L’effetto terapeutico del raccontare
Portare un racconto ai nostri bambini ha quasi sempre un effetto terapeutico. Naturalmente il tipo di contenuto che si presenta è della massima importanza, ma dando per scontato che si tratti di racconti ‘giusti’, misurati, scelti o preparati con buon senso, io vorrei dire qualcosa sull’effetto terapeutico del raccontare. Questa attività è ‘medicinale’ da tre punti di vista.
I primi a beneficiarne siamo noi, i narratori.
Decidere di fermare il tempo e dedicare qualche minuto ai nostri bambini per raccontare loro una storia è una medicina potentissima. Mettiamo in moto la nostra volontà, comincia a muoversi la nostra immaginazione, si ferma il brusio della mente, la frenesia dei pensieri, delle preoccupazioni. La fretta si allontana come un personaggio malefico sconfitto dalla magia buona, tutto diventa quieto, possibile, caldo.
Sono passati ormai diversi anni da quando raccontavo le fiabe ai miei figli, ma ne ho un ricordo vivo, presente, come se il tempo non fosse passato.
Dapprima leggevo brevi racconti ma non sempre riuscivo a spegnere il borbottio di pensieri di cui parlavo prima. Mi accorsi così che potevo leggere ed essere altrove. Provai a raccontare ma anche in questo caso si poteva mettere il ‘pilota automatico’ e pensare ad altro mentre si narrava. Infine scoprii che le immagini del racconto hanno un effetto anche su chi narra e che, se ci si lascia un pochino andare, se si prova a stare dove si è, ovvero nel momento presente, prendono vita, come… se si guardasse un film. Da quel momento in poi scompare la fatica. Raccontare diventa una gioia, qualcosa di leggero, vivo, nuovo, nonostante il contenuto oramai noto.
Se si riesce a fare questa specie di capriola interiore e passare dal racconto passivo a quello che mette in moto l’immaginazione, le cose cambiano. Le parole fluiscono accompagnate da immagini che ‘vediamo’, tutto è più vivo e noi ci possiamo riposare, cullati dal nostro stesso racconto.
La faccenda sembra complicata perché, per noi adulti, la cosa più difficile è proprio lo stare nel presente. Ci scappano continuamente pensieri e intenzioni sia verso il passato che verso il futuro. Avere un bimbo che aspetta il nostro racconto della sera è una grande occasione per esercitarci in questa attività così benefica. L’effetto medicamentoso del raccontare non finisce però qui; il contenuto dei racconti – quando sono sani, quando sono belli – nutre anche le nostre anime adulte che, inconsapevolmente, traggono enorme consolazione dal mettersi in contatto con immagini che, quando si tratta di fiabe vere, provengono da profondità incredibili, da tempi lontanissimi.
Raccontare una fiaba o una storia ai nostri bambini fa bene anche alla nostra relazione con loro, costruisce un solido riferimento, un contatto, ci fa sentire meno insicuri.
La straordinaria medicina del raccontare porta con sé grandiosi benefici anche per i bambini. Naturalmente gli stessi che ha per noi adulti: il contatto, la presenza, la sospensione del tempo, una pausa nel ‘fragore’ delle giornate. I bambini per un momento vengono sottratti a quella specie di follia che attualmente è il mondo, un paesaggio non certo commisurato alla loro natura, una sorta di scenografia sbagliata, con colori troppo forti, rumori esagerati, spazi troppo stretti… Trovate che esageri? Vorrei che fosse così.
Comunque sia, quando voi cominciate il vostro ‘c’era una volta’ portate vostro figlio in un mondo giusto e vero, speciale e adatto a loro. E questo è il primo beneficio. Un’oasi, un riposo vero, un bagno caldo.
Arriviamo al dunque, al contenuto del racconto.
Se si tratta di fiabe quello che ho detto per gli adulti vale a maggior ragione per i bambini. Con un vantaggio e una differenza sostanziali. Il linguaggio delle fiabe per loro è più chiaro, hanno ancora le radici affondate nel mondo dal quale esse provengono, le comprendono ancora, ma con il cuore, senza bisogno di interpretazioni. Perciò, cominciamo a parlare della vita ai nostri bambini raccontando una fiaba. Portiamo loro incontro il tema del cammino evolutivo, delle prove da superare, del coraggio necessario per farlo, degli aiuti celesti e terrestri che per fortuna ogni tanto ci avvolgono e ci sostengono. Parliamo loro del male, della necessità di incontrarlo e farci i conti per poi eventualmente toglierlo di mezzo, senza tante cerimonie… anche mettendolo in una botte foderata di chiodi da far rotolare giù da una montagna, cacciandolo dentro un forno acceso, tagliandogli la pancia…
Queste immagini così universali si depositano nell’anima dei nostri bambini, creano il sostrato perché quando sarà il momento da lì possano spuntare risposte, idee, propositi. Noi in fondo prepariamo solo il terreno, mettiamo i semi, e poi la vita condurrà i nostri bambini a raccogliere i frutti di una tale semina.
Per caldeggiare in modo ancor più incisivo l’invito a raccontare voglio rivelare quello che io considero il terzo effetto medicinale di questa attività.
Raccontare le fiabe, le storie ai nostri bambini è una medicina per il mondo. Quello che sto facendo non è un triplo salto mortale: quel momento speciale che noi ci permettiamo di vivere con i nostri figli o alunni, è molto vicino, è dentro il mondo intero. E il mondo, come tutti sappiamo, ha bisogno, tanto bisogno di medicine in questo momento.
Quando noi raccontiamo una storia ai nostri bambini, soprattutto se l’abbiamo trovata proprio pensando a loro o se si tratta di una vera fiaba, attingiamo al mondo di immagini che vive anche nella nostra interiorità.
Chissà chi farà vivere le immagini che sono dentro di noi? Chissà da dove vengono! Alcune di loro provengono senz’altro da qualcosa che in noi è più saggio di noi. La parte migliore di noi, quella più elevata, spirituale, elabora immagini che hanno significati e scopi decisivi anche per il futuro dell’umanità. Le colloca nel nostro animo perché noi ne facciamo qualcosa di costruttivo. Queste immagini sono grandiose, parlano di quel che nell’uomo è divino, parlano di quel che un uomo dovrebbe essere e sentire, anche rispetto ai suoi fratelli…
Possiamo così provare a fare un’equazione forse un po’ azzardata ma lecita. Ciò che fa questo essere superiore in noi, con noi, possiamo farlo noi con i nostri bambini, possiamo tentare di essere come un tramite, un canale per veicolare le immagini ideali di un’evoluzione auspicabile, attraverso i nostri racconti, nell’anima dei nostri bambini. Saranno loro gli uomini di domani. Questi uomini di domani sono stati affidati a noi per un tratto del loro percorso, siamo i loro educatori. Custodiamo come angeli la loro entità ancora delicata e in via di sviluppo, per diversi anni. Che responsabilità, che compito audace, interessante, meraviglioso!
Siamo per così dire, costretti a crescere con loro, a diventare migliori, perché è questo che la nostra parte superiore vuole da noi, è questo che noi vogliamo da loro, è questo che l’evoluzione del mondo vuole dagli Uomini.