire un’enorme quantità di connessioni tra loro, producendo un numero di sinapsi, ovvero di collegamenti, molto più grande di quello che riuscirà mai a utilizzare. A questo punto entrano in campo l’ambiente e l’esperienza. Fondamentali per completare la struttura del cervello e affinarne le funzioni sono, infatti, gli stimoli esterni. Sono proprio le esperienze compiute dal bimbo tramite i suoi sensi, a stimolare l’attività elettrica che plasma il cervello e crea i circuiti nervosi necessari per elaborare i dati ricevuti dall’ambiente e tradurli in pensieri.


E a loro volta sono i pensieri che permettono al bambino di conoscere e capire sempre meglio quello che lo circonda permettendogli di interagire con l’ambiente e le persone.


Sin dai primi istanti di vita, quindi, il neonato è ‘recettivo’, attento ai suoni e pronto a fissare un volto, sensibile alle stimolazioni tattili, predisposto verso certi sapori. Tutte le sensazioni che gli regala il mondo esterno pongono le basi per lo sviluppo dell’intelligenza. E della personalità.

Il neonato comunica

Il neonato fissa il volto dei genitori che gli rivolgono parole affettuose, tenta di imitarne le espressioni del viso, aprendo e chiudendo a sua volta la bocca, sgambetta, si sforza di inarcare la schiena quando vuole essere sollevato dalla culla e preso in braccio.


Anche durante la poppata mamma e bimbo comunicano: se il piccolo rallenta il ritmo della suzione, lei lo incita a proseguire e lui riprende a poppare. Questi primi dialoghi basati sul contatto visivo, i gesti, le espressioni del viso hanno già in sé un’importante caratteristica del linguaggio vero e proprio, ovvero l’alternanza. La mamma parla al bimbo e lo guarda, il piccolo la osserva e sgambetta, lei gli sorride e riprende a parlare. Delle ricerche hanno osservato che il corpo del neonato si muove in sincronia con la voce materna, in una sorta di danza a due.

La sua mente si nutre della voce e delle parole dei suoi genitori, ne ha bisogno per stare bene e per crescere.

Per questo è tanto importante parlare con il proprio bambino. Parlargli tanto, parlargli spesso. Quando lo si prende in braccio, quando lo si cambia, quando si gioca, anche quando lui è nella sua culla e la mamma è occupata in qualche attività può continuare a rivolgersi al piccolo spiegando che cosa sta facendo. Semplici frasi che descrivono gesti e azioni quotidiane, affettuosi complimenti accompagnati dagli sguardi, dal sorriso, dal contatto fisico contribuiscono alla sensazione di benessere e di appagamento del bimbo e favoriscono lo sviluppo della sua capacità di comunicare a sua volta, sempre di più e sempre meglio.

Voce e contatto per nutrire la mente e il cuore

È facile che i bambini piangano quando non sono cullati o quando non si parla con loro, mentre se sono cullati o si parla con loro cessano di piangere e sono soddisfatti.

John Bowlby

La relazione con i suoi genitori, il loro amore, la loro risposta ai suoi segnali è condizione irrinunciabile per il benessere e la crescita di ogni bambino. Nelle prime settimane e nei primi mesi successivi alla nascita, la relazione con mamma e papà è fatta principalmente di contatto e di voce. La pediatra Elena Balsamo parla di “tocco e parola” e spiega che: “Chi non ha potuto godere di questo contatto iniziale lo cercherà per tutto il resto della sua vita, perché la fame va saziata, la sete va placata, prima o poi ogni esperienza rimasta in sospeso grida a squarciagola per essere completata. Le tappe perse vanno recuperate: lungo la scala della propria evoluzione non è consentito saltare gradini…”45.


L’etologo inglese Desmond Morris, a proposito dei bimbi cullati e tenuti in braccio dice: “Questi fortunati bambini sperimentano ritmi corporali che infondono in loro una primitiva sicurezza: a suo tempo saranno meglio preparati di altri ad esplorare coraggiosamente il mondo che li circonda. Sono nutriti di sicurezza”46.


Ma torniamo alla voce, la voce umana che, come ben riassumono Rita Valentino Merletti e Bruno Tognolini “ha un potere grande e segreto, che, assordati da molti apparecchi, rischiamo di dimenticare. Prima del senso c’è il suono, prima delle parole c’è la voce. Quella voce ha potere sulle cose: le chiama all’umanità, le rende umane”47.

Tocco e parola, dunque, sono i magici ingredienti della relazione con il proprio bambino. E tocco e parola sono spesso un tutt’uno, perché quando la madre culla, abbraccia, allatta il suo bambino, accompagna questi gesti con la voce, con le parole dette o cantate. Le parole escono da sole, semplici, ripetute, a volte senza senso logico. Perché non è il senso che conta, che le rende speciali, ma il sentimento. E il bambino ascolta incantato. Riconosce immediatamente il messaggio, un messaggio che risuona nel profondo e che sazia il suo bisogno di vicinanza, di rassicurazione, di amore.


Quando culla il suo bambino, quando lo abbraccia, la mamma accompagna il gesto con la voce. Lo fa, anche se nessuno gliel’ha insegnato, perché è la cosa giusta. Lo fa perché è… una mamma.


E lo fanno tutte le mamme, di ogni Paese e cultura. Lo fanno da sempre. Sono nate così, dall’amore di tante madri che si è fatto voce e poi parola, le ninnananne e le filastrocche che hanno accompagnato i primi passi nella vita di tante, tante e tante ancora, generazioni di bambini e di bambine.

La voce si fa canto e le parole ninnenanne

La madre utilizzerà la libertà delle braccia e delle mani caratteristica della nostra specie… scoprirà il piacere di cullare. La madre saprà accompagnare il ritmo del cullare con suoni melodiosi, con le parole… rinascerà la vera lingua materna… quella delle ninnenanne.

Michel Odent


Questa sera, in ogni angolo abitato della Terra, anche nel più remoto, ci sarà una mamma che accompagna il suo bambino nel sonno, cantando per lui una ninnananna.


Poche parole, sussurrate e ripetute, un invito al sonno, pronunciato in rime e incorniciato da un ritornello che ritorna di strofa in strofa, tranquillizza, rassicura. Poche parole che danno voce al dondolio di una culla, di un’amaca, di un abbraccio. Poche parole che hanno un potere magico, quello di calmare il pianto e convincere ogni piccino ad abbandonarsi al sonno, con una promessa: “La mamma è qui, con te”.

“La parola detta o ancor meglio cantata – scrive Elena Balsamo – è una sorta di carezza per il cucciolo d’uomo, per il quale la comunicazione è uno dei bisogni primari. Ecco perché sono così importanti le ninnenanne, diffuse in ogni cultura, per addormentare i bambini: essere tenuto stretto fra le braccia e sentire il suono dolce della voce della mamma che canta per lui rappresenta per un piccolino la condizione di benessere ottimale. (…) Come sempre, si tratta di piccole cose, semplici gesti, che si tramandano di generazione in generazione, che non richiedono nessuna spesa, nessuna tecnologia: in fondo al bambino basta così poco…”48.


È proprio vero: al bambino basta così poco. O così tanto, forse. Perché al bambino, ad ogni bambino, basta la sua mamma. E se al fianco della mamma c’è un papà presente e premuroso, ecco che ha tutto49. Tutto quello che gli serve davvero, insomma.


Ed ecco che la voce dei genitori che intona una ninnananna colma il suo bisogno di vicinanza, di rassicurazione, di voce, di affetto50.

La tradizione delle ninnenanne è giunta fino a noi, tramandata di generazione in generazione. Ed è importante che anche noi, a modo nostro, siamo in grado di lasciarla in eredità a chi verrà dopo di noi. Citiamo ancora Elena Balsamo che ci mette in guardia dal rischio di perdere una consuetudine tanto importante: “Eppure, sempre più, tutto ciò viene negato in nome della modernità, della frenesia dei ritmi di vita quotidiani, delle esigenze lavorative. Quante mamme cantano ancora ai loro piccoli?”

Ninnananna, ogni ninna è quella giusta

La madre è la sola persona che può in modo appropriato presentare il mondo al bambino in una forma che abbia senso per lui. Essa sa come farlo, non perché sia addestrata e abile, ma solo perché è la madre.

Donald W. Winnicott


Ninna-nanna, ninna-nanna oh, questo bimbo a chi lo dò? Inizia così una delle più note ninnananne che a tutti noi sarà capitato almeno una volta di sentire. Il seguito, a dire il vero, fa un po’ paura, dato che viene citato l’uomo nero, spauracchio dei bambini del tempo che fu (oggi non si spaventano più i bambini invocando lupi e uomini neri, vero?), ma l’effetto di insieme è intramontabile, merito della musicalità delle parole, della rima, della ripetizione e del fatto che il significato delle strofe non sia poi così importante, anzi… La logica non c’entra con la magia delle ninnananne.

E le ninnananne della tradizione, declinate nei vari dialetti, si assomigliano molto. Si raccomanda al bimbo di dormire, lo si affida alla protezione di santi e angeli, si preannunciano vari guai51 nel caso l’invito alla nanna non venga accolto.

Come abbiamo detto, le parole contano poco. Ogni mamma sceglierà la ninnananna da cantare al suo bambino, magari attingendo ai propri ricordi d’infanzia, magari inventando o cambiando le parole, personalizzando il testo, inserendo il nome del suo bambino o riadattando la melodia di altre canzoni. Alcune mamme usano come ninnananna dei brani di musica leggera che amano molto o testi di cantautori che hanno per loro un significato particolare.

Nella parte conclusiva di questo libro c’è una sezione dedicata a filastrocche e ninnananne popolari, una piccola selezione di testi (solo di quelli che non fanno paura, però) per chi è in cerca di nuovi spunti.


Ma qualunque ninnananna la mamma scelga, è bello sapere che al suo bambino piacerà più di ogni altra al mondo, perché a renderla unica e speciale è… il fatto che sia lei a cantarla: la sua mamma!


  • Un rituale da ripetere

Abbiamo detto che ogni ninnananna è quella giusta, dato che a cantarla sono le voci amate di mamma e papà. Ora aggiungiamo che se mamma e/o papà cantano spesso la ‘loro’ ninnananna, l’effetto per il bambino sarà ancora più piacevole. Questo perché i bimbi hanno bisogno di modalità che si ripetono e, ripresentandosi regolarmente, li aiutano a comprendere meglio la realtà.


  • Il canto rasserena anche la mamma

Si è visto che cantando, dando voce al proprio desiderio che il piccolo dorma, anche la mamma si rasserena. Alla fine della giornata, la stanchezza accumulata, soprattutto nelle prime settimane successive al parto, può essere davvero tanta. La mamma vorrebbe riposare, ma per farlo ha bisogno che il bimbo si addormenti. Se c’è un po’ di stress accumulato, ecco che il semplice gesto di cantare, può alleviare molto la tensione. Il risultato è che la mamma si rasserena e il bambino, che respira gli stati d’animo materni, si tranquillizza a sua volta.

Ninnananne e bisogni notturni del bambino

Le ninnananne sono antiche quanto l’uomo. Anzi quanto la donna, che da sempre usa la voce per aiutare il suo bambino a prendere sonno. Quello dell’addormentamento è, infatti, un momento ‘delicato’ per tutti i piccoli.


Quando il bebè è piccolissimo, la sua esigenza di latte, contatto e vicinanza naturalmente non si esaurisce al calar del sole, quindi è normale che abbia bisogno della presenza rassicurante di un genitore per prendere sonno e poi tornare ad assopirsi quando si sveglia durante la notte.

Nei primissimi anni di vita, i ritmi sonno-veglia del bambino sono molto diversi da quelli dell’adulto e la maggior parte dei bimbi si sveglia alcune volte durante la notte52.


Quando si sveglia, il bimbo ha bisogno dell’aiuto di un genitore per riprendere sonno: c’è chi succhia al seno per qualche minuto, chi si rassicura sentendo che non è solo, chi ascoltando la voce della mamma (o del papà) che sussurra qualche strofa di una ninnananna.


La risposta amorevole e sollecita con cui i genitori accolgono i bisogni anche notturni del bambino pone le basi della sicurezza e dell’autonomia dell’individuo.


A questo proposito Annamaria Moschetti e Maria Luisa Tortorella, pediatre e responsabili del Gruppo di Studio sui Disturbi del Sonno dell’ACP Puglia e Basilicata, spiegano: “Durante il periodo dell’ansia da separazione (otto mesi-tre anni) la risposta ‘sensibile’ della madre al pianto del bambino gli consente di sperimentare che può fidarsi di lei e questo è alla base dello sviluppo del senso di sicurezza interiore. Inoltre il passare rapidamente e facilmente dal pianto e dall’agitazione alla quiete, grazie all’aiuto della madre, diviene nel tempo una capacità propria del bambino, che diventa a mano a mano sempre più capace di calmarsi e anche di addormentarsi da solo. Il bambino diventa autonomo solo dopo aver sperimentato un periodo di efficace dipendenza53.

Anche quando il bimbo è più grandicello e ha acquisito la capacità di riaddormentarsi in modo autonomo durante la notte, quello dell’addormentamento serale può essere un momento delicato. La notte, con il buio, il silenzio e le sue ombre, può fare un po’ paura. A volte è così anche per gli adulti: di notte, dubbi, malesseri, preoccupazioni si ripresentano con un’intensità maggiore. Inoltre, per il bambino addormentarsi significa interrompere attività divertenti e, soprattutto, lasciare le persone amate.


Ecco perché, da sempre, la voce della mamma che sussurra una ninnananna, racconta una fiaba, legge una storia aiuta i bimbi ad abbandonarsi al sonno senza paura. Quella voce è infatti promessa di presenza, vicinanza, amore.

E la certezza di essere amati ci rende più forti e sicuri di noi, da piccoli e anche da grandi!

La voce si fa poesia: filastrocche, conte, tiritere

Come già la ninnananna, anche la filastrocca ha origini lontane nel tempo ed è parte integrante della cultura popolare: ogni Paese custodisce il suo patrimonio di semplici rime che hanno accompagnato la crescita di generazioni di bambini. E ognuno di noi, se si ferma a pensarci un attimo, probabilmente riuscirà a recuperare qualche strofa o anche solo qualche rima, tra i ricordi degli anni dell’infanzia. Perché le filastrocche, le conte e gli scioglilingua, con le loro rime e la loro musicalità sono fatte per essere ricordate. E per piacere ai più piccini. Sono proprio la ripetizione, il ritmo, la cantilena a renderle tanto gradite ai bimbi. Il senso delle rime conta poco. Anzi, molte volte un senso logico non c’è, poiché le filastrocche si costruiscono sui giochi di rime, sulle assonanze, sui suoni e sulle onomatopee. Delle parole conta più la musica del significato. Ma bastano poche strofe, magari le più strane, per catturare l’attenzione del bambino, divertirlo e incentivare la sua voglia di esprimersi e comunicare.

Come scrive Cristiana Giordano: “Ci si trova sempre di fronte ad un rincorrersi di parole e di immagini che insieme riescono ad avere un risultato divertente, a volte istruttivo, quasi sempre rassicurante e gioioso per il bambino che vi partecipa con l’ascolto o con la ripetizione”54.


Ma a far sì che le filastrocche siano tanto gradite è anche la situazione che, in genere, accompagna la recita di questi semplici versi.


Innanzitutto, c’è la mamma. O il papà. Quindi le persone più care e speciali per il bambino. E poi, c’è il contatto fisico, perché il piccolo è in braccio al genitore, o seduto sulle sue ginocchia. O, ancora, perché la filastrocca prevede che si sfiorino diverse parti del corpo (i piedini, il pancino, il viso), si solletichino, si sbaciucchino. Una sinfonia di sensazioni piacevoli.


A volte c’è anche il movimento, e il bimbo sperimenta l’avventura di una cavalcata sulle ginocchia di papà (che emozione e che risate!) o si ritrova a volare sollevato dalle sue forti braccia.


Ed ecco che la voce che si fa poesia, le parole che si fanno rima, offrono lo spunto per un’esperienza che coinvolge tutti i sensi, che regala emozioni, che coinvolge il bambino a livello affettivo ed emotivo. A questo proposito il pediatra Marcello Bernardi55 ha parlato di condivisione, di contatti, di affettuosa comunicazione. “La formazione ai sentimenti e agli affetti può trovare diversi canali di comunicazione – scriveva Bernardi –. L’abitudine alla poesia è uno di questi, per costruire una sensibilità rivolta maggiormente all’amore e alla compassione piuttosto che al disdegno e al rifiuto mentale e affettivo. La poesia è di fatto la vita. Possiede la stessa ritmicità. I giorni e i tempi di ognuno sono scanditi da ritmi e da pause così come nell’allattamento, nella scansione delle stagioni, nella successione del giorno e della notte”56.

Filastrocche per ogni situazione

Ci sono filastrocche per ogni situazione e argomento. Filastrocche in cui si parla di cibo, di giochi, di parenti, di nanna. Filastrocche che fanno ridere, filastrocche tutte matte e filastrocche che insegnano qualcosa.


A questo proposito, Bruno Tognolini, scrittore per ragazzi, scrive: “Le cose davvero speciali son dette in poesia. Questo è vero per l’intera umanità, e per ogni singolo uomo che nasce. I primi poeti del mondo sono donne. Le madri della specie umana, non appena mettono al mondo una creatura, cominciano a parlarle in rima e versi per dire le cose importanti: tu devi dormire, devi mangiare, devi star bene, devi imparare. Ognuna di queste grandi imprese ha le sue filastrocche, un po’ imparate e un po’ inventate. Il neonato non capisce le parole, ma sente il tamburo nascosto, e quello gli basta: per dormire, mangiare, ridere, imparare a parlare”57.

Tutto il corpo in una filastrocca

Ci sono filastrocche per ogni parte del corpo. Tante filastrocche hanno per protagoniste le mani e di rima in rima insegnano ai bimbi i nomi delle dita. Altre sono dedicate ai lineamenti del volto: occhi, naso, bocca, denti.


Altre ancora permettono di fare un appello completo, chiamando per nome tutte le parti del corpo da capo a piedi58.

Questi testi in rima divertono, incuriosiscono e, quasi senza parere, insegnano. Perché ascoltandole e poi ripetendole, il bimbo prende coscienza di sé e del suo corpo, ne distingue le parti e impara a chiamarle con il loro nome.


La maggior parte di queste filastrocche sono nate per essere accompagnate dal contatto fisico, ad ogni rima corrisponde un gesto: la mamma o il papà indicano, accarezzano, tirano, baciano, solleticano, piedini, manine, panciotte e faccine. E i bimbi ridono e si divertono un mondo, come solo i bambini sanno ridere e si sanno divertire.


A volte la filastrocca si accompagna a un’altra pratica molto apprezzata dal bebè, ovvero il massaggio. Le rime dedicate al corpo sono particolarmente indicate per accompagnare il tocco e i gesti delicati del massaggio.

Occhietto bello e suo fratello…

Un esempio di filastrocca ‘del corpo’ che molte regioni hanno fatto propria traducendola nei vari dialetti locali è quella che inizia così: “Occhietto bello e suo fratello/l’orecchietta bella e sua sorella”59. Mentre pronuncia le diverse strofe, la mamma (o il papà) sfiora la parte del corpo corrispondente: tira leggermente l’orecchio destro del bimbo e poi il sinistro, tocca la punta del suo nasino, ecc. Il bambino impara, si diverte e, aiutato dal gesto associato alla rima, memorizza a sua volta la successione di parole e azioni.


E ben presto vuole provare lui, a fare tutti i gesti. E così scopre un ulteriore modo di divertirsi con le filastrocche: che bello tirare le orecchie di mamma e papà, toccare il loro naso, indicare i loro occhi…

Filastrocche per giocare

Le filastrocche ‘da giocare’ uniscono il piacere delle rime e del contatto fisico alle emozioni di gesti ‘avventurosi’, come dondolare, cavalcare, volare…


Pensiamo all’intramontabile “Trotta trotta cavallino/porta a spasso il mio bambino/Trotta trotta cavallino/per la strada del mulino/il mulino non c’è più/trotta trotta cadi giù!”.


Sulle ginocchia di mamma o papà, le parole in rima si associano al movimento, dal ritmo spesso incalzante, in un crescendo di attesa, tensione emotiva (ma la paura di cadere è resa sopportabile dalla certezza che non accadrà) e infine sollievo.


Il bambino memorizza rapidamente rime e gesti e la capacità di anticipare la sequenza di suoni ed eventi rende l’esperienza ancora più piacevole. Così piacevole che la maggior parte dei bimbi non ne avrebbe mai abbastanza, e appena sono in grado di chiederlo, ecco la fatidica richiesta: “Ancora!”

“Non a caso – scrive Rita Valentino Merletti – la tradizione ci ha consegnato una grande quantità di filastrocche, di rime, di scioglilingua fatti apposta per dare concretezza alle parole, per legare l’esperienza linguistica ai movimenti del corpo e imprimere quindi nella memoria corporea, non solo in quella (assai più labile) della mente la piacevolezza dell’esperienza”60.

Filastrocche personalizzate

Verso il sesto mese il piccolo comprende quando i genitori lo chiamano e riconosce il proprio nome.


Canzoncine e filastrocche in cui viene pronunciato il loro nome naturalmente piacciono molto ai bimbi.


Il genitore potrà inventare ex novo qualche rima per il proprio bambino oppure inserire il suo nome nei testi di ninnananne e filastrocche della tradizione (“Ninnananna, ninna oh, la mia Maddi a chi la dò?” e “Trotta trotta cavallino, porta qui il mio Nicolino”).


Ci sono anche filastrocche che ‘chiedono’ proprio di essere personalizzate, come “Batti batti le manine/che arriverà papà/porterà le caramelle/e (nome del bimbo) le mangerà!”.

Filastrocche, scuola di poesia

Tra i tanti meriti delle filastrocche, c’è anche quello di rappresentare il primo ‘approccio’ con il linguaggio poetico. Di filastrocca in filastrocca, il bimbo impara in modo spontaneo e inconsapevole a distinguere il linguaggio in prosa da quello in versi e intuisce il ‘funzionamento’ delle rime.


Come ben spiega Giuseppe Fanciulli: “Certo le filastrocche e le canzoni delle nutrici sono il tramite per il quale il bambino si avvicina al vasto mondo della poesia. Se prima ha intuìto solamente il ritmo, il timbro, la melodia, poi si sofferma sulle parole; esige che siano ripetute, chiede spiegazioni (…). Quanto tutto è inteso, tutto goduto, vuole una canzoncina nuova”61.

Filastrocche per crescere

Le filastrocche sono coccole, le filastrocche fanno ridere, le filastrocche allenano la mente. Ma non solo! Quando accompagnano gesti e movimenti, le filastrocche favoriscono anche l’acquisizione di nuove competenze. Un esempio classico è “Batti batti le manine”: il bimbo guarda i genitori che battono le mani e (oltre a ridere di gusto) ben presto impara a farlo a sua volta, esercitando così la coordinazione e scoprendo nuove potenzialità del suo corpo.

E che dire di “Trotta trotta cavallino”? Seduto sulle ginocchia del genitore che lo fanno saltellare, il bimbo allena il senso dell’equilibrio e il coordinamento motorio. E c’è di più: proprio il movimento associato alla voce e alla parola è premessa ottimale per l’acquisizione del linguaggio, come spiega Elena Balsamo: “la funzione linguistica è successiva alla funzione motoria e affonda le sue radici nell’esperienza sensoriale e motoria degli scambi corporei tra madre e bambino”. La Balsamo porta l’esempio della mamma africana che ripetendo semplici filastrocche mentre fa saltellare ritmicamente il bimbo sulle ginocchia “crea inconsapevolmente l’ambiente ideale per lo sviluppo del linguaggio”62.

Canzoncine che allegria

Ogni famiglia ha le sue preferite e le intona nelle occasioni più disparate, a casa, in auto, a passeggio per la città. Le canzoncine dei bambini regalano una ventata di allegria e, in alcuni casi, si rivelano delle validissime alleate per calmare, intrattenere, distrarre un bambino nei momenti di noia o in situazioni di disagio. L’esempio classico è quello dell’auto: a fronte di alcuni piccoli che adorano viaggiare, ce ne sono altri che proprio non sopportano gli spostamenti nel loro seggiolino. In questi casi una bella canzoncina tratta dal repertorio classico può davvero fare miracoli.


Ai bimbi in genere piace cantare, ascoltano volentieri i genitori e appena sono in grado di farlo si uniscono a loro. Non è raro sentirli canticchiare da soli, mentre giocano.


  • Il magico mondo degli animali

Tra le più gettonate, troviamo in genere le canzoncine che riguardano gli animali e uniscono al canto, i gesti e – meraviglia delle meraviglie – i versi!


Due esempi classici: “Ci son due coccodrilli” e “Nella vecchia fattoria ia-ia-oh”. Per le mamme e i papà che si cimentano con muggiti, miagolii, belati e grugniti ci sono in serbo le risate e l’ammirazione più sentita…

VOCI DI MAMME E PAPÀ

Per aiutare Tea a prendere sonno cantiamo delle canzoni, ma anche le filastrocche ripetute a bassa voce possono farla assopire. Ce n’è una in particolare che mi piace sussurrare mentre guardiamo fuori dalla finestra, lei in braccio a me un po’ assonnata ma restia a prender sonno. Me la recitava mia nonna, era un suo ricordo della scuola elementare che aveva avuto il lusso e la sfortuna di frequentare. Il lusso perché ai suoi tempi non era neppure detto che la si frequentasse, la sfortuna perché andava bene a scuola e la maestra aveva raccomandato ai suoi genitori di farla proseguire negli studi. Ma era femmina e i soldi a casa erano pochi. Mi è rimasta questa malinconia per lei e la sua poesia: “Ma che cosa piove a fare sopra i tetti e sopra il mare che tant’acqua hanno già, non capisco in verità. Ma se piove non mi cruccio, vado a spasso col cappuccio”.


Buffa e triste al tempo stesso. Un piccolo ricordo della mia nonna, che non c’è più.

Poi ci sono altre filastrocche, in particolare Cavallino arrò arrò. Gliela canto mentre la dondolo sulle gambe. E le conte tipo Piede piedello che è diventata molto utile per farle indossare calzini e scarpe. Quando diciamo “Alza su il piede che tocca a te”, Tea alza il piede davvero!

Sabrina, mamma di Tea, 16 mesi


Alcune filastrocche si capisce che Giorgia le sa a memoria, ascolta il ritmo e a volte si muove con esso. Se l’ho abituata che in certi momenti si toccano alcune parti del corpo, lei ormai me le porge, attendendo che la sfiori per poi scoppiare in una fragorosa risata!

Chiara, mamma di Giorgia, 14 mesi


Fino a poco tempo fa cantavo a Giulia Il cielo in una stanza (gliela cantavo anche in gravidanza!) e La piccola canta di natale, una canzone in dialetto veneto che a lei piace molto perché contiene degli “Oh oh” e dei “Din don”.

Ora è lei che la canta alla sorellina.

Elena, mamma di Giulia, 6 anni, e Ludovica, 3 mesi


Per la mia piccola a volte cantavo Stella stellina o altre ninnenanne famose, mai integralmente perché non ricordavo tutte le parole o non mi piacevano quindi le cambiavo. Cantavo più spesso ninnenanne inventate di sana pianta: i testi mi venivano spontaneamente, la base erano melodie note o anche inventate.

Caterina, mamma di Sofisara, 3 anni e mezzo


Cantavo tantissimo per Iris (poverina, sono stonatissima) in casa e fuori, quando era nella fascia o nel passeggino e in auto (altrimenti non stava proprio tranquilla!). Lei si rilassava e si addormentava. Cantavo ninnenanne tradizionali, soprattutto Stella stellina che mi cantava la mia mamma, e ninnenanne inventate (i testi di quelle tradizionali sono spesso agghiaccianti).


Quando non sapevo più cosa cantare cercavo in internet i testi delle canzoni per bambini e le imparavo. Iris si è addormentata per due mesi con Popof, una canzone dello Zecchino d’Oro…

Sonia, mamma di Iris, 2 anni


Ho sempre cantato ninnenanne a tutti e quattro i miei figli. Dalla classica ninnananna Questo bimbo a chi lo dò, al Chicco di caffè, Stella stellina e poi via con tutte le canzoncine per bambini La barchetta in mezzo al mare, Lucciola lucciola, La casetta in Canadà, Ci son due coccodrilli… Tantissime canzoni finché non si addormentano, altrimenti mi fa tristezza stare lì nel silenzio con poca luce!

Sarah, mamma di Gabriele, 16 anni, Veronica, 15, Marta 2, e Giulio, 7 mesi


Ho sempre cantato per Letizia fin da quando era in pancia tante canzoni di ogni genere, dalle filastrocche a quelle dello Zecchino d’oro, da Piccolo grande amore di Baglioni a canzoni tradizionali, dai canti dell’oratorio alle canzoni mimate.


Tuttora intono qualche canzone, se riesco facendo riferimento e citando oggetti della vita quotidiana. Canzoni e filastrocche la rilassano e l’aiutano ad affrontare meglio le situazioni noiose o che la infastidiscono! A me piace cantare e lei a volte ride (a volte, e le dò ragione, mi guarda basita). Da qualche mese per farla addormentare le canto una ninnananna inventata da me, composta da sei parole in tutto, ripetuta ad interim finché non si rilassa. Se non gliela canto fa più fatica ad addormentarsi.


In sostanza viva la musica e la comunicazione che nasce attraverso di essa: non solo i contenuti, ma anche il ritmo, la situazione, i sentimenti che fa scaturire, le emozioni che trasmette…

Marta, mamma di Letizia, un anno


Canto ancora le ninnenanne a Giulia che ha tre anni e mezzo! Sia per lei che per Pietro le ho inventate io. Canto per addormentarli, per calmarli, quando hanno voglia di coccole. Giulia ormai se la canta anche da sola!

Simonetta, mamma di Giulia, 3 anni, e Pietro, 10 mesi


Ad Alice piace molto Ninna nanna mamma dello Zecchino d’Oro che ha imparato a memoria e adesso canta con me o a me. Le piace perché inizia così: “Ninnananna mamma, tienimi con te, nel tuo letto grande…”

Daria, mamma di Alice, 3 anni, e Elena, 3 mesi


Cantiamo sempre. Abbiamo musiche per dormire (con parole quasi sempre inventate perché le ninnenanne tradizionali sono tristissime), una canzone per la colazione, una per lavarsi le mani prima di mangiare, una per fare il bagnetto, ecc. Risultato? Lei canta alle bambole e anche per noi!

Veronica, mamma di Aynarah, 2 anni


Ho cantato una ninnananna inventata da me sia ad Alessandro che a Lorenzo. Poche parole ripetute cercando di non stonare. Non è che funzionasse per addormentarli però aiutava a rilassarsi e a creare intimità. A loro piaceva e la chiedevano. “Mamma ci canti la ninnananna d’argento?” Oddio è proprio vero che i bimbi si accontentano di poco.

Anna, mamma di Alessandro, 9 anni, e Lorenzo, 5 anni


Da quando Gabri va all’asilo abbiamo ampliato il repertorio, nel senso che lui mi insegna le canzoncine che impara là e le ricantiamo a casa e per strada. Canto spesso per addormentarli, ho soprattutto due cavalli di battaglia: la ninnananna del chicco di caffè e una ninnananna natalizia pressoché sconosciuta che avevamo imparato io e mia sorella da piccole e cantavamo insieme. Più che inventarmi ninnenanne, cambio le parole a quelle conosciute. Ad esempio, quella del chicco di caffè la ricantavo in dialetto veneto: visto che sono “emigrata” a Milano, mi sentivo coccolata anch’io, mi era più familiare!

Stefania, mamma di Gabriele, 5 anni, e Letizia, un anno


Il mio Achille si addormenta ascoltando una versione soft di Furia, cavallo del West, che è stata eletta la sua ninnananna preferita fin dal primo mese di vita…

Elena, mamma di Achille, 15 mesi


Lollo ama la ninnananna del chicco di caffè, ma con il suo nome a fianco di “ninnananna”. Da ieri me la chiede anche con il nome della sorellina che è ancora in pancia.

Silvia, mamma di Lollo, 3 anni, e in attesa della sua seconda bimba


Da quando era nel pancione, ho sempre cantato per Michele. Le ninnananne che preferisce sono la classicissima ninnananna del chicco di caffè e alcune dolcissime melodie in gaelico (adoro la musica irlandese, e lo sto contagiando per benino!).

Fabiana, mamma di Michele, 2 anni


Il battesimo alla musica Tea l’ha avuto principalmente dal padre. Euforico com’era, lui le cantava di tutto sin dalla nascita: De Andrè, Battisti, Battiato, Branduardi… soprattutto cantautori. Cantava parecchio e a volte a squarciagola (pure stonando e molto). Io che mi ritengo intonata, non attiravo l’attenzione di mia figlia. Se cantavamo insieme, gli occhi di Tea erano incollati sul papà e questo già nei primi giorni di vita. Ho pensato che il mio compagno mettesse nel canto più fervore di me. Lei era letteralmente rapita. Non era la melodia a colpirla, ma l’intensità della voce, l’energia.

Sabrina e Massimiliano, mamma e papà di Tea, 16 mesi


Anche io gli canto la ninnananna, ma purtroppo ne so una sola. Canto per lui “Ninnananna, ninnananna oh”, quando vedo che si stropiccia gli occhietti e mi fa capire che vuole dormire.

Tiziana, mamma di Matteo, 6 mesi


Ho sempre cantato per Samuele Ci son due coccodrilli, poi abbiamo aggiunto Siam tre piccoli porcellin e L’elefante con le ghette. Ma adesso che è cresciuto più che per dormire le usiamo per tranquillizzarlo nel seggiolino dell’auto, che lui detesta… pulcino!

Chiara, mamma di Samuele, 10 mesi


Nicolò ha sempre avuto difficoltà ad addormentarsi durante il giorno. Così devo industriarmi ogni volta e, in quei momenti, molte canzoncine mi sono venute in aiuto. Ho cominciato con la classica Ninna nanna di Brahms, con testo in inglese e francese. Poi c’è stato il periodo di Waka Waka, con “shakeramento” annesso, fino all’attuale Ami Tomake Bhalobashi Baby (“Ti voglio bene, bimbo mio”), una dolcissima ninnananna bengalese che abbiamo conosciuto durante il corso di massaggio infantile e che, su suggerimento dell’insegnante, ho opportunamente modificato in “Ami Tomake Bhalobashi Niki”. Ancora adesso è la nostra preferita, o forse mi piace pensare che sia così perché sono l’unica a cantargliela…

Loretta, mamma di Nicolò, 6 mesi


I miei genitori non cantavano mai ninnananne, ma ricordo ancora quella volta che mia zia addormentò me e mio cugino cantando La canzone di Marinella. Quando sono rimasta incinta ho scelto la ninnananna di Brahms e ho inventato le parole, per fare in modo che Siro avesse una ninnananna tutta sua. Spesso per farlo addormentare quando è agitato uso melodie piuttosto veloci e allegre, che lo aiutano a calmarsi. Ma quando è tranquillo mi capita anche di cantargli La canzone di Marinella

Anna, mamma di Siro, 10 mesi

CONSIGLI DI LETTURA

  • Carpi Germani C., Baronchelli G., Coccole e filastrocche, Giunti Kids, 2005

  • Tognolini B., Valentinis P., Mammalingua, Tuttestorie, 2002

  • Macchia M.S., C’era una volta un re… e altre filastrocche, Fabbri, 1999

  • Rodari G., Filastrocche lunghe e corte, Einaudi, 2010

  • Carminati C., Mulazzani S., Pezzetta G., Rime per le mani, Panini Ed., 2009

  • Bortolotti A., E se poi prende il vizio? Il leone verde, 2010

  • Sears W., Genitori di giorno e… di notte, LLLIt Editore, 2004

Me lo leggi?
Me lo leggi?
Giorgia Cozza
Racconti, fiabe e filastrocche per un dialogo d’amore con il nostro bambino.Idee e suggerimenti per favorire la pratica della lettura condivisa, strumento prezioso per rafforzare il legame con il bambino nei primi anni di vita. La voce della mamma è capace di produrre effetti significativi già durante la gravidanza: il bambino nella pancia si sviluppa immerso nel liquido, ma anche nei suoni, che dopo la nascita sono fortemente ricercati. La parola che diventa voce è la base della comunicazione e della relazione umana, e per il bambino rappresenta un’esperienza che dà ordine e senso alla realtà. Leggere è anche il migliore antidoto alla televisione, principale fonte di “comunicazione” passiva e unidirezionale della nostra epoca. Me lo leggi? parla di fiabe, filastrocche, storie e leggende, lette e rilette migliaia di volte o inventate sul momento, raccontate, intonate, sognate, cantate, con la voce e con il cuore per narrare a nostro figlio la storia più importante, quella del nostro amore per lui. Gli articoli scientifici, i pareri degli esperti (psicologi, pediatri, pedagogisti) e i tantissimi suggerimenti pratici proposti da Giorgia Cozza rispondono a tutti quegli interrogativi che spesso i futuri e i neo-genitori si pongono: cosa sente il bimbo nel pancione? perché è importante leggere e raccontare storie sin dai primi mesi di vita? possiamo favorire l’amore per la lettura in età scolare? Le coppie di genitori intervistati raccontano l’importanza che le storie e i racconti hanno avuto nella crescita serena e felice dei propri figli, perché quando un papà o una mamma legge o racconta, quella che si crea è una situazione di intenso benessere: il bambino, infatti, non assapora solo la storia narrata, ma anche l’attenzione esclusiva che in quei frangenti gli riserva il genitore.Inoltre, le fiabe e i racconti lo aiutano a comprendere meglio la realtà che lo circonda e i suoi stessi sentimenti, le sue emozioni e le sue paure. Questi momenti di lettura e di racconto non dovrebbero avere alcuno scopo didattico, ma semplicemente quello di vivere momenti felici insieme con i nostri figli e di tessere legami forti con loro.La lettura condivisa è parte integrante di uno stile di accudimento basato sul contatto e sulla prossimità, in grado di favorire serenità e sicurezza nei complessi e delicati primi anni di vita. Una ricca raccolta di filastrocche e ninne-nanne rende questo libro uno strumento ancor più completo e prezioso per tutti i genitori per mettere a fuoco importanti concetti che riguardano la relazione con il bambino, il suo sviluppo emotivo e cognitivo, la costruzione della sua personalità e di conseguenza del suo futuro. Conosci l’autore Giorgia Cozza è una mamma-giornalista, specializzata nel settore materno-infantile, autrice di libri per bambini e numerosi manuali per genitori, divenuti un importante punto di riferimento per tante famiglie in Italia e all’estero.È stata relatrice in numerosi congressi per genitori e operatori del settore e ospite di trasmissioni televisive per rispondere a quesiti legati all’accudimento dei bimbi e a uno stile genitoriale ecocompatibile.