Scuola sana e scuola malata
Maria Montessori sosteneva che la natura deve costituire l’interesse preponderante del bambino fino a 12 anni, ma spesso nelle scuole non c’è neanche un giardino dove poter esplorare le meraviglie naturali: solo uno squallido cortile di cemento. Nei casi più fortunati, dove esisterebbe lo spazio adatto, a volte sono le insegnanti che limitano le possibilità di movimento e di esplorazione per paura che i bambini si facciano male. E così il contatto con la natura rimane confinato a qualche gita o uscita didattica o alle vacanze estive, per chi ha la fortuna di farle. Ma i bambini in questa età hanno bisogno di avventura, hanno voglia di sperimentarsi, di esplorare il mondo: amano costruire rifugi e capanne con rami, frasche o pezzi di legno, o magari anche solo con un pezzo di stoffa teso tra due pali o in casa tra due mobili in un angolo del salone. Adorano accendere il fuoco, ancora di più se possono poi cuocervi sopra caldarroste o saporite salsicce… Sono dei piccoli pionieri, che hanno bisogno di ripercorrere le fasi evolutive dell’uomo quando era un cacciatore-raccoglitore. Ecco perché dai sei ai dodici anni sono adattissime le attività proposte dai boy-scout, che rispondono ai bisogni tipici di questa età: costruire case sugli alberi, pescare nei torrenti, dormire in tenda, mangiare all’aperto seduti intorno al fuoco… Sarebbero poi da proporre tutte le attività di tipo artigianale: dalla lavorazione della creta con il tornio per costruire vasellame, alla tessitura, alla falegnameria, alla cucina.
Ne parla anche Maria Montessori nel libro che ha introdotto il suo metodo in America, quando racconta di aver adottato nelle sue scuole attività manuali come la fabbricazione di vasi d’argilla e, a partire dai sei anni di età, la lavorazione con il tornio. “Ma – ella scrive – ciò che delizia maggiormente i bambini è costruire un muro con piccoli mattoni e vedere una piccola casa, frutto del lavoro delle loro mani, nascere nelle vicinanze del terreno in cui crescono le piante coltivate dai bambini stessi. L’infanzia – ella continua – compendia in sé i principali lavori primitivi dell’umanità, quando la razza umana, trasformandosi gli uomini da nomadi a sedentari, ha preteso i frutti della terra, ha costruito ripari dove rifugiarsi e vasi per cuocere il cibo coltivato nella fertile terra.”585
Altre attività molto importanti per i bambini di questa età sono il giardinaggio, la coltivazione dell’orto e la cura degli animali. Su questi aspetti Maria Montessori si dilunga nel testo sopracitato, descrivendo i vantaggi e i benefici che lavori di questo tipo forniscono ai ragazzi.
Innanzitutto – ella dice – il bambino è iniziato all’osservazione del fenomeno della vita e impara a guardare piante e animali con lo stesso rispetto con cui l’insegnante si pone di fronte a lui; quindi, in secondo luogo, il bambino è portato all’autoeducazione, in quanto la corrispondenza che si crea tra lui e le creature viventi di cui si prende cura, i pulcini per esempio, lo spinge a occuparsene senza bisogno dell’intervento dell’adulto. Inoltre i bambini, attraverso la cura delle piante e degli animali, che richiede tempo e attesa fiduciosa, imparano la pazienza, che – dice Maria Montessori – è “una forma di fede e di filosofia di vita”586. Oltre a ciò sviluppano un intenso amore per la natura e per tutto ciò che vive e, infine, seguono la naturale via di sviluppo della specie umana: “Tale tipo di educazione armonizza l’evoluzione individuale con quella dell’umanità”587. Come l’uomo è passato dalla natura alla cultura attraverso la coltivazione del suolo e dei campi, così deve fare anche il bambino per diventare uomo all’interno della sua civiltà. Basta poco per ottenere tanto: un piccolo pezzo di terra in cui ogni bambino possa coltivare il suo orticello, una casetta di legno dove tenere qualche gallina o anche una semplice piccionaia, nel peggiore dei casi almeno un terrazzo con tanti vasi di piante e di fiori… O perlomeno, quando non si può fare altrimenti, frequenti visite alle fattorie didattiche, dove è possibile per esempio mungere le caprette e partecipare attivamente alla lavorazione del formaggio.
Importante è poi anche la lavorazione del legno, una materiale che piace molto ai bambini, così caldo e naturale: coglierne le sfumature, le diverse venature, il diverso peso e la differente resistenza, piantare chiodi, scartavetrare, usare il traforo e costruire piccoli oggetti è fonte di grande soddisfazione per i ragazzini. Così come il lavoro a maglia o all’uncinetto e il cucito – proposti per esempio nelle scuole steineriane sia per le femmine che per i maschi – sono attività interessanti, che danno risultati immediatamente visibili, di grande utilità e che favoriscono la concentrazione e la precisione dei gesti. Last but not least, la cucina, di cui però abbiamo già parlato nel capitolo precedente.
Le attività di vita pratica, come quelle appena menzionate, e le attività artistiche dovrebbero costituire una parte importante del curriculum scolastico tra i sei e i dodici anni.
“Dobbiamo portare più gioia nelle aule scolastiche: dobbiamo introdurre nel sistema educativo più danza, più canti, più poesia, più creatività e più intelligenza”588 dice Osho. Ma non si tratta solo di modificare o ampliare i programmi scolastici. La questione fondamentale infatti è un’altra, come ben faceva notare Maria Montessori: il vero problema è l’interesse.
“Come possiamo obbligare il bambino a interessarsi quando l’interesse può sorgere solo dall’interno? Dall’esterno potremo ottenere solo l’assolvimento del dovere e la fatica, mai l’interesse! Questo concetto dev’essere ben chiaro”589. E invece si tratta di un concetto per lo più sconosciuto in ambito educativo dove vige ancora il principio che bisogna fare ciò che non piace per senso del dovere.
Scriveva Gianni Rodari, grande educatore e scrittore per l’infanzia: “Dobbiamo liberarci dall’idea che la formazione mentale, culturale, morale del bambino venga da quello che sa di grammatica, di geografia o da tutte quelle cose che gli possiamo dire noi. Dipende da quello che lui sa fare, da quello che lui sa conquistare. … Ognuno sa quello che ha fatto, quello che è stato stimolato a fare liberamente”590. Ed è proprio così: è esperienza comune ricordarsi ciò che si è studiato per passione e interesse personale, ciò che si ama, ed essersi dimenticati invece di ciò che si è dovuto imparare a scuola per obbligo, per dovere.
“Il bambino dovrebbe amare tutto ciò che studia perché il suo sviluppo mentale e quello emotivo sono legati tra loro. Tutto quello che gli si presenta dev’essere reso bello e chiaro, in modo da colpire la sua fantasia. Una volta che questo amore sia stato suscitato, tutte le difficoltà relative all’educazione spariranno”591 sostiene Maria Montessori e io sono profondamente convinta della veridicità di questa sua affermazione. Ma chi può non esserlo dopo aver osservato quali sbalorditive acquisizioni compiono i bambini in libertà, nel loro ambiente naturale, sotto la guida discreta di un adulto saggio e preparato? Chi per esempio non si convincerebbe della profonda saggezza del principio dell’interesse dopo aver assistito al miracolo di un bambino affetto da autismo che ha imparato a leggere perché lo interessava sopra ogni altra cosa il menù del giorno?592
“Il segreto di un buon insegnamento è considerare l’intelligenza del bambino come un campo fertile in cui si possono gettare delle sementi, perché germoglino al calore fiammeggiante della fantasia. Il nostro scopo non è semplicemente di ottenere che il bambino capisca e ancor meno di obbligarlo a ricordare, ma di colpire la sua immaginazione, in modo da suscitare l’entusiasmo più acceso.”593 scrive ancora Maria Montessori ed ecco allora l’importanza delle “favole cosmiche” attraverso cui il bambino scopre i misteri dell’origine dell’universo, della vita sulla terra, degli uomini e delle principali invenzioni dell’umanità, come la scrittura e i numeri.
“Fra i sei e i dodici anni l’educazione non è una continuazione diretta di quella che l’ha preceduta, anche se dev’essere costruita su quelle fondamenta. Sul piano psicologico, vi è un profondo cambiamento nella personalità del bambino; riconosciamo cioè che la natura ne ha fatto un periodo per l’acquisizione della cultura, proprio come il precedente era destinato all’assimilazione dell’ambiente.”594 scrive Maria Montessori. Il bambino ha fame di cultura, fa mille domande sul perché e sul come, vuole sapere come è nata la vita sulla terra, come nasce un bambino, di che cosa sono fatte le stelle… Ci sono bambini con la passione per i numeri e altri che si entusiasmano per la lettura, bambini che passerebbero ore a fare esperimenti e altri che invece non smetterebbero mai di disegnare e dipingere. È da lì che bisogna partire: dall’interesse individuale di ogni singolo bambino, per farlo entusiasmare ai misteri della vita, all’avventura dell’apprendere, al fascino della cultura e della conoscenza.
I bambini a questa età sanno recepire nozioni complesse se solo vengono presentate loro nel modo giusto. C’è una bella differenza tra imparare pressoché a memoria la storia dell’uomo di Neanderthal studiando sul libro da pagina tot a pagina tot, e apprenderne le abitudini, gli usi e i costumi andando in visita a un museo interattivo dove gli esperti mostrano ai bambini come accendere il fuoco con la pietra focaia o come fare graffiti sulla roccia. “Se ascolto dimentico, se guardo ricordo, se faccio capisco” pare dicesse Confucio…
“Il danno non viene dalla geometria ma dal modo come le cognizioni di geometria vengono date ai piccini che quasi sempre devono imparare senza capire quello che imparano” scrive Mario Montessori595. Diverso è imparare a memoria il teorema di Pitagora piuttosto che com-prenderlo attraverso l’utilizzo di un materiale sensoriale, da toccare e maneggiare, che ce ne offre un’idea immediata.
Il problema pertanto non è la difficoltà di apprendere nozioni comlesse – tra l’altro tra i cinque e i sei anni i bambini amano imparare nomi complicati e quello infatti è il momento giusto per proporre loro la nomenclatura – ma la modalità con cui queste vengono presentate al bambino. Il problema non è rappresentato dalla quantità di ore trascorse a scuola ma dal modo in cui vengono vissute. La scuola può essere un laboratorio entusiasmante, o può essere una fabbrica dove si allevano piccoli automi.
Ecco come Tagore descrive quella del suo Paese: “Ciò che oggi si chiama scuola è in realtà una fabbrica di cui il maestro costituisce una parte. Alle dieci e mezza del mattino la fabbrica si apre al suono di una campana e il maestro comincia a parlare, le macchine cominciano a lavorare. Il maestro smette di parlare alle quattro di pomeriggio, ora in cui la fabbrica si chiude, e gli alunni se ne vanno a casa portandosi qualche pagina di questo sapere fatto a macchina. In seguito, questo sapere viene controllato con un esame e classificato. Uno dei vantaggi della fabbrica è che vi si possono fabbricare merci su ordinazione e che le merci si possono classificare facilmente, perché non esiste molta differenza tra i vari prodotti delle diverse macchine. Invece vi sono grandi differenze tra un individuo e l’altro e anche nello stesso individuo in giorni diversi. Inoltre la macchina non può dare ciò che possono dare gli esseri umani. … Può darci l’olio per accendere la lampada, ma non potrà accenderla.”596 Perché ciò che accende la lampada, come ci ricorda la Montessori, è unicamente l’interesse…
“La scuola dovrebbe essere un ambiente dove si coltivano le vocazioni”597 – come afferma Raniero Regni – un ambiente in cui ogni bambino può avere la possibilità di diventare ciò che già è ma non sa di essere.
Anche da un punto di vista architettonico, c’è da dire che, specialmente le scuole medie, con le loro strutture di cemento e metallo e luci al neon, assomigliano più a fabbriche che a luoghi di cultura e di apprendimento. Ma la bellezza dov’è? Dove il calore, l’atmosfera familiare e accogliente di una casa? Si tratta di fattori importanti per spazi in cui i ragazzi trascorrono in fondo la maggior parte della loro giornata. Un ambiente caldo, bello, accogliente, ordinato, curato nei particolari e nei dettagli, dà una sensazione di sicurezza, di pace e di rilassamento, favorisce la concentrazione, invoglia ad applicarsi, rafforza il desiderio di agire. Al contrario un ambiente squallido, grigio, dove predomina la sciatteria è di per sé un invito alla noncuranza e alla trascuratezza e ostacola la guarigione e il benessere. Eppure questa è la realtà, nella maggioranza dei casi.
La bellezza, al contrario, è terapeutica, afferma Piero Ferrucci nel suo affascinante libro La bellezza e l’anima: “Il bello è la medicina perfetta: non produce danni collaterali; il suo effetto dura nel tempo; il sollievo che ci porta non ci intontisce e non ci sminuisce in alcun modo, anzi ci fa sentire più lucidi e più forti; quindi innalza anziché abbassare il nostro livello di coscienza; non può essere monopolizzata da una multinazionale farmaceutica; e per adottarla non abbiamo neppure bisogno di una ricetta”598…