capitolo iii

C. L’adulto come mentore

La ghianda ha bisogno di un mentore. Il mentore è una persona che vede qualcosa di essenziale. Essere è in primo luogo essere visibili. Il lasciarci passivamente vedere apre una possibilità di benedizione. Perciò noi cerchiamo amanti, mentori e amici, affinché possiamo essere visti ed essere benedetti

James Hillman

Non camminare dietro di me, potrei non vederti. Non camminare di fronte a me, potrei non seguirti. Cammina al mio fianco così che possiamo essere uno.

Proverbio indiani Ute

Non è facile essere bambini ma neanche genitori o educatori. Perché nessuno ce lo insegna, lo si impara attraverso la propria esperienza di vita, giorno dopo giorno.


Lo si impara attraverso i propri figli, i propri alunni, la rivisitazione della propria storia di bambini. Eppure, quale mestiere più importante di questo? Così poco compreso, valutato, apprezzato e nello stesso tempo così essenziale.


La parola educare è molto bella: viene dal latino “educere” che significa “trarre fuori”, portare in superficie ciò che sta dentro, ciò che è nascosto. Il compito dell’educatore è un po’ come quello dell’ostetrica: aiutare a venire alla luce, a sbocciare, a schiudersi.


Il maestro – diversamente dall’insegnante – non è un tecnico: è un artista che, proprio come Michelangelo, tira fuori un capolavoro da un blocco di marmo soltanto togliendo ciò che è in più, ciò che è superfluo. Ma c’è una condizione essenziale perché ciò avvenga: il capolavoro racchiuso nella pietra lo deve prima vedere. L’artista vede ciò che sta dentro alla materia – il marmo o la tela – e lo tira fuori, lo svela al mondo. Rivela ciò che è invisibile agli occhi altrui.

La visione è il punto di partenza per la creazione.

Qualcosa di simile a quanto accade all’artista avviene anche per l’educatore. Come ci ricorda Hillman, il mentore è colui che vede, che percepisce l’altro nella sua essenza, che ne riconosce l’anima e quindi è in grado di aiutarla a sbocciare. Perché “essere è essere percepiti”[241], come diceva il filosofo irlandese George Berkeley, e l’essere percepiti e riconosciuti apre una possibilità di redenzione. Quando qualcuno ci riconosce ci sentiamo accolti, benevenuti nel mondo e ciò che era solo possibile diventa auspicabile, godibile. L’anima può discendere e mettere radici.


Colui che ci guarda e coglie la nostra essenza ci fa da specchio: ci aiuta a scoprire il nostro vero volto, ci assicura che andiamo bene così, che non c’è nulla di sbagliato, che possiamo proseguire sulla nostra strada, possiamo volerci bene e fidarci di noi stessi.


Ma c’è di più. Chi ci ama in questo modo, così puro e incondizionato, compie una vera e propria alchimia: fa affiorare la nostra divinità. “Ogni volta che ami una persona la sua divinità riaffiora” dice Osho, ogni volta che qualcuno ti ama “il tuo volto più bello emerge e, a poco a poco, il tuo volto sgradevole scompare.”[242]


Lo si vede spesso nei bambini, soprattutto quelli considerati difficili o problematici. Quando trovano la persona giusta, capace di mettersi al loro fianco senza giudicarli, senza condannarli, senza disprezzarli ma riconoscendone invece i talenti nascosti dietro alla facciata, dietro alla maschera che essi hanno dovuto indossare per proteggersi, allora questi bambini rifioriscono come boccioli. Qualcuno li ha visti, si è accorto di loro, ha riconosciuto la loro unicità, le loro potenzialità: è come un tacito invito a schiudersi, ad aprirsi al mondo.


Non tutti, però, sanno vedere: “Non basta che un oggetto sia innanzi ai nostri occhi perché noi lo vediamo: bisogna che ci portiamo la nostra attenzione”[243]. Bisogna che siamo interessati a vederlo, che vi ci soffermiamo con calma, con mente aperta, senza pregiudizi e soprattutto con fiducia: “Bisogna credere per vedere. È la fede che conduce la vista; non la vista che produce la fede” diceva Maria Montessori[244].

Per saper vedere occorre prepararsi: “Bisogna che il campo della coscienza sia non solo libero ma ‘in attesa’”[245] , pronto a ricevere, ad accogliere il nuovo. Ed è proprio questa preparazione alla vista e all’accoglienza che dovrebbe essere il primo obiettivo di un buon educatore. Secondo la Montessori egli deve soprattutto avere ben sviluppato il potere di osservazione perché, come abbiamo detto, occorre vedere il bambino, cogliere la sua essenza per potergli essere veramente d’aiuto. Non basta uno sguardo superficiale, ci vuole una visione in profondità, una sensibilità spiccata per notare le sfumature, i dettagli, i particolari, per cogliere i segnali che un bambino ci manda, per saper rispondere ai suoi bisogni espressi o inespressi, urlati con rabbia, sussurrati con flebile voce o addirittura ostinatamente taciuti. Rispettare un bambino significa innanzitutto guardarlo: interessante è a questo proposito il significato etimologico del termine “rispetto”, che viene dal latino respicere, cioè ri-guardare, guardare due volte. Ecco come andrebbe guardato un bambino: con una profonda, mirata, attenzione, con uno sguardo colmo d’amore. Ed è questo che in fondo i piccoli ci chiedono: di essere considerati. “Guardami: io esisto!” sembra gridarci ognuno di loro dalla profondità del proprio essere. Come a dire: accorgiti di me, di chi sono realmente, perché solo così potrò diventare me stesso. Eppure ancora tanti sono coloro che guardano e non vedono, che non colgono nel bambino lo svolgersi misterioso e meraviglioso della vita interiore dell’uomo.


Se il primo compito dell’adulto, dunque, è quello di essere un buon osservatore e di conoscere i bisogni del bambino in ogni epoca della sua vita, il secondo è senz’altro altro quello di essere un facilitatore, un catalizzatore, o meglio un “rianimatore”, come diceva Maria Montessori: non qualcuno che giudica, quindi, ma qualcuno che sa accendere la scintilla dell’interesse, che sa suscitare entusiasmi, che sa risvegliare i poteri che giacciono addormentati nell’animo di ogni bambino. “Come dobbiamo chiamare un bambino con il suo nome prima che egli possa rispondere, così è necessario chiamare con vigore per svegliare l’anima”[246].


Il maestro dovrebbe essere un regista, un direttore, non nel senso di colui che comanda ma di colui che dirige, cioè che sa incanalare le energie nella giusta direzione, sa guidare il bambino verso uno stato “naturale”, sa aiutarlo a ritrovare il suo “volto originale”, sa accompagnarlo nelle sue esperienze in modo da far sì che raggiunga il massimo delle sue possibilità. “Giustizia – diceva Maria Montessori – è dare ad ogni essere umano l’aiuto che può portarlo a raggiungere la sua piena statura spirituale”[247].

Un buon educatore dovrebbe essere autorevole ma non autoritario e tra i due termini c’è una grande differenza… Una persona autorevole è quella che sa agire con fermezza ma senza rabbia, sa dare dei limiti, offrire dei confini rassicuranti, sa dire di no quando occorre, mantenendo la calma. Una persona autorevole è sicura di sé e il bambino si sente da lei contenuto e protetto.


Se però è molto facile essere autoritari non lo è affatto essere autorevoli. Ecco perché – dice Maria Montessori – “il maestro deve prepararsi interiormente studiando se stesso con metodica costanza per giungere a sopprimere i propri difetti più radicati, quelli che costituiscono un ostacolo per le sue relazioni con i bambini”[248] e ancora aggiunge “la preparazione che il nostro metodo esige nel maestro è l’autoesame, la rinuncia alla tirannia”[249], a quella sottile forma di potere che ci viene dal semplice fatto di essere adulti. Quale compito più arduo e difficile? Eppure è la base indispensabile per un efficace e serio lavoro con i bambini: per poterli accettare occorre prima aver accettato noi stessi, per poterli comprendere occorre prima aver compreso noi stessi. Non possiamo trasmettere loro se non ciò che abbiamo personalmente sperimentato, non possiamo dare loro ciò che noi per primi non abbiamo. “La prima cosa che dobbiamo fare, a questo scopo, è imparare l’umiltà. Non dobbiamo considerarci né come creatori dei bambini né come modelli per loro da imitare, ma solo come aiutanti e sempre pronti a confortare queste piccole anime, che pazientemente lottano per dirigersi verso la Luce”[250]


Per poter essere umili e pazienti – caratteristiche quindi fondamentali di un buon educatore secondo Maria Montessori – occorre però un notevole training su di sé: bisogna trasformare l’orgoglio che ci fa ritenere infallibili e la frettolosità che ci impedisce di dare il giusto valore alle cose. Occorre “invece della parola, imparare il silenzio”[251] e mettersi all’ascolto.

“Accompagnami! Stai semplicemente al mio fianco” è quello che il bambino ci chiede. Non davanti, non dietro, accanto: questo è il posto dell’adulto vicino al bambino.


Il maestro deve trasmettere la tecnica e aspettare poi che l’allievo scopra tutto da solo: è ciò che nelle arti marziali viene chiamato “tendere ma non scoccare”. È quanto andava dicendo Maria Montessori quando ammoniva le sue allieve ad “Aspettare, osservando”. L’azione dell’educatore deve limitarsi a mostrare il percorso al bambino, offrendogli gli strumenti adatti e spiegandogliene l’uso.


“Non sostituirti a me, non soffocarmi, aiutami a fare da solo”, ecco quello che ogni bambino cerca di dirci o vorrebbe farci sapere. Invece, quanto spesso o lo si abbandona a se stesso dicendogli “Arràngiati!” o lo si blocca sostituendosi a lui! Ma – ci ricorda Maria Montessori – “ogni aiuto inutile è un ostacolo allo sviluppo”. “Il nostro compito è di dare aiuto quando questo ci viene richiesto”[252], solo allora, non prima. I nostri figli, i nostri alunni, non ci chiedono stimoli ma risposte alle loro impellenti necessità.


“I vostri figli non sono figli vostri – diceva il poeta libanese Gibran –. Sono i figli e le figlie della sete che la Vita ha di se stessa. Essi vengono attraverso di voi ma non da voi e sebbene vivano con voi non vi appartengono. Potete donare loro il vostro amore ma non i vostri pensieri poiché hanno pensieri loro propri. Potete dare rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime, giacché esse abitano la casa del domani, che voi non potete visitare neppure in sogno. Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi. …Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, come frecce vive vengono scoccati in avanti”[253]. “I genitori non sono i costruttori del bambino ma i suoi custodi”[254], scriveva Maria Montessori, e proprio come angeli devono proteggerlo e vegliare su di lui ma anche, per poterlo guidare nel migliore dei modi, riconoscerne l’essenza e la “missione”.


Loro compito è offrirgli solide radici che affondano nel terreno, per poter affrontare, se è il caso, anche la tempesta, e un paio di ali, leggere e robuste, per volarsene via, quando è arrivata l’ora.


“Ogni bambino ha il diritto al proprio percorso. Noi possiamo ‘soltanto’ assisterlo, accompagnarlo e sostenerlo. Non pretendiamo di essere di più. Cosa vuol dire ‘di più’?! Esiste un compito più grande e straordinario di offrire sostegno ad un bambino, affinché possa svelare il suo essere del tutto individuale e proprio e portarlo nel mondo?”[255]

Non credo. Il nostro ruolo è simile a quello del giardiniere che prepara il terreno, cioè l’ambiente adatto in cui la pianta possa crescere e germogliare, lo concima, lo libera dalle erbe infestanti affinché la pianticella possa crescere libera, e poi la cura ogni giorno, la annaffia, la ripara dalle intemperie ma la affida anche al cielo, al sole e alla pioggia e infine gode e ringrazia il Creatore quando assiste al miracolo del suo sbocciare alla vita.

Libertà e amore
Libertà e amore
Elena Balsamo
L’approccio Montessori per un’educazione secondo natura.ll pensiero Montessori spiegato da una grande scrittrice che è anche medico pediatra: Elena Balsamo, nota esperta in tematiche perinatali e pedagogiche. Per educare un bambino occorre prima di tutto educare se stessi.In Libertà e amore, Elena Balsamo ci conduce in un viaggio attraverso lo spazio e il tempo per riscoprire un nuovo approccio al bambino, dalla vita prenatale all’età evolutiva, prendendo spunto dalla visione di Maria Montessori, donna straordinaria che ha dato vita a un sistema educativo a dir poco rivoluzionario, diffuso in ogni parte del mondo.Scriveva Maria Montessori che i capricci e le disobbedienze del bambino non sono altro che aspetti di un conflitto vitale fra l’impulso creatore e l’amore verso l’adulto, che però non lo comprende.C’è quindi un grosso fraintendimento sulle aspettative dei genitori e degli insegnanti nei confronti dei bambini, che comincia dalla nascita e si manifesta con il confondere il bambino reale con il bambino ideale, esistente soltanto nella mente e nella fantasia degli adulti.Il prezzo da pagare è la perdita dell’autenticità, della libertà, della vera natura del bambino stesso.La scuola montessoriana consiste in un vero e proprio laboratorio creativo nel quale, in un ambiente ricco di amore, rispetto e autentica libertà di scelta, le capacità intellettuali e manuali sono libere di svilupparsi in tutta la loro forza e bellezza.Quello di Maria Montessori non è però solo un metodo educativo, ma molto di più: è un modo di guardare il mondo e gli esseri che lo abitano con gentilezza e amore, nella consapevolezza che siamo tutti parte dello stesso ecosistema.Una nuova chiave di lettura per reinventare la relazione con i nostri figli e i nostri alunni, secondo natura. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.