capitolo iv

Educazione sensoriale,
ovvero imparare a riconoscere le differenze

“Nulla può curare l’anima se non i sensi, come nulla può curare i sensi se non l’anima”

Oscar Wilde

Un cucciolo d’uomo appena sgusciato dal ventre materno viene poggiato sulla pancia della mamma: con piccoli, minuscoli, movimenti si arrampica pazientemente fino a raggiungere il seno. È l’olfatto a guidarlo verso la sua fonte di cibo: il prezioso latte materno. La bocca si apre e, a mo’ di ventosa, circonda il capezzolo e il bambino comincia a succhiare. La dolcezza e il calore del latte lo accompagneranno nei mesi a venire e ogni volta faranno affiorare un sorriso colmo di beatitudine, mentre rigagnoli di liquido bianco colano ai lati della sua bocca. Ecco come, in un unico gesto, quale quello dell’allattamento, il piccolo vive un insieme di esperienze sensoriali che coinvolgono e appagano, nel contempo, i sensi del tatto, dell’olfatto, del gusto e anche della vista e dell’udito, se la mamma, mentre lo nutre, guarda il suo bambino, gli parla o canta per lui.


È così che un cucciolo d’uomo, al pari di tutti gli altri mammiferi, scopre il mondo: attraverso i suoi sensi.


Il primo di questi a svilupparsi è il tatto: è già presente nel bambino a sole otto settimane di vita intrauterina! È attraverso il tatto che il piccolo nella pancia della mamma acquisisce il senso del confine. Le pareti dell’utero materno lo avvolgono in un morbido abbraccio che diventerà un energico massaggio al momento del travaglio e del parto.


Il bambino potrebbe dire, modificando la massima di Descartes, “Tocco dunque sono”.


Il tocco è come una bacchetta magica che può spalancare porte chiuse da secoli. Come dice Osho, il tocco apre sensi negati, finestre sigillate. E, proprio come la bacchetta di una fata, lo fa in modo delicato e gentile, dolce e naturale. E il fiore sboccia, si schiude, dice sì alla Vita. Toccare ed essere toccati ci rende vivi, partecipi della realtà.

Secondo gli antroposofi “il senso del tatto costituisce la membrana protettiva, la necessaria esperienza avvolgente affinché si possa sviluppare il senso vitale. La percezione del senso della vita è sostenuta dalla percezione del senso del tatto che agisce dall’esterno e la percezione del senso del tatto è sostenuta da quella del senso della vita che agisce dall’interno”287 . Si tratta di due sensi inseparabili che subiscono entrambi un crollo nei casi di crisi d’angoscia.


Ma Rudolf Steiner va ancora oltre sostenendo che “l’esperienza archetipica a cui accede un bambino quando, com’è davvero lecito, può sviluppare attivamente se stesso scoprendo il mondo attraverso il tatto, è una ‘esperienza del divino’”288. Come dire che lo spirito si manifesta e si sperimenta attraverso il corpo. Non è forse questo, del resto, il significato dell’incarnazione? “Lo Spirito si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.


Ecco perché “dobbiamo far sì che il bambino abbia delle esperienze tattili differenziate e sperimenti le qualità degli elementi, quali il minerale, l’acqua, la sabbia, il legno, ovvero tutto ciò che noi troviamo direttamente nella natura. In questa maniera aiutiamo il bambino a mantenere un po’ di quel collegamento primordiale con il mondo da cui proviene e a effettuare con dolcezza e senza traumi quel passaggio da un mondo all’altro.”289


Pensiamo a questo proposito all’abitudine così diffusa di dare in mano ai bambini solo oggetti di plastica: che sensazioni e informazioni potranno mai trarne se non quella che il mondo è tutto grigio e uniforme? Un mondo privo di differenze, freddo e anonimo, proprio come i quartieri-dormitorio delle grandi periferie urbane.


Perché non proporre invece, nei primi mesi di vita, un bel cestino pieno di oggetti di materiali diversi (dalla stoffa, alla pelle, dal legno al metallo), come quello ideato da Elinor Goldschmied, da lasciare alla loro portata, così che possano scegliere da soli ciò che più li attira? Sarà un gioco molto più arricchente per i nostri piccoli – e anche più economico per le nostre tasche – delle variopinte tastiere delle più note ditte di giocattoli per l’infanzia, in cui l’unica attività possibile è quella di premere dei pulsanti.


I sensi aprono alla vita, sono finestre sul mondo. “La realtà raggiunge la nostra intima essenza attraverso i sensi” ma – come ci suggeriscono le più recenti ricerche scientifiche – “i nostri sensi non sono solo delle porte, sono anche dei guardiani che lasciano passare solo il due per cento delle informazioni, mentre il novantotto per cento ne è lasciato fuori”290 e pertanto andrebbero rivalutati e sviluppati. Perché infatti dovremmo accontentarci di vivere al due per cento quando potremmo vivere al cento per cento?


In realtà poi i sensi sono più dei cinque che tutti conosciamo. Per gli antroposofi ne esistono addirittura dodici, tra cui il senso dell’equilibrio, del movimento, del calore, della parola, del pensiero, dell’io.


Dice Kohler: “I bambini dipendono fondamentalmente dalla possibilità di sviluppare il loro potenziale creativo e questo è strettamente collegato con l’espressione del potenziale dei loro sensi. Chi è in grado di esprimere la propria potenzialità riguardo ai sensi e, di conseguenza, esprimere il proprio potenziale creativo, potrà anche percepire la propria esistenza come ‘una vita protesa verso un senso’ (Viktor Frankl)”291.

Come dire che occorre scoprire il senso attraverso i sensi. Che cos’è del resto l’esperienza plurisensoriale della nascita (in francese naissance) se non un “naitre à son sens”, ovverossia “nascere al proprio senso”, come ci suggerisce il terapeuta J.P. Brébion?


Ricordo che una volta, a un omeopata che gli aveva chiesto quale fosse per lui la cosa più importante nella vita, mio figlio Luis rispose: “Avere un senso”. Rispose senza esitare, senza pensarci su neanche un attimo e io rimasi sbalordita dalla sua profonda saggezza: aveva solo nove anni. “Chi sono? Che senso ha il mio stare qui?” Questa è la grande domanda che dovremmo porci insistentemente. È su questa domanda che si gioca l’intera nostra esistenza. È per rispondere a questa domanda che compiamo il viaggio: per ricordarci chi siamo.

“Perché è questo che in tante vite è andato smarrito e va recuperato: il senso della propria vocazione, ovvero che c’è una ragione per cui si è vivi. Non la ragione per cui vivere … piuttosto la sensazione che esiste un motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo e che esistono cose alle quali mi devo dedicare al di là del quotidiano”292. Ritrovare il proprio senso nella vita, il proprio progetto originale, è ciò che ci dà la spinta per andare avanti anche e soprattutto nei momenti inevitabili di crisi. È il salvagente che ci impedisce di affogare nei momenti più bui e che poi ci permette di dare una svolta decisiva alla nostra esistenza.

Materiali sensoriali

Un bambino si sviluppa e cresce toccando, assaporando, ascoltando, guardando, muovendosi nell’ambiente che lo circonda.


Maria Montessori sosteneva che il bambino deve giungere allo spirito attraverso cose concrete. Non per nulla lo strumento utilizzato dalla Dottoressa per lo sviluppo del bambino è un materiale “sensoriale”, che egli può non solo guardare o ascoltare ma anche toccare, maneggiare, annusare, gustare. Tutti i sensi devono essere all’opera. Le astrazioni devono essere materializzate, rese concrete perché la mente del bambino riesca a farle sue.


Il materiale sensoriale montessoriano aiuta il bambino a cogliere le differenze: le sfumature dei colori delle spolette che vanno appaiate o messe in gradazione, la scala dei suoni nei campanelli, la consistenza dei tessuti nel gioco delle stoffe da riconoscere a occhi chiusi, la diversità di forma negli incastri geometrici o geografici o nelle lettere smerigliate, per citarne solo alcuni.

“Coi nostri cosiddetti ‘esercizi sensoriali’ noi porgiamo ai bambini la possibilità di distinguere e di classificare. Infatti il nostro materiale sensoriale analizza e rappresenta gli attributi delle cose; dimensioni, forme, colori, levigatezza o ruvidezza delle superfici, peso, temperatura, sapori, rumori, suoni.”293


“La qualità fondamentale dell’intelligenza è quella di essere in grado di distinguere una cosa dall’altra. Distinguere! … Perciò quella che possiamo chiamare l’educazione dei sensi è quella che ci aiuta a distinguere con più esattezza.”294 Cogliere le differenze è un’esperienza importante non solo didatticamente per imparare a distinguere le dimensioni, le forme, le quantità, ma anche psichicamente per rendersi conto che la vita stessa è fatta di differenze, di tante sfumature e gradazioni diverse. Ed è proprio questo che la rende così bella. Pensiamo alla varietà di alberi o di fiori che ci sono in natura: uno spettacolo! Non esistono solo il bianco e il nero, non ci sono solo due possibilità, ce ne sono centinaia, migliaia… Esserne consapevoli non è così scontato ed è invece molto rassicurante. La vita non è certo limitata, è esuberante, finanche esagerata nelle sue manifestazioni: quanti tipi di conchiglie, di minerali, di foglie, di animali esistono? Una quantità stupefacente! Non bisogna dimenticare poi che il confronto permette di scegliere. Se io non colgo le diverse possibilità che una situazione mi offre mi riduco ad accettare l’unica che conosco, che non sempre è la migliore. Più ampia è la mia prospettiva, la mia conoscenza della realtà e della ricchezza dei suoi dettagli, più possibilità ho di trovare ciò che cerco.

Corpo e movimento

Ma prima ancora dell’uso di specifico materiale, occorre che il bambino utilizzi il suo corpo come strumento di sviluppo. È attraverso il movimento che il bambino si fa uomo.


“Il movimento è fattore essenziale per la costruzione dell’intelligenza, che si alimenta e vive di acquisizioni ottenute dall’ambiente esteriore. Anche le idee astratte risultano da una maturazione dei contatti con la realtà, e la realtà si coglie per mezzo del movimento. Le idee più astratte, come quelle dello spazio e del tempo, sono concepite attraverso il movimento. Questo è dunque il fattore che lega lo spirito al mondo”295.

Un’esemplificazione di questi concetti personalmente l’ho trovata nelle arti marziali.


Un giorno, mentre facevo alcuni esercizi con il mio maestro di tai-chi, ho avuto un’improvvisa intuizione: i movimenti delle arti marziali sono, proprio come il materiale montessoriano, delle “astrazioni materializzate”. Come si può infatti insegnare a un bambino – ma, concedetemi, anche a un adulto – l’equilibrio, l’armonia, la forza, la stabilità, la sicurezza? Non si possono spiegare questi concetti a parole e non basta comunque conoscerne il significato per farli propri, occorre sentirli con il corpo, sperimentarli attraverso il movimento, in una parola “viverli”.


Nelle arti marziali ci sono esercizi che rappresentano l’apertura verso l’esterno, al mondo, alla realtà, altri che servono a padroneggiare il senso dell’equilibrio, la capacità di rimanere stabili anche durante la tempesta, altri ancora che hanno lo scopo di insegnare la flessibilità e l’adattabilità di fronte ai cambiamenti. Per esempio, l’avversario cambia mossa e all’improvviso ci si trova disorientati: come difendersi? Oppure: ero preparato a ricevere un pugno invece mi è arrivata una gomitata: che faccio? Ecco allora che si comprende, vivendola, l’inutilità delle risposte precostituite, della preparazione tecnica, rigida, da manuale che prevede una risposta prefissata per ogni domanda e ci si rende conto che l’unica vera preparazione alla vita è essere forti e flessibili, sapersi adattare alle situazioni che cambiano continuamente. Perché la vita stessa è movimento, cambiamento e trasformazione continua. Come acqua di un fiume che scorre.


Ma ci sono molti altri aspetti che emergono dalla pratica delle arti marziali. Ne ricorderò qui solo alcuni che ho imparato dal mio maestro di tai-chi. Per esempio la relatività di tutte le cose, il riuscire a vederle in prospettive diverse, secondo differenti angolazioni: ciò che è danza può essere anche autodifesa, ciò che è combattimento può anche essere danza. Un pugno può essere un pugno ma anche un’apertura. L’energia, la forza, anche se in certi casi possono diventare violenza, hanno in realtà una loro intrinseca bellezza: se ne possono contemplare per esempio la precisione e la potenza.


La caduta, che a volte tanto ci spaventa, può essere la migliore soluzione in un determinato momento per evitare un colpo che non sapremmo altrimenti gestire. L’importante non è cadere ma rialzarsi. E può capitare di doverlo fare centinaia di volte nel corso della nostra esistenza, proprio come succede a un bambino quando impara a camminare. Guai se si spaventasse e non si muovesse più! “Ti faccio perdere il controllo ma ti accompagno per farti vedere che non succede niente” così diceva il mio maestro quando, con una rapida mossa, metteva a terra un allievo. È proprio ciò che l’adulto dovrebbe fare con un bambino: essere lì al suo fianco quando inciampa negli ostacoli della vita, quando perde l’equilibrio e cade, per rassicurarlo che non succede niente, che va bene così, che l’importante è riprovare, che ci sono sempre altre possibilità.


Le arti marziali, se insegnate non da un tecnico ma da un maestro, sono una vera e propria educazione alla vita, nel senso più montessoriano del termine. Rappresentano dunque a mio avviso una forma privilegiata di apprendimento che, a partire dal corpo, arriva a integrare tutti i livelli e le dimensioni dell’essere umano e a riunire l’uomo spezzato.

Com’è scritto nel Tengu-geijutsu-ron di Shissai Chozan, un manuale classico sul kendo – ovvero l’arte della spada giapponese – del XVIII secolo, “L’arco e la freccia sono fatti di legno, ma se lo spirito dell’arciere si fonde con loro formando un’unità, allora anche l’arco è pieno dello spirito ed è un essere altrettanto meraviglioso. Tutto questo non si raggiunge con l’intelligenza della coscienza. Si può conoscere il principio già in precedenza, ma se non lo si comprende a partire dal cuore, non si è esperti nella tecnica e non si è acquistata abilità manuale grazie all’esercizio, allora non si penetrerà il suo miracolo”296. Potremmo dire che in queste poche righe sono sintetizzate con efficacia le basi del metodo Montessori: per arrivare allo spirito occorre partire dal corpo, dal movimento e dal lavoro delle mani che ripetono instancabilmente l’esercizio fino ad acquisirne la padronanza e raggiungono quindi quella calma, quel raccoglimento dell’energia che permette l’espansione della coscienza verso livelli superiori e consente di penetrare il miracolo delle cose. È proprio quanto accade tutti i giorni nelle Case dei Bambini. La tecnica da sola non basta ma va posseduta per essere poi superata e per poter andare oltre. Conoscenza e amore sono i due capisaldi dell’approccio montessoriano al bambino e un buon maestro deve possederli entrambi: la conoscenza fine a se stessa è sterile e fredda, il calore del cuore senza la conoscenza della psicologia del bambino non è che vago sentimentalismo.


Da quanto appena detto, appare pertanto auspicabile che le arti marziali trovino il posto che spetta loro in ambito educativo, all’interno delle scuole e dei luoghi di formazione e di cura: potrebbe trattarsi di una nuova pista di sperimentazione della visione montessoriana.


Ma torniamo a Maria.


“Io non considero nell’educazione la parte che riguarda il movimento come un inizio oppure come un’integrazione, ma la considero come la parte fondamentale – ella dice –. La questione del movimento è la chiave di tutta la costruzione della personalità.”297


“Per andare ad una vita superiore occorre prima compiere una sintesi della vita del pensiero e della vita motrice, senza di che si rimane spezzati.”298


Tenere i bambini seduti per otto ore al giorno e poi concedere loro un’ora di ricreazione in cortile per “sfogarsi” e lasciar andare le energie represse (salvo eventuali punizioni che negano perfino l’ora d’aria ai piccoli carcerati) significa non aver compreso la fisiologia infantile.


“Noi siamo abituati a concepire il movimento nell’educazione quasi come un riposo alla fatica mentale” ed è per questo motivo “che si è introdotto il movimento obbligatorio nelle scuole con lo strano concetto che questa fatica muscolare, separata, riposerà (i bambini) dalla fatica mentale. E perché una fatica deve riposare un’altra? La fatica risiede in un fatto solo: è che la mente e il movimento, che sono una unità, debbono agire separatamente. Se l’individuo non può diventare un tutto unito in modo che la sua mente lavori insieme al movimento, ricevendo le due cose di reciproco aiuto, ogni sforzo è sentito come fatica”299. La fatica nasce sempre e solo dall’opporsi al fluire della vita, dal nuotare controcorrente, da una resistenza al corso naturale delle cose.


Nelle Case dei Bambini non esiste l’ora di ginnastica perché il movimento fa parte dell’attività quotidiana. I bambini non stanno seduti ai banchi per ore ma si muovono nell’ambiente a loro piacimento: c’è chi legge o lavora con i materiali sdraiato per terra su un tappeto, chi va avanti e indietro per riporre oggetti, chi si dedica ad attività di vita pratica, come lavare i piatti, spazzare il pavimento, lucidare l’ottone, annaffiare i fiori.


Oppure si fanno esercizi camminando lentamente su un filo disegnato per terra, “badando di appoggiare il piede esattamente sopra la linea disegnata sul pavimento” portando “in mano ceri accesi o bicchieri pieni d’acqua”300. Tutte azioni che richiedono un alto grado di coordinazione dei movimenti. Dalla padronanza di questi nasce la calma e una sorta di stato di grazia, tanto che i bambini appaiono “beati nell’eseguire quelle processioni, semplicissime cose, che non hanno scopo apparente e non lasciano traccia alcuna”301. Ora, la grazia del movimento è – secondo Lowen – una manifestazione dello spirito divino, segno che l’integrazione tra corpo e anima è stata raggiunta.


“L’azione che può avere l’influenza profonda nell’organizzazione della personalità è quella che porta la polarizzazione di tutte le energie interiori, quindi l’esattezza. Ora quando invitiamo il bambino a muoversi senza urtare nelle cose e perciò senza fare rumore o gli indichiamo come dirigere esattamente i suoi movimenti sotto il controllo del silenzio … noi aiutiamo il bambino a costruire se stesso e soprattutto facciamo in modo che la sua motilità che si va svolgendo si svolga al servizio dell’anima, cioè del più alto potere dell’individuo umano”302. Che differenza con un’ora di ginnastica volta a migliorare la circolazione sanguigna…

Immaginazione…

“La logica ti porterà da A a B. L’immaginazione ti porterà dappertutto” diceva Albert Einstein. L’immaginazione è uno strumento potente che consente di fare viaggi inauditi e costruire l’impossibile. L’immaginazione è alla base della creatività ma entrambe hanno necessariamente a che fare con i sensi.


“Ciò che si chiama creazione è in realtà una composizione, una costruzione fatta sopra un materiale primitivo della mente, che è necessario raccogliere dall’ambiente coi sensi”303. Non per nulla dicevano gli antichi che “Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu”: non vi è nulla nell’intelletto che prima non sia stato nei sensi.


“L’immaginazione non può avere che una base sensoriale”304 scriveva Maria Montessori. Ecco perché l’educazione sensoriale è così importante: preparando a percepire i dettagli e le differenze tra le qualità delle cose “aiuta a raccogliere dal mondo esterno il materiale per l’immaginazione”. Prescindere dai sensi è un po’ come voler costruire una casa senza avere i mattoni.


“L’uomo crea, ma sul modello della creazione divina nella quale egli è materialmente e spiritualmente immerso”305. L’immaginazione non può essere slegata dalla realtà. “Se l’immaginazione è focalizzata sul reale si mette a creare. Non importa che forma prenderà la creazione. Se siete un poeta diventerà un’esplosione di poesia. La poesia non sarà un’aspirazione per il futuro, ma un’espressione del presente. O, se siete un pittore, sarà un’esplosione di pittura. Non dipingerete qualcosa che avete immaginato, dipingerete ciò che avete conosciuto, vissuto” dice il mistico Osho306.


“Dunque è necessario che ogni artista sia un osservatore e che per sviluppare l’immaginazione ciascuno si ‘leghi’ prima alla realtà”307.


In effetti “I temperamenti dei poeti, degli artisti, sono eminentemente sensoriali”308, privilegiano solo canali diversi: i musicisti sono più uditivi, i pittori più visivi.


La creazione dell’artista è “il frutto della mente che si radicò nell’osservazione della realtà”. “L’artista, quando crea, non compone certo mettendo insieme le parti a formare il tutto come in un mosaico: nello slancio dell’ispirazione egli vede in sé la figura nuova, nata dal suo genio; ma i particolari accumulati vanno a nutrirla, come il sangue va a nutrire l’uomo nuovo nel seno materno”309. Pensiamo a Michelangelo: la cupola di San Pietro che egli vedeva guardando lontano nel vuoto non sarebbe mai nata nella sua mente se gli studi di architettura non avessero preparato i materiali per realizzarla.


Eppure noi costringiamo ogni giorno il bambino a “produrre senza possedere i materiali necessari; dare senza avere; attingere da attività interne che gli si impedì di sviluppare. E la produzione dovrebbe venire dall’esercizio della produzione…”310 . Basti pensare all’abitudine dei temi in classe. La Montessori è molto critica a questo riguardo, ritenendoli un modo sicuro per distruggere la creatività infantile. Gli scolari non possono rispondere come fece Carducci a chi gli chiese di comporre un’ode a ricordo di un personaggio “È un’ispirazione, non un’occasione che può farmi scrivere un’ode”. Qualsiasi scrittore o poeta lo sa: non si può scrivere su ordinazione ma solo quando arriva un’ispirazione dall’alto, magari nel bel mezzo della notte o appena aperti gli occhi al risveglio… Così come del resto è difficile far amare la lettura a un bambino quando i testi di narrativa gli vengono proposti unicamente per essere analizzati grammaticalmente o da un punto di vista strutturale: sarebbe come pretendere che dopo aver sezionato una rana per un esperimento scientifico il bambino esclamasse “Che bella!”…


Una delle critiche che spesso viene rivolta al metodo Montessori è invece che non favorisce abbastanza l’espressione della creatività, non offre sufficiente spazio all’arte, alla poesia e alle attività manuali artigianali. In realtà è proprio a queste finalità che tende l’educazione montessoriana ma “Come si può dipingere, senza conoscere la gradazione dei colori? Come può scrivere poesie una persona che non ha imparato ad ascoltare e vedere?”, diceva Maria, “Per poter spendere bisogna prima guadagnare” “Per poter restituire qualcosa al mondo bisogna prima trarre nutrimento dal mondo. Nessuno può lavorare con uno stomaco vuoto, e nessuno può produrre letteratura con un cervello vuoto”311.


“Se dunque l’immaginazione ha per base l’osservazione della realtà e il suo perfezionarsi ha un rapporto con l’esattezza delle osservazioni, occorre preparare i bambini a saper esattamente percepire le cose dell’ambiente, per assicurare loro il materiale dell’immaginazione.


L’immaginazione creatrice deve ergersi come un palazzo illuminato, su fondamenta più oscure internate nella roccia, per non essere un castello di carta, un’illusione, un errore.”312


Sull’immaginazione dei bambini esistono però degli equivoci secondo la Montessori: “Una forma di immaginazione ritenuta ‘propria’ dell’infanzia e riconosciuta quasi universalmente come immaginazione creatrice, è quel lavoro spontaneo della mente infantile, pel quale i bambini attribuiscono caratteri desiderati ad oggetti che non li posseggono” Tipico è il famoso gioco del cavallo fatto con un semplice bastone. Ma, secondo la Montessori, “quella non è una prova di immaginazione, è la prova di un desiderio insoddisfatto: non è attività legata a un dono di natura; è una manifestazione di povertà cosciente, sensibile”313. È il vivere nel proprio reale possesso che calma il bambino. Ma tra l’apparecchiare una tavola per gioco e l’apparecchiarla davvero esiste una grande differenza, la stessa differenza che esiste tra una vita immaginata e una vita vissuta. “Non è forse questo un errore sottile che può insinuarsi fin dall’infanzia e permanere poi come una forma mentale? Correre dietro alle illusioni e non riconoscere la realtà è cosa tanto comune che vien fatto di gridare ‘svegliati o uomo!’”314


La fuga nell’ideale nasce come strategia di sopravvivenza quando le condizioni di vita del bambino non sono quelle adatte a lui, alla sua crescita e al suo sviluppo. Si tratta di una misura di difesa quando non si è in grado di affrontare realtà che ci spaventano troppo.


“Quando la facoltà d’immaginare non elabora dalla realtà e dalla verità, invece del divino edifizio, forma delle incrostazioni che comprimono l’intelligenza e impediscono alla luce di penetrarvi.”315


“Il bambino deve crearsi una vita interiore per poter esprimere qualche cosa: deve prendere dal mondo esterno spontaneamente un materiale di costruzione per ‘comporre’; deve liberamente esercitare la sua intelligenza per essere pronto a trovare i legami logici tra le cose. Dobbiamo offrire al bambino ciò che è necessario alla sua interna vita e lasciarlo libero di produrre. Forse non sarebbe impossibile incontrare un bambino che, con un lampo negli occhi, corre a scrivere una lettera; o un altro che passeggia meditando e coltiva una ispirazione nascente. Noi dobbiamo curare e nutrire il fanciullo interiore e attendere le sue manifestazioni.”316

…e creatività

“La creatività è uno stato religioso dell’essere. … Creare significa immettere nell’esistenza qualcosa di nuovo, significa aprire una via all’ignoto, affinché possa entrare nel conosciuto; creare significa aprire una via al cielo, affinché possa scendere sulla terra. La creatività non è altro che questo: palpitare in assoluta sintonia con il tutto”. Così definisce la creatività il mistico Osho. Creare significa essere vicini al divino, al “creatore” per eccellenza. Non per nulla la creatività è una qualità tipica dell’infanzia.

“Tutti i bambini, nati in qualsiasi punto del pianeta, sono creativi; ma la società non permette che vivano la loro creatività”317; “ciascun essere umano nasce creativo ma pochissimi lo rimangono”318 perché “la creatività richiede libertà, libertà dalla mente, libertà dal sapere, libertà dai pregiudizi”319.


Pensiamoci un attimo: che spazio viene dato alla creatività nelle nostre scuole? Quando viene imposto a un bambino che disegno fare, quali colori usare, quando i compiti consistono in una serie di fotocopie da compilare, quando tutti devono eseguire la stessa “consegna”, studiare da pagina tot a pagina tot, sedersi nel posto deciso dall’insegnante, sia in classe sia a tavola, che margine di libertà rimane al bambino? Come può fiorire e svilupparsi la creatività in simili condizioni? E poi quanto spazio viene dato all’arte, alla musica, al canto, alla danza, ovverossia ai sensi e al senso della bellezza?


Se non viene annaffiata e alimentata la creatività si spegne, muore come una pianticella non curata e bagnata regolarmente. Ma con essa se ne va anche una parte dell’anima del bambino, che continuerà a gridare per il resto della sua vita e a reclamare quanto le spetta per diritto di nascita.


La creatività è ciò che ci rende vivi, vitali, entusiasti, appassionati, che ci permette di scoprie vie nuove e mezzi nuovi. Qualsiasi cosa può diventare creativa se fatta con gioia, con consapevolezza e amore. “La creatività è un’attitudine, un approccio interiore … è il modo in cui guardi le cose”320 . È possibile lavare i piatti o spazzare il pavimento in modo creativo, cucinare può diventare un’arte se lo si fa con creatività e così ogni altra attività della vita.


“È bello creare!” diceva mio figlio Noah mentre costruiva complicate macchinine con il suo Lego, “Mi rilassa”. E infatti è proprio questo l’effetto della creatività: portarci in uno stato di “non-mente”, di rilassamento profondo, connetterci all’energia stessa dell’universo, al flusso divino, alla fonte di ogni creazione. “L’attività creativa – diceva Maria Montessori – si realizza in quel punto in cui la coscienza è al momento più luminosa”. 321


Un grande maestro di creatività è stato Bruno Munari, che con i suoi laboratori – veri e propri luoghi di scoperta, sperimentazione e autoapprendimento attraverso il gioco – ha insegnato a migliaia di bambini “non cosa fare ma come fare”. Il lavoro di Munari si basa sul concetto che “Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco” come recita un antico proverbio cinese, citato dall’artista. “Capire che cos’è l’arte è una preoccupazione (inutile) dell’adulto. Capire come si fa a farla è invece un interesse autentico del bambino”322. Offrire ai bambini le tecniche dell’espressione artistica significa fornire loro gli strumenti per fare da sé. Attraverso la scoperta delle diverse qualità dei materiali i bambini imparano per mezzo dei sensi a giocare con l’arte. Un approccio molto montessoriano…


“Bisogna, fin che si è in tempo, abituare l’individuo a pensare, a immaginare, a fantasticare, a essere creativo” diceva Munari. “Conservare lo spirito dell’infanzia dentro di sé per tutta la vita vuol dire conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare”323. Questa è creatività. Questa è vita.


Cina, 1920

AMI, Amsterdam

Libertà e amore
Libertà e amore
Elena Balsamo
L’approccio Montessori per un’educazione secondo natura.ll pensiero Montessori spiegato da una grande scrittrice che è anche medico pediatra: Elena Balsamo, nota esperta in tematiche perinatali e pedagogiche. Per educare un bambino occorre prima di tutto educare se stessi.In Libertà e amore, Elena Balsamo ci conduce in un viaggio attraverso lo spazio e il tempo per riscoprire un nuovo approccio al bambino, dalla vita prenatale all’età evolutiva, prendendo spunto dalla visione di Maria Montessori, donna straordinaria che ha dato vita a un sistema educativo a dir poco rivoluzionario, diffuso in ogni parte del mondo.Scriveva Maria Montessori che i capricci e le disobbedienze del bambino non sono altro che aspetti di un conflitto vitale fra l’impulso creatore e l’amore verso l’adulto, che però non lo comprende.C’è quindi un grosso fraintendimento sulle aspettative dei genitori e degli insegnanti nei confronti dei bambini, che comincia dalla nascita e si manifesta con il confondere il bambino reale con il bambino ideale, esistente soltanto nella mente e nella fantasia degli adulti.Il prezzo da pagare è la perdita dell’autenticità, della libertà, della vera natura del bambino stesso.La scuola montessoriana consiste in un vero e proprio laboratorio creativo nel quale, in un ambiente ricco di amore, rispetto e autentica libertà di scelta, le capacità intellettuali e manuali sono libere di svilupparsi in tutta la loro forza e bellezza.Quello di Maria Montessori non è però solo un metodo educativo, ma molto di più: è un modo di guardare il mondo e gli esseri che lo abitano con gentilezza e amore, nella consapevolezza che siamo tutti parte dello stesso ecosistema.Una nuova chiave di lettura per reinventare la relazione con i nostri figli e i nostri alunni, secondo natura. Conosci l’autore Elena Balsamo, specialista in puericultura, si occupa di pratiche di maternage e lavora a sostegno della coppia madre-bambino nei periodi della gravidanza, del parto e dell'allattamento.Esperta di pedagogia Montessori, svolge attività di formazione per genitori e operatori in ambito educativo e sanitario.