capitolo iii

A . Bambini difficili o bambini incompresi?

Se un cespo di lattuga non cresce bene, non rimproverate la lattuga.
Cercate di capire cosa c’è che non va.

Thich Nhat Hanh

Forse se li amassimo non avrebbero bisogno di essere aggressivi.

O. Crombie

Non esiste alcuna qualità o alcuna energia che non possa essere mutata in bene, in benedizione. E ricorda: ciò che può diventare un male, può sempre diventare un bene; ciò che può diventare nocivo, può sempre diventare benefico. Benefico e nocivo, buono e cattivo sono solo direzioni diverse. Il segreto sta tutto nella trasformazione: cambiando la direzione le cose diventano diverse. … Devi ruotare su te stesso di centottanta gradi, cioè operare un completo cambiamento di direzione.

Osho

Alcuni bambini considerati a scuola un po’ turbolenti si iscrivono a un corso di arti marziali. Durante le prime lezioni esibiscono il loro comportamento usuale disturbando i compagni, creando difficoltà nello svolgimento del lavoro; poi, pian piano che il tempo passa, grazie all’atteggiamento di empatia e insieme di autorevolezza del maestro, che li ama – e loro lo sentono – ma nello stesso tempo sa porre dei limiti con pacata fermezza, e grazie al movimento, saggiamente guidato, che permette loro di scaricare emozioni represse e di far fluire l’energia, ecco che accade il miracolo: alla fine del corso il gruppo è compatto, affiatato, gli scalmanati son diventati agnellini che aiutano i compagni più piccoli con fare paterno.

Oggi vengono definiti “iperattivi” o “ipercinetici” e il loro numero cresce sempre più, diventando un’emergenza sociale, ma il problema dei bambini con difficoltà di comportamento esisteva anche ai tempi della Montessori. Ecco come ne parla lei stessa, in termini estremamente attuali, in un corso a Londra nel 1946: “I bambini difficili diventano sempre più numerosi. … Non dobbiamo pensare che nel 1946 i bambini siano improvvisamente divenuti peggiori. Non è il risultato dell’evoluzione, i bambini sono più o meno gli stessi di quelli che sono sempre stati. Pertanto non è colpa dei bambini”[142]. I bambini – ella prosegue – vivono ormai in condizioni ottimali, sono ben nutriti, ben vestiti, curati, frequentano la scuola e luoghi di svago e all’aria aperta e i genitori sono sempre più consapevoli. Allora dov’è il problema?


“La causa deve risiedere nella mancanza di qualche elemento che è essenziale per la vita. … qualcosa che non è ancora noto o non è stato finora preso in considerazione. Noi dobbiamo cercare di trovare questo elemento che manca. … È evidente che i bambini soffrono. È evidente anche che la moderna psicologia non è sufficiente. I genitori e gli insegnanti non possono fare niente e neanche i dottori…[143]


“I bambini sono tutti feriti, psicologicamente parlando”[144].


I bambini che hanno difficoltà a concentrarsi, che non riescono a stare seduti in classe, che hanno uno scarso rendimento scolastico o mostrano comportamenti aggressivi ma anche i bambini che al contrario sono timidi e paurosi, sempre indecisi, ansiosi e stressati, non sono infatti bambini malati, che necessitano di farmaci, ma bambini la cui energia ha preso direzioni differenti da quelle previste dalla natura, strade inefficaci. È come se l’acqua di un fiume che scorre, avendo trovato ostacoli sul suo cammino, avesse dovuto incanalarsi in rigagnoli accessori anziché poter fluire nel corso principale. “Tutte queste deviazioni non sono malattie ma il risultato di repressioni”[145]. Le emozioni – per esempio di rabbia, paura, tristezza – non espresse a tempo debito, o addirittura eliminate in quanto giudicate “cattive”, è come se lasciassero un buco nell’anima del bambino, proprio come pezzetti mancanti di un puzzle: quando non si accetta qualcosa che fa parte della vita l’interezza – e con essa l’armonia – va perduta.

Le lacrime trattenute, non versate al momento giusto, è come se si “fossilizzassero”, lasciando la loro impronta anche sul corpo fisico, sottoforma, per esempio, di rigidità, posture non equilibrate e mancanza di grazia nei movimenti.


Oggi, lo si vede, i bambini sono sempre meno flessibili e delicati nei movimenti e questo loro comportamento esterno non è altro che il riflesso di un corrispettivo interno.

“All’origine di tutte le deviazioni sta un fatto solo: cioè che il bambino non ha potuto realizzare il disegno primitivo del suo sviluppo, agendo su di lui l’ambiente nell’età formativa: quando la sua energia potenziale doveva svolgersi attraverso l’incarnazione[146]. Maria Montessori usa qui un termine molto particolare, che di solito appartiene al linguaggio religioso, e che necessita, io credo, di una spiegazione.


La nascita, in senso metafisico, non è altro che la domiciliazione di un’anima dentro ad un corpo, nel quale essa prende dimora. Lo spirito si fa carne. Perché questo processo avvenga in modo ottimale “l’energia psichica deve incarnarsi nel movimento e comporre l’unità della personalità agente”. Se questo non avviene “le due cose, energia psichica e movimento, devono svolgersi separatamente e ne deriva “l’uomo spezzato”[147]. L’essere umano è come una pianta: nasce in forma di seme e se trova il terreno giusto e le giuste condizioni ambientali si sviluppa fino a diventare un albero. Proprio come l’albero, per poter crescere forte e saldo, resistente alle intemperie, deve avere solide radici che affondano nella terra; solo così può innalzare i suoi rami fino al cielo. Il primo processo che deve avvenire nel bambino è quello del radicamento e questo si verifica grazie a esperienze emotive positive, quali una degna accoglienza e un ambiente affidabile che dà il senso della fiducia, ma anche grazie a esperienze fisiche, quali innanzitutto l’essere toccato con amore – che dà il senso dei propri confini e della propria collocazione nello spazio – e poi la possibilità di movimento libero e la presenza di motivi di attività nell’ambiente. Un bambino piccolo ha bisogno di sperimentare il mondo attraverso i sensi, come vedremo più avanti, soprattutto attraverso il tatto e il movimento. I suoi piedi hanno bisogno di toccare il terreno, di sentirne il sostegno ma anche le diverse sensazioni legate alle sue differenti caratteristiche. Le sue mani hanno bisogno di manipolare oggetti di diversa forma, consistenza e superficie. Se tutto questo viene limitato o bloccato perché non si permette al piccolo per esempio di camminare scalzo o di toccare ciò che lo circonda o di agire autonomamente senza il continuo intervento dell’adulto, ecco che il processo di radicamento fa fatica a realizzarsi appieno. “Poiché nella natura nulla si crea e nulla si distrugge, e ciò avviene specialmente per le energie, queste, dovendo svolgersi fuori della finalità segnata dalla natura, si svolgono deviando. Deviano innanzitutto perché hanno perduto il loro oggetto e vanno nel vuoto, nel vago, nel caos. L’intelligenza che avrebbe dovuto costruirsi attraverso le esperienze del movimento, fugge attraverso la fantasia”[148].

Si sviluppano così bambini incapaci di ambientarsi, di accettare la realtà in tutti i suoi aspetti, bambini non sicuri nella percezione del loro corpo che sentono addirittura come estraneo a se stessi e di cui non si fidano. Spesso i loro arti ciondolano, buttano le mani di qua e di là come se non sapessero che cosa farsene. I movimenti sono scoordinati e disordinati, continui e irreprimibili ma senza scopo e la percezione del bambino è di inefficienza: il loro commento abituale diventa “Non ce la faccio, non sono capace, non lo so fare”. Si tratta in genere di bambini dolci e delicati, sensibili e profondi ma persi nei loro sogni, che fantasticano di un mondo immaginario dove sentirsi “a casa”, bambini che, come dice il terapeuta antroposofo Henning Kohler, “vorrebbero restare nelle vicinanze del cielo” perché l’atterraggio in questo mondo per loro è stato un po’ traumatico. Ed ecco che nasce quella che Maria Montessori definiva come “fuga nel gioco e nell’immaginazione”, intendendola come “il correre via, il rifugiarsi e spesso il nascondersi di una energia che è fuori del suo posto naturale; oppure rappresenta una difesa subconscia dell’io che fugge una sofferenza od un pericolo e si nasconde sotto una maschera”[149]. Come a dire: non riesco a sopportare questa situazione, mi creo un mio mondo personale in cui sentirmi al sicuro e lì mi rifugio.


Le “fughe” sono secondo la Montessori facilmente rimovibili attraverso un corretto approccio terapeutico che fornisca al bambino l’ambiente adatto alle sue esigenze. “Se qualcuno fugge da un luogo perché non vi ha trovato le cose di cui aveva bisogno, si può sempre immaginare di richiamarlo, cambiando le condizioni dell’ambiente”[150]. Ed è per l’appunto ciò che avviene nelle Case dei Bambini: “Una delle cose osservate più spesso nelle nostre scuole è la rapidità di trasformazione di quei bambini disordinati e violenti che sembrano a un tratto ritornare da un mondo lontano. Il loro cambiamento non è soltanto nell’apparenza esterna che trasforma il disordine in lavoro, ma è un cambiamento più profondo che si presenta sotto l’aspetto di serenità e soddisfazione. Lo sparire delle deviazioni avviene come un fatto spontaneo; una trasformazione naturale; eppure era già una deviazione che, non rimossa nell’infanzia, poteva accompagnare l’uomo per tutta la vita”[151] .


Più difficile invece è riuscire a smantellare le “barriere psichiche” che si creano quando un’energia deviata viene costretta a un lavoro forzato.


La barriera psichica “è una costruzione interiore che chiude lo spirito e lo nasconde per difenderlo dal mondo. Un dramma occulto si va svolgendo dentro quelle barriere multiple, che spesso separano da tutto ciò che è bello al di fuori e che sarebbe causa di felicità”[152]. È come se una sorta di velo discendesse sulla mente del bambino che lo rende – dice Maria Montessori – sempre più sordo e più cieco. Si tratta di un sistema di difesa di fronte ad una situazione percepita come un attacco. È “come se l’anima nel subconscio dicesse: ‘Voi parlate ma io non ascolto; voi ripetete ma io non vi sento. Io non posso costruire il mio mondo, perché sto costruendo una muraglia di difesa affinché voi non possiate penetrare’”[153].

“Sono una roccia, sono un’isola – recita una famosa canzone di Simon and Garfunkel – ho costruito muri, una fortezza profonda e potente che nessuno può penetrare. Una roccia non prova dolore e un’isola non piange mai”: parole queste che esprimono perfettamente il vissuto di chi, bambino o adulto che sia, vive confinato dentro al recinto delle sue barriere psichiche.


A volte può trattarsi anche solo di una semplice ripugnanza per una materia di studio, per esempio la matematica, che molte persone si portano appresso per tutta la vita, a volte invece l’avversione può essere estesa agli studi in generale, alla maestra, ai compagni. Fino ad arrivare a casi di vera e propria paura della scuola da cui il bambino si separa completamente chiudendosi sempre più in se stesso e diventando come una specie di fortezza inespugnabile, una corazzata inaccessibile e inattaccabile. Il mondo esterno diventa il nemico da cui difendersi e in questo modo si perde tutta la bellezza del vivere, il fascino dell’apprendere e ci si priva delle piccole grandi gioie che la vita ci offre ogni giorno.

Allora, in questi casi, ciò che è importante è riuscire a stabilire un contatto, anche piccolissimo: “È come al telefono. Quello che vogliamo è il contatto con la voce che parla.”[154] , dice Maria Montessori e continua: “Si tratta di una piccola cosa, ma quante grandi cose possono derivare da una piccola se questa ha un’importanza centrale. Per esempio: in questa sala ci sono 200 lampade elettriche, eppure è buio, ma se giriamo una chiavetta si vede subito una gran luce; che cosa abbiamo fatto? Abbiamo messo un contatto. Ma qualche volta mettere un contatto è una cosa essenziale. Fu girata una chiavetta, una piccola cosa dunque, che è facile da maneggiare, ma che ha un’importanza profonda, perché pur richiedendo solo un piccolo tocco, produce meraviglie”[155] . A volte occorre proprio una piccola chiave per far scattare un click improvviso, serve il tocco lieve e fatato di una bacchetta magica per aprire porte chiuse da secoli.

Deviazioni e normalizzazione

Anche se il principio che le sottende è analogo, le deviazioni sono tante e di tipi diversi a seconda dell’individualità del bambino. Per esempio i bambini remissivi tendono a diventare molto attaccati ai genitori: sono in genere bambini esigenti che richiedono costantemente l’attenzione dell’adulto che deve guardarli, ascoltarli, giocare con loro e non lasciarli mai. Si lamentano per ogni nonnulla e si annoiano facilmente. Sono bambini che cedono e ubbidiscono alla volontà dell’adulto quasi per inerzia, come se mancasse loro l’energia vitale per opporsi all’influenza altrui e l’adulto ne approfitta spesso soffocandoli e sostituendosi a loro. “Faccio io, tu sei piccolo (o non sei capace)” è la tipica frase dei genitori a cui risulta più comodo e sbrigativo agire al posto del bambino piuttosto che lasciargli la possibilità e il gusto di fare da sé e costruire così la propria autonomia. Il risultato è lo sviluppo di un senso di inferiorità (“da solo non ce la faccio”), di un atteggiamento di timidezza e di indecisione, che porta a ritrarsi subito dinnanzi alle difficoltà e alle critiche.

“L’adulto – dice Maria Montessori – ha spinto indietro l’anima del bambino, si è sostituito a lui, vi ha soffiato sopra i suoi aiuti inutili, le sue suggestioni e l’ha spenta: e non se ne è accorto”[156]. Questo è il vero dramma.


Un altro caso è quello dei bambini definiti “egoisti e dittatoriali” in cui il desiderio di possesso si associa a quello di potere. Il bambino, ci spiega la Montessori, ha una “specie di fame che lo porta verso l’ambiente, per cercarvi cose capaci di nutrire il suo spirito e se ne nutre con l’attività”[157]. Ora, se egli non trova nell’ambiente “quei motivi di attività che sarebbero destinati a svilupparlo, egli vede solo “le cose” e ne desidera il possesso”[158]. È così che cominciano tanti litigi dei bambini, che lottano per possedere lo stesso giocattolo o perché uno desidera quello dell’altro. Ma in realtà non è l’oggetto la causa del desiderio di possesso ma un “male interiore”, una sofferenza dell’anima la cui fame non viene placata, non trova nutrimento. “Il comportamento egocentrico continua – scrive Rebeca Wild – finché la pressione dei bisogni inappagati lo richiede”[159].


Così il bambino capriccioso, che sfida l’adulto chiedendo sempre di più è anche lui un bambino “deviato” che, non avendo trovato ciò di cui necessita, sfrutta il genitore a suo vantaggio. Questi forse gli avrà impedito di lavarsi le mani da solo ma poi lo accontenterà di fronte al suo pianto e alla richiesta di un nuovo giocattolo.


“No, l’adulto non ha viziato il suo bambino quando gli ha ceduto; ma quando gli ha impedito di vivere e lo ha spinto verso deviazioni del suo normale sviluppo”[160].


In tutti questi casi i discorsi moralistici, le prediche e gli ammonimenti, così come i premi e le punizioni non servono a nulla, sono completamente inutili “poiché sarebbe come se ad un uomo che ha la febbre ed il delirio, si facesse un discorso per dimostrargli che sarebbe bene per lui di essere sano e si minacciasse di bastonarlo se non farà scendere la sua temperatura”[161]. Qui non si tratta di una questione di buona o cattiva volontà ma di meccanismi inconsci che intervengono per salvaguardare in qualche modo il bambino, anche se per farlo usano a volte i mezzi sbagliati. Ogni sintomo ha comunque la sua precisa ragione d’essere e se noi sapessimo interpretarne il significato e coglierne il messaggio avremmo già fatto passi da gigante sulla strada della sua risoluzione.


Se le deviazioni sono come “ossa lussate, uscite dalla loro vera posizione”[162], “si comprende quali delicate cure occorrerebbero” per riportare il bambino alla salute “invece è nell’uso l’aggressività diretta sia nell’insegnamento intellettuale sia nella correzione del disordine”[163] , scrive Maria Montessori. Mentre basterebbe togliere le repressioni per liberare l’energia sommersa, basterebbe liberare il bambino dai condizionamenti proprio come se si levassero i sassi o i rami caduti nel corso d’acqua a intralciare il suo cammino. Quello che bisogna fare è un lavoro di disostruzione per poter trasformare l’energia e darle una diversa direzione. “La repressione dev’essere rimossa prima che la vita energetica possa produrre una cura”[164] . È solo dopo aver ripulito il pozzo dalle pietre e dai detriti, dalla sabbia e dalla melma, infatti, che l’acqua può sgorgare limpida e cristallina.


È proprio ciò che Maria Montessori intendeva con il termine “normalizzazione”. Tornare a funzionare “secondo natura”: “quello che si chiama ‘Metodo Montessori’ gira attorno a questo punto essenziale. Possiamo dirlo con sicurezza, attraverso quarant’anni di esperienza, attraverso prove ripetute tra tutte le razze, in tutti i Paesi del mondo. …È necessario che il bambino prima si normalizzi e poi progredirà. Anche un uomo malato non può produrre secondo le possibilità che sarebbero in lui per natura; bisogna prima che guarisca”[165].


La normalizzazione del bambino di cui parla la Montessori non è altro che una liberazione: “liberazione della sua vita da ostacoli che ne impediscono il normale sviluppo”, liberazione del bambino “da catene che gli impediscono di avanzare”[166] e che fanno di lui uno schiavo. La liberazione, a pensarci bene, non è altro che un’azione-che-libera.

Quale terapia?

Qual è, dunque, la giusta terapia per i problemi dei bambini? Gli strumenti possono essere tanti ma la soluzione è una sola: naturali condizioni di vita.

Una cosa è certa: non si può correggere l’errore affrontandolo direttamente e lottando contro di esso ma occorre aggirare l’ostacolo utilizzando mezzi indiretti. “Non si potrebbe vincere con l’affrontare i difetti; perché affrontare i difetti direttamente, vuol dire far nascere delle difese, che spesso rendono impossibile ogni ulteriore azione. Tutte queste difese e simili caratteri sono deviazioni che possono essere impedite soltanto seguendo lo sviluppo psichico del bambino”[167].


“Si corregge solo “dilatando”, dando spazio, dando mezzi per l’espansione della personalità: suscitando interessi…”[168], ha scritto Maria Montessori ed è lo stesso sistema utilizzato da Edward Bach nella sua terapia con i fiori: non si combatte il difetto ma si cerca di esaltare la virtù opposta.


Per esempio non si può vincere la paura combattendola o cercando di controllarla: solo un’accettazione piena e totale di essa e, nello stesso tempo, un’attenzione posta su elementi psichici esaltanti (per esempio arte, movimento, o qualsiasi altra fonte di creatività e interesse) può portare al superamento del problema in questione. Anche perché la paura non è altro che una maschera che nasconde la rabbia, la quale a sua volta occulta il dolore. È solo quando il dolore può finalmente uscire allo scoperto ed essere accettato nella sua “nudità” che la paura scompare.


“Bisogna che questi bambini possano trovare delle condizioni di vita necessarie al bambino e che sono le condizioni di vita normale: quindi lo studio dell’educazione è lo studio delle condizioni necessarie alla vita normale del bambino”[169].


“Scopo dell’educazione non è addestrare ma sviluppare energie”[170], liberare forze sommerse che scorrendo portano via con sé i detriti dal letto del fiume.


“Noi non abbiamo con mezzi speciali moralizzato i bambini; – scrive Maria – non abbiamo insegnato loro a vincere i capricci e a rimanere tranquilli nel lavoro; non abbiamo insegnato la calma e l’ordine esortandoli a seguire degli esempi e spiegando come l’ordine sia utile all’uomo; non abbiamo fatto prediche per insegnare la cortesia dei rapporti, per animare al rispetto verso il lavoro altrui, alla pazienza dell’attesa per non ledere gli altrui diritti. Nulla di ciò: noi abbiamo soltanto liberato il bambino e lo abbiamo aiutato a vivere”[171]. Tutto il resto è venuto di conseguenza. E il bambino ha rivelato il suo vero volto. La Montessori si è così accorta che “ci sono due diverse nature: quella veramente normale, che però era sconosciuta, e quella deviata, che da tutti fu giudicata normale”[172]. Tutti gli adulti, o quasi, sono concordi nel considerare i bambini capricciosi, egoisti e svogliati per natura ma questa è invece la maschera che essi si sono fabbricati quando il loro sviluppo non ha potuto dispiegarsi secondo le leggi naturali. Le conseguenze di tale fraintendimento però sono gravi e pericolose. Ecco come ne parla Henning Kohler: “Al giorno d’oggi è molto diffuso il ‘vizio’ di giudicare i bambini che non si comportano o sviluppano come ci si aspetta e di attribuire loro certi concetti diagnostici che invece riguardano malattie. Bisogna tenere conto di questa tendenza attuale e guardarla molto attentamente; penso che tutte le persone che cercano nuove prospettive nel campo della pedagogia e della terapia dovrebbero opporre resistenza.


Quest’attuale tendenza è sconvolgente e allarmante. Il motto è: ‘patologizzazione’ del bambino singolare, che non corrisponde alla media! Siccome sempre più bambini non si comportano secondo la norma, dal punto di vista della psicologia dello sviluppo (qui le cause possono essere molteplici), sempre più bambini vengono trattati come ‘casi patologici’ ed essi debbono affrontare il loro percorso di vita con l’impronta del ‘disturbo della personalità’. Non è certo un aspetto trascurabile”[173]. Anche perché il ricorso a farmaci in queste situazioni è sempre più frequente e preoccupante.

Mal di scuola

Molto comuni sono i fallimenti scolastici: “Ma è il bambino che fallisce o è la scuola?” – bisognerebbe chiedersi insieme a Hillman – “Forse dovremmo leggere in altro modo i dati dei disturbi dell’apprendimento e i casi di difficoltà scolastiche. Piuttosto che ‘Non riusciva a scuola’ dovremmo leggere ‘Si è salvato dalla scuola’. In molti casi infatti l’intuizione del daimon[174] non può assoggettarsi alla normalità dell’istruzione”[175]. Basti pensare alla biografia di tanti celebri personaggi riportati dallo psicanalista americano: Thomas Edison era uno degli ultimi della classe, Giacomo Puccini era sempre bocciato agli esami, Paul Cezanne non fu ammesso alla Ecole de Beaux Arts di Parigi, Albert Einstein veniva definito “un po’ ottuso” dai suoi insegnanti alle scuole elementari, dove si annoiava al punto da affermare “Preferivo sopportare qualunque castigo piuttosto che imparare baggianate a memoria”; Thomas Mann definiva la scuola “stagnante e deludente” e il grande poeta indiano Tagore, non riuscendo a sopportarla, la interruppe a tredici anni: “Sono stato abbastanza fortunato da districarmene prima che l’insensibilità diventasse cronica” ebbe poi a scrivere. Lo scrittore francese contemporaneo Daniel Pennac, in uno dei suoi ultimi libri, racconta così il suo travagliato esordio scolastico: “Andavo male a scuola. … I miei voti sul diario dicevano la riprovazione dei miei maestri. Quando non ero l’ultimo della classe, ero il penultimo. Refrattario dapprima all’aritmetica, poi alla matematica, profondamente disortografico, poco incline alla memorizzazione delle date e alla localizzazione dei luoghi geografici, inadatto all’apprendimento delle lingue straniere, ritenuto pigro (lezioni non studiate, compiti non fatti), portavo a casa risultati pessimi che non erano riscattati né dalla musica, né dallo sport né peraltro da alcuna attività parascolastica.” Fu solo grazie all’intervento di tre o quattro bravi insegnanti che fu “salvato dalla scuola” fino a diventare insegnante lui stesso.


L’elenco dei personaggi illustri alle prese con il “mal di scuola” potrebbe continuare a lungo. Ma possiamo guardare anche più vicino a noi. Conosco un bambino, peraltro pieno di interessi e curiosità, che in prima elementare, dopo un impatto non proprio piacevole con la scuola, disse alla mamma “ma qualcuno non mi può sostituire?”: segno inequivocabile di un incontro mancato tra il suo daimon e l’ambiente scolastico. La maggior parte dei bambini e dei ragazzi, alla fatidica domanda “Ti piace andare a scuola?” risponde di no e afferma di annoiarsi. “Detestavo la scuola, non l’imparare” diceva W. Saroyan, affermazione che molti alunni, considerati svogliati, potrebbero sottoscrivere.


Del resto la Montessori non è certo tenera nei confronti dell’istituzione scolastica di cui parla in termini piuttosto critici, addirittura adducendo ad essa la tanto, già ai suoi tempi, criticata, “mancanza di carattere nella gioventù”: “È la scuola – ella dice – che contorce il corpo, quella che indebolisce l’anima”[176]. A scuola, secondo la Dottoressa, i bambini sono “obbligati in massa ad un lavoro forzato di molti anni, ove il corpo sarà sottoposto alla tortura”[177]. Esistono perfino malattie acquisite per il solo fatto di andare a scuola, come la scoliosi e la miopia: la prima legata alla “troppo prolungata permanenza nella posizione seduta” – e, oggi, al carico sempre più spropositato di zaini e cartelle – la seconda a una insufficiente illuminazione o alla eccessiva lontananza del bambino dalla lavagna. Ma si potrebbero aggiungere anche un bel campionario di malattie psicosomatiche come disturbi digestivi, mal di testa, ansia e relativi incubi notturni ed enuresi (ai tempi della Montessori si parlava di “anemia, mal di fegato e neurastenie”).


Le forzature infatti non sono solo fisiche per il bambino: “La scuola, nella maggior parte dei casi, è un luogo spoglio, nudo, ove il colore grigio delle pareti, le tende alle finestre, precludono ai sensi ogni via di sfogo. Lo scopo di questo triste scenario è che l’attenzione dello scolaro non sia trattenuta da stimoli e venga condotta a fissarsi sul maestro che parla. I fanciulli, seduti, ascoltano per ore ed ore nell’immobilità. Quando questi fanciulli disegnano devono riprodurre perfettamente un altro disegno. Quando si muovono, è interpretando esattamente un comando altrui. La loro personalità è apprezzata solo per l’obbedienza passiva; l’educazione della loro volontà consiste nella metodica rinuncia al volere”[178].


Spesso la scuola impone ai bambini “delle condizioni che l’adulto non avrebbe la forza di sopportare nemmeno in minima parte … come per esempio quella di ascoltare immobilmente per tre o quattro ore al giorno, durante anni, un conferenziere pesante e noioso!”[179].


Ed è così che ci si è messi a studiare il fenomeno del surmenage e della fatica dello scolaro, cercando in modi diversi di combatterla o alleviarla, in una parola di “diminuire la pena”, per esempio abbreviando gli orari scolastici o riducendo i programmi ma “la conclusione di tante ricerche è una crescente moltitudine di problemi insoluti”[180]: da un lato, lo spettro dell’incombente ignoranza, in tempi in cui ci sarebbe bisogno invece “di una cura intensiva delle nuove generazioni e di una preparazione culturale sempre più vasta e complessa”[181] e, dall’altro, l’abbandono dei bambini per tempi prolungati che diventa un’emergenza sociale, vista la sempre maggior durata dei tempi lavorativi dei genitori. Chiaramente non è in queste direzioni che va cercata la soluzione dei problemi che affliggono la scuola di oggi come affliggevano quella di ieri.


Vedremo tra poco come per capovolgere la situazione e trasformarla completamente siano sufficienti alcuni semplici ma basilari accorgimenti: accordare ai bambini la libertà di scelta e accendere in loro la lampadina dell’interesse significa aprire le porte di un mondo incantato che continuerà ad affascinarli per il resto della loro esistenza.

Libertà e amore
Libertà e amore
Elena Balsamo
L’approccio Montessori per un’educazione secondo natura.ll pensiero Montessori spiegato da una grande scrittrice che è anche medico pediatra: Elena Balsamo, nota esperta in tematiche perinatali e pedagogiche. Per educare un bambino occorre prima di tutto educare se stessi.In Libertà e amore, Elena Balsamo ci conduce in un viaggio attraverso lo spazio e il tempo per riscoprire un nuovo approccio al bambino, dalla vita prenatale all’età evolutiva, prendendo spunto dalla visione di Maria Montessori, donna straordinaria che ha dato vita a un sistema educativo a dir poco rivoluzionario, diffuso in ogni parte del mondo.Scriveva Maria Montessori che i capricci e le disobbedienze del bambino non sono altro che aspetti di un conflitto vitale fra l’impulso creatore e l’amore verso l’adulto, che però non lo comprende.C’è quindi un grosso fraintendimento sulle aspettative dei genitori e degli insegnanti nei confronti dei bambini, che comincia dalla nascita e si manifesta con il confondere il bambino reale con il bambino ideale, esistente soltanto nella mente e nella fantasia degli adulti.Il prezzo da pagare è la perdita dell’autenticità, della libertà, della vera natura del bambino stesso.La scuola montessoriana consiste in un vero e proprio laboratorio creativo nel quale, in un ambiente ricco di amore, rispetto e autentica libertà di scelta, le capacità intellettuali e manuali sono libere di svilupparsi in tutta la loro forza e bellezza.Quello di Maria Montessori non è però solo un metodo educativo, ma molto di più: è un modo di guardare il mondo e gli esseri che lo abitano con gentilezza e amore, nella consapevolezza che siamo tutti parte dello stesso ecosistema.Una nuova chiave di lettura per reinventare la relazione con i nostri figli e i nostri alunni, secondo natura. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.