seconda parte - capitolo xii

Mamme: chi le aiuta?

Il solo fatto che i centri nascita che si possono fregiare del titolo UNICEF “ospedali amici dei bambini” siano meno del cinque percento sul territorio nazionale, esprime in modo sintetico la follia della non promozione, non sostegno e non protezione dell’allattamento al seno.

dal Rapporto Istituto Superiore Sanità, 20121

Allattare è un gesto naturale, ma per noi, donne diventate madri in questi anni, non è più né scontato, né spontaneo. O almeno, non per tutte lo è. Per allattare c’è bisogno di aiuto. Il corpo della donna è potente, certo. Fa crescere, nutre e protegge il bambino nei mesi dell’attesa ed è “predisposto” per continuare ad assolvere al meglio queste funzioni anche dopo la sua nascita. Allattare possiamo, se sappiamo come fare.


Quindi c’è bisogno di qualcuno che ci aiuti, anche solo raccontandoci come “funziona” l’allattamento o indicandoci come superare eventuali difficoltà.


Chi potrebbe essere questo qualcuno?

In passato, sarebbero state le donne della famiglia allargata. Ma ai tempi della famiglia allargata, non c’era bisogno di spiegazioni teoriche per qualcosa che tutti conoscevano già bene sin dall’infanzia, avendo visto allattare i fratellini, i cuginetti, i bimbi delle vicine di casa. Oggi la famiglia può svolgere un importante ruolo di supporto, ma di rado ha particolari competenze per quanto riguarda le poppate al seno. Il neopapà in genere sa quello che sa la neomamma. Informazioni e suggerimenti possono servire a entrambi.


Allora chi ci aiuta ad allattare? Chi potrebbe/dovrebbe farlo?

In ospedale, i professionisti sanitari che sono vicini alla donna durante il parto e nei primi giorni successivi alla nascita quando si pongono le basi dell’allattamento stesso.


Dopo la dimissione, il pediatra, cui la famiglia si rivolge con fiducia, e l’ostetrica del consultorio. Queste sono le figure con cui una neomadre ha contatti prima, durante e subito dopo la nascita. E queste sono le figure che possono fare la differenza, in bene o in male.

I primi giorni: momento cruciale

Abbiamo visto che i primi giorni dopo il parto sono molto importanti per partire con il piede giusto e porre le basi di un felice allattamento. Perché questo accada è necessario che la neomadre riceva indicazioni corrette per quanto riguarda la gestione pratica delle poppate e tanto sostegno.


Naturalmente non vogliamo dire che una buona partenza sia – da sola – garanzia di riuscita, c’è bisogno di supporto anche nel puerperio, quando la mamma torna a casa con il suo bambino. E viceversa, un inizio “sfortunato” non pregiudica per forza la riuscita dell’allattamento: se la mamma trova persone competenti che l’aiutino a sistemare la situazione, allattare si può.


Ma è innegabile che quei primissimi giorni abbiano un peso notevole. Come testimoniano i racconti di queste mamme che non hanno allattato come avrebbero desiderato2.

Cesareo d’urgenza. Post parto dolorosissimo. Assoluta mancanza di assistenza per l’allattamento da parte del personale medico e infermieristico e mia ignoranza di base. Nonostante ci tenessi moltissimo non sono mai riuscita ad attaccare il bimbo.

Silvia

Non sono riuscita ad allattare la mia bimba perché sono stata a dir poco ostacolata dal personale ospedaliero che mi ha messo i bastoni tra le ruote in una situazione già di per sé non semplice (bimba nata a 37 settimane con labioschisi).


Ho potuto prendere mia figlia subito dopo la nascita per non più di cinque minuti in cui siamo state abbandonate e nessuno mi ha suggerito di attaccarla e come fare. Ho potuto riaverla tra le mie braccia per provare ad attaccarla solo dopo 6-7 ore dal parto.


La prima notte l’hanno tenuta al nido: invece di chiamarmi quando si svegliava come da mia richiesta le hanno dato l’artificiale, sono stata obbligata a fare la doppia pesata e dare aggiunte fin dal secondo giorno perché non cresceva abbastanza e avevo il divieto di attaccarla prima delle tre ore.

Per due settimane a casa ho provato ad attaccarla ma rifiutava il seno, probabilmente già abituata al biberon, per due settimane al controllo del peso mi hanno accusata di voler fare di testa mia e che non stavo pensando al meglio per mia figlia. L’unica consulente interpellata mi ha consigliato di lasciar perdere perché la situazione era troppo complicata e così ho fatto, con mio grande rammarico.

Daniela

L’ho attaccato al seno quasi subito e comunque non me ne sono mai separata. La culletta dell’ospedale è rimasta lì a mostrare i lenzuolini nuovi ai parenti: mio figlio dormiva su di me. E la puericultrice di turno mi rimproverò perché non avevo ancora dato aggiunta, acqua e ciuccio!

Alessandra

In ospedale si attaccava molto bene ma per poco tempo. E allora via di miele rosato per farle prendere il capezzolo (come se il miele fosse più buono per un neonato dell’odore della mamma!), poi cambio di turno e le parole dell’infermiera: “Non vedi che hai una bimba sfinita?” e via di latte artificiale. Nella sua culletta avevano già messo un succhiotto che ho lanciato via appena me ne sono accorta! Quando ho chiesto se potevano dare il latte artificiale con il dispositivo3 e non con il biberon la risposta è stata: “Adesso sono 20 ml ma quando saranno 60? E poi 80?”.
Ero arrabbiata e confusa. Mi hanno dimesso con aggiunta e obbligo di tornare a pesarla il giorno dopo. Io intanto dovevo tirare con il tiralatte per farmi venire la montata e non dovevo attaccarla per più di cinque minuti per non stancarla (!).

Margherita

Esperienza terribile in ospedale e con le ostetriche. Chiedendo aiuto presso il nido ho anche ricevuto rimproveri perché ero a seno scoperto col bimbo in braccio e c’era un papà da tutelare. Inoltre riceveva glucosata quando non era con me, e con me dormiva.

Ornella4

In ospedale un delirio… Pupa pigra, si attaccava poco nonostante facessi presente che per me era strano, infatti hanno scoperto ittero da incompatibilità di gruppo sanguigno dopo 24 ore. Ricoverata in pediatria ha preso subito latte artificiale e io sono stata lasciata sola e disperata in balia di tanti, tra ostetriche e infermiere, che dicevano ognuno la loro su di me, sulla montata, sui miei capezzoli, sul modo in cui si attaccava mia figlia. E tìrati il latte, e fai la spremitura manuale, e hai il capezzolo piatto, e non tirarlo fai riempire la mammella, e male che va gli darai l’artificiale…
Insomma, un delirio in cui ho pianto 24 ore su 24, sentendomi mamma a metà perché non riuscivo a nutrire la cucciola dimessa con integrazione di latte artificiale.

Serena

Dal terzo giorno, in ospedale le hanno dato un’aggiunta perché ho avuto la montata lattea tardi e lei piangeva per la fame. Una volta tornata a casa ho tirato il latte fino a un mese della bimba poi il latte (che era poco) se ne è andato. Non tutto il personale ti segue con la stessa professionalità.

Veronica

Nei tre giorni che abbiamo passato in ospedale credo di aver raccolto tutti i consigli rovina-allattamento presenti “sul mercato”. E non dalla mamma, dalla suocera, dall’amica dell’amica venuta a curiosare all’ospedale. Ma dal personale ospedaliero. Da ostetriche, puericultrici, pediatri.


Ho partorito in un ospedale sedicente “amico dell’allattamento”. La bambina è nata sottopeso, alla 37esima settimana. Dormiva molto. Nessuno mi ha detto che avrebbe potuto dormire e ciucciare. Anzi, le puericultrici, vedendo che non la posavo nella culla quando dormiva mi indirizzavano i più comuni rimproveri (“si vizia, non te la toglierai più di braccio, sta scomoda, ha caldo”).


Trovavano però preoccupante che dormisse. Sin dal suo secondo giorno di vita hanno iniziato a definirla “letargica” e a dirmi che non era normale che dormisse tanto nonostante le avessero somministrato glucosata fin dal primo giorno (senza il mio consenso).


Violenza psicologica pura, perché dire così a una mamma inesperta, accompagnata da una mamma che a sua volta non aveva potuto allattare e da una suocera che prevedeva quattro mesi al massimo di allattamento, equivaleva a dire che c’era un sostanziale pericolo di sopravvivenza per la neonata.


È quindi iniziata la litania del “Ci vuole l’aggiunta, ci vuole l’aggiunta”. Me lo ripetevano incessantemente. Tastandomi senza tanti complimenti i seni scuotevano la testa dicendo: “Qui latte non ce n’è”.


Prima di darle l’aggiunta ho preteso che la visitasse il neonatologo per stabilire se effettivamente il “digiuno” la mettesse in pericolo. Costui è stato chiaro ed efficace: “Signora, lei mette in pericolo sua figlia per togliersi lo sfizio di allattare”.


Efficacissimo davvero. A quel punto la mia fiducia in me stessa, nel mio corpo, nella mia capacità di nutrire la mia bambina era stata sgretolata. Di più: ormai ero pronta a sentirmi un’egoista che faceva scontare alla figlia neonata le sue velleità di aspirante allattatrice senza nemmeno averne le necessarie capacità.

Non è servito altro. La piccola ha avuto l’aggiunta.

Ho un po’ questionato su come somministrargliela, sono stata schernita quando ho proposto di dargliela almeno col DAS5, e rimproverata quando gliel’ho fatta succhiare con una siringa. La puericultrice spazientita mi ha detto “Così fa troppa fatica!”, mi ha preso la bambina e le ha cacciato in bocca un biberon. “Vieni dalla zia che sa come si fa”. È stato il momento più triste che ho passato da mamma. Lo resta ancora dopo tre anni di mammitudine (mammitudine che ha, ovviamente, avuto anche altri tristi momenti, ma l’impotenza e il disorientamento provati allora restano insuperati).

Al momento delle dimissioni, il pediatra che l’ha visitata mi ha detto: “Nella mia esperienza hanno il latte buono (sic!) solo quelle donne che hanno la montata entro 48 ore. Tanto vale che lei si faccia prescrivere il Dostinex”.

Irene

Essendo nata prematura di tre settimane con parto cesareo, la mia bimba era piccolina e in ospedale non mi hanno fatto neanche provare.

Brunetta

Quando io e il mio bimbo siamo tornati in stanza dopo il parto, l’ostetrica mi ha chiesto se me la sentivo di attaccare il mio cucciolo al seno ed ovviamente la risposta è stata affermativa. Ma di lì a poco mi sarei trovata sola con le mie incertezze, il mio dolore fisico e la paura di non fare bene, di non avere latte perché il mio bimbo piangeva spessissimo!
Nei tre giorni di degenza ho più volte chiesto aiuto alle ostetriche di turno, ma è servito a ben poco perché ognuna di loro aveva per me risposte diverse e frettolose.
Arrivati a casa ero disperata, Edoardo piangeva di continuo, ho chiesto aiuto alle ostetriche dell’Asl ma mi dissero che non avevano tempo per venire a casa mia e che dovevamo risolvere la questione telefonicamente, e io ero ancora ignara del fatto che ero alle prese con un pediatra (quello scelto per mio figlio) che di tutto sa ben occuparsi meno che della parte emotiva di una mamma e dell’allattamento!

Michela

Come per tante di noi il primo figlio, il primo allattamento è difficile. Impossibile se siamo lasciate sole. Non vi scrivo della mia rabbia, ancora viva dopo due figli e un totale di trenta mesi di allattamento, per aver avuto una dimissione, sei anni fa, per mio figlio, con latte totalmente artificiale. Io non ero stata in grado dopo un cesareo e una brutta complicazione neurologica (non riconosciuta) di fare nulla e così gli operatori intorno a me: assenti, indifferenti, sgarbati. Perché questo può accadere in un grande moderno ospedale milanese? I medici… nulla, come non fosse compito loro, gli infermieri anche meno, l’ostetrica disse: “Sarà la depressione post-partum”, la puericultrice: “Signora lei non sarà mai in grado di allattare”.

Francesca

A 34 settimane, c’è stato un brutto cesareo d’urgenza, in cui abbiamo rischiato sia io sia il bambino. Un po’ stordita e in preda agli eventi, chiedo di poterlo allattare, e quasi mi ridono in faccia, dicendo che non lo stanno mica facendo morire di fame… Mi ritrovo in balìa di personale sanitario che sarà anche stato preparato sul lato più “medicalizzato” ma che assolutamente non era in grado di dare sostegno all’allattamento.

Cristina

Adele si era attaccata subito con una gran fame, ma col capezzolo piatto era un po’ difficile, quindi fin da subito paracapezzolo. Le ostetriche mi spronavano ad attaccarla spesso, a stimolarmi spesso il latte con il tiralatte, ma mi sono venute le ragadi. Un’ostetrica mi diceva una cosa, l’altra ostetrica me ne diceva un’altra e una mi ha pure rimproverato! Al che mi è scoppiato un gran nervoso perché io non sapevo come dovevo fare se non si mettevano d’accordo loro!
Dimissioni con latte artificiale.

Elisa

La mia bimba nata sanissima benchè leggermente prematura è stata ricoverata nel reparto di sub-intensiva, per una lunga interminabile settimana. Per allattarla c’erano gli orari, non si poteva attaccarla quando aveva fame, le davano la glucosata (zucchero) per farla stare buona, perché la mia bimba piangeva tanto.


Le davano il latte artificiale, però prima potevo provare io ad attaccarla al seno, pesandola prima e dopo ovviamente (tanto per rendere più naturale e tranquillo il momento!), ma come mi dicevano loro: “Cosa vuoi che ti venga ora… e poi lei è debole, lascia stare, ci sarà tempo, l’importante è che mangi, non ti fissare che poi non ti viene il latte!” e “Vedi che allattare è una schiavitù, lascia fare a noi, le diamo gli orari così quando andate a casa non ti stressa… Vuoi mettere la comodità?”.


Un giorno l’ho trovata che piangeva, le avevano dato il ciuccio (io sapevo che se si vuole allattare almeno per il primo mese non si dà, ma non ho detto niente, perché almeno si consolava con quello quando io non c’ero), ero sola, e l’ho attaccata. Subito ha smesso di piangere, mi ha guardata con quello sguardo intenso che hanno solo i neonati, il mio respiro si è regolarizzato, il mio corpo rilassato, ci eravamo trovate. Peccato che non fosse orario e appena se ne sono accorti me l’hanno fatta staccare. È stato lì dopo cinque giorni di battaglie e sensi di colpa, che mi sono messa a piangere. Piangevo come non avevo mai fatto, le lacrime a flumi, inarrestabili.


Hanno chiamato un pediatra, che mi ha spiegato che sì, lì cercavano di seguire l’allattamento a richiesta ma in sub-intensiva era difficile, la bimba era piccolina (2 chili e 700!). Insomma non potevo mettere a repentaglio la sua crescita per un mio egoismo, però potevo tirarmi il latte e portarlo, glielo avrebbero dato.


Una notte per fare 40 grammi me lo sono tirato per ore, e il giorno dopo tra il cambio turno se ne sono scordati. Quando me ne sono accorta, perché il mio latte era ancora giallastro di colostro e quello invece bianchissimo, mi hanno risposto: “Ma tanto basta che mangi no?”


Giulia

Alla sua nascita mi viene detto che è disidratato. La pediatra dell’ospedale mi dà subito 30 ml di latte artificiale perché dice che il mio non è abbastanza, e alle dimissioni mi rilascia il foglio che devo dare il latte artificiale almeno una volta al dì e si raccomanda con me di farlo! Dopo due mesi in cui tutti mi dicono: “Non hai abbastanza latte, non è nutriente” (e con il tiralatte ottenevo 180 ml e il bimbo cresceva benissimo), mi sono lasciata andare a un pasto con il biberon in più e così nel giro di poche, pochissime settimane sono passata a dargli il mio latte solo al mattino. Il brutto è che invece di stare meglio fisicamente e mentalmente, io ero distrutta più di prima, mi sentivo e mi sento tuttora una mamma a metà. Ho una rabbia dentro enorme! L’unica cosa che mi consola è che il mio bimbo sta crescendo bene ed è sanissimo e che sicuramente con il prossimo se la pediatra mi dirà di dargli il latte artificiale io le risponderò “Se lo beva lei!”.

Daranì

Eppure, nel lontano 1989…

Le testimonianze delle mamme ci parlano di una realtà assistenziale che – per alcuni ospedali – è ancora decisamente inadeguata. Diciamolo francamente: in certi casi manca proprio l’abc, c’è un problema di formazione e aggiornamento del personale. In alcuni casi ostetriche e puericultrici saprebbero, ma non hanno la possibilità di seguire la neomamma come necessario, per motivi logistico-organizzativi indipendenti dalla loro volontà (reparti molto affollati, organico un po’ ridotto, ecc.). In ogni caso fa veramente impressione pensare che quasi venticinque anni fa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Unicef siglavano a Ginevra la dichiarazione congiunta intitolata “L’allattamento al seno: protezione, incoraggiamento e sostegno. L’importanza del ruolo dei servizi per la maternità”, che chiariva già allora i dieci passi da seguire per permettere alle donne che lo desiderano di allattare felicemente.


Sono dieci punti spiegati in modo chiaro ed essenziale. Li riporto di seguito, così vi fate un’idea. E questo accadeva nel lontano 1989, direi che il tempo per mettersi al passo c’è stato, no?

I 10 passi per il successo dell’allattamento al seno6

Ogni punto nascita e di assistenza al neonato dovrebbe:

  1. Definire un protocollo scritto per la promozione dell’allattamento al seno da far conoscere a tutto il personale sanitario.

  2. Addestrare il personale sanitario affinché possa mettere in pratica tale protocollo.

  3. Informare le donne già durante la gravidanza sui vantaggi e sulla conduzione dell’allattamento al seno.

  4. Aiutare le madri perché comincino ad allattare al seno entro mezz’ora dal parto.

  5. Mostrare alle madri come allattare e come mantenere la produzione di latte anche in caso di separazione dal neonato.

  6. Non somministrare ai neonati alimenti o liquidi diversi dal latte materno, salvo indicazioni mediche.

  7. Praticare il rooming-in, permettere cioè alla madre e al bambino di restare insieme 24 ore su 24 durante la permanenza in ospedale.

  8. Incoraggiare l’allattamento al seno a richiesta.

  9. Non dare tettarelle artificiali o succhiotti durante il periodo dell’allattamento.

  10. Favorire lo stabilirsi di gruppi di sostegno all’allattamento al seno ai quali le madri possano rivolgersi dopo la dimissione dall’ospedale o dalla clinica.

Più recente, ma comunque “datato” anche l’appello del direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Lee Jong-Wook, che nel 2004 dichiarava: “Virtualmente ogni madre può allattare se ha accesso a informazioni accurate e sostegno all’interno della famiglia, della comunità e da parte del sistema sanitario (…). I governi dovrebbero muoversi alla svelta per attuare questa importante strategia”7 .
A proposito dell’importanza dei primi giorni successivi alla nascita, riporto la riflessione del primario di Pediatria di un ospedale milanese: “Qualche volta accade che ostacoli all’allattamento naturale vengano creati già nella clinica ostetrica. Quando la secrezione lattea materna tarda a formarsi, si ricorre troppo presto ad aggiunte di latte vaccino e le conseguenze sono prevedibili: quando la madre torna a casa, non le è più tanto facile alimentare al seno il suo bambino. È un momento delicato: la secrezione lattea non è ancora regolare e il piccino si è un po’ abituato a un’alimentazione che gli costa meno fatica, ma che è innaturale. È quasi inevitabile che la madre prosegua per la strada sbagliata, che porta a una riduzione della secrezione lattea e alla rinuncia definitiva ad allattare”.
Ora forse vi sorprenderete: questo brano, di cui è autore il professor Ferdinando Cislaghi8, è tratto dal volume I primi dodici mesi, pubblicato da Editoriale Domus nel 1971. Quarant’anni fa, si erano già posti il problema delle integrazioni “frettolose” e delle loro conseguenze.
Perché ne parliamo? Credo sia importante sottolineare ancora che i professionisti sanitari preparati, motivati, decisamente competenti sono tanti e che ci sono punti nascita in Italia che mettono in pratica da molti anni le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. D’altra parte, viviamo in un Paese dove il 30% delle madri interrompe l’allattamento entro il terzo mese di vita del bebè. Nella maggior parte dei casi queste donne credono di non aver avuto abbastanza latte o, peggio, di aver mancato di buona volontà e determinazione. È doveroso far loro sapere che, sovente, il problema non è stato loro, ma di una “cattiva partenza” legata anche alle consuetudini ospedaliere e alla mancanza di sostegno nel primo periodo di vita del bambino.

Qui poco, là troppo…

Abbiamo visto che in alcuni punti nascita, purtroppo, il personale non è formato per quanto riguarda il sostegno all’allattamento. Le competenze sono insufficienti, le informazioni offerte alle mamme scorrette o poco chiare. E quindi l’aiuto offerto per favorire le poppate al seno è troppo poco. Ma ci sono anche punti di nascita dove, a detta delle neomamme, la promozione dell’allattamento sarebbe addirittura eccessiva!

Io ero stanca, distrutta, dopo un travaglio lunghissimo. Volevo solo riposare un po’, ma il personale mi ha rimproverato perché secondo loro non mi interessava far partire bene l’allattamento. A me interessava, ma mi sentivo a pezzi. Va bene allattare, ma di come sta la mamma non importa a nessuno?

Erika

Avevo già deciso di allattare, ma ho trovato eccessive le insistenze del personale per continuare ad attaccare la bambina. Mi hanno trattato come se fossi un’incapace che non capiva come si deve fare per avviare la produzione o come una mamma pigra che non si vuole impegnare.

Fabia

Il latte artificiale fu una benedizione per entrambi. Riccardo finalmente si nutriva e riposava, e io con lui. Il pediatra e il ginecologo insistevano affinché non smettessi con l’allattamento – giustissimo – con il risultato però che mio figlio, già abituato al biberon, non si attaccava più o si addormentava col seno in bocca dopo aver succhiato due minuti. Nessuno dei due dava peso al mio scoraggiamento e alla mia stanchezza. “Insisti, insisti, DEVI attaccarlo”.

Elena

Da subito l’allattamento al seno è stato durissimo per me, dolori fortissimi, ragadi, lei affamatissima e vorace e io devastata dal male. Siamo tornate a casa dall’ospedale con una prescrizione di allattamento misto, e per tre settimane ci ho provato, a causa delle fortissime pressioni che ti vengono fatte un po’ da tutti (parenti, media, ostetriche, ecc.).
Io ero devastata e non sentivo minimamente quell’amore che avrei dovuto sentire, svuotata com’ero dalla stanchezza e dallo stress.
Una sera siamo usciti a cena e ho portato solo il biberon. È stata la prima sera che mi sono goduta mia figlia, che ho provato il piacere di tenerla in braccio per la gioia di averla accanto a me, per il piacere di stare vicine e per coccolarci a vicenda. Da quel momento Alice ha preso solo il biberon, ma ha avuto una mamma serena e pronta ad accoglierla con l’amore che meritava.

Sara

Quando chi circonda la mamma insiste molto sull’importanza di allattare, anche se il fine è buono (ottimo!), il rischio è che la donna si senta un po’ sotto pressione. In questo caso la teoria c’è, le indicazioni sono corrette, ma probabilmente è necessario lavorare sul “come”, sulle modalità di comunicazione.


Più che insegnare alla donna, calando dall’alto precetti pro-allattamento, credo che l’ideale sarebbe rinforzare la sua fiducia in se stessa e nelle proprie potenzialità. Certo, è necessario anche fornire indicazioni pratiche, ma è forse ancora più urgente e importante incoraggiare la neomamma e trasmetterle il messaggio che è una mamma in gamba, con tutte le carte in regola per accudire al meglio e allattare felicemente il proprio bambino.

I primi giorni a casa

I giorni di degenza dopo il parto sono due, massimo tre (o quattro) in caso di cesareo. Ciò significa che molte mamme vengono dimesse quando ancora l’allattamento non è avviato. Una volta a casa, in caso di dubbi o difficoltà a chi chiedere aiuto? L’ideale sarebbe rivolgersi a una figura davvero competente, come l’ostetrica del consultorio, una consulente volontaria de La Leche League, le mamme esperte di un gruppo di auto-aiuto. Se il pediatra è aggiornato e sostiene l’allattamento ben venga la sua consulenza.


Di seguito riportiamo alcune testimonianze in cui purtroppo il pediatra non ha saputo aiutare la neomamma9. Quella che emerge dai racconti delle mamme, naturalmente, è una fotografia parziale della realtà; per fortuna ci sono anche pediatri incoraggianti e aggiornati che hanno fatto la differenza in senso positivo. Certo è che se il proprio pediatra non è un sostenitore dell’allattamento, meglio chiedere aiuto a qualcun altro per la gestione delle poppate e continuare a rivolgersi a lui per i dubbi relativi alla salute del bambino.

Io sono partita convintissima dell’allattamento esclusivo. In ospedale non ho avuto l’assistenza che mi sarei aspettata, nessuno che mi ha fatto vedere come attaccarla. Ci hanno dimesso con l’aggiunta, che le davo solo di sera. All’inizio stava aumentando di peso, ma poi ha iniziato a crescere poco, la pediatra non mi ha aiutato con l’allattamento esclusivo, ma mi ha fatto passare a quello misto.

Alessia

La pediatra mi guarda e mi dice: “No no, qui non c’è proprio niente. Se vuoi continua ad attaccarlo, ma dài il latte artificiale”.

Silvia

Ho un bimbo di quasi sette mesi e purtroppo ho potuto allattarlo solamente due settimane. All’inizio cresceva bene, poi in una settimana ha preso solo 30 grammi, la pediatra mi ha fatto provare a tirare il latte e in tutto ne avevo 40 grammi, così mi ha fatto dare l’artificiale.

Lara

Io non avevo nessun appoggio, mi sentivo inadeguata e stanca morta, così mi rivolsi alla pediatra per un consiglio. Lei mi disse: “Evidentemente non ha abbastanza latte, il bambino non cresce molto, se la quantità di latte materno è inferiore a un terzo del totale che il bambino beve non ha alcun effetto benefico, quindi le consiglio di passare a quello artificiale e basta!”. Così la mia esperienza di allattamento al seno si è conclusa.

Elisa

La perla della pediatra al primo bilancio? “La attacchi dieci minuti per seno ogni quattro ore!”.

Margherita

Ho allattato il mio primogenito Alessandro solo per tre mesi. Lui si attaccava benissimo e io avevo tantissimo latte, ma poi sono iniziati i sintomi del reflusso e io non avevo idea di cosa stesse accadendo. Stava ore attaccato al seno, poi rimetteva e non cresceva, e tutti a dire: “Ma non vedi che lo attacchi troppo e poi non cresce, il tuo latte non va bene”. La pediatra mi distrugge dicendo che il latte materno è troppo liquido per un bambino col reflusso, quindi mi fa interrompere l’allattamento e iniziare l’odissea con gli orribili latti anti-reflusso. Posso solo dire che il dolore di quel distacco così brusco e, ho scoperto poi, inutile e ingiustificato dal punto di vista medico, io e Ale ce lo siamo trascinati per mesi, e ha influito moltissimo sul nostro legame.

Cinzia

Operatori sanitari: quale sostegno all’allattamento?

Per allattare felicemente, servono informazioni corrette e sostegno. Dato che molte madri non riescono ad allattare felicemente, viene il dubbio che le informazioni corrette e il sostegno non siano ancora abbastanza diffusi. Ne parliamo con il dottor Sergio Conti Nibali, pediatra di famiglia a Messina e responsabile del Gruppo Nutrizione dell’ACP (Associazione Culturale Pediatri).

Qual è la situazione italiana per quanto riguarda la formazione e l’aggiornamento del personale sanitario che deve aiutare la neomamma a partire con il piede giusto?

La gran parte delle scuole per i medici, per i pediatri e per il personale sanitario che si occupa di salute materno infantile offre oggi una formazione molto superficiale riguardo alla fisiologia della lattazione; come conseguenza il personale sanitario ha pochissimi strumenti teorici per aiutare una mamma a superare le eventuali difficoltà che può incontrare durante l’allattamento. La teoria è la premessa per il “saper fare”; dunque, gli operatori sanitari non sono formati per aiutare praticamente una mamma in difficoltà.


La formazione su questi temi in Italia avviene, quasi sempre, dopo l’ingresso nel mondo del lavoro. In genere si utilizza il corso di 20 ore dell’OMS-Unicef che prevede anche una parte dedicata alla pratica clinica; il corso offre certamente una base di conoscenze teoriche molto solide, ma poi per potere realmente aiutare una mamma con problemi importanti c’è bisogno di un costante approfondimento e una pratica sul campo. Negli anni passati la formazione è stata avviata in seguito a iniziative locali, per la sensibilità di qualche apicale; da qualche anno, c’è un maggior livello di coordinazione grazie all’iniziativa Ospedale e Comunità amici dei bambini per l’allattamento dell’Unicef che è stata posta al centro di obiettivi aziendali di molte regioni.

In alcuni punti nascita le consuetudini sono le stesse di qualche decennio fa: ciuccio, biberon di glucosata, biberon di formula artificiale. Come mai?

La risposta è in parte contenuta in quella precedente: se un operatore sanitario non ha gli strumenti per aiutare una mamma in situazioni di difficoltà ricorre a soluzioni più facili e più rapide. In più le routine dei punti nascita sono spesso orientate a politiche di separazione della mamma dal neonato, piuttosto che all’avvio di cure “prossimali”; l’umanizzazione del percorso nascita passa anche attraverso il riconoscimento del diritto della mamma di non separarsi mai dal suo bambino.


La separazione comporta l’abuso di aggiunte di alimenti diversi rispetto all’unico (il colostro) che il bambino naturalmente assumerebbe, se gli fosse consentito di attivare comportamenti innati e spontanei. L’iniziativa Ospedale e Comunità amici dei bambini per l’allattamento dell’Unicef descrive bene questi percorsi, spesso ancora inapplicati.

E i pediatri di famiglia? Dispongono di informazioni aggiornate in merito all’allattamento? E sono in grado di sostenere adeguatamente le neomadri?

Anche in questo caso dipende dal tipo di formazione che il pediatra ha avuto. Motivo per cui la situazione attuale è a macchia di leopardo. Certo che un pediatra di famiglia formato nel sostegno all’allattamento potrebbe rappresentare un ottimo aiuto per la mamma: è il medico che la famiglia ha scelto per la cura del neonato e quindi è una figura autorevole; le sue parole, le sue raccomandazioni sono dunque importanti; se sono corrette possono rappresentare un ausilio importante.

Oggi si sottolinea molto l’importanza del latte materno. Forse troppo? Alcune madri si sono sentite eccessivamente “spinte” in questa direzione al corso preparto e/o durante la degenza in ospedale. Premesso che il fine ultimo (la promozione dell’allattamento) è buono, forse si potrebbero migliorare le modalità di comunicazione con le donne?

Effettivamente alcune mamme arrivano al parto e affrontano l’allattamento con un’ansia da prestazione altissima; come se l’allattamento non costituisse la normalità per una mamma che ha partorito. Sappiamo bene che questa strana sensazione è però il frutto di tanti condizionamenti culturali a cui oggi la coppia che intraprende un percorso nascita è sottoposta; alcune volte anche i corsi di accompagnamento possono causare ansia. È importante che chi li gestisce abbia ben presente che il compito di un operatore sanitario deve essere quello di accompagnare la mamma in un percorso di rafforzamento di competenze, offrendo informazioni corrette e aiutandola a prendere la decisione migliore per lei; e a volte le mamme possono decidere di assumere atteggiamenti diversi da quelli auspicati senza che questo debba comportare un passo indietro da parte dell’operatore sanitario, che ha il compito di star loro comunque accanto.

Latte di mamma... tutte tranne me!
Latte di mamma... tutte tranne me!
Giorgia Cozza
Quando l’allattamento non funziona: riflessioni, testimonianze e consigli pratici.Un libro per tutte le donne che non sono riuscite ad allattare, ma avrebbero voluto. Un aiuto prezioso per superare la frustrazione e il senso di colpa. Latte di mamma… tutte tranne me! racconta la storia di “non allattamento” dell’autrice Giorgia Cozza, ma anche quella di molte madri che potranno ritrovarsi nelle situazioni e nelle emozioni descritte; una storia di ragadi e poppate dolorose, latte che non arriva, bimbi che crescono troppo poco, mamme stanchissime, tentativi frustranti e commenti poco gentili, scritta per rielaborare un’esperienza, nutrire di coccole e tenerezza il proprio bambino e, perché no, allattare felicemente eventuali fratellini che verranno. In questo libro si trovano informazioni scientifiche utili a comprendere la fisiologia dell’allattamento, grazie al contributo di esperti, neonatologi, pediatri e psicologi, chiarendo quali siano le più frequenti cause di abbandono della poppata. È consigliato anche alle mamme che hanno avuto un’esperienza positiva di allattamento e che vogliono coltivare la propria solidarietà femminile, preziosa alleata di tutte le madri, che allattino o meno. Conosci l’autore Giorgia Cozza è una mamma-giornalista, specializzata nel settore materno-infantile, autrice di libri per bambini e numerosi manuali per genitori, divenuti un importante punto di riferimento per tante famiglie in Italia e all’estero.È stata relatrice in numerosi congressi per genitori e operatori del settore e ospite di trasmissioni televisive per rispondere a quesiti legati all’accudimento dei bimbi e a uno stile genitoriale ecocompatibile.