seconda parte - capitolo xiii

Cosa prova la donna che non ha
allattato?

Tutte le madri vogliono il meglio per i loro figli. Una madre che usa il latte artificiale non è una madre che è venuta meno a suo figlio. È la società che è venuta meno a quella madre, i medici, a volte la famiglia, loro hanno mancato in qualcosa. Non è la madre che ha mancato verso suo figlio.

Ibu Robin Lim

Rimpianto. Frustrazione. Delusione. Un allattamento mancato può fare molto male. Può pesare sul cuore di una mamma molto a lungo, anche per anni. Una donna che non riesce ad allattare sperimenta una gamma di sensazioni (senso di colpa, di inadeguatezza, di inferiorità) intense, che possono minare la sua autostima e interferire con la serenità dei suoi primi mesi da mamma.

Perché fa così male?

Ma perché un allattamento mancato può fare così male? Perché scatena nella maggior parte delle madri sensazioni intense, difficili da rielaborare e superare? Ne parliamo con la dottoressa Alessandra Bortolotti, psicologa perinatale e autrice di E se poi prende il vizio?

Per quale motivo le mamme che non riescono ad allattare, nella maggior parte dei casi, soffrono tanto per questo insuccesso?

A causa di un serio problema di comunicazione. Oggi parliamo di allattamento in termini non più di norma biologica, ma di benefici e di vantaggi per la salute. Così, la mamma che avrebbe voluto ma non ha allattato sente di aver privato il proprio bambino di un beneficio.


E quando c’è di mezzo un figlio, le sensazioni sono amplificate: il pensiero di aver fatto mancare qualcosa di importante al proprio bambino è insopportabile per una mamma.


Non solo. L’allattamento è presentato come un gesto naturale, quindi alla portata di tutte le madri. E chi non riesce, si sente incapace. In realtà allattare è sì, un gesto naturale, ma dopo il boom del biberon e la diffusione dell’alimentazione artificiale, si è persa la confidenza con questa consuetudine e non per tutte le donne allattare è qualcosa di immediato, spontaneo. Per questo spesso si ha bisogno di aiuto di professionisti esperti e non sempre si ha il coraggio di chiederlo o si trovano persone realmente formate e competenti in materia.


Infine, un’altra idea “distorta” e dannosa è che per allattare si debba tirare fuori la grinta. Chi non ce la fa, ha la sensazione di non aver lottato abbastanza, di non essersi impegnata, di essere una mamma “meno brava” delle altre. Ma allattare non dovrebbe essere una conquista né tantomeno una lotta; allattare è un diritto di tutte le madri. Il diritto di ricevere informazioni corrette e sostegno.

E viceversa, mamme che hanno allattato dichiarano di sentirsi molto fiere di se stesse. Come mai allattare è un motivo di orgoglio?

Per lo stesso motivo. Perché quando si parla di allattamento lo si fa in termini di vantaggi e benefici. Chi allatta è quindi orgoglioso di aver garantito quei benefici al proprio bambino.


È necessario tornare a parlare di allattamento come di normalità, di semplice norma biologica, da cui non dipende alcun giudizio di valore nei confronti della madre.

Le mamme “non allattanti” spesso si sentono giudicate madri di serie B, madri meno brave o capaci. Questa sensazione è la reazione a un atteggiamento delle altre mamme (quelle allattanti) o deriva da un inconsapevole senso di colpa?

È la reazione a una modalità comunicativa sbagliata e a una sensazione di inadeguatezza che la donna stessa prova dentro di sé.


Quando non allattare è una scelta, questi problemi non ci sono: la donna ha preso una decisione, è convinta della sua scelta, è serena e non si lascia mettere in crisi dai commenti altrui.


È quando non è stata una scelta, che eventuali riferimenti all’allattamento “smuovono” nella mamma un vissuto di sofferenza, inadeguatezza, sensi di colpa.

Se l’allattamento mancato è fonte di sofferenza per la mamma, cosa può aiutarla a “fare pace” con questa esperienza e superare le sensazioni negative?

La mamma può cercare di individuare le cause, i motivi per cui non ha allattato. Dovrebbe chiedersi: non ho allattato, perché? E la risposta di solito è che non ha ricevuto un sostegno adeguato, perché non è lei che “non ce l’ha fatta”. Se una donna non riesce ad allattare, sono gli altri che non ce l’hanno fatta. Chi doveva garantirle informazioni, suggerimenti mirati, supporto pratico ed emotivo.


Ricordiamo inoltre che nel puerperio la donna vive un momento di intenso scombussolamento emotivo e ormonale. È diverso anche il modo di ragionare: nelle settimane successive alla nascita, la donna torna ad usare in modo prevalente l’emisfero destro del cervello, quello legato alle emozioni, quello che le permette di sintonizzarsi con il suo bambino per accudirlo al meglio. Questo accentua la sua sensibilità e la rende più vulnerabile. Ecco perché l’incoraggiamento e il sostegno sono tanto importanti.


Chiarito questo punto, compreso che il non allattamento non è una “colpa” e non è dovuto a qualche “mancanza” materna, è più facile accettare quello che è stato, trarre valore da un’esperienza in apparenza negativa, ma che come tutte le esperienze può insegnarci qualcosa e renderci persone più ricche. Non è raro, ad esempio, che madri che hanno vissuto un allattamento difficile sentano il desiderio di aiutare altre donne a superare le stesse difficoltà e allattare felicemente.

Promuovere l’allattamento al seno e diffondere informazioni corrette, senza far sentire a disagio le donne che non hanno allattato è possibile? E qual è la formula giusta per affrontare l’argomento?

È possibile cambiando modalità comunicative. Oggi si parla di allattamento in termini di benefici di salute. Si tratta di una reazione al marketing della formula artificiale che negli anni ’60-’70 ha iniziato a promuovere la cultura del biberon esaltandone i pregi e i benefici per il bambino e per la donna. Questa formula dovrebbe cambiare, per tornare a parlare di allattamento come normalità.


È necessario che la formazione degli addetti ai lavori sia aggiornata per quanto riguarda l’allattamento al seno, ma anche dal punto di vista della comunicazione con le famiglie.


E in generale, dovremmo tutti coltivare atteggiamenti di maggior empatia e assenza di giudizio nei confronti degli altri.

Un’ultima domanda legata al titolo di questo libro. Tutte le mamme hanno il latte, ma non tutte allattano. In moltissimi casi il problema è la mancanza di informazioni e di sostegno. Qualche volta però il latte c’è, e il supporto anche, ma la mamma non ce la fa. Può essere che l’esperienza dell’allattamento per alcune donne sia semplicemente “troppo”?

Certamente. Le donne sono tutte diverse e quando diventano madri hanno alle spalle un vissuto fatto di esperienze, speranze, timori, aspettative diverse. E devono sentirsi libere. Libere di scegliere se allattare o meno, ricordando che se vogliono hanno le potenzialità per farlo, e se non vogliono questo non farà di loro madri “meno brave”. Le cure prossimali (il contatto, la vicinanza, le coccole) aiuteranno ogni madre a creare un legame forte con il suo bambino. Ci sono tanti modi di coltivare questa relazione. Tutte le madri amano i loro bambini ed è importante che tutte le madri si sentano serene.

Nel cuore delle mamme

Cosa prova una mamma mentre tenta di far decollare un allattamento che non funziona? Quali sono le sensazioni che si agitano nella mente e nel cuore, quando il latte sembra non esserci e si ha il timore di far mancare al proprio bambino il nutrimento necessario?


Sappiamo che l’istinto atavico delle madri è quello di far sopravvivere il cucciolo. E la mamma sa che, per sopravvivere, il bambino deve essere nutrito.


Non è una faccenda da poco un allattamento che stenta ad avviarsi, perché va a toccare dei punti dolenti, dolentissimi. E se il bimbo piange, appare insoddisfatto o non cresce come dovrebbe, la paura e il senso di inadeguatezza possono essere devastanti.

Era un neonato pigrissimo che in ospedale non si attaccava al seno quasi mai. A casa ha iniziato a voler poppare più spesso, ma si addormentava subito dopo aver iniziato. Ero spaventata perché cresceva poco e piangeva spesso. Il pediatra, dopo solo una settimana, mi ha prescritto l’aggiunta.

Anna

Mia figlia era pigra e non si attaccava bene. Il latte c’era, ma tra mille pressioni (anche da parte del personale esperto) e tre mesi passati tra tiralatte e aggiunte alla fine ho ceduto. Ancora oggi, quando vedo una mamma allattare, mi scendono le lacrime… forse ci tenevo troppo e mi sono lasciata prendere dal panico, anche perché sentirsi dire dall’ostetrica che tua figlia ha fame è davvero straziante: se mi avessero pugnalata avrei sentito meno dolore.

Romina

Una volta a casa la piccola piangeva e si voleva sempre attaccare. Mia mamma e mia suocera mi dicevano: “Non può piangere così, magari ancora non è sceso il latte o forse non ne hai proprio”. Io scivolavo sempre più giù e nessuno se ne accorgeva, mio marito che credeva che la bimba morisse di fame per colpa mia… Ciliegina sulla torta il pediatra che nemmeno ci vede e ci consiglia il latte artificiale.

Maria Rita

Ho continuato ad attaccarlo al seno per venti giorni, ho insistito, ma Antonio piangeva, aveva fame… Così integravo: prima seno poi latte artificiale, ma ero distrutta dallo stress.

Francesca

Mi sentivo inadeguata e stanca. Le ragadi facevano male e io ero sempre più impaurita. La bambina voleva bere di continuo, non dormiva mai! Un pomeriggio ha urlato per la fame dalle 12 alle 19. Ero sfinita e ho ceduto all’aggiunta di latte in polvere.

Anna

Il mio allattamento è partito subito in modo molto stentato, ma ci credevo e ho insistito per le prime settimane, con tante paure e tante lacrime. Poi il caldo, uno scatto di crescita non riconosciuto, la disidratazione… e tutto è precipitato. Ho pianto tanto e sofferto tanto e ancora mi colpevolizzo tanto per gli errori commessi.

Angela

Alla visita del primo mese non aveva nemmeno recuperato il calo ponderale! Immediata aggiunta di latte in formula. Sono uscita dall’ambulatorio inebetita, sentivo il senso di colpa per aver affamato il bambino, provavo vergogna per aver fallito, frustrazione perché i “te l’avevo detto, noi non allattiamo” si sarebbero sprecati…

Simona

Smarrimento

Molte neomamme si sono sentite sole. E la solitudine, quando stai vivendo un momento difficile rende tutto più pesante.

Io avevo tantissimo latte ma lui è nato piccolo e si attaccava male, i capezzoli si sono rotti e sanguinavano e io ero tanto sola e spaventata…

Simona

Mi è stata imposta la doppia pesata, poi il latte artificiale solo perché il mio cucciolo cresceva al minimo percentile (anzi di più), mi è stato detto che non avevo latte a sufficienza o che forse non era qualitativamente idoneo! Mi sono sentita sola, triste, incapace, poco materna e chi più ne ha più ne metta, senza dire che anche fisicamente mi sentivo uno zero!
Nessuno era in grado di ascoltarmi e accompagnarmi e mi sono sentita inadeguata nel ruolo di madre!

Michela

Arriva il giorno delle dimissioni e la pediatra mi dice che Giulia non ha ancora recuperato il calo. Ci dimette, ma essendo lei nata così piccola, se entro qualche giorno non comincia a crescere di peso devo farla vedere da un pediatra. Mi mette l’angoscia, andiamo a casa, compro il latte artificiale e glielo dò. Il giorno dopo mi arriva la montata, provo ad attaccarla, ma Giulia non ne vuole sapere del mio seno. Insisto un po’, ma ho in testa le parole della pediatra dell’ospedale, ho paura che non cresca, le dò il biberon di latte artificiale. Mi sento sola, mia mamma è morta anni fa, mia suocera è anziana e non sta bene, non ho sorelle. Sono angosciata, mia figlia piange sempre, non dorme mai. Alla fine, a malincuore lascio da parte l’idea dell’allattamento e continuo solo con il latte artificiale.

Oriana

Ero nel panico. Aveva perso parecchio peso alla nascita, quindi la pesavo continuamente. Credevo che non crescesse e di lì a poco sono passata al biberon perché vedere la quantità precisa che prendeva mi tranquillizzava!

Elisa

Tra le cose che rimpiango di non aver fatto, soprattutto c’è quella di non aver chiesto aiuto, uscita dall’ospedale. Ma a chi? Non avevo amiche mamme. Mia mamma non mi ha allattata: anche nel suo caso, in ospedale l’allattamento è stato in ogni modo ostacolato. È molto triste che nei venticinque anni intercorsi tra la mia nascita e quella della mia primogenita le cose non siano cambiate… o almeno, non abbastanza.

Irene

Con il mio primo bambino mi sentivo molto insicura, temevo che non mangiasse abbastanza dato che la frequenza delle poppate era altissima. Io non avevo nessun appoggio, mi sentivo inadeguata e stanca morta.

Elisa

Mortificazione

A volte la mamma non solo non viene incoraggiata, ma viene addirittura criticata o trattata male, proprio da chi dovrebbe aiutarla! E ricordiamo che nei primi tempi successivi al parto, la donna – anche la più determinata – è molto vulnerabile. Il particolare assetto ormonale del post parto, la maggior sensibilità che la natura ha voluto proprio per aiutarla a entrare in sintonia con il bimbo, la rendono più “esposta” e indifesa: una frase, ma a volte anche solo uno sguardo, possono ferirla profondamente.

Quando ho provato a chiedere aiuto, l’ostetrica mi ha dato della “bambina” perché non riuscivo a sopportare un piccolo dolore che era finalizzato a una cosa bellissima quale il nutrimento di mia figlia.

Anna

Due giorni dopo l’uscita dall’ospedale siamo tornati per la visita di controllo e la bimba aveva perso ancora 80 grammi oltre ai 300 persi durante le quarantotto ore di degenza ospedaliera. Lì la pediatra mi ha aggredita perché secondo lei la bambina non mangiava e io non avevo latte: mi ha fatto sentire la peggiore delle madri, mi ha obbligata a tirar fuori la tetta nella sala d’aspetto con l’infermiera a farmi la guardia per controllare se la piccola deglutiva, poi non contenta mi ha spedita al nido a tirarmi il latte con un tiralatte che non tirava. Naturalmente non è uscito nulla e allora mi ha detto che dovevo assolutamente darle l’aggiunta di artificiale.

Fiorenza

Ho iniziato ad attaccarlo, sempre sgridata dalle infermiere perché non riuscivo a farlo bene!

Cristina

Frustrazione

A volte le mamme non sanno. Non sono del tutto consapevoli di cosa non ha funzionato. A volte sono molto informate e questo può rendere ancora più profonda la loro delusione. In ogni caso, chi avrebbe voluto e non ha allattato o ha allattato solo per un periodo brevissimo (e spesso tormentato) si porta dietro a lungo quelle sensazioni di inadeguatezza, frustrazione, rimpianto.

I primi mesi ne ho fatto una vera e propria malattia: quando mi trovavo con le mie amiche e le vedevo allattare e io avevo il biberon facevo fatica a trattenere le lacrime.

Fabrizia

Continuo, nonostante tutto, a domandarmi ancora se davvero non ero in grado di allattare o se le cose sarebbero andate diversamente con adeguato sostegno e informazioni dati dalle persone giuste durante le prime settimane dopo il parto.

Elena

A volte invece...

A volte invece la mamma non prova queste sensazioni. Siamo tutte diverse e ognuna reagisce a modo suo, anche se la situazione è simile. Ci sono mamme che si sono fatte una ragione del mancato allattamento e hanno coltivato l’intesa con il proprio piccino con grande serenità. È bene sottolinearlo, perché non accada che qualche mamma si senta a disagio perché non ha patito per l’interruzione delle poppate!

Quando l’allattamento è fisicamente doloroso

Il seno è una delle parti del corpo più sensibili. Allattare con le ragadi è un’esperienza molto, molto dolorosa. Se la mamma intravede una via d’uscita, nota che la situazione è in evoluzione, può portare avanti le poppate; ma se così non è, se il dolore è costante e le ragadi non guariscono perché mancano i suggerimenti giusti, interrompere l’allattamento, non voler più soffrire è molto umano!


Ho smesso di allattare Greta dopo appena venticinque giorni e ho proseguito con un allattamento misto, tirandomi il latte, fino ai suoi due mesi compiuti, per colpa delle ragadi e di tanto, troppo dolore ogni volta che l’attaccavo. Mi sono fatta aiutare da una consulente de La Leche League, ma la situazione non è migliorata, non capivo come potesse essere “indolore” allattare… Ero angosciata e nervosa in coincidenza con l’orario della poppata e sentivo che stavo rischiando un esaurimento nervoso. Non ne potevo più di quel dolore lancinante che partiva dal capezzolo e arrivava fino alla punta del piede. Ero già fragile e provata da una gravidanza difficile, trascorsa per la maggior parte a letto. Ci tenevo tantissimo ad allattare mia figlia e ho stretto i denti per settimane ma alla fine sono crollata e ho ceduto. Ho pensato (seguendo anche il consiglio della pediatra) che era molto meglio per mia figlia avere una mamma serena che una madre esaurita che “odia” allattarla.


Ancora oggi faccio i conti con questa mia debolezza e con la mia rinuncia ma Greta per fortuna è una bambina serena, sorridente, simpatica e molto legata alla mamma; e ciò mi ha dato la forza di pensare che nonostante tutto ho fatto la scelta più giusta.


Chiara

Allattare nel dolore, per fortuna, non è previsto dalla natura. Non ha senso per la madre e nemmeno per il bambino che percepisce il disagio materno.


Lo abbiamo già detto, allattare non deve essere doloroso. Nessuno, credo, si sognerebbe di rispondere a un’amica che non riesce a mangiare perché ha una ferita alla lingua di tenere duro, stringere i denti e sopportare il dolore, per mesi. Probabilmente le consiglieremmo di chiedere al suo medico di risolvere la situazione e far guarire il più rapidamente possibile la ferita. D’altronde, non le consiglieremmo neppure di smettere di mangiare. No, le ragadi devono guarire. E quando questo non avviene, per i motivi più vari (ma in genere il motivo è uno, la mancanza di indicazioni corrette), non è difficile comprendere perché la mamma interrompa l’allattamento.

Quando l’allattamento non fa per noi

Allattiamo con il nostro corpo e con la nostra mente.
Con il nostro cuore e con la nostra psiche.
Allattiamo con ciò che siamo e ciò che siamo state.
Con il nostro presente e con il nostro passato.

Polina Zlotnik1

A volte, occorre dirlo, la mamma – pur essendo ben informata e sostenuta – semplicemente non ce la fa. L’allattamento non fa per lei. Perché il suo vissuto, il suo temperamento, le sue sensazioni la portano in un’altra direzione. È la sua esperienza, è la sua storia.


A volte il disagio di oggi arriva da lontano, dal modo in cui la donna percepisce se stessa, il suo corpo, il suo modo di essere madre, oppure è legato a eventi recenti (una gravidanza difficile, un bimbo perso nella gravidanza precedente, una nascita prematura, la perdita di fiducia in un corpo che si è rivelato in un certo senso “inaffidabile”) o altro ancora, altro che neppure la mamma sa spiegarsi.


Le mamme sono tutte diverse. Dobbiamo imparare ad accogliere queste differenze. E a rispettarle.


Dopo una gravidanza sulle montagne russe è nato un mese prima. Un uccellino di due chili. In ospedale mi hanno dato subito il biberon che io ho accettato volentieri perché mi fidavo e perché avevo l’ansia che non crescesse. La montata è arrivata e lo attaccavo per coccola. Però, in effetti si addormentava subito. Faticava anche con il biberon. Quando mi hanno dimesso ho chiesto il congedo assistito e quasi subito è venuta in visita un’ostetrica del consultorio che mi ha detto che con tutto il latte che avevo era un vero peccato. Così insieme ci abbiamo provato, ma è cominciato un incubo. Sembrava una sfida a tutti i costi. Con l’eco di parenti che mi dicevano che dovevo allattare. Allora ho ripreso in mano la situazione, mi sono ascoltata e ho deciso. Via i sensi di colpa, la mamma sono io e voglio serenità per me e il mio bambino. Pappa con il biberon e seno per coccole. Magari andrà meglio la prossima volta. Ma siamo cresciuti e siamo felici.

Francesca


Durante la prima gravidanza come un po’ tutte la mamme ho letto libri, mi sono informata, immaginavo già la mia vita da mamma tutta amore e coccole, ma purtroppo non è stato proprio così! Rachele è nata piccolina (due chili e mezzo), passava il tempo a dormire e all’uscita dall’ospedale tutti mi avevano detto di stare attenta a non farla calare troppo (immaginate un po’ il mio stato d’animo!).


Sta di fatto che non riuscivo ad attaccarla (ho anche un capezzolo introflesso e lì la fatica era doppia), mi toglievo il latte col tiralatte. Ho cercato per due mesi di attaccarla, ma sono arrivata a un punto in cui non volevo più tenerla in braccio, quindi mi sono detta: “Qui la cosa non va bene!”. È stata una decisione difficile, ma alla fine ho scelto di smettere di darle il mio latte e passare a quello artificiale. Da quel momento è andato tutto molto meglio, non mi sentivo più così incapace, ho cominciato a coccolarmela durante le poppate col biberon, durante i bagnetti, prima di dormire. Insomma io era più serena e riuscivo a trasmettere a lei questa mia serenità!


Col secondo figlio ho riprovato, ma subito si è ripresentata quella sensazione fastidiosa di inadeguatezza; non so da dove venga ma sta lì e mi dà proprio fastidio! È brutto da dire, mi fa male ammetterlo, però a me non piace allattare, e non penso di essere una cattiva madre per questo, ai miei figli cerco comunque di trasmettere l’amore e la gioia che provo quando sto con loro in altri modi.

Valentina

Mamme di serie B?

Mamme di serie B. Quante volte ho sentito questa espressione. Terribile. L’ho sentita usare da donne che non hanno allattato o hanno allattato per un periodo molto breve e hanno sentito il bisogno di difendersi dai giudizi/ pregiudizi altrui e forse, inconsapevolmente, anche dal senso di colpa e di inadeguatezza. Sensazioni che non avrebbero ragione di essere, è vero, ma sono comunque presenti.


“Non siamo mamme di serie B”. “Sono anche io una brava mamma”. “Non mi sento meno mamma”.


E ci mancherebbe. Credo che nessuna persona sana di mente potrebbe mettere in dubbio l’amore e la dedizione di una madre perché ha nutrito suo figlio con il biberon. Ma se queste frasi vengono dette, vuol dire che nella nostra società qualcosa che non funziona c’è. Vuol dire che l’allattamento ha inspiegabilmente assunto dei connotati che non gli competono. Da norma biologica, da normalità, è diventato altro, è diventato un parametro per valutare la “bravura materna”. Come questo sia accaduto non lo so, ma è davvero triste che sia così. Triste perché ci sono tante, troppe donne che stanno soffrendo a causa di questa anomalia e triste perché si è creata una contrapposizione tra madri che allattano e madri che non allattano, quasi fossero su fronti opposti, quasi fossero in lotta. Come se davvero ci fosse una competizione in corso: in palio il titolo di mamma di serie A?


La mamma che ha “stretto i denti” è stata tenace, si è sacrificata e ha allattato, è meritevole di lode. La mamma che si è arresa no.


Ma per favore! È tutto sbagliato. Primo, perché allattare non dovrebbe essere questione di tenacia, non dovrebbe mai e poi mai essere un sacrificio o addirittura una fonte di sofferenza. Allattare dovrebbe essere normale, semplice, scontato. E lo sarebbe in una società davvero pro-allattamento, dove i professionisti della salute sono formati per sostenere le donne e aiutarle ad avviare le poppate senza problemi.


Secondo, perché non c’è un collegamento tra modalità di nutrizione del bambino e virtù materne.


Allattare dovrebbe tornare a essere quello che è, ovvero il modo normale di alimentare il cucciolo d’uomo. Non un vanto, non un primato, non una sorta di competizione.


Soprattutto in una situazione come la nostra, dove allattare o non allattare nella maggior parte dei casi non dipende dalla volontà della donna, ma da una serie di situazioni che in buona parte sfuggono al suo controllo. Quando in ospedale alla mamma viene prescritta un’integrazione, quando dopo le dimissioni incappa in un pediatra che non sostiene l’allattamento, quando, avendo ricevuto informazioni scorrette, non può superare gli ostacoli incontrati è molto difficile, se non impossibile, allattare.


Resta il fatto che quando una madre si trova in condizione di dover optare per il biberon, non diventa improvvisamente meno mamma del giorno prima, quando ancora offriva il seno al suo bambino.


L’allattamento è un aspetto della relazione tra madre e bambino. Un aspetto, uno solo. Non sono le poppate al seno che fanno la mamma. Semmai le poppate – quando l’allattamento funziona bene – possono facilitare la vita della mamma, possono regalarle sensazioni piacevoli, questo sì. E possono favorire la sua relazione con il bebè.


Ma essere madri è altro, molto altro. Essere madri sono mille sguardi, mille sospiri, mille sorrisi. Sono ore trascorse a cullare, abbracciare, consolare, incoraggiare. È innamorarsi del proprio bambino follemente, essere pronte a tutto per lui, desiderare per lui ogni bene, sperimentare un amore così grande che quasi non sembra possibile.


E allora ecco che non ci sono madri di serie A e madri di serie B. Ci sono le madri. Madri tutte diverse, uniche e speciali. Ma con una cosa – la più importante – in comune: un amore immenso per il proprio bambino!

Non c’è niente da perdonare

No, non avreste potuto fare di più. No, non siete state meno coraggiose/ tenaci/determinate delle mamme che hanno allattato.


Non si possono fare confronti e paragoni perché la vostra storia è solo vostra, le esperienze che avete vissuto voi possono essere simili a quelle vissute da altre mamme, ma mai uguali.


E nessuno di noi è uguale a un altro. E poi, che senso ha fare confronti? Non c’è nessuna gara. Siamo solo mamme che fanno del loro meglio.


Ma soprattutto non c’è niente da perdonare. Non ci deve essere perdono perché non c’è stata colpa. Se avreste voluto allattare e non ci siete riuscite, evidentemente chi doveva sostenervi, informarvi, incoraggiarvi, non l’ha fatto o non l’ha fatto in modo adeguato. L’abbiamo visto, non è facile allattare nella nostra società, dove per decenni ha imperato il motto “crescono ugualmente bene con il biberon”. Ora il motto è cambiato ed è diventato “il latte materno è meglio”, ma non basta uno slogan per permettere a una generazione di donne cresciute con il biberon di allattare felicemente.


Quindi, non siete voi ad aver privato vostro figlio di anticorpi e altre sostanze preziose. Non eravate nelle condizioni di poter fare questa cosa, altrimenti l’avreste fatta. O no? E allora non c’è niente da perdonare. Ma se vi sentite in colpa lo stesso, almeno regalatevi questo perdono. Siate buone con voi stesse, avete fatto tutto il meglio che potevate fare. In quel momento, in quella situazione.

Senno e sensibilità

Abbiamo visto che un allattamento non riuscito è la risultante di diverse cause, ma per ora a sentirsi in colpa sono soltanto le mamme. Razionalmente sappiamo che questa sensazione non è giustificata, ma il cuore non sempre segue la ragione. Ed è normale che sia così. Cito a questo proposito una bella riflessione del pediatra spagnolo Carlos González:

“Il fatto è che la mamma che voleva allattare e, per qualsiasi motivo, non ha potuto farlo, non può stare bene. Non è logico sentirsi colpevoli, quando siete state assolutamente vittime di una cattiva informazione, di mancanza di aiuto o di semplice sfortuna. Ma non è neanche logico stare bene, quando desiderate qualcosa e non riuscite ad averlo. Stiamo male se veniamo bocciati a un esame, se ci mettono una multa, o se semplicemente piove durante la nostra giornata di mare. E allattare è qualcosa di molto più importante; qualcosa di speciale che la madre voleva fare per suo figlio perché pensava fosse la cosa migliore per lui (…)”2.

Nella nostra società, il dispiacere di una mamma che ha interrotto le poppate troppo presto rispetto a quello che aveva immaginato/desiderato, non viene compreso. Per incoraggiare la donna si tende a minimizzare o negare del tutto il problema: crescono bene anche con il biberon, il latte artificiale è uguale. Ma, a parte il fatto che la mamma sa che il latte artificiale non è uguale a quello materno, la delusione per un’esperienza mancata resta. Anche se il bimbo è forte, sano e bellissimo. E la consapevolezza di non essere comprese da quanti ci circondano rende tutto più difficile, ci fa sentire soli. Mentre un dolore accolto e condiviso si sopporta meglio e si supera più facilmente. Conclude González:

“Invece di tante false consolazioni, avrebbero bisogno di sentire un commento sensato e comprensivo: «Avevi molta voglia di allattare, vero? Che peccato, come mi dispiace…»“3.


Quello che resta…

Un allattamento non riuscito per alcune donne è una sorta di lutto. La donna piange quello che non è stato, la sua immagine di “madre che nutre” e con il suo latte fa crescere il bimbo e gli dona forza e salute. È una parte dell’essere madre che non si è compiuta. Spesso serve molto tempo per rielaborare questa esperienza.


Ma un allattamento che non riesce è anche un’esperienza di vita che, come tutte le esperienze, può trasformarsi in un’opportunità di crescita personale. Ci sono madri che oggi si sentono più disposte ad accogliere l’altro, più comprensive e meno pronte a giudicare, proprio perché hanno provato sulla propria pelle che non sempre volere è potere e che non sempre (o quasi mai) le cose sono esattamente come sembrano. Ci sono madri che di questa esperienza hanno fatto tesoro, diventando più forti e più consapevoli e allattando con gioia i bimbi che sono venuti dopo.


Altre hanno deciso di impegnarsi in prima persona perché lo sconforto, lo smarrimento e la solitudine che hanno vissuto loro venga risparmiato ad altre donne: diventate volontarie di associazioni e gruppi di auto-aiuto, sono accanto alle neomamme per aiutarle a realizzare il desiderio di allattare.

La mia seconda bimba è nata sette mesi fa al Careggi di Firenze. Io ero terrorizzata per quanto riguarda l’allattamento, sicurissima di non farcela da sola, a casa mi ero già munita di latte artificiale e biberon. Ho invece ricevuto una splendida assistenza da tutto il personale. L’ultima notte Arianna piangeva per la fame, voleva stare continuamente attaccata e tirava, tirava come una matta. Io invece piangevo per le ragadi e non ce la facevo più. Presa dallo sconforto ho chiesto insistentemente all’ostetrica di darle un biberon di latte artificiale. Lei con moltissima pazienza mi ha fatto tirare il latte con il tiralatte, con estrema calma mi ha rassicurato, dicendomi di avere più fiducia in me stessa. Effettivamente sono riuscita ad allattarla esclusivamente al seno! Ho ancora le lacrime agli occhi se penso quanto devo alle ostetriche di turno quella notte (anche in considerazione del fatto che la piccola è risultata intollerante al latte vaccino).

Silvia

Con la mia secondogenita (anche grazie al meraviglioso libro Un dono per tutta la vita) ho avuto un allattamento fantastico e sereno fino ai tre anni e mezzo della bimba!

Francesca


Atena è arrivata venti mesi dopo. In quei venti mesi io avevo imparato: Astrid mi aveva insegnato che l’istinto c’è, la fisiologia è potente, e gli istinti di mamma e bimba, combinati, possono tutto. Io avevo imparato che il mio corpo di mamma, anche senza latte, nutriva, consolava, proteggeva, portava; che era guidato da una voce interna che andava seguita, e riparata dagli esperti o pretesi tali. Diciamo che avevo nel frattempo ridefinito le competenze, restringendo il campo dei medici alla sola patologia, quella vera, e ascoltando solo me e Astrid su quello che patologia non era affatto (il sonno, il contatto, lo svezzamento).


Ma anche incinta di Atena, il mio corpo non riuscivo a sentirlo, ricadevo nella dipendenza da ecografia, nella ricerca di rassicurazione da esame diagnostico. Ed ero scissa, per di più, tra la parte di me che ormai sapeva di avere in sé e dentro di sé tutte le risposte, e quindi non aveva più fiducia cieca nella medicina, e quella che non aveva mai imparato a farne a meno. Ed ero anche preoccupata di non riuscire ad allattare.


Quindi ho fatto quello che mi riusciva meglio: ho delegato a un’esperta. Solo che stavolta ho scelto l’esperta giusta, giusta nelle competenze e giusta soprattutto nel non lasciarmi delegare, nell’aiutarmi a fidarmi della mia capacità di nutrire e crescere da sola la mia bambina, fuori e dentro la pancia. Questo, e l’averci protette in ospedale da ogni ingerenza (sia materialmente che psicologicamente) è bastato ad avviare un allattamento felicissimo che prosegue tuttora, e che spero proseguirà ancora a lungo.


L’allattamento di Atena. E mio.


E in qualche modo, con sentimenti contrastanti, è un allattamento che appartiene anche ad Astrid. Perché, nonostante dica alla sorella “brutta poppona”, e nonostante in tanti mi abbiano detto che allattare a richiesta esacerba la gelosia dei primogeniti, io credo che questo allattamento sia stato restitutivo anche per lei.


Lo penso perché intanto un minimo ha ciucciato anche lei dal seno, ed è risibile se penso all’allattamento a termine che avrei voluto offrirle, però mi fa sentire molto bene che possa serbare qualche ricordo della poppa della mamma.


Lo penso quando la vedo allattare le sue bambole al seno e non con i biberon, e commentare tutta soddisfatta e fiera che il suo latte è buonissimo, è fragolino, di meglio non ce n’è (e quindi sa già tutto quel che c’è da sapere).


Penso siano tutte piccole cose che riaffioreranno in lei, un giorno, e in tutte quelle bambine (e bambini, perché un giorno i bambini saranno padri e un padre può molto riguardo all’allattamento di suo figlio) che come lei hanno almeno potuto vedere la loro mamma allattare. E penso che questo riaffiorare, l’avere nel proprio bagaglio primordiale l’immagine, o ancor meglio la memoria tattile, del seno che nutre possa contribuire a renderle meno permeabili alla disinformazione in merito all’allattamento e meno propense a credere al falso mito che presenta l’allattamento come fortuna, o velleità, o comunque eccezione.

Irene

Nonostante ci tenessi moltissimo, non sono mai riuscita ad attaccare il mio primo bimbo. Con il secondo l’allattamento procede che è una meraviglia.

Silvia

Con il mio secondo bimbo ero ancora più consapevole di voler allattare, e non per accanimento ma perché sentivo che era veramente importante per la mia persona. Ho chiesto aiuto, mi sono predisposta ad accettarlo e mi sono attivata affinché l’esito dell’allattamento di Samuele fosse diverso da quello avuto per Flavio. Ci sono riuscita? Se dovessi dire di essere riuscita ad allattarlo senza problemi, con serenità e piena consapevolezza dovrei dire di no (l’ho comunque allattato per undici mesi), ma se penso che prima da una mancanza (il non allattamento di Flavio) e poi da innumerevoli errori, sbavature e incertezze con l’allattamento di Samuele sono nati nella mia vita progetti, sogni e nuove consapevolezze, allora sì, sono riuscita a nutrire non solo di latte ma anche di amore e di ideali Samuele… e anche Flavio.

Rosanna

La mia secondogenita ha 23 mesi e la allatto ancora. Sapevo più cose, ero più determinata, sono andata in una struttura che sosteneva l’allattamento, ho preso contatto con la LLL. L’ho fatto per lei, l’ho fatto per me e l’ho fatto per lui. Eppure, qualche volta, soprattutto i primi tempi quanti sensi di colpa, verso il fratello…

Cristina

Per fortuna, durante la gravidanza successiva, la mia ricerca di risposte e chiarimenti sull’allattamento mi ha permesso di riconciliarmi col mio senso di colpa, iniziare un nuovo meraviglioso rapporto col mio bambino e avviare un felice allattamento con la secondogenita che dura ancor oggi, dopo ventuno mesi.

Cinzia

Ho allattato il secondo bimbo per poco più di tre anni, finché si è svezzato spontaneamente, quattro mesi prima che nascesse la sorellina.

Giorgia


Dedicato alle mamme che hanno allattato

La madre che sta allattando artificialmente ha bisogno di amore, di supporto.
Non ha bisogno di atteggiamenti giudicanti.
Ricordiamo che l’amore è sempre la casa della pace.

Ibu Robin Lim

Cosa c’è nel cuore di una madre che avrebbe voluto e non ha allattato?

Vi ha detto che il suo bambino cresce benissimo, anzi meglio. E non si ammala mai, è più sano del vostro. E che lei ora dorme tutta la notte. E che è contenta, proprio contenta.


E voi che avete allattato con gioia, magari con la famosa tenacia che non dovrebbe essere necessaria, ma oggi in Italia va così, quindi spesso lo è, vi sentite lontane da lei. Diverse.


A volte poi, sostiene la sua tesi con tanta enfasi da sembrare addirittura aggressiva, quasi fosse sulla difensiva.


E se le sue parole nascondessero un abisso di tristezza, delusione, frustrazione? Se avesse paura del vostro giudizio, poiché lei stessa si sente – suo malgrado – inadeguata?


Se il vostro allattamento la facesse sentire male, malissimo? Perché è lì a sbatterle in faccia che lei invece non ce l’ha fatta?


Certo, non dipende da voi. Certo, potrebbe non essere facile capirsi. Ma se voi siete consapevoli di quello che potrebbe esserci nel cuore di quella mamma, forse potreste sentirla più vicina. La consapevolezza potrebbe accendere nel vostro sguardo una luce nuova. E quella mamma potrebbe sentire che voi la comprendete. E sentirsi comprese è un dono grande, grandissimo.


La comprensione è potente, abbatte i muri del non detto, dei pregiudizi, dei fraintendimenti. È una mano tesa che accoglie e consola.


E una mamma che non ha allattato, in molti casi, ha un bisogno disperato di quella mano.

Mi sento in colpa per non aver forse insistito abbastanza, per non aver avuto la voglia e la forza di chiedere aiuto al consultorio, ma veramente quei primi mesi mi hanno messo a dura prova, ero stanchissima e mi sentivo così inadeguata come madre…

Oriana

Piansi… Mi ero arresa. Antonio è cresciuto con il latte artificiale. Se ci penso ancora, ho tanto rammarico. Non so se sia dipeso dalla mastoplastica, anche se è risaputo che non dovrebbe compromettere l’allattamento, o sia dipeso dal cesareo o dallo stato d’animo, ma mi arrabbio molto quando leggo “tutte le mamme hanno il latte!”. Non è vero! Solo Dio sa quanto lo avrei voluto e quanto ci ho provato!

Francesca

Il ginecologo disse che non avevo abbastanza prolattina. Non lo so, ma mi rimprovero di non aver fatto abbastanza, anche se in quel momento il latte artificiale mi sembrò la soluzione migliore per mia figlia. Il senso di colpa mi perseguita…

Maria Teresa

Per i primi due mesi di vita mi tiravo il latte ogni 2 ore, giorno e notte, ma quando poi in 24 ore sono riuscita a riempire solo 15 ml di boccetta, ho detto basta. Piangevo disperata mentre prendevo il Dostinex, era una sconfitta, era l’ennesimo torto che facevo al mio bambino. Con il senno di poi, non avrei neppure comprato il tiralatte e avrei mandato tutti al diavolo, ma non ce l’ho fatta, non ero pronta e porterò sempre una cicatrice sul cuore.

Cristina

Ho tentato, ma sia per capezzoli un po’ rientranti e sia per la pigrizia della bimba (così diceva la pediatra), purtroppo non sono riuscita ad allattare mia figlia quasi per nulla. Io ho sofferto tantissimo, ho tirato con il tiralatte all’infinito fino all’ultima goccia, fino a vedere scemare il latte… Che tristezza! Ho vissuto l’amarezza di non averla attaccata a me, di non aver sentito quel calore. Sono caduta anche in depressione per questo, non mi sentivo una buona madre, fino a quando grazie alla pediatra e ad altri ho accettato mio malgrado che non era stata una mia volontà e che essere una buona madre è altro. Ed ora, dal troppo amore, l’ho viziata!

Sabrina

Se penso al momento dell’allattamento, anche se molto sofferto, ho una grandissima nostalgia…

Anna

Non chiamatelo “non” allattamento. Chiamatelo in un altro modo, per favore, ma non connotatelo da subito come qualcosa di negativo. Non allattare è brutto e le madri che non riescono a farlo, e vorrebbero, si sentono già per conto loro carenti e mancanti. Alla fine si supera il trauma di non avercela fatta, ma un’ombra resta sempre.

Viviana

Mi arrabbio tanto quando si parla di allattamento ad ogni costo. Ti fanno sentire male! Tu sai che faresti di tutto per il tuo piccolo. Vorrei dire alle mamme che è possibile non avere il latte e non per questo si ama meno il proprio bambino! State attente a non fare sentire in colpa le mamme, per favore!

Monica

Vorrei far capire a tutti che non è così raro che non si riesca e chi non ce la fa, non è solo perché non è informata o non ha provato abbastanza o non è abbastanza coraggiosa.

Silvia

Sono mamma di tre meraviglie, la prima però non ce l’ho fatta ad allattarla e ancora non l’ho superato, dopo nove anni. Sinceramente non m’è ancora andata giù, specie pensando che i fratelli li ho allattati. Se solo fossi stata più forte, risoluta e informata come ora, se solo qualcuno mi avesse sostenuta e incoraggiata…

Maria Rita

È stato bruttissimo, una sofferenza enorme arrivata nel pieno del down ormonale post gravidanza. Su internet e sui giornali leggevo solo parole che acuivano la mia sofferenza, che mi facevano inc***, che mi facevano sentire inadeguata, meno mamma, meno brava.
Continuavo a leggere che i bimbi allattati sono più forti, più intelligenti, più legati alla mamma, più sereni, si ammalano di meno, piangono di meno, che le mamme che non allattano sono delle lavative, smidollate ed egoiste. Come dovevo sentirmi? Ero un mix di sentimenti confusi e arrabbiati, che sicuramente mi hanno rovinato le prime settimane di maternità.

Alice

In ospedale avevo solo sangue che usciva dal seno. Le ostetriche continuavano a dire che era colpa mia, che non la posizionavo bene e mi facevo venire le ragadi. Sulla cartella hanno scritto: “La madre si rifiuta di allattare!”. Proprio io che avrei dato la vita pur di attaccarla al seno. Ho tirato avanti fino al sesto mese con il tiralatte. Uscivano solo 10 ml! Ma glieli davo ugualmente. Ho preso un sacco di integratori per aumentare la quantità. Solo un giorno sono riuscita a tirare fuori 100 ml. Ho fotografato il biberon! Per il resto è stato tutto latte artificiale. Ma imperterrita ho continuato ad attaccarla come mi aveva detto di fare una mia cara amica, che ora non c’è più. E quando dal seno non è uscita più alcuna goccia di latte, ho pianto tanto.

Raffaella

Dedicato alle mamme che non hanno allattato

Capita, quando si ha vissuto questa esperienza, di pensare che giudizi, commenti poco gradevoli e critiche tocchino solo alle mamme che non hanno allattato.


Be’, non è così. Anche le mamme che allattano hanno il loro bel daffare per tenere a bada i consigli non richiesti e, a volte, i commenti offensivi. Come non è bello sentirsi giudicate per non aver allattato “abbastanza”, non è bello sentirsi accusare di allattare “troppo”.


Se a voi hanno fatto intendere, in modo più o meno velato, che siete state egoiste o rinunciatarie, alle madri che allattano un bimbo dopo i primi mesi fanno spesso intendere che sono esagerate, possessive, morbose.


Riporto solo qualche commento, giusto a titolo di esempio: “Il tuo latte ormai è acqua”, “Le mamme che allattano dopo l’anno lo fanno solo per se stesse”, “Il tuo latte gli fa male!”, “Adesso basta, è ora di togliergli il vizio”, “Così gli impedisci di crescere, guarda che tu hai un problema!”, “Vuoi allattarlo fino a diciotto anni?”, e altre piacevolezze del genere. Per di più, spesso pronunciate davanti al bambino stesso, creandogli imbarazzo e confusione (“Ancora al seno della mamma? Ma non ti vergogni?!”).

Il principio è lo stesso: si mettono in dubbio le scelte delle madri, non si rispettano le loro competenze e purtroppo non si garantisce loro il sostegno che le aiuterebbe ad essere mamme più serene di bimbi sereni.


Perché, per quanto una donna possa essere convinta delle sue scelte, non è piacevole vedersi continuamente messa in discussione. O sentirsi dare delle “talebane” (ma sono termini da usare parlando di una mamma?!) perché si nutre al seno il proprio piccino.

Dedicato agli altri: parenti, amici, conoscenti

Viviamo in una società che alla madri offre troppi giudizi e poco sostegno. E non c’è aspetto della maternità tanto commentato, giudicato, analizzato come l’allattamento. Quando si tratta di poppate, tutti si sentono autorizzati a dire la loro. Come nasca l’idea di potersi prendere questa libertà non si sa, ma oggi va così.


Nei primi mesi di vita del bebè, c’è sempre qualcuno che mette in dubbio che la madre abbia il latte che deve avere. Osservano il bimbo cercando i segnali di possibile insoddisfazione e, ovviamente, li interpretano a modo loro: “Piange, ha ancora fame”, “Vuole sempre poppare, il tuo latte non è nutriente”, “Cresce poco, non hai latte”, “Cresce tanto, il tuo latte è troppo grasso”.


E dopo i primi mesi: “Adesso è acqua”. “Lo allatti ancora? Ma è un vizio/non serve a niente/non ha sostanza/gli fa male (!)”.


Verrebbe da chiedersi perché tanto interesse per una normale funzione fisiologica come l’allattamento. E perché tanto accanimento.


D’altra parte, anche chi non allatta non se la passa meglio. Dato che di poppate sono tutti maestri, non mancano i commenti anche per chi usa il biberon: “Avresti potuto tenere duro”, “La mia vicina di casa aveva ragadi più profonde delle tue e ha allattato lo stesso”, “Con il latte materno gli avresti garantito tanti anticorpi!”. Quest’ultima cosa ovviamente è vera, ma c’è bisogno di dirlo a una mamma che non è riuscita ad allattare? Mi pare molto probabile che lo sappia già e sia già dispiaciuta per i fatti suoi.


E allora, cari parenti, amici, vicini di casa e conoscenti che di fronte a una mamma che allatta/non allatta sentite il bisogno impellente di dire qualcosa… Be’, che siano parole di incoraggiamento e di stima. Oppure lasciate perdere e concentratevi sul bel faccino del bebè. E allora sì, sarete d’aiuto alla neomamma.

Lo allatti tu?

Eccola la domanda che al solo sentirla fa stare male la maggior parte delle mamme che non allattano. Nel momento in cui inizi a usare il biberon, come per magia, tutti a chiederti: “Gli dài il tuo latte?”.


E la mamma sente male, sì male, a volte è proprio una sorta di dolore fisico, da tutte le parti. Intanto il vicino di casa, la signora incontrata al parco, il tizio in fila all’ufficio postale, la guardano e aspettano una risposta. Cosa fare in questi casi?


Le reazioni più comuni in genere sono due. Quella “colpevole”, in cui la mamma, sconsolata e vergognosa, ammette che no, non gli dà il suo latte (il suo buon latte, tanto prezioso!), perché… E qui parte la cronistoria degli eventi avversi elencati con dovizia di particolari: per farsi perdonare, per dimostrare con quella lista di ostacoli insormontabili che non si è cattive mamme, non è stata questione di pigrizia o mancanza di volontà, proprio non si poteva fare diversamente.


È una reazione involontaria, quando ancora non si è in pace con se stesse, quando viene spontaneo giustificarsi e cercare l’approvazione altrui.


L’altra reazione comune è quella “difensiva”: la mamma ammette sì che non gli dà il suo latte, ma poi parte alla carica, in genere con piglio deciso, ad elencare le meraviglie della formula artificiale, specificando quanto il suo bimbo cresca bene, sia sano, sia felice, sia legato a lei. Anche questa è una reazione istintiva, anche questa segnala un che di irrisolto.


Ma allora come rispondere alla domanda inquietante?

Se a porre il quesito è una persona a noi cara, potremmo ovviamente raccontare la nostra esperienza; se ne sentiamo il bisogno, potrà essere un’opportunità per sfogarsi e rielaborare quello che è stato.


Se però la domanda arriva, come spesso accade, da amici alla lontana, conoscenti, passanti incontrati per strada, ricordiamo che non abbiamo niente di cui farci perdonare. Non c’è alcun bisogno di giustificarci, non abbiamo niente da dimostrare. Quindi, serene.


Se il nostro è un allattamento misto, alla domanda possiamo semplicemente rispondere sì. Lo allattiamo no? Quindi cosa importa se oltre al nostro latte riceve anche quello artificiale, o se riceve più artificiale che latte materno? Perché dovremmo specificarlo? Lo allattiamo, punto.


E se ce lo chiedono mentre abbiamo in mano il biberon? “Sì, lo allatto. Non in questo momento ovvio, questo è il biberon, non la tetta. Comunque lo allatto, sì, come mai ti interessa?”.


Se abbiamo interrotto le poppate, possiamo dire la verità: “Sì, l’ho allattato”. E poi dirottare l’attenzione su chi ha introdotto l’argomento: “E tu? Tu hai allattato?”. Che parli lei se l’argomento le interessa. Non importa se la persona in questione in quel momento non ha bimbi con sé; se ha avuto dei figli, sarà chiamata a rispondere. Se non li ha ancora avuti (e insiste a parlare di latte) possiamo chiedergli se allatterà: “Hai già deciso che allatterai? No, perché vedo che sei molto interessata all’argomento”.

Nel cuore delle nonne

Nonne. Parliamone. A volte sono proprio le nonne a contribuire, ahimè, all’abbandono dell’allattamento.

Mia suocera guardava il mio bimbo e scuoteva la testa. Ripeteva sempre: “Ha fame, poverino” e “Guarda come piange, non ha mangiato niente”. Io soffrivo tantissimo, ma dentro di me credevo avesse ragione. Così non me la sono sentita di insistere.

Elena

Nel mio caso la causa è stata la poca fiducia che mi hanno dato le nonne che mi stavano accanto tutto il giorno coi loro commenti sempre negativi. A forza di sentirmi dire da tutte che non avevo latte, me ne sono convinta. Non avevo le forze e l’esperienza per contraddirle.

Valentina

In famiglia erano tutti contro di me, dicevano che ero esagerata, che facevo patire la fame al mio bambino perché mi ero messa in mente di allattare. D’altronde, mia mamma non aveva allattato né me, né i miei fratelli e mi diceva che eravamo cresciuti molto bene tutti quanti. Meglio del mio scricciolo che voleva sempre stare al seno. Sono passata all’allattamento misto e poi solo biberon.

Claudia

Una zia viene a farmi visita e per prima cosa mi strizza letteralmente il seno (mi scendono ancora le lacrime) e mi dice: “Latte ne hai?”. Mia suocera che continua a dire: “Ma il latte sarà buono? Ma gli basta? Attaccalo, staccalo, lo fai piangere troppo”…

Simona

Nonne, mamme di ieri. Figure preziose al fianco della neomadre. Donne che sono già madri, hanno esperienza, possono essere d’aiuto pratico e morale. Ma, nella maggior parte dei casi, non per quanto riguarda l’allattamento.


Per la prima volta nella storia, quando si parla di poppate la nonna non ha una competenza da trasmettere alla figlia o alla nuora, non ha gli strumenti, le conoscenze, l’esperienza.


Perché nella nostra società, negli anni ’70 -’80, poche donne hanno allattato e pochissime per più di qualche settimana/mese. I motivi li abbiamo già detti, non erano tempi da latte materno, quelli. I neonati si nutrivano con il biberon e al quarto mese, spesso al terzo, si cominciava lo svezzamento. Quella era la normalità, quelle le indicazioni offerte alle neomamme.


Non sapendo come si gestisce l’allattamento al seno, conoscendo solo i suggerimenti utili per un’alimentazione con il biberon (pasti ogni tre ore con precise quantità di alimento), la nonna non può dare consigli o li dà sbagliati.


E questo, per quanto riguarda la pratica. Ma, purtroppo, molte neomadri hanno notato che alcune nonne (non tutte, non si può mai generalizzare) fanno molta fatica anche ad offrire un semplice incoraggiamento. Sembra quasi non riescano a capire il desiderio della neomamma e non riescano a sostenerla in questo senso. È una brutta situazione, per le nonne e per le loro figlie/nuore.


Forse può essere d’aiuto per entrambe le generazioni cercare di comprendere i motivi di questa difficoltà. Cominciamo noi, mamme di oggi, provando a immaginare questa situazione: abbiamo lavorato a lungo, con passione, impegno ed entusiasmo a un progetto, un progetto che per noi è molto importante. Siamo soddisfatte perché sappiamo di aver dato il meglio e il nostro lavoro in effetti è venuto proprio bene. Poi arriva qualcuno che ci dice che… no, il nostro lavoro non è affatto venuto bene, abbiamo sbagliato tutto, il nostro progetto è da buttare. Qual è la nostra reazione? Incredulità, in prima battuta. Poi, scetticismo e rifiuto (chi è costui per dire che abbiamo sbagliato tutto?). Delusione. Imbarazzo. Dolore, quando ci rendiamo conto che purtroppo è tutto vero.


Ora proviamo ad applicare tutto questo all’esperienza più intensa, più grande, più importante: la maternità.


Se ci pensiamo, può essere davvero devastante scoprire all’improvviso, dopo essere state ragionevolmente orgogliose e soddisfatte di sé per venti o trent’anni, che quanto fatto per il proprio bambino non era “giusto”.


Ed ecco che, di fronte all’allattamento della figlia o della nuora, la nonna che ha dato il biberon pensando fosse un’ottima soluzione, è in difficoltà. Ma una difficoltà grande, personale.

E qui ognuno reagisce a modo suo. Qualche nonna ce la fa, riesce comunque ad esserci in modo positivo, aiutando la neomamma ad allattare il nipotino; a volte riesce anche a riscattare il suo allattamento mancato. Qualche nonna invece non ce la fa. Ha bisogno di più tempo per realizzare quello che è stato, per accettare di aver ricevuto informazioni sbagliate, informazioni che hanno privato il suo bambino dell’alimento materno, sostituendolo con una “brutta copia” (perché il latte artificiale degli anni settanta non era assolutamente come quello di oggi e non si avvicinava se non di poco al latte materno).


Forse questa riflessione può aiutare le mamme di ieri e di oggi a capirsi meglio, a perdonare un aiuto mancato, a dimenticare una risposta sgarbata, a recuperare fiducia e serenità.


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Mamme: sostenetevi!

Nella cultura greca la raffigurazione dell’allattamento è rara, sia per motivazioni estetiche (…) sia per la diffidenza con cui era guardato l’allattamento materno, che istituiva un legame privilegiato tra madre e figlio, sottratto al controllo maschile.5

Le mamme dovrebbero coltivare quella che è da sempre una loro peculiarità: la solidarietà femminile. La sorellanza. Quando si uniscono, le madri sono una vera forza!


In queste pagine abbiamo ripercorso la storia dell’alimentazione artificiale, abbiamo visto come si sentono, analizzando casi differenti, le mamme che non hanno allattato quanto e come avrebbero desiderato.


Abbiamo denunciato il mancato rispetto per il diritto all’allattamento di madri e bambini6.

Oggi nella nostra società vi sono madri che soffrono per un allattamento che non funziona e che devono affrontare difficoltà, stress e timori, perché hanno ricevuto suggerimenti sbagliati o perché sono state lasciate sole. Ci sono madri che continuano a soffrire dopo anni per un allattamento mancato.


Molto deve essere fatto nel campo della formazione: il personale sanitario che la donna incontra in occasione della nascita del suo bambino deve essere competente e aggiornato. Certo, la situazione è migliorata molto negli ultimi anni, ma non basta. Ci sono troppe differenze da una regione all’altra, da una città all’altra, da un ospedale all’altro. E tutte queste differenze rischiano di diventare antidemocratiche: tutti i bambini (che siano nati al Nord, al Centro o al Sud) hanno il medesimo diritto di ricevere il latte della loro madre.


I pediatri di famiglia dovrebbero essere preparati e, in caso contrario, dovrebbero astenersi dal commentare un argomento che non conoscono bene e indirizzare la neomamma verso figure esperte in allattamento.


E nonni, parenti, amici, conoscenti e sconosciuti incontrati per strada, dovrebbero imparare il rispetto per le scelte delle madri. Dovrebbero magari anche sostenerle.


Un allattamento che non riesce non è una faccenda personale, ma sociale. Quindi è una faccenda che ci riguarda un po’ tutti. Certo non possiamo occuparci noi dei corsi di aggiornamento dei professionisti sanitari e neppure possiamo “cambiare la testa” a tutta la gente che conosciamo (anche se ovviamente non mancheremo di sfatare luoghi comuni e pregiudizi quando ne abbiamo l’occasione), ma c’è qualcosa di molto importante che possiamo fare subito. E possiamo farlo tutte: mamme che non hanno allattato, mamme che hanno allattato per un periodo breve o brevissimo, mamme che hanno allattato per un po’, mamme che hanno allattato per anni: sostenerci tra madri!

Superare le incomprensioni e i pregiudizi che creano barriere difficili da abbattere, scoprire che quello che abbiamo in comune è molto più di quel che ci divide, ricordarci che siamo tutte diverse, ma siamo anche profondamente simili perché quello che abbiamo in comune è la cosa più importante: l’immenso amore per i nostri bambini!

Latte di mamma... tutte tranne me!
Latte di mamma... tutte tranne me!
Giorgia Cozza
Quando l’allattamento non funziona: riflessioni, testimonianze e consigli pratici.Un libro per tutte le donne che non sono riuscite ad allattare, ma avrebbero voluto. Un aiuto prezioso per superare la frustrazione e il senso di colpa. Latte di mamma… tutte tranne me! racconta la storia di “non allattamento” dell’autrice Giorgia Cozza, ma anche quella di molte madri che potranno ritrovarsi nelle situazioni e nelle emozioni descritte; una storia di ragadi e poppate dolorose, latte che non arriva, bimbi che crescono troppo poco, mamme stanchissime, tentativi frustranti e commenti poco gentili, scritta per rielaborare un’esperienza, nutrire di coccole e tenerezza il proprio bambino e, perché no, allattare felicemente eventuali fratellini che verranno. In questo libro si trovano informazioni scientifiche utili a comprendere la fisiologia dell’allattamento, grazie al contributo di esperti, neonatologi, pediatri e psicologi, chiarendo quali siano le più frequenti cause di abbandono della poppata. È consigliato anche alle mamme che hanno avuto un’esperienza positiva di allattamento e che vogliono coltivare la propria solidarietà femminile, preziosa alleata di tutte le madri, che allattino o meno. Conosci l’autore Giorgia Cozza è una mamma-giornalista, specializzata nel settore materno-infantile, autrice di libri per bambini e numerosi manuali per genitori, divenuti un importante punto di riferimento per tante famiglie in Italia e all’estero.È stata relatrice in numerosi congressi per genitori e operatori del settore e ospite di trasmissioni televisive per rispondere a quesiti legati all’accudimento dei bimbi e a uno stile genitoriale ecocompatibile.