capitolo xiii

I bambini dai 6 ai 12 anni

“I fanciulli escono correndo dal tempio per andare a giocare nella polvere, Dio guarda i loro giochi e dimentica il sacerdote”

Rabindranath Tagore

“La sola cosa necessaria, per la tranquillità del mondo, è che ogni bambino possa crescere felice”

Capo Dan George

“Una prova della correttezza del metodo educativo è la felicità del bambino”

Maria Montessori

Vorrei che cadesse un meteorite e distruggesse tutte le scuole”, “La scuola fa schifo”, “A scuola mi annoio”, “Ma non si può fare scuola a casa?”: ecco le affermazioni di un gruppo di bambini di 7-8 anni di età, raccolte nel campo-giochi di fronte a una scuola elementare della mia città. Una grande tristezza mi assale, pensando allo spreco d’infanzia, alle enormi potenzialità dei bambini buttate alle ortiche.

“I giovani oggi non amano lo studio – scriveva già allora Maria Montessori – per il fatto che esso è basato tutto sulla coercizione”580. “La scuola manca di animo, di entusiasmo, di passione” diceva Raniero Regni in una lezione che ebbi l’occasione di ascoltare molti anni orsono.


La scuola dovrebbe essere un privilegio e un piacere, non un obbligo faticoso, a malapena tollerato o subìto con conseguenze che si ripercuotono poi a livello psico-fisico: problemi di enuresi notturna, mal di testa, mal di pancia, irrequietezza motoria e così via. Visito spesso bambini pallidi, con profonde occhiaie, sovente ammalati per infezioni ricorrenti anche se ben nutriti, di agiata condizione economica, bambini a cui “non manca nulla”, come si è soliti dire, tranne forse l’unica cosa veramente essenziale: la gioia di vivere. Bambini che passano otto ore al giorno nelle istituzioni scolastiche, la maggior parte delle quali seduti a un banco a scrivere quanto l’insegnante detta loro: dati e informazioni che non dicono nulla, staccati dalla vita quotidiana, dalla realtà di tutti i giorni. Bambini parcheggiati davanti agli schermi televisivi, accuditi per lo più dai nonni, che spesso vedono i genitori solo qualche ora la sera, quando è ora di mangiare e prepararsi per andare a dormire. Bambini che non hanno quasi più l’opportunità di giocare con gli altri bambini nei cortili, all’aperto, come si faceva una volta, di sporcarsi le mani con la terra, di saltare e fare capriole, di arrampicarsi sugli alberi, di osservare i piccoli, grandi miracoli della natura.


E invece è proprio questo che i bambini amano fare. Avete mai visto vostro figlio osservare una formica o una coccinella? Avete notate con quanto entusiasmo, con quanta intensità e totalità lo fa? Come ci ricorda Tagore, “I bambini amano la terra, la polvere, il fango, amano il vento, il sole e la pioggia … e il loro maggiore divertimento consiste nello scoprire il mondo attraverso i sensi”581 . È così che crescono e diventano uomini. “Possiamo raggiungere la piena maturità solo se siamo stati nutriti dalla terra e dall’acqua, dal cielo e dall’aria, nutriti da loro come dal seno della madre”582 dice ancora il poeta indiano. E sono veramente sagge parole. Noi veniamo dalla terra e alla terra un giorno ritorneremo. O per dirla con le parole del sociologo francese Edgar Morin, “Ciascuno di noi viene dalla Terra, è della Terra, è sulla Terra. Apparteniamo alla Terra che ci appartiene.”583 Se perdiamo il contatto con la terra – la Madre Terra – perdiamo la sicurezza e il sostegno che ci serve per vivere. Siamo come alberi che hanno perso le loro radici e, non essendo più nutriti, non riescono a crescere e a innalzare i loro rami verso il cielo.

Ecco perché i piedi – specialmente quelli dei bambini – dovrebbero stare nudi il più possibile: per poter sentire il contatto con il suolo, per poter percepire la freschezza dell’erba, la solidità della terra, la morbidezza della sabbia… È dai piedi che viene la nostra forza, quella che ci consente di percorrere, passo dopo passo, il nostro cammino di uomini. “La fortuna sta nei piedi” dice un proverbio della Guinea-Bissau, riferendosi al movimento che essi ci consentono di fare, che ci permette di esplorare, andare lontano e fare nuovi incontri. Ma perché questo avvenga occorre che i piedi abbiano il giusto appoggio a terra, che rappresentino una base solida e sicura. Solo piedi ben radicati possono essere così leggeri da accarezzare la terra su cui camminano. E invece i piedi dei bambini sono quasi sempre incarcerati: da neonati nelle tutine intere che non lasciano mai scoperte le estremità, da più grandicelli nelle scarpe onnipresenti (ai miei tempi ancora peggio in scarponi ortopedici con solette di metallo!). I bambini oggi poi non camminano più: vengono scarrozzati dappertutto in auto, anche se per fare solo pochi di metri di strada. Perché gli adulti, per primi, non camminano più: non ne hanno il tempo e forse neanche la voglia. L’habitat del bambino è diventato la giungla di cemento che chiamiamo città, ma non è un habitat naturale. Il bambino non è fatto per vivere chiuso in gabbia, tra quattro pareti, luci al neon e rumore assordante. In cattività i bambini, proprio come gli animali, si ammalano. Hanno bisogno di spazi aperti, del verde dei prati e dell’azzurro del cielo (una vera e propria cromoterapia!), del canto degli uccellini, del profumo dei fiori, della duttilità dell’acqua, degli alberi, delle stelle e dei sassi…
Una ricerca effettuata da una psicologa americana, Nancy Wells, e riportata da Piero Ferrucci, ha mostrato quanto sia importante la connessione con la natura per i bambini. La Wells ha studiato un campione di 337 bambini dai sei ai dieci anni: “Per ognuno di loro ha misurato il numero di piante che la loro famiglia aveva in casa, quanto verde si vedeva dalle finestre e se nel cortile c’erano erba, terra o cemento. Ha scoperto che quelli di loro che erano più esposti al verde avevano maggiori capacità di attenzione ed erano anche i più preparati ad affrontare situazioni stressanti.”584
In fondo basta poco… Ricordo che quand’ero bambina ho abitato per un periodo in una casa con un giardino: dalla finestra della mia camera si affacciava un albero e io ancora porto in me l’immagine delle sue foglie verdi che quasi mi entravano dentro offrendomi gioia e serenità. Poi, quando fui più grande, ci trasferimmo in altra città e altra casa: un palazzo antico con un cortile spoglio, senza ombra di vita. Dalla finestra della mia camera, che si affacciava su un vicoletto, ed era quindi piuttosto buia, io vedevo un muro e scrivevo poesie per esprimere la mia profonda tristezza e nostalgia per il verde e il cielo perduto… Una volta adulta, ho cercato per me e la mia famiglia una casa piena di luce, con un grande giardino, dove basta aprire la porta per immergersi nel verde del prato, dove basta alzare lo sguardo per tuffarsi nell’azzurro del cielo o, la notte, contemplare le stelle. Il mio giardino è stata per me una vera benedizione e io mi sono resa conto di quanto il contatto diretto con la natura possa essere addirittura terapeutico.

Scuola sana e scuola malata

Maria Montessori sosteneva che la natura deve costituire l’interesse preponderante del bambino fino a 12 anni, ma spesso nelle scuole non c’è neanche un giardino dove poter esplorare le meraviglie naturali: solo uno squallido cortile di cemento. Nei casi più fortunati, dove esisterebbe lo spazio adatto, a volte sono le insegnanti che limitano le possibilità di movimento e di esplorazione per paura che i bambini si facciano male. E così il contatto con la natura rimane confinato a qualche gita o uscita didattica o alle vacanze estive, per chi ha la fortuna di farle. Ma i bambini in questa età hanno bisogno di avventura, hanno voglia di sperimentarsi, di esplorare il mondo: amano costruire rifugi e capanne con rami, frasche o pezzi di legno, o magari anche solo con un pezzo di stoffa teso tra due pali o in casa tra due mobili in un angolo del salone. Adorano accendere il fuoco, ancora di più se possono poi cuocervi sopra caldarroste o saporite salsicce… Sono dei piccoli pionieri, che hanno bisogno di ripercorrere le fasi evolutive dell’uomo quando era un cacciatore-raccoglitore. Ecco perché dai sei ai dodici anni sono adattissime le attività proposte dai boy-scout, che rispondono ai bisogni tipici di questa età: costruire case sugli alberi, pescare nei torrenti, dormire in tenda, mangiare all’aperto seduti intorno al fuoco… Sarebbero poi da proporre tutte le attività di tipo artigianale: dalla lavorazione della creta con il tornio per costruire vasellame, alla tessitura, alla falegnameria, alla cucina.


Ne parla anche Maria Montessori nel libro che ha introdotto il suo metodo in America, quando racconta di aver adottato nelle sue scuole attività manuali come la fabbricazione di vasi d’argilla e, a partire dai sei anni di età, la lavorazione con il tornio. “Ma – ella scrive – ciò che delizia maggiormente i bambini è costruire un muro con piccoli mattoni e vedere una piccola casa, frutto del lavoro delle loro mani, nascere nelle vicinanze del terreno in cui crescono le piante coltivate dai bambini stessi. L’infanzia – ella continua – compendia in sé i principali lavori primitivi dell’umanità, quando la razza umana, trasformandosi gli uomini da nomadi a sedentari, ha preteso i frutti della terra, ha costruito ripari dove rifugiarsi e vasi per cuocere il cibo coltivato nella fertile terra.”585


Altre attività molto importanti per i bambini di questa età sono il giardinaggio, la coltivazione dell’orto e la cura degli animali. Su questi aspetti Maria Montessori si dilunga nel testo sopracitato, descrivendo i vantaggi e i benefici che lavori di questo tipo forniscono ai ragazzi.


Innanzitutto – ella dice – il bambino è iniziato all’osservazione del fenomeno della vita e impara a guardare piante e animali con lo stesso rispetto con cui l’insegnante si pone di fronte a lui; quindi, in secondo luogo, il bambino è portato all’autoeducazione, in quanto la corrispondenza che si crea tra lui e le creature viventi di cui si prende cura, i pulcini per esempio, lo spinge a occuparsene senza bisogno dell’intervento dell’adulto. Inoltre i bambini, attraverso la cura delle piante e degli animali, che richiede tempo e attesa fiduciosa, imparano la pazienza, che – dice Maria Montessori – è “una forma di fede e di filosofia di vita”586. Oltre a ciò sviluppano un intenso amore per la natura e per tutto ciò che vive e, infine, seguono la naturale via di sviluppo della specie umana: “Tale tipo di educazione armonizza l’evoluzione individuale con quella dell’umanità”587. Come l’uomo è passato dalla natura alla cultura attraverso la coltivazione del suolo e dei campi, così deve fare anche il bambino per diventare uomo all’interno della sua civiltà. Basta poco per ottenere tanto: un piccolo pezzo di terra in cui ogni bambino possa coltivare il suo orticello, una casetta di legno dove tenere qualche gallina o anche una semplice piccionaia, nel peggiore dei casi almeno un terrazzo con tanti vasi di piante e di fiori… O perlomeno, quando non si può fare altrimenti, frequenti visite alle fattorie didattiche, dove è possibile per esempio mungere le caprette e partecipare attivamente alla lavorazione del formaggio.


Importante è poi anche la lavorazione del legno, una materiale che piace molto ai bambini, così caldo e naturale: coglierne le sfumature, le diverse venature, il diverso peso e la differente resistenza, piantare chiodi, scartavetrare, usare il traforo e costruire piccoli oggetti è fonte di grande soddisfazione per i ragazzini. Così come il lavoro a maglia o all’uncinetto e il cucito – proposti per esempio nelle scuole steineriane sia per le femmine che per i maschi – sono attività interessanti, che danno risultati immediatamente visibili, di grande utilità e che favoriscono la concentrazione e la precisione dei gesti. Last but not least, la cucina, di cui però abbiamo già parlato nel capitolo precedente.


Le attività di vita pratica, come quelle appena menzionate, e le attività artistiche dovrebbero costituire una parte importante del curriculum scolastico tra i sei e i dodici anni.


“Dobbiamo portare più gioia nelle aule scolastiche: dobbiamo introdurre nel sistema educativo più danza, più canti, più poesia, più creatività e più intelligenza”588 dice Osho. Ma non si tratta solo di modificare o ampliare i programmi scolastici. La questione fondamentale infatti è un’altra, come ben faceva notare Maria Montessori: il vero problema è l’interesse.


“Come possiamo obbligare il bambino a interessarsi quando l’interesse può sorgere solo dall’interno? Dall’esterno potremo ottenere solo l’assolvimento del dovere e la fatica, mai l’interesse! Questo concetto dev’essere ben chiaro”589. E invece si tratta di un concetto per lo più sconosciuto in ambito educativo dove vige ancora il principio che bisogna fare ciò che non piace per senso del dovere.


Scriveva Gianni Rodari, grande educatore e scrittore per l’infanzia: “Dobbiamo liberarci dall’idea che la formazione mentale, culturale, morale del bambino venga da quello che sa di grammatica, di geografia o da tutte quelle cose che gli possiamo dire noi. Dipende da quello che lui sa fare, da quello che lui sa conquistare. … Ognuno sa quello che ha fatto, quello che è stato stimolato a fare liberamente”590. Ed è proprio così: è esperienza comune ricordarsi ciò che si è studiato per passione e interesse personale, ciò che si ama, ed essersi dimenticati invece di ciò che si è dovuto imparare a scuola per obbligo, per dovere.


“Il bambino dovrebbe amare tutto ciò che studia perché il suo sviluppo mentale e quello emotivo sono legati tra loro. Tutto quello che gli si presenta dev’essere reso bello e chiaro, in modo da colpire la sua fantasia. Una volta che questo amore sia stato suscitato, tutte le difficoltà relative all’educazione spariranno”591 sostiene Maria Montessori e io sono profondamente convinta della veridicità di questa sua affermazione. Ma chi può non esserlo dopo aver osservato quali sbalorditive acquisizioni compiono i bambini in libertà, nel loro ambiente naturale, sotto la guida discreta di un adulto saggio e preparato? Chi per esempio non si convincerebbe della profonda saggezza del principio dell’interesse dopo aver assistito al miracolo di un bambino affetto da autismo che ha imparato a leggere perché lo interessava sopra ogni altra cosa il menù del giorno?592


“Il segreto di un buon insegnamento è considerare l’intelligenza del bambino come un campo fertile in cui si possono gettare delle sementi, perché germoglino al calore fiammeggiante della fantasia. Il nostro scopo non è semplicemente di ottenere che il bambino capisca e ancor meno di obbligarlo a ricordare, ma di colpire la sua immaginazione, in modo da suscitare l’entusiasmo più acceso.”593 scrive ancora Maria Montessori ed ecco allora l’importanza delle “favole cosmiche” attraverso cui il bambino scopre i misteri dell’origine dell’universo, della vita sulla terra, degli uomini e delle principali invenzioni dell’umanità, come la scrittura e i numeri.


“Fra i sei e i dodici anni l’educazione non è una continuazione diretta di quella che l’ha preceduta, anche se dev’essere costruita su quelle fondamenta. Sul piano psicologico, vi è un profondo cambiamento nella personalità del bambino; riconosciamo cioè che la natura ne ha fatto un periodo per l’acquisizione della cultura, proprio come il precedente era destinato all’assimilazione dell’ambiente.”594 scrive Maria Montessori. Il bambino ha fame di cultura, fa mille domande sul perché e sul come, vuole sapere come è nata la vita sulla terra, come nasce un bambino, di che cosa sono fatte le stelle… Ci sono bambini con la passione per i numeri e altri che si entusiasmano per la lettura, bambini che passerebbero ore a fare esperimenti e altri che invece non smetterebbero mai di disegnare e dipingere. È da lì che bisogna partire: dall’interesse individuale di ogni singolo bambino, per farlo entusiasmare ai misteri della vita, all’avventura dell’apprendere, al fascino della cultura e della conoscenza.


I bambini a questa età sanno recepire nozioni complesse se solo vengono presentate loro nel modo giusto. C’è una bella differenza tra imparare pressoché a memoria la storia dell’uomo di Neanderthal studiando sul libro da pagina tot a pagina tot, e apprenderne le abitudini, gli usi e i costumi andando in visita a un museo interattivo dove gli esperti mostrano ai bambini come accendere il fuoco con la pietra focaia o come fare graffiti sulla roccia. “Se ascolto dimentico, se guardo ricordo, se faccio capisco” pare dicesse Confucio…


“Il danno non viene dalla geometria ma dal modo come le cognizioni di geometria vengono date ai piccini che quasi sempre devono imparare senza capire quello che imparano” scrive Mario Montessori595. Diverso è imparare a memoria il teorema di Pitagora piuttosto che com-prenderlo attraverso l’utilizzo di un materiale sensoriale, da toccare e maneggiare, che ce ne offre un’idea immediata.


Il problema pertanto non è la difficoltà di apprendere nozioni comlesse – tra l’altro tra i cinque e i sei anni i bambini amano imparare nomi complicati e quello infatti è il momento giusto per proporre loro la nomenclatura – ma la modalità con cui queste vengono presentate al bambino. Il problema non è rappresentato dalla quantità di ore trascorse a scuola ma dal modo in cui vengono vissute. La scuola può essere un laboratorio entusiasmante, o può essere una fabbrica dove si allevano piccoli automi.


Ecco come Tagore descrive quella del suo Paese: “Ciò che oggi si chiama scuola è in realtà una fabbrica di cui il maestro costituisce una parte. Alle dieci e mezza del mattino la fabbrica si apre al suono di una campana e il maestro comincia a parlare, le macchine cominciano a lavorare. Il maestro smette di parlare alle quattro di pomeriggio, ora in cui la fabbrica si chiude, e gli alunni se ne vanno a casa portandosi qualche pagina di questo sapere fatto a macchina. In seguito, questo sapere viene controllato con un esame e classificato. Uno dei vantaggi della fabbrica è che vi si possono fabbricare merci su ordinazione e che le merci si possono classificare facilmente, perché non esiste molta differenza tra i vari prodotti delle diverse macchine. Invece vi sono grandi differenze tra un individuo e l’altro e anche nello stesso individuo in giorni diversi. Inoltre la macchina non può dare ciò che possono dare gli esseri umani. … Può darci l’olio per accendere la lampada, ma non potrà accenderla.”596 Perché ciò che accende la lampada, come ci ricorda la Montessori, è unicamente l’interesse…


“La scuola dovrebbe essere un ambiente dove si coltivano le vocazioni”597 – come afferma Raniero Regni – un ambiente in cui ogni bambino può avere la possibilità di diventare ciò che già è ma non sa di essere.


Anche da un punto di vista architettonico, c’è da dire che, specialmente le scuole medie, con le loro strutture di cemento e metallo e luci al neon, assomigliano più a fabbriche che a luoghi di cultura e di apprendimento. Ma la bellezza dov’è? Dove il calore, l’atmosfera familiare e accogliente di una casa? Si tratta di fattori importanti per spazi in cui i ragazzi trascorrono in fondo la maggior parte della loro giornata. Un ambiente caldo, bello, accogliente, ordinato, curato nei particolari e nei dettagli, dà una sensazione di sicurezza, di pace e di rilassamento, favorisce la concentrazione, invoglia ad applicarsi, rafforza il desiderio di agire. Al contrario un ambiente squallido, grigio, dove predomina la sciatteria è di per sé un invito alla noncuranza e alla trascuratezza e ostacola la guarigione e il benessere. Eppure questa è la realtà, nella maggioranza dei casi.


La bellezza, al contrario, è terapeutica, afferma Piero Ferrucci nel suo affascinante libro La bellezza e l’anima: “Il bello è la medicina perfetta: non produce danni collaterali; il suo effetto dura nel tempo; il sollievo che ci porta non ci intontisce e non ci sminuisce in alcun modo, anzi ci fa sentire più lucidi e più forti; quindi innalza anziché abbassare il nostro livello di coscienza; non può essere monopolizzata da una multinazionale farmaceutica; e per adottarla non abbiamo neppure bisogno di una ricetta”598

Una scuola diversa

Concordo con Osho quando dice che il mondo dell’educazione dovrà attraversare una vera rivoluzione: la scuola è da trasformare in modo radicale. È possibile farlo, anche se ciò richiede grande impegno e grande coraggio. Ma gli esempi ci sono. Non solo Montessori.


A Rimini, per esempio, esiste una scuola molto particolare, fondata da Margherita Zoebeli, che è una sorta di piccolo villaggio, “un micro-mondo, pensato, costruito, abitato da adulti e bambini che condividono esperienze quotidiane, che comunicano fra loro e con il mondo”599. Il CEIS,“Centro educativo italo-svizzero”, nato nel dopoguerra per far fronte a una situazione di emergenza, si è trasformato in uno spazio “amico del bambino”, con una scuola dell’infanzia, una scuola elementare e tanti laboratori anche per ragazzi disabili. Nato per gli orfani di guerra, è ora un luogo in cui si viene accolti come “persone intere” con i propri molteplici aspetti e dove si viene valorizzati in quanto tali, un luogo che “ci accoglie come nessun altro luogo” (per citare le parole degli insegnanti che vi lavorano), con i suoi spazi particolari, il giardino, le baracche, la piazzetta, i laboratori, la cucina, la biblioteca. Si tratta realmente di una “comunità cooperante” in cui insegnanti, collaboratori, bambini e ospiti di passaggio vivono un’esperienza formativa di alto livello, basata sulla pedagogia del cerchio: “nello stare in cerchio – ricordava Margherita Zoebeli – è racchiusa un’idea pedagogica di grandissima importanza. … costruire un contesto rassicurante, capace di contenere l’aggressività di alcuni e liberare la timidezza di altri, per indirizzare le diverse energie verso uno scopo comune.”600


Una scuola diversa dunque, “alternativa”, come si è soliti dire oggi. Già, perché “anche dell’educazione deve esserci, se possibile, una visione alternativa. Pensando al futuro devo decidere se voglio un futuro di ripetizione o se voglio un futuro alternativo. Si tratta di far sì che l’educazione aiuti gli individui umani non solo a saper far qualcosa, ma anche ad apprendere ad essere, a saper esistere, affinché acquistino la ricchezza interna e la felicità e siano allo stesso tempo impegnati nei grandi problemi del mondo, nel corso della loro vita quotidiana”601 scrive l’educatore polacco Bogdan Suchodolski. È proprio così, il vero compito di una scuola che si rispetti è questo: educare a essere, educare alla vita.


Vediamo ora come ciò avviene nelle scuole Montessori per bambini dai sei ai dodici anni.

La scuola elementare Montessori

La scuola elementare Montessori è una sorta di laboratorio, dove i ragazzi lavorano individualmente o in gruppo, dove non esistono voti e pagelle ma dove la valutazione degli alunni viene fatta sia dagli stessi attraverso un processo di auto-valutazione, sia tramite osservazioni degli insegnanti, colloqui di gruppo con i ragazzi e lettere personali dei maestri ai genitori per sottolineare punti forti e deboli di ogni bambino. L’errore è considerato un maestro: è solo “provando e riprovando” che si impara veramente. Come diceva Maria Montessori “Non è importante la correzione ma il controllo individuale dell’errore”602 . La scuola poi ospita ragazzi di età miste: dai sei ai dodici anni, non rigidamente divisi in classi, ma che circolano nei diversi ambienti, mescolandosi tra di loro. “Il termine pluriclasse non mi piace – commenta Rosa Dipierro, direttrice della scuola Montessori di via Bartolini a Milano – è un termine sciupato, sa di ripiego, di scuola povera, rimediata. No, per noi è un preciso orientamento metodologico: consente ai bambini una scelta più ampia secondo molle profonde: il bambino che ha in qualche campo una difficoltà, un’incertezza, può sentirsi a proprio agio per il fatto di poter tornare ad approfondire con materiali più semplici nella classe dei più piccoli; un altro può aver piacere ad aiutare un amico più giovane di lui. Allo stesso modo vale la pena di consentire ad uno di sei o sette anni, incuriosito dalle attività dei più grandi, di andare in mezzo a loro e mettersi a lavorare con materiali più complessi”603 . Frequentemente, in mezzo agli altri, sono ospitati bambini disabili o con problemi, senza l’ausilio di speciali insegnanti di sostegno. “Ognuno è accettato per ciò che è, per ciò che può dare – dice Grazia Honegger Fresco, parlando della stessa scuola –. Osservo i bambini: sono tutti attivi e tranquilli. Un formicaio al lavoro: si spostano qua e là, ma non a caso”604 . Ci sono tre aule in questa scuola elementare milanese (oltre a quella di musica e attività motorie): una con i materiali più semplici, una con quelli avanzati di matematica e biologia, una linguistica dove si svolgono anche attività di inglese o pittura, ma hanno tutte le porte aperte e i bambini possono passare dall’una all’altra quando vogliono. Racconta Grazia Honegger di aver osservato un piccolino di sei anni gironzolare intorno a compagni di otto-nove anni alle prese con le moltiplicazioni (del tipo 723 x 3) ed esclamare all’improvviso “Voglio farlo anch’io, ma non so come si fa”. La risposta dell’insegnante (che in una scuola convenzionale sarebbe stata “Tu non puoi, sei troppo piccolo!”) è consistita nel presentargli con la scatola dei bastoncini colorati un ripasso di nozioni che già conosceva (il bastoncino del 7 preso tre volte ecc.) per poi passare, dopo dieci minuti, ad affrontare il 723 x 3 con il materiale del sistema decimale. Il bambino “affascinato ora esegue un’altra moltiplicazione da solo. Alla fine, soddisfatto, dice ‘Adesso torno nella mia classe’”605 . Nell’aula accanto un gruppetto di bambini sta discutendo di meridiani e paralleli davanti a un globo e ad alcuni libri mentre lì vicino altre due bambine svolgono un lavoro di geometria per il calcolo delle aree.


Ecco, questa è una scuola Montessori…


Ma sentiamo come la descrive ai suoi nuovi compagni una ex-allieva di una scuola di Amsterdam: “Siccome ci sono molti qui che hanno delle strane idee sulla scuola Montessori, vorrei dire qualcosa a questo proposito. Tanti credono che siccome si può fare quello che si vuole spesso non si fa niente. Io sono stata in una scuola Montessori dall’età di tre anni fino a dodici e mai sono sono stata oziosa e mai ho visto altri oziosi. Per cominciare dirò che la classe è gaia, piena di luce: invece dei banchi ci sono tavolini e sedie. I bambini non sono obbligati a stare seduti a un dato posto, possono alzarsi, andare a prendere nell’armadio quello che vogliono. Negli armadi c’è il materiale per lavorare. I bambini piccoli spesso lavorano su tappeti per terra. I bambini tengono pulita e in ordine la classe. Non posso dire tutti i numerosi lavori che fanno ma voglio dare qualche esempio.


Ogni bambino lavora da sé: cosicché uno fa molto progresso in un dato studio e l’altro in un altro. Se vogliono possono lavorare insieme. Non c’è mai silenzio assoluto in classe perché è permesso parlare piano l’uno con l’altro. Come ho già detto ogni bambino lavora da sé, uno fa musica e l’altro aritmetica. Nel Kindergarten i bambini imparano le lettere e i numeri. Quando sanno i numeri possono fare delle piccole addizioni con le aste numeriche e anche con i bastoncini di perle. Se un bambino desidera sapere quanto fa due e otto prende l’asta del due e quella dell’otto: le mette insieme e poi le conta: la risposta è 10. Il rovescio di questo è la sottrazione: toglie due e resta otto. Scrivono queste operazioni su di un pezzo di carta che spesso adornano con disegnino. Riempiono così tanti fogli di carta facendo centinaia di operazioni in questa maniera fino a che poi le fanno senza il materiale. … Quello che tanto mi piace nella scuola Montessori è che quando un bambino vuol fare qualche cosa a un dato momento è libero di farlo e così accade che nessun bambino ha antipatia per qualche materia. … Quando un bambino non sa qualcosa non deve pensare: mi daranno un cattivo voto, ma va dalla maestra che gli spiega quello che vuole sapere. Allora il bambino è contento di avere imparato una cosa nuova.


… Noi si lavorava anche in giardino. … C’era in mezzo un campo di grano, noi stessi facemmo con festa la mietitura. C’era anche il rockgarden, rocce bene accomodate così che tra l’una e l’altra crescono fiorellini. C’era una piccola duna, un piccolo angolo di foresta, una piccola palude; tutto questo in pochi metri quadrati perché il giardino era piccolo. In ogni parte del giardino il terreno era preparato per ogni specie di pianta. … Dopo aver esaminato il fiore scrivevi quanti petali, quanti pistilli, quanti stami aveva. Qualche volta ci piaceva fare un disegno e così nacque la raccolta di tavole di fiori. Potrei dire molto di più ma spero di aver dato un’idea del fatto che nella scuola Montessori si lavora molto pure essendo liberi di fare quel che si vuole. La cosa principale è che si lavora con grande gioia.”606


Credo non vi siano parole più eloquenti di queste.

Non possiamo però concludere questo paragrafo senza fare qualche accenno all’educazione cosmica e a come viene tradotta nella pratica scolastica quotidiana, perché è proprio questo il punto forte della pedagogia montessoriana, che la rende così diversa e unica rispetto agli altri sistemi educativi, e questa è la chiave indispensabile per rispondere ai bisogni dei ragazzi dai sei ai dodici anni, quella che fornisce la risposta alla grande domanda sul senso della vita: “Cosa sono venuto a fare in questo mondo?” e permette loro di scoprire il proprio ruolo di “agenti cosmici” e co-creatori.


Nell’educazione cosmica la storia, la geografia, la biologia si mescolano per dare vita a un grande quadro armonico e articolato che parla molto di più di qualsiasi lezione frontale.


La storia viene insegnata innanzitutto attraverso le “Grandi lezioni” o “Favole cosmiche”, storie appassionanti e ricche di immagini che accendono la fantasia dei bambini e spiegano loro la formazione dell’universo, la comparsa della vita sulla terra, dell’uomo, la nascita del linguaggio e dei numeri. Un posto importante hanno poi gli esperimenti e le indagini nel mondo della natura, che affiancano sempre la narrazione. Quindi si passa alla preparazione dell’Orologio delle Ere (che ci dà l’idea di quanto poco spazio occupi la comparsa dell’uomo all’interno della storia dell’evoluzione dell’universo: su 12 ore pressappoco la frazione di un secondo!) e delle strisce del tempo (della Vita, della comparsa dell’uomo, delle Civiltà), lunghe strisce di carta su cui i grandi eventi della storia trovano una collocazione sequenziale visiva molto eloquente. Nelle scuole Montessori i bambini non sono obbligati a memorizzare date e vicende (per lo più guerre) di una nazione, o al più di un continente, ma si trovano di fronte a una visione ad ampio respiro, che presenta il tutto per far comprendere le parti, in cui i vari aspetti di un fenomeno si intrecciano tra loro e si collegano, mettendo in evidenza i legami tra i vari campi della cultura e del sapere.


Fondamentale per esempio è l’esplorazione dei bisogni primari dell’essere umano (nutrizione, riparo, protezione, ma anche arte e spiritualità) che permette di “scoprire le caratteristiche comuni alle diverse società umane e, al tempo stesso, le diversità, per adattarsi ai vari ambienti terrestri, a partire dagli antenati più lontani. … In questo modo i bambini si costruiscono una vasta prospettiva storica, che permette loro di intuire la lunghezza della propria ascendenza e la responsabilità verso la discendenza. Li aiuta a sentire quanto sia importante promuovere l’unità del mondo, operare per la pace e per la cura del pianeta, nostra casa comune”607. Ecco un modo eccellente ed efficace per educare alla mondialità.


Ma è difficile descrivere a parole la profondità e la ricchezza della scuola montessoriana: bisognerebbe passare personalmente qualche giornata insieme agli alunni di una scuola elementare per appassionarsi e votarsi per sempre a questo approccio educativo davvero unico e sensazionale.

I 10 desideri dei bambini (di Claus Dieter Kaul, formatore Montessori)

  1. DATECI AMORE - Concepiteci per amore, chiamateci alla vita per il desiderio di esprimere la vita. Solo l’amore consente, infatti, di crescere provando l’amore per la vita, per gli altri, per gli animali, per il sapere, per le regole e il rispetto.
  2. DATECI ATTENZIONE - Il vostro tempo e non le vostre ricchezze sono i beni più preziosi. La vostra presenza, la vostra cura: nessun regalo, per quanto prezioso, nessuna baby-sitter può sostituire il bene unico e prezioso della vostra presenza.
  3. RISPETTATE I NOSTRI TEMPI - Consentiteci di crescere rispettando i “nostri tempi”, senza forzarci, senza obbligarci a fare dei passaggi che non rispettano il nostro sviluppo psicofisico, la nostra competenza emotiva, il nostro cuore.
  4. RIMANETE AL NOSTRO FIANCO nei passaggi della vita. Fateci sentire la vostra compagnia, il vostro sostegno, la vostra presenza. Non negateci il vostro affetto e, anzi, fateci sentire che esso è incondizionato. Abbiamo bisogno di esplorare la vita e, inizialmente, dovete essere al nostro fianco.
  5. CONSENTITECI DI SBAGLIARE senza giudicarci, senza dare voti, senza emettere sentenze, giudizi, perché sbagliare fa parte dell’esperienza della vita. 
  6. DATECI LA VOSTRA GUIDA – Se voi ci guidate lungo la strada della vita, vi seguiremo, faremo come voi, impareremo ad andare, ad affrontare le salite, le scalate, a evitare i burroni, a esplorare le grotte, a trovare i luoghi giusti dove riposare. Se voi ci guidate, impareremo a marciare e, nel tempo, diventeremo anche noi delle guide.
  7. DATECI REGOLE CHIARE, limiti ben precisi. Poche e chiare regole comprensibili alla mente e al cuore. Regole che aiutino a trovare la strada dei comportamenti sereni. Regole che voi stessi rispettate.
  8. SIATE AFFIDABILI e non tradite mai le promesse che ci fate. 
  9. MOSTRATECI L’AMORE CHE PROVATE per noi. Abbiamo bisogno di coccole. Perché, come dice Arthur Janov: “Le coccole fanno maturare il cervello”.
  10. DATE SPAZIO ALLA GIOIA, aprite il vostro cuore alla gioia, ricercatela e donatela a noi poiché è la gioia a illuminare la vita, a creare quelle preziose, intime, psicologiche condizioni che consentono di affrontare le esperienze della vita con la serena consapevolezza e la speranza di essere amati e di poter ricambiare il dono.

L’orto dei bambini (di Pia Pera)

Imparare dalla natura: occuparsi di un orto è sicuramente uno dei modi possibili. Attenzione, però! Guai a farne qualcosa di aridamente tecnico, dimenticando che dall’orto si trae un alimento non solo materiale: gli orti sono anche e soprattutto per il piacere di stare all’aria aperta, per la gioia di vivere e certo, perché no, per quella di apprendere.


I maestri appassionati di orto concordano su questo: quando si passa del tempo nell’orto, con i bambini ma anche da grandi, non bisogna mai perdere di vista questo aspetto fondamentale: la gioia. … Ai bambini, dunque, bisogna lasciar comprendere che la natura, molto più degli oggetti inerti, è una risorsa di felicità. Nell’orto non si va solo per fare, ma per prendere coscienza della bellezza del cielo, delle nuvole, dei mutamenti climatici. Ad ascoltare gli uccelli, osservare gli insetti, conoscere la pienezza della vita. Solo a patto di averla conosciuta sarà poi possibile desiderarla …Questa dimensione non dovrà mai andare perduta. Imparare è importante, ma ancora più fondamentale è sviluppare un atteggiamento partecipe verso noi stessi e il mondo. Nell’orto non si dovrebbe mai avere la sensazione di svolgere un compito noioso, una delle tante materie obbligatorie, magari subite. Di imparare qualcosa di cui non si capisce il senso. Si svilupperà una sensibilità verso la natura solo a patto di non perdere di vista il nesso di ogni singolo essere con tutti gli altri, e la curiosità di esplorare questo nesso. Chi sia animato da questa curiosità difficilmente conoscerà la noia. Trascorrere del tempo nell’orto sarà l’occasione di formare individui capaci di trarre energia di vita dalla natura, e che un domani saranno quindi pronti a difenderla.


…Detto questo, non si dà amore che non sia sostenuto dalla conoscenza. Ecco alcune cose che bisogna spiegare. Cos’è il terreno. Come si forma dalle rocce, e di quanti tipi può essere. Lo mostreremo con esempi pratici: stringendo il pugno di terra, indicando le piante spontanee, rivelatrici della natura del suolo. … Ci sono poi da spiegare le cosiddette erbacce: piante pioniere capaci di ricreare epidermide verde là dove l’uomo – o un cataclisma – l’abbia distrutta. Un po’ come la crosta di sangue che prepara e protegge la formazione di nuovo tessuto là dove c’è una ferita. Cercheremo paragoni con il mondo conosciuto dai bambini, con la loro esperienza diretta. In modo che possano provare empatia per la natura, rendersi conto che non è un oggetto inanimato ma un essere vivente, capace a suo modo di soffrire. … Che il manto verde è per la terra, organismo vivente, quello che per noi è la pelle. … Certo, per coltivare ortaggi, dovremo mettere a nudo un pezzetto di terra, strappare la pelliccia, ovvero la cotica erbosa, togliere le gramigne che impedirebbero di coltivare le piante. … Ai principianti basterà mostrare come scoprire un pezzetto piccolo, come attuare un primo dissodamento. Magari, in quel pezzetto, semineremo trifoglio in modo da avere intorno all’orto vero e proprio una striscia di protezione dalle erbacce più invadenti, tanto più che il trifoglio, una leguminosa, migliora il terreno.


Ecco, una parola difficile: leguminose! La insegneremo anche, ma perché non dire qualcosa di più facile, come “la famiglia del fagiolo”? E poi spiegheremo chi sono i fratelli e i cugini del fagiolo, che caratteristiche hanno. Procederemo così anche per le altre famiglie: le ombrellifere saranno la famiglia della carota e così via.


…In ogni caso, è importante che nell’orto ognuno possa realizzare la propria vocazione: chi disegnerà, chi scriverà, chi riparerà attrezzi, chi, perché no, ozierà, in apparenza almeno, perché magari sta maturando una vocazione contemplativa o forse intellettuale, artistica.


L’orto sarà anche il luogo dove faremo conoscere ai bambini gli insetti e le altre creature del suolo, come i lombrichi. Sarà insomma luogo di scoperta della vita. Spiegheremo che, per salvarsi da certi insetti, la soluzione migliore per le nostre piante è non tenerle sempre nello stesso posto, ma lasciarle migrare di tanto in tanto: per questo bisogna evitare di coltivare un ortaggio sempre nello stesso punto.


…È importante invitare all’osservazione e alla sperimentazione, far capire quali difficoltà possono insorgere in un orto, invitare a suggerire soluzioni. Stimolare l’inventiva dei bambini, renderli consapevoli di quanta intelligenza ci voglia per fare bene il mestiere del contadino, di quanta destrezza manuale, di quanta presenza di spirito. È bene raccontare ai ragazzi le proprie esperienze, come abbiamo noi stessi imparato, dove abbiamo sbagliato. Si cercherà di conoscere altre persone che lavorano la terra, …confrontarsi con altre esperienze, anche per restituire il senso di una comunità umana. Fino a far capire ai bambini che, sul modo su cui si produce il cibo, si gioca il futuro di noi tutti. E che, esclusivamente da soli, non si può fare nulla. Neanche coltivare il proprio orto.

Libertà e amore
Libertà e amore
Elena Balsamo
L’approccio Montessori per un’educazione secondo natura.ll pensiero Montessori spiegato da una grande scrittrice che è anche medico pediatra: Elena Balsamo, nota esperta in tematiche perinatali e pedagogiche. Per educare un bambino occorre prima di tutto educare se stessi.In Libertà e amore, Elena Balsamo ci conduce in un viaggio attraverso lo spazio e il tempo per riscoprire un nuovo approccio al bambino, dalla vita prenatale all’età evolutiva, prendendo spunto dalla visione di Maria Montessori, donna straordinaria che ha dato vita a un sistema educativo a dir poco rivoluzionario, diffuso in ogni parte del mondo.Scriveva Maria Montessori che i capricci e le disobbedienze del bambino non sono altro che aspetti di un conflitto vitale fra l’impulso creatore e l’amore verso l’adulto, che però non lo comprende.C’è quindi un grosso fraintendimento sulle aspettative dei genitori e degli insegnanti nei confronti dei bambini, che comincia dalla nascita e si manifesta con il confondere il bambino reale con il bambino ideale, esistente soltanto nella mente e nella fantasia degli adulti.Il prezzo da pagare è la perdita dell’autenticità, della libertà, della vera natura del bambino stesso.La scuola montessoriana consiste in un vero e proprio laboratorio creativo nel quale, in un ambiente ricco di amore, rispetto e autentica libertà di scelta, le capacità intellettuali e manuali sono libere di svilupparsi in tutta la loro forza e bellezza.Quello di Maria Montessori non è però solo un metodo educativo, ma molto di più: è un modo di guardare il mondo e gli esseri che lo abitano con gentilezza e amore, nella consapevolezza che siamo tutti parte dello stesso ecosistema.Una nuova chiave di lettura per reinventare la relazione con i nostri figli e i nostri alunni, secondo natura. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.