In realtà, allattare dovrebbe essere normale. Non il frutto di lacrime e sangue e chi più ne versa, più è brava. Dovrebbe essere piacevole. Bello.
Ma torniamo a noi. Alla mamma che avrebbe voluto allattare e non ce l’ha fatta. Ipotizziamo che il suo corpo avrebbe potuto produrre latte a sufficienza. E facciamo il passo successivo: avrebbe potuto farlo se…? Non se fosse stata più brava/eroica/tenace, ma se avesse ricevuto le informazioni e il sostegno giusto. Punto. Quindi non è lei che ha mancato, non ha motivo di sentirsi inadeguata. Hanno mancato gli altri! Chi avrebbe dovuto darle indicazioni corrette e le ha detto sciocchezze. Chi avrebbe dovuto incoraggiarla e l’ha fatta dubitare di se stessa, chi avrebbe dovuto aiutarla e non ha trovato il tempo o non è stato capace di farlo.
E allora, se guardiamo la vicenda da questo punto di vista, possiamo anche ipotizzare che il latte sarebbe potuto arrivare, senza che questo pensiero ci faccia male, senza sentirci in colpa.
Possiamo riscattare noi stesse e anche il nostro corpo che, molto probabilmente, aveva tutte le carte in regola per nutrire il bimbo che è nato, così come l’aveva nutrito per nove mesi prima della nascita.
E facciamo un ulteriore passo. Allattare è un diritto di madre e bambino. Un diritto che viene negato ogni volta che la donna non riceve il sostegno necessario. Un diritto di cui, spesso, neppure abbiamo consapevolezza.
Ed è una vergogna che questo diritto ad oggi sia affidato al caso: se la donna partorisce in un ospedale che ha provveduto a formare il proprio personale, viene aiutata e molto probabilmente allatta felicemente; se invece partorisce in un ospedale che non ha provveduto a formare il proprio personale, riceve indicazioni errate o inadeguate e molto probabilmente allatta con grande fatica e per un periodo più breve di quanto avrebbe voluto.
È un problema sociale, questo. Altro che mamme “poco volenterose”. Altro che sensi di colpa.