Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo.Archimede
Il ruolo dell’educazione consiste nell’interessare profondamente il fanciullo a un’attività esteriore, a cui egli possa dedicare tutte le sue possibilità.Maria Montessori
capitolo iii
Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo.Archimede
Il ruolo dell’educazione consiste nell’interessare profondamente il fanciullo a un’attività esteriore, a cui egli possa dedicare tutte le sue possibilità.Maria Montessori
Ricordo un pomeriggio d’estate al mare, un cane, terrorizzato dall’acqua, che non voleva nemmeno bagnarsi le zampe: il suo proprietario, con infinita pazienza, lo invitava gentilmente a entrare, dicendogli con dolcezza “Vieni, sono qui con te!” e poi gli gettava un bastone affinché l’animale, invogliato dal gioco, riuscisse a superare la paura che lo attanagliava. Non so quanto durò quella sorta di esperimento e quante volte il bastone fu gettato in acqua ma so che alla fine il cane si tuffò in mare e andò a prendere il pezzo di legno che riportò con fierezza al suo padrone. Ricordo che rimasi impressionata da quella scena e dentro di me pensai: “Ecco lo spirito montessoriano in azione: che miracoli può compiere l’interesse accompagnato da una presenza amorevole!”
Ora provate a chiudere gli occhi e immaginate un’ampia stanza, dall’atmosfera calda e accogliente, suddivisa in tanti piccoli angoli dove una ventina di bambini dai tre ai sei anni lavora, ognuno di loro concentrato su una particolare attività: chi annaffia i fiori, chi legge sdraiato per terra su un tappeto, chi dipinge, chi spolvera e spazza per terra, chi costruisce torri con cilindri di legno, chi compone parole con lettere mobili, chi disegna figure geometriche con l’aiuto di incastri di metallo. Ebbene, questo non è un sogno ma una realtà: è quanto succede ogni giorno nelle Case dei Bambini Montessori, dove i piccoli alunni sono liberi di scegliere in ogni momento della giornata l’attività a cui dedicarsi.
Non è la maestra a stabilire il programma della giornata e imporre a tutti indistintamente un determinato compito; sono i bambini stessi che scelgono di dedicarsi a una attività piuttosto che a un’altra. La molla che li spinge all’azione è l’interesse, l’attrazione verso un particolare materiale o esercizio. L’interesse è la spinta per l’apprendimento.
“Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo”: la famosa frase di Archimede mi sembra decisamente appropriata per questa intuizione veramente geniale di Maria Montessori che, proprio come una leva, le ha permesso di ribaltare la situazione dell’educazione del bambino.
La libera scelta basata sull’interesse è, a mio avviso, il punto cardinale del metodo Montessori, che lo distingue da qualsiasi altro approccio pedagogico. L’interesse è la chiave dimenticata e nascosta che permette di aprire la serratura del portone del castello e consente di liberare la principessa prigioniera.
Ma sentiamo la spiegazione che ne dà Maria: “La nostra attenzione – ella dice – non si porta su tutte le cose indifferentemente ma su quelle “simpatizzanti” coi nostri gusti. Ci destano interesse le cose utili all’intimità della nostra vita”[183] . È come se fossimo guidati da istinti interiori che ci indirizzano verso ciò che serve a farci crescere ed evolvere nel modo più adatto alla nostra individualità. C’è chi è interessato alla matematica e chi invece è attratto dai libri e si perde nei racconti di storie, chi è affascinato dalle piante e dagli animali, chi si incanta a comporre parole o a costruire torri e palazzi o ancora a tracciare forme e mescolare colori. Il grande violinista Yehudi Menuhin a quattro anni voleva a tutti i costi un violino vero, perché sapeva “istintivamente che suonare voleva dire essere”[184] , perlomeno per lui.
L’anima sceglie mille strade diverse per raggiungere lo stesso scopo. La propria strada personale coincide con quella che può essere definita la propria vocazione o il proprio daimon per utilizzare due termini cari a Hillman. “Tutti noi ci nutriamo del nostro nocciolo interiore. La vocazione è il primo nutrimento della nostra psiche”[185] . E ci spinge verso strade insospettate.
“Tutte le energie umane dovrebbero andare lungo il cammino verso il quale l’interesse dell’anima conduce…”[186], scriveva Maria Montessori. Che sagge parole!
Il desiderio dell’anima è travolgente, irresistibile: difficile dirgli di no. Ognuno di noi l’ha provato in qualche momento della sua vita. È come una forza magnetica che attrae verso qualcosa o qualcuno in particolare, è come un vento che spinge in una direzione obbligata. In quel preciso istante si ha bisogno di un nutrimento particolare, che soddisfi e appaghi la propria fame; poi, quando tale bisogno è saziato, ecco che ci si può rivolgere ad altro.
Lo stesso succede ai bambini: essi lavorano in modo quasi ossessivo con un materiale, ripetendo l’esercizio un’infinità di volte, finché non hanno acquisito una determinata abilità; a quel punto l’oggetto perde di interesse, non serve più e si può cambiare attività. È come se la funzione di quell’oggetto si fosse esaurita. L’ho sperimentato con mio figlio più piccolo: si era appassionato al “gioco delle capitali”, un vecchio gioco della mia infanzia che ho sempre amato molto e che gli avevo proposto, introducendo qualche piccola modifica. Consisteva nel ricordare il nome della capitale di uno stato guardando una cartolina che ne riproduceva un’immagine. In breve tempo, a sei anni di età, Noah aveva imparato una cinquantina di nomi di città, anche difficili e complicati, di svariati Paesi del mondo. Era diventato il suo divertimento serale, prima di andare a letto: gli dava una gioia incredibile, da fargli brillare gli occhi dalla soddisfazione ed era lui a chiedermelo alla fine di ogni giornata. Poi, così com’era arrivato, l’interesse per questo gioco finì e non ci fu verso di farglielo ripetere e continuare. Da solo passò a un’altra attività: la costruzione di complicati modelli di macchine con pezzetti di Lego. Vi ha trascorso ore intere in assoluta concentrazione, poi anche questo gioco ha lasciato posto a un altro, sempre scelto da lui: la costruzione di oggetti di cartapesta. Io mi sono limitata a offrirgli gli strumenti richiesti e a osservarlo incantata e felice nel notare il suo appagamento.
Dare al bambino la possibilità di scegliere significa “fargli dono di essere compreso, di ricevere ciò che corrisponde ai suoi bisogni profondi” e questo significa “aprirgli le porte della salute”[187] , diceva Maria Montessori.
Nelle scuole Montessori “ogni bambino s’intrattiene su ogni oggetto scelto quanto tempo vuole; e questa “volontà” corrisponde alla necessità di intima maturazione dello spirito, maturazione che richiede un esercizio costante prolungato nel tempo. Nessuna guida, nessun maestro potrebbe indovinare il bisogno intimo di ogni allievo e il tempo di maturazione a ciascuno necessario: ma lasciando libero il bambino, tutto ciò, guidato dalla natura, ci viene rivelato.”[188]
“Non si può imparare niente senza interesse né piacere, né desiderio”, ci ricorda G. Honegger Fresco[189]. Ed è proprio così, ognuno di noi lo sa bene, in fondo.
Quante volte nella nostra vita abbiamo sperimentato che le cose fatte per obbligo, per obbedienza, per far piacere agli altri pesano come macigni, richiedono un’enorme fatica e un grande sforzo e alla fine ci lasciano insoddisfatti e delusi? Non così quelle fatte per se stessi. Il motivo di ciò è, come ci spiega Osho, che una cosa fatta con indifferenza non porta mai gioia nella vita; genera solo infelicità, ansia, malessere, tensione perché ogni volta che si fa qualcosa di malavoglia si è divisi in due. La gioia affiora invece quando si è totali[190].
“Felicità è essere se stessi” mi scrisse mio padre quando avevo soltanto due anni in una dedica su un libretto di vignette di Schultz (l’inventore di Charlie Brown): quelle parole è come se mi si fossero scolpite dentro e ho potuto poi da grande verificarne la totale veridicità.
“La linfa vitale scorre solo quando stai facendo la cosa che vuoi fare, qualsiasi essa sia”[191]. Cosa dovremmo pensare allora della scuola dove tutto invece si fa per obbligo e di malavoglia? Sicuramente una riflessione sul tema dell’interesse sarebbe proficua per tanti educatori e insegnanti.
L’attenzione dei bambini – dice Maria Montessori – è attratta dall’attività: “Date loro motivi di attività, attraeteli con la dolcezza”[192]. Offrite loro qualcosa che abbia un interesse immediato, qualsiasi essa sia.
“Qualunque sia il lavoro che il bambino sceglie, purché vi persista, è la stessa cosa. Poiché ciò che ha valore non è il lavoro in sé ma il lavoro come mezzo per la costruzione dell’uomo interiore”[193]. Non è importante che nostro figlio si cimenti con i pezzi di un puzzle o che raccolga conchiglie sulla spiaggia, che impili i panni da stirare o che costruisca aeroplanini di carta, l’importante è che si concentri in ciò che fa e vi si perda.
“L’interesse è dato dalla possibilità di fare delle scoperte e di fare delle costruzioni: di scoprire le cose occulte e di produrre con la propria attività”[194], “perché la mente dell’uomo si soddisfa col cercare, scoprire, creare e non solo contemplare”[195].
L’interesse in parte deriva dalla possibilità di integrare e creare interconnessioni, di trovare collegamenti tra le cose – come ci ricorda A. S. Lillard – e di capire da sé: “Ogni conquista intellettuale è per i nostri bambini liberi una fonte di gioia”[196].
“Bisogna che si manifesti, rispetto a un’occupazione, un interesse che impegni la personalità”[197]. Ed ecco la grande scoperta: “Un lavoro interessante, scelto liberamente, che abbia virtù di concentrare, anziché di stancare, aumenta le energie e le capacità mentali e dà padronanza di se stessi”[198]. Il lavoro che si fa con passione ed entusiasmo, perché corrisponde al proprio interesse, non solo non stanca ma nutre, è cibo per lo spirito. Si tratta di una concezione rivoluzionaria, se si pensa al sentire comune secondo il quale il riposo è inscindibilmente associato all’assenza di lavoro e di studio o perlomeno alla sua riduzione. Anna Maria Maccheroni racconta che una volta Maria Montessori le spiegò come ci si riposa: “con l’attività spontanea, in condizioni molto favorevoli e in regime di libertà”[199]. Ecco perché le scuole Montessori potrebbero stare aperte giorno e notte! Non è infrequente, del resto, la testimonianza, da parte dei genitori, di bambini che vorrebbero andarci anche di domenica…
“La normalizzazione viene dalla concentrazione in un lavoro”[200] , scriveva Maria Montessori e il lavoro può, così, diventare il migliore dei ricostituenti.
Vediamo perché.
L’interesse e l’attrazione verso un oggetto portano al desiderio di utilizzarlo e quindi fanno scaturire l’azione e il lavoro. Un lavoro svolto con interesse porta all’entusiasmo che, come abbiamo già avuto modo di dire, è una dimensione divina: significa “essere in Dio”.
Interesse, attrazione ed entusiasmo conducono alla concentrazione e trasformano pian piano il lavoro in meditazione.
“Il nascere del fenomeno della concentrazione nel bimbo è delicato come quello di un germoglio che sta per sbocciare”[201], diceva Maria.
“Lo stato di completa concentrazione si ritrova solo in grandi uomini e anche tra essi è eccezionale. È l’origine di una forza interiore, di una forza che li fa innalzare rispetto agli altri. … Ma se noi riscontriamo questa concentrazione e questa immersione dell’anima nel bambino, è evidente che il fenomeno non rappresenta uno stato eccezionale di persone dotate di doni spirituali speciali, ma è una qualità universale dell’anima umana che, a seconda delle circostanze, sopravvive solo in poche persone che hanno raggiunto l’età adulta. … L’uomo che vede chiaramente in se stesso sente il bisogno di una vita interiore, così come il corpo avverte i bisogni della vita materiale, come la fame e il sonno. L’anima che non sente più i suoi bisogni spirituali è nella stessa pericolosa posizione del corpo che non è più capace di sentire gli stimoli della fame o il bisogno di riposo”[202] .
Ma un’altra considerazione estremamente importante emerge dall’osservazione dei bambini intenti al loro lavoro: “Studiando il fenomeno noi vediamo che c’è uno stretto legame tra il lavoro manuale compiuto nella vita di tutti i giorni e la profonda concentrazione dello spirito. Sebbene a prima vista sembri che queste due cose siano opposte, in realtà esse sono profondamente unite perché una è la fonte dell’altra. La vita dello spirito prepara in solitudine la forza che è necessaria per la vita di tutti i giorni e a sua volta la vita quotidiana fissa la concentrazione attraverso il lavoro quotidiano. Il consumo di energia è continuamente rifornito dalle fonti della concentrazione dello spirito”[203].
“Ora et labora” (“Prega e lavora”) era il motto dei monaci benedettini: essi avevano compreso l’indissolubile legame che esiste tra lo spirito e il corpo e che si realizza per mezzo del movimento e dell’azione.
Nel passo appena sopra citato, tratto da The Child, un articolo di Maria Montessori, pubblicato su “The Theosophist” nel 1941, emerge tutta l’importanza del lavoro montessoriano e della consapevolezza dei gesti che il bambino compie nell’ambiente. Sentiamo cosa dice a questo proposito Thich Nhat Hanh, monaco vietnamita e maestro zen: “Quando c’è la concentrazione, c’è anche la comprensione. La comprensione è il frutto della presenza mentale e della concentrazione”[204]. Chi pratica la consapevolezza è più bello da vedere: per il monaco vietnamita evitare gli scatti, i movimenti affrettati o goffi, assumere un portamento composto, delicato, pieno di grazia, significa aver imparato la meditazione.
“Solo il lavoro e la concentrazione, che danno prima conoscenza e poi amore, potranno portare il bambino a una trasformazione che è la rivelazione dell’uomo spirituale”[205], scrive Maria.
Questo è, a mio parere, il nocciolo segreto dell’approccio Montessori che lo rende terapeutico e a valenza universale. La concentrazione su un interesse porta il bambino a essere qui e ora in una dimensione meditativa.
Del resto lo dice la Montessori stessa: “Il modo scelto dai nostri bambini per seguire il loro sviluppo naturale è la “meditazione” perché altro non può essere quel soffermarsi a lungo sopra ogni singola cosa, traendone una graduale maturazione interiore”[206]. La meditazione in fondo non è altro che l’arte di guardare in profondità, secondo Thich Nhat Hanh.
“Si direbbe che i bambini fanno esercizi di vita spirituale”[207], scrive Maria e questa è anche l’impressione che riceve un visitatore all’interno di una Casa dei Bambini.
C’è un criterio, del resto, come ci insegna Osho, che permette di distinguere la concentrazione dalla meditazione: la meditazione non stanca, la concentrazione sì. I bambini dopo aver lavorato sono calmi e rilassati, con un’espressione di beatitudine sul viso. “Il bambino è immensamente felice; ignora il vicino o chi gli si faccia intorno. Per un istante il suo spirito è come quello dell’eremita nel deserto; è nata in lui una nuova consapevolezza, quella della sua propria individualità. Quando esce dalla sua concentrazione sembra avvertire per la prima volta il mondo che lo circonda come un illimitato campo per nuove scoperte; si accorge anche dei compagni per i quali mostra un affettuoso interesse. Egli si sveglia all’amore per le persone e le cose, gentile e affettuoso verso tutti, pronto ad ammirare ogni cosa bella. Il processo spirituale è evidente: egli stacca se stesso dal mondo per acquistare il potere di unirsi ad esso”[208] . Solo chi ha provato esperienze simili può riuscire a comprendere di cosa stia parlando Maria Montessori.
Ecco perché, ella continua, “Il bambino che ha fissato l’attenzione sull’oggetto scelto e che sta concentrandosi tutto nella ripetizione di un esercizio è un’anima salvata nel senso della salute spirituale di cui parliamo”[209]: ha imparato senza sforzo e fatica alcuna la grande arte della meditazione, che richiederà ben più arduo cammino, una volta adulti, per essere fatta propria. È un nuovo bambino, che non ha più bisogno dell’approvazione degli altri, della lode da parte di un’autorità esterna: “Ciò che gli interessa è di finire il suo lavoro, non di saperlo ammirato, né di tesorizzarlo come sua proprietà”[210]. Ciò che conta per lui è completare il ciclo della sua azione.
Il ciclo “attrazione - interesse - lavoro - concentrazione - meditazione - trasformazione” può essere rappresentato da un cerchio che può ripetersi all’infinito.
In genere però il cerchio viene spezzato in due punti: all’inizio perché non si lascia il bambino libero di scegliere, poi perché lo si interrompe mentre è concentrato.
Nel primo caso succede che sia l’adulto a scegliere per il bambino: è lui che decide come vestirlo, cosa dargli da mangiare, cosa fargli colorare, quali compiti affidargli.
Nel secondo caso è sempre l’adulto che interviene per dirgli “Cosa stai facendo? Fammi vedere” e la concentrazione è interrotta, finita”[211]. “Eppure – ci ricorda Maria Montessori – noi con quale severità diciamo al bambino: “Non ci interrompere”. Se il piccolino sta facendo una cosa, per esempio mangia da sé, viene un adulto e lo imbocca; se cerca di infilarsi un grembiale, corre l’adulto e lo veste; tutti si sostituiscono a lui senza il minimo rispetto”[212].
“Quando un bambino in giardino corre come un forsennato dentro e fuori dai cespugli, è intento al suo lavoro tanto quanto lo siamo noi. Anzi, forse di più. Il gioco è il lavoro dei bambini. Prendere in braccio il piccolo lavoratore e toglierlo dal bagnato, chiamarlo in casa perché si vesta e rimetta tutto in ordine, prima che abbia finito quello che sta facendo, è un’illecita interruzione. – dice Hillman. – La ghianda è ossessiva. È tutta e solo concentrazione, come una goccia di essenza, non si può diluire. Ci vuole rispetto. Per favore, bussate prima di entrare”[213].
Quella di Hillman è un’esortazione che andrebbe ricordata a tutti coloro che hanno a che fare con i bambini… “Il lavoro è amor fatto visibile” ha scritto il poeta libanese Gibran.
“Mai interferire quando un bambino sta lavorando da solo”[214], diceva Maria: bisognerebbe piuttosto rispettare la sacralità dell’atmosfera che si crea intorno a lui, proprio come fosse quella di un tempio o di una chiesa. È da questa atmosfera infatti che il bambino trae energia per trasformarsi internamente. “Quando è calmo, serio, raccolto, non lo vediamo, e rimaniamo indifferenti di fronte a quei momenti sacri in cui il bambino si intrattiene con se stesso, con il mondo, con Dio”[215]. Sono momenti speciali in cui il bambino si ritira in solitudine e si fortifica: solo così potrà poi avvicinarsi agli altri con amore. È da qui che nasce “il risveglio del senso sociale”[216]. È da qui, da questa sua libertà, che nasce il nuovo bambino osservato e studiato da Maria Montessori.
Ed eccoci arrivati a trattare la prossima, fondamentale questione su cui si basa il rivoluzionario approccio montessoriano al bambino.
La libertà è un valore primario dell’essere umano, il valore fondante su cui poggiano tutti gli altri. L’amore stesso non può crescere altrimenti che sul terreno della libertà. E solo offrendo ai bambini un ambiente di libertà è possibile assistere al dispiegamento delle loro infinite potenzialità. I bambini in cattività non riescono a sbocciare.
“Il più grande aiuto che possiamo dare ai nostri bambini è di stare al loro fianco e lasciarli liberi di svilupparsi a modo loro. … Poiché su questo argomento i nostri figli ne sanno più di noi.”[217], diceva Maria Montessori in un discorso rivolto ai genitori a Londra nel 1930.
Ma su questo tema ci sono stati e ci sono ancora molti fraintendimenti: libertà non significa anarchia o abbandono a se stessi. “Lasciar fare quello che vuole al bambino che non ha sviluppato la volontà è tradire il senso di libertà”[218] , scriveva la Montessori. Per poter conquistare la libertà occorre prepararsi: ci vuole un ambiente adeguato, predisposto nei minimi particolari, un adulto che sappia accompagnare il bambino senza sopraffarlo o prevaricarlo e un bambino che abbia la possibilità di esercitarsi nella “ginnastica della volontà”. Impressionante è, a questo proposito, la risposta data da un bambino a una signora in visita alla scuola Montessori che gli chiedeva “Così questo è un posto dove fate quello che volete, non è vero?” “No, Signora, noi non facciamo quel che vogliamo, vogliamo quel che facciamo”. “Il bambino sentiva la sottile differenza tra fare ciò che a uno piace e amare ciò che uno fa”[219] . Una tale risposta non può essere altro che il frutto di un atteggiamento meditativo nei confronti delle cose e della vita.
“La libera scelta è la più alta attività: solo il bambino che conosce ciò di cui ha bisogno per esercitarsi e sviluppare la sua vita spirituale può in verità scegliere liberamente. Il bambino che non sa ancora obbedire a una guida interiore, non è il bambino libero che si mette sulla strada lunga e stretta della perfezione”.
“L’uomo nasce quando la sua anima sente se stessa, si fissa, si orienta, sceglie”[220], dice ancora Maria Montessori, ed è lo stesso concetto espresso da Osho quando dice che è proprio con la decisione che l’anima può venire alla luce.
Tale attitudine nasce però da un lungo lavoro e da una costante disciplina.
“Disciplina” è una parola bellissima, ma in passato è stata male interpretata come lo sono state tutte le parole veramente belle. Il termine ha la stessa radice della parola “discepolo”, e il significato base indica “un processo di apprendimento”. La disciplina è la disponibilità all’apprendimento. Il concetto di disciplina è stato frainteso.
“La tua disciplina – ci ricorda Osho – deve venire dal tuo stesso cuore, dev’essere la tua disciplina e la differenza è enorme: quando la disciplina ti viene data da qualcun altro, non potrà mai adattarsi a te; sarebbe come indossare i vestiti di qualcun altro: ti staranno troppo larghi o troppo stretti, e ti sentirai sempre un po’ ridicolo”[221] .
“Il tacere venne – scrive Anna Maria Maccheroni parlando dei piccoli alunni di una Casa dei Bambini – Venne dal di dentro”[222]. E così deve essere. Nulla di ciò che viene imposto dal di fuori può mai portare grandi frutti: è come una parrucca di capelli posticci che prima o poi si stacca e cade.
“Tutte le vere discipline sono autodiscipline. E l’autodisciplina non è mai contro la libertà… in realtà è la scala verso la libertà. Solo le persone disciplinate diventano libere, ma la loro disciplina non è obbedienza agli altri, bensì alla propria voce interiore. E per essa sono pronti a rischiare ogni cosa.”[223]. “Noi chiamiamo disciplinato un individuo che è padrone di se stesso”[224] e non uno che “si è reso artificialmente silenzioso come un muto e immobile come un paralitico. Quello è un individuo annientato, non disciplinato”[225], scrive Maria Montessori. Se la disciplina è fondata sulla libertà deve essere necessariamente attiva. “Libertà e disciplina sono due facce della stessa medaglia perché la libertà porta alla disciplina”[226].
Anche il termine “obbedienza” è stato equivocato e associato all’idea di una passiva sottomissione, di stampo militaresco: in realtà “obbedire” viene dal latino “ob-audire” che vuol dire “andare verso ciò che si sente”. Da cui si deduce che l’unica vera obbedienza è quella nei confronti di se stessi, del proprio “maestro interiore”. “Altrimenti è una repressione. …Solo chi è maestro di se stesso può obbedire”[227].
Secondo la Montessori esistono tre gradi di obbedienza: nel primo il bambino ubbidisce di tanto in tanto, nel secondo obbedisce sempre, nel terzo sembra ansioso di obbedire: “Chiedimi di fare qualcosa e io lo faccio!” pare dire all’adulto, pieno di entusiasmo e di zelo. In questo caso obbedire diventa un piacere, una gioia. Questa è l’obbedienza che nasce dall’amore. Quando il bambino prova amore per il genitore o il maestro ubbidisce spontaneamente ai suoi richiami, quando il bambino nutre amore per l’ambiente risponde al suo tacito invito e si dedica al lavoro con entusiasmo e allegria.
Ma per giungere a tale supremo livello di obbedienza occorre prepararsi: “L’obbedienza è una caratteristica superiore che richiede una previa preparazione. Per fare qualcosa bisogna essere in grado di farla”[228]. Inutile dire o dare ciò che il bambino non è ancora in grado di ricevere. “Noi non giudichiamo. Aiutiamo. E ogni bambino fa quello che può.”[229], diceva Anna Maria Maccheroni a proposito delle maestre montessoriane.
Maria Montessori si era accorta che nella sua Casa dei Bambini di San Lorenzo regnava una calma impressionante: “Nessuno l’aveva provocata, anzi mai nessuno avrebbe potuto ottenerla dall’esterno”[230]. “Quei bambini – ella si chiese – erano forse penetrati nell’orbita del loro ciclo, come lo sono le stelle che girano senza stancarsi e senza allontanarsi dal loro ordine, continuando a brillare per tutta l’eternità?”[231]
È ciò che succede anche oggi in tutte le scuole Montessori sparse per il mondo. I bambini assecondano i desideri della maestra con una rapidità sorprendente e cooperano tra loro in un clima di pacata tranquillità e operosità, come piccoli monaci in un convento.
“La cooperazione è la conseguenza di una vita libera con attività libera. I bambini allora sono ordinati e hanno un’armoniosa disciplina. Una disciplina in cui ognuno ha i suoi diversi interessi. È diversa dalla disciplina di un soldato, che è forzato all’obbedienza, quando tutti devono fare la stessa cosa allo stesso momento”[232]. Quello che avviene più o meno nelle nostre scuole-caserme…
Molti oggi parlano di libertà ma chi è riuscito veramente a realizzarla?
“Nuova la libertà? Comenius ne parla già”, così commentò un visitatore di una Casa dei Bambini, rivolgendosi a Maria Montessori. “Sì, molti ne parlano ma questa è una forma di libertà realizzata” rispose la Dottoressa e, descrivendo l’episodio, aggiunse “Egli sembrava non capire la differenza. ‘Non credete – dovetti aggiungere – che ci sia differenza tra chi parla di milioni e chi li possiede?’”[233]
Non si può concludere questo capitolo senza spendere due parole sull’argomento dell’indipendenza. La scuola Montessori è per eccellenza una scuola che prepara all’indipendenza.
“Quando un bambino si fa indipendente, spiritualmente è nato”[234], scrive Maria. “Bisogna prima di tutto dipendere da se stessi, perché nel momento del pericolo si è soli. E la forza non si può acquistare istantaneamente. Chi sa di dover lottare nel mondo, si prepara…”[235]
E come ci si prepara all’indipendenza? Attraverso la volontà.
“Ciò che fa la resistenza non è la visione morale, è l’esercizio della volontà”[236]. “Come il bambino acquista l’indipendenza? La acquista per mezzo di una continua attività. Come realizza il bambino la sua libertà? Con uno sforzo continuo. … L’indipendenza non è statica, è una continua conquista e per mezzo di un continuo lavoro si giunge non solo alla libertà ma alla forza e all’auto-perfezione”[237].
“Il primo istinto del bambino è di agire da solo, senza l’aiuto altrui, e il suo primo atto cosciente di indipendenza è di difendersi da coloro che cercano di aiutarlo.”
Il bambino “vuole apprendere da sé, vuole avere esperienza del mondo e percepirlo col proprio sforzo personale. “Aiutami a fare da solo!” è il motto di ogni bambino lasciato libero di agire nell’ambiente.
L’attitudine a cercare l’aiuto all’esterno, a fare il meno possibile, a ridurre il lavoro e a farsi servire dagli altri, è un segno di regressione alla vita embrionale in un bambino che “non è stato aiutato nei primi giorni di vita ad adattarsi all’ambiente e ha acquisito un senso di disgusto per l’ambiente e l’attività.”[238], perché questi hanno presentato per lui troppe difficoltà e resistenza. È una sorta di atto di rinuncia di fronte a ostacoli troppo grandi quando il bambino era troppo piccolo per superarli da solo.
Invece “Chi è nato e cresce normalmente va verso l’indipendenza”[239] e non la evita. Perché questa è la direttiva della Natura. “Il bambino cerca l’indipendenza attraverso il lavoro: l’indipendenza del corpo e della mente”. Quante volte ci è capitato di sentire un piccolino di due anni dire deciso “Faccio io!” e quante volte la risposta è stata “Lascia stare, tu sei troppo piccolo!”…
Il bambino “desidera agire secondo la propria volontà, cioè vuole trasportare cose, vestirsi, spogliarsi da solo, mangiare da sé ecc. … i nostri sforzi sono generalmente spesi, al contrario, per trattenerlo dall’agire: ora, opponendo questa resistenza l’adulto non si oppone al bambino, ma alla natura stessa, poiché il bimbo con la sua volontà collabora con la natura ed obbedisce passo per passo alle sue leggi”[240].
Lasciamo dunque che il bambino ci guidi verso ciò che sa essere giusto per lui: dopo averlo protetto e custodito nel nostro ventre e nelle nostre braccia, lasciamo che nasca alla vita e muova i suoi primi passi nel mondo. Accompagnamolo con discrezione, offrendo il nostro sostegno in caso di bisogno, ma lasciamolo libero di sperimentare e di agire cosicché non abbia un giorno da andare a ricostruire con fatica e sofferenza ciò che gli apparteneva per diritto e gli è invece stato negato in quello che era il momento giusto per lui.
Libertà e amore
Elena Balsamo
L’approccio Montessori per un’educazione secondo natura.ll pensiero Montessori spiegato da una grande scrittrice che è anche medico pediatra: Elena Balsamo, nota esperta in tematiche perinatali e pedagogiche.
Per educare un bambino occorre prima di tutto educare se stessi.In Libertà e amore, Elena Balsamo ci conduce in un viaggio attraverso lo spazio e il tempo per riscoprire un nuovo approccio al bambino, dalla vita prenatale all’età evolutiva, prendendo spunto dalla visione di Maria Montessori, donna straordinaria che ha dato vita a un sistema educativo a dir poco rivoluzionario, diffuso in ogni parte del mondo.Scriveva Maria Montessori che i capricci e le disobbedienze del bambino non sono altro che aspetti di un conflitto vitale fra l’impulso creatore e l’amore verso l’adulto, che però non lo comprende.C’è quindi un grosso fraintendimento sulle aspettative dei genitori e degli insegnanti nei confronti dei bambini, che comincia dalla nascita e si manifesta con il confondere il bambino reale con il bambino ideale, esistente soltanto nella mente e nella fantasia degli adulti.Il prezzo da pagare è la perdita dell’autenticità, della libertà, della vera natura del bambino stesso.La scuola montessoriana consiste in un vero e proprio laboratorio creativo nel quale, in un ambiente ricco di amore, rispetto e autentica libertà di scelta, le capacità intellettuali e manuali sono libere di svilupparsi in tutta la loro forza e bellezza.Quello di Maria Montessori non è però solo un metodo educativo, ma molto di più: è un modo di guardare il mondo e gli esseri che lo abitano con gentilezza e amore, nella consapevolezza che siamo tutti parte dello stesso ecosistema.Una nuova chiave di lettura per reinventare la relazione con i nostri figli e i nostri alunni, secondo natura.
Conosci l’autore
Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.