terza parte - Nutrilo d’amore

Coltivare l’intesa e la relazione con il proprio bambino - xiv

Coccole, contatto e tenerezza

Se nessuno ci avesse mai toccato, saremmo infermi. Se nessuno ci avesse mai parlato, saremmo muti. Se nessuno ci avesse mai sorriso e guardato, saremmo ciechi.
Se nessuno ci avesse mai amato, non saremmo persone.

Paul Baudiquey

Di cosa ha bisogno il nostro bambino nei primi mesi di vita? Di nutrimento e di vicinanza, di latte e di amore. Se non stiamo allattando al seno, il latte non sarà quello della mamma. Ma la tenerezza, il contatto e la vicinanza sì.


Per superare la delusione e il dispiacere di un allattamento che non è partito o si è interrotto troppo presto, c’è bisogno di tempo e di coccole. Coccole per il bambino, ma coccole anche per la sua mamma. La vicinanza, la tenerezza, il contatto sono uno strumento potente per rinforzare l’intesa tra madre e figlio, per aiutarli a conoscersi, capirsi, entrare in sintonia.


Non possiamo nutrirlo con il nostro latte? Be’, lo nutriremo con il nostro amore. Perché di amore, ne abbiamo in abbondanza. Non ci serve un’integrazione, è tutto già qui, nel nostro cuore.

Tra le braccia di mamma e papà

Il prototipo di tutto il prendersi cura del bambino è nel tenerlo in braccio.

Donald W. Winnicott

È facile che i bambini piangano quando non sono cullati o quando non si parla con loro, mentre se sono cullati o si parla con loro cessano di piangere e sono soddisfatti.

John Bowlby

Per nove mesi, ovvero per tutta la sua vita, il bambino che è nato ha vissuto della mamma, con la mamma, nella mamma.


Nel grembo materno ha trovato protezione, nutrimento e amore. La nascita separa fisicamente madre e figlio, ma il bisogno di simbiosi del bambino continua nelle settimane e nei mesi immediatamente successivi. Il neonato cerca la mamma, ne ha bisogno per dare un senso a questo mondo nuovo e sconosciuto, per ritrovare se stesso, per stare bene.


Per nove mesi ha vissuto in un ambiente caldo e avvolgente, cullato e protetto dal grembo materno. Tra le sue braccia il bambino si sente avvolto e contenuto, cullato sul suo petto ritrova il battito di quel cuore che gli ha tenuto compagnia per nove mesi.


Quando viene alla luce, il neonato non è pronto per affrontare la vita extrauterina: il suo sviluppo deve continuare fuori dall’utero ma in condizioni molto simili a quelle prenatali, e per questo si parla di esogestazione, cioè di gestazione fuori dal grembo materno. Un termine che sottolinea la continuità con il periodo della gravidanza, ovvero con l’endogestazione. Per il bimbo si tratta di una fase impegnativa poiché deve pian piano ambientarsi in questa nuova dimensione “fuori dal pancione”. La vicinanza dei genitori, la loro risposta ai suoi bisogni primari è fondamentale.


Il contatto rientra tra quei bisogni da cui dipendono il benessere e la sopravvivenza del bambino. Nei primissimi mesi di vita, soprattutto in caso di malessere o se c’è qualcosa che lo infastidisce, il bimbo sperimenta uno spiacevole senso di frammentazione del sé, ed è proprio il contenimento della mamma che lo fa sentire nuovamente coeso e integro.


Quando è tra le braccia della mamma e del papà, il bimbo si sente sorretto e contenuto, condizione che gli permette di percepire i propri limiti fisici e risponde al suo bisogno di protezione, così come facevano le pareti dell’utero prima della nascita.


Quello di contatto è un bisogno fisiologico che ha origini lontane, si parla addirittura della sesta settimana di gravidanza quando inizia a svilupparsi la pelle, primo organo di senso che invia impulsi al sistema nervoso. Ad attivare i recettori cutanei è proprio il contatto con le pareti uterine. Un contatto che il bambino ricerca anche dopo la nascita per sentirsi rassicurato, per stare bene.


Questo bisogno non si esaurisce nelle primissime settimane di vita, ma accompagna e favorisce il bimbo nel suo cammino verso l’autonomia. Sono proprio i bambini il cui bisogno di vicinanza e protezione è stato soddisfatto che – certi dell’amore dei genitori – muovono i primi passi alla scoperta del mondo più fiduciosi e sicuri di sé.

Con il biberon vicino al cuore

Mentre poppa al seno, il bambino è contenuto, avvolto, rassicurato dall’abbraccio della mamma. Le poppate coincidono quindi con un momento di coccole, contatto pelle a pelle, vicinanza fisica.


Come arricchire di tenerezza anche i pasti al biberon? Tenendo in braccio il proprio piccino, guardandolo negli occhi, parlandogli con amore. Ci sono mamme che avrebbero tanto desiderato allattare e che, una volta abbandonato l’allattamento, hanno deciso di tenere per sé tutti i pasti del bambino, riservandosi questi momenti, come avrebbero fatto nutrendolo al seno.


Alcune raccontano di aver recuperato anche la dimensione del contatto pelle a pelle, tenendo il bimbo vicino al petto mentre gli offrivano il biberon e cambiando posizione al piccolo, proprio come avviene durante la poppata.


Altre invece hanno condiviso serenamente questo aspetto dell’accudimento del bebè con il neopapà.


Ci sono anche le mamme che hanno sviluppato una vera e propria antipatia per il biberon, quasi fosse il simbolo del loro non allattamento. In questo caso, anche chi ha la possibilità di delegare la gestione dei pasti a nonne, parenti e amiche disponibili, forse dovrebbe pian piano fare pace con quello che è stato e cercare di vivere l’appuntamento con i pasti come un’opportunità per coccolare il proprio piccino.


Ricordiamo infatti che il latte placa la fame, ma il contatto e la vicinanza con la mamma sono una fonte di intenso benessere che permette di nutrire il bimbo di cibo, ma anche di affetto e rassicurazione.

ASSECONDARE I RITMI DEL BEBÈ

Un tempo l’alimentazione artificiale seguiva schemi e tabelle molto rigidi. Oggi non è più così. Provate a parlarne con il vostro pediatra di fiducia, ma le nuove indicazioni per i pasti al biberon prevedono una maggior flessibilità per assecondare i tempi, i ritmi e le esigenze del bambino. In particolare, non si insisterà nel proporre il biberon (cercando di fargli bere tutto il latte) se il piccolo è sazio, e non lo si farà aspettare piangendo se ha fame un po’ prima dell’orario previsto.

L‘allattamento misto

Se l’allattamento non si è concluso e le poppate al seno convivono con i pasti al biberon, si parla di allattamento misto. Se la mamma desiderava allattare in modo esclusivo, molto probabilmente questa soluzione non la soddisferà del tutto, ma sta comunque allattando e questo è già un bel risultato. Anziché dispiacersi per i biberon dati, conviene assaporare i momenti trascorsi con il proprio piccino al seno. Il latte della mamma c’è e – anche se in piccole quantità – garantisce al bimbo tutti i vantaggi in termini di salute a breve e lungo termine, che ormai già conosciamo. Non è vero che al di sotto di determinate quantità il latte materno perde la sua importanza: gli anticorpi e le sostanze benefiche in esso contenuti vengono comunque trasmessi al bambino. Certo, tra cento anticorpi e trenta anticorpi è meglio cento, ma fra trenta anticorpi e zero anticorpi è meglio trenta, no?


E le belle sensazioni legate alla poppata ci sono tutte1. Affetto, tenerezza, contatto non sono una prerogativa dell’allattamento esclusivo!

Un’ultima cosa: se attaccare il bimbo al seno vi fa piacere, non lasciatevi scoraggiare da chi dovesse sottolineare che con l’allattamento misto presto il bimbo si abitua al biberon e non accetta più il seno. Potrebbe succedere, come potrebbe non succedere; dato che non potete saperlo prima è inutile fasciarsi la testa in anticipo o rinunciare a priori.


Ci sono mamme che hanno portato avanti le poppate ben oltre il primo compleanno, pur avendo allattato in modo misto per tutti i primi mesi di vita del bambino. E ci sono mamme che dall’allattamento misto, con l’aiuto di persone competenti e il sostegno della famiglia, sono tornate a quello esclusivo.


In ogni caso, vale la pena vivere alla giornata e godersi i momenti belli, senza stress e senza dar retta a chi fa commenti inopportuni.

Se lo tieni in braccio si vizia?

“Se lo tieni sempre in braccio poi si abitua”.
Come se quella di ricevere e dare molto amore fosse una cattiva abitudine.

Se avete un bimbo piccolo, è molto probabile che vi sia capitato; perché ci sono alcuni luoghi comuni nella nostra cultura occidentale che sono proprio duri a morire. Stiamo parlando delle critiche elargite con sorprendente leggerezza e prodigalità alle mamme che tengono in braccio le loro creature.

“Se lo tieni sempre in braccio si abitua e non vuole più star giù!”.

“Se lo tieni in braccio, lo vizi!”.

“Se lo tieni in braccio, quando lo metti giù piange”.


A parte che in realtà è il contrario: il bimbo “giù”, ovvero lontano dalle braccia di mamma e papà, si sente a disagio e così li chiama (piangendo, dato che altro modo non ha), loro lo prendono in braccio e lui si sente subito meglio, molto più felice e al sicuro. Ovviamente è normale che sia così: è un neonato e fino a poche settimane prima era un tutt’uno con sua madre; star “solo” non gli può piacere, dato che era abituato a vivere addirittura dentro di lei! Certo, in realtà non è solo, ma finché è così piccino, per sapere che la mamma c’è, ha bisogno di vederla, di sentirla, di starle vicino. E, in genere, come per tutti i cuccioli, più vicino è, meglio è.


Ma torniamo in tema e arriviamo al consiglio principe, il classico intramontabile: “Deve abituarsi a stare giù (nella culla), perché così tu…”.


In genere l’ammonizione non si conclude, ma resta così in sospeso, promessa di chissà quali meraviglie. Ebbene, per toglierci ogni dubbio, proviamo a terminare la frase.


Deve abituarsi a stare giù, perché così tu…?

Metti in ordine la casa? Stiri le camicie del marito? Pulisci il pavimento? Perché sicuramente non si intende che esci a fare una passeggiata (e lasci il pupo a casa) o che ti fai un bagno rilassante (e non appena metti un piede in vasca, il bimbo chiama).


E allora sapete una cosa? Molto meglio tenersi il piccino in braccio e rilassarsi sul divano con un bel libro, un buon film, o una musica di sottofondo. E magari farsi anche un sonnellino, che fa solo bene.


E il bambino? Tutti dicono che deve abituarsi a stare giù. Ma perché dovrebbe abituarsi a stare giù quando il suo sviluppo psicomotorio lo porterà a stare su, sempre più su? Prima a sollevare la testolina, poi a conquistare la posizione seduta, e infine – ambito traguardo – ad alzarsi in piedi?


Conclusione: se avete piacere di tenere in braccio il vostro tenerissimo bambino, fatelo. Le coccole fanno bene alla mente e al cuore, del bambino e della mamma. Attimi di vita. Emozioni che passano e non tornano più. Carpe diem!


E se a qualcosa dobbiamo proprio abituarlo, che sia ad essere molto amato e ad amare molto!

Con le coccole si cresce meglio

Attenzione! Non troppe coccole. Così lo viziamo.
Bisogna stare attenti a non eccedere con i gesti d’amore.
Dosarli, centellinarli. Altrimenti…
Altrimenti? Ma di cosa ha paura la nostra società?
Che mettiamo in circolazione troppo amore, gentilezza e disponibilità?

Le mamme sono “programmate” da secoli per rispondere al pianto del loro bambino. Quando una nonna, una suocera, una zia, una vicina di casa, dicono a una mamma di lasciar piangere il suo bambino, alla mamma questo monito suona stonato dentro, in fondo al cuore. Quando il suo piccino piange, tutto in lei risponde: chiamiamolo istinto, chiamiamolo come vogliamo, ma le mamme sono “fatte” per dare conforto ai loro cuccioli. Insomma, le mamme sanno.


E quello che le mamme già sapevano, oggi lo conferma anche la scienza. Non che ne avessero bisogno, le madri. Ma una conferma autorevole magari può essere utile per gli altri: quei parenti, amici, conoscenti che si ostinano a interferire con le competenze materne, offrendo consigli, commenti e spesso critiche, ovviamente non richiesti.


Citiamo un paio di studi recenti. Quello realizzato dalla Duke University del North Carolina mette in relazione la stabilità emotiva in età adulta con le cure affettuose ricevute nella primissima infanzia e dimostra che il contatto, la tenerezza, la risposta sollecita ai bisogni del bambino hanno effetti positivi nell’immediato, ma anche a lungo termine.


Lo studio americano ha coinvolto un campione di quasi cinquecento bambini di otto mesi, classificati in base al livello di affetto (basso, normale, molto elevato) dimostrato dalle rispettive mamme. Trentaquattro anni dopo, si è registrato che i bimbi che avevano ricevuto livelli di affetto molto elevati mostravano valori significativamente più bassi di ansia, angoscia e ostilità. In poche parole, erano adulti più sereni e sicuri di sé.


Risultati analoghi sono quelli di uno studio recentissimo condotto dalla Washington University School of Medicine di St. Louis, che ha coinvolto novantadue bambini – sani o con sintomi depressivi – dei quali era stata precedentemente valutata l’interazione quotidiana con i genitori. Secondo la ricerca, una relazione affettuosa, nutrita di contatto e vicinanza, è associata a un miglior sviluppo dell’ippocampo, una regione cerebrale che ha un ruolo essenziale per la gestione dello stress. In pratica, nei bimbi più coccolati l’ippocampo risulta più sviluppato del 10% circa. Un accudimento affettuoso in età prescolare si è dunque rivelato il primo e miglior antidoto contro lo stress.


Ma ripeto: le mamme lo sapevano già. Non hanno bisogno degli studi scientifici. La nostra società però ne ha ancora bisogno per dire addio a tanti pregiudizi, per incamminarsi senza più timori sulla strada della tenerezza e dell’amore. Con risultati garantiti a breve e lungo termine.


La tenerezza non è mai troppa!

L’amore, le coccole, la tenerezza aiutano i bimbi a crescere sicuri di sé e a diventare adulti più sereni. Studi e ricerche lo dimostrano e danno ragione alle madri e al desiderio istintivo di proteggere e consolare il loro piccino, che le porta a rispondere prontamente al pianto.


Eppure, la maggior parte delle neomamme si sente dire di non prendere “troppo” in braccio il bebè, di insegnargli a stare nella culla o addirittura di lasciarlo piangere. Tutto questo per non correre il rischio di viziarlo.


In realtà il neonato non ha “vizi”, ma solo bisogni, e dalla soddisfazione delle sue esigenze dipende il suo benessere fisico ed emotivo. Quelli relativi ai vizi sono luoghi comuni ormai superati, che affondano le loro radici nella mancata (o incompleta) conoscenza delle caratteristiche del neonato.


Viziare un neonato non è possibile, i bisogni che lui esprime sono necessità primarie e la vicinanza e il contatto fanno parte di queste esigenze. È importante che i genitori sappiano che, soddisfando il bisogno di contatto nel momento giusto, aiutano il proprio piccino ad interiorizzare più facilmente la loro presenza. Questo lo rende più sicuro di sé e aperto alla relazione con gli altri e quindi anche più pronto a mettersi alla prova nel mondo.


C’è bisogno di parole

E finalmente la voce. La voce materna che segna per sempre col suo marchio il bambino. Egli la conosce, questa voce, molto prima di vedere la luce.
È come tessuto sul suo ordito, sulle sue sfumature, le sue inflessioni, i suoi umori.

Frédérick Leboyer


Nelle prime settimane e nei primi mesi successivi alla nascita, la relazione con mamma e papà è fatta principalmente di contatto e di voce. La pediatra Elena Balsamo parla di “tocco e parola”. E tocco e parola sono spesso un tutt’uno, perché quando la madre culla, abbraccia, nutre il suo bambino accompagna questi gesti con la voce, con le parole dette o cantate.


Il bambino fissa il volto della mamma che gli rivolge parole affettuose, tenta di imitarne le espressioni del viso, aprendo e chiudendo a sua volta la bocca, sgambetta, si sforza di inarcare la schiena quando vuole essere sollevato dalla culla e preso in braccio.


Questi primi dialoghi basati sul contatto visivo, i gesti, le espressioni del viso hanno già in sé un’importante caratteristica del linguaggio vero e proprio, ovvero l’alternanza. La mamma parla al bimbo e lo guarda, il piccolo la osserva e sgambetta, lei gli sorride e riprende a parlare. Delle ricerche hanno osservato che il corpo del neonato si muove in sincronia con la voce materna, in una sorta di danza a due.


La sua mente si nutre della voce e delle parole dei suoi genitori, ne ha bisogno per stare bene e per crescere.


Per questo è tanto importante parlare con il proprio figlio. Parlargli tanto, parlargli spesso. Quando lo si prende in braccio, quando lo si cambia, quando si gioca, anche quando lui è nella sua culla e la mamma è occupata in qualche attività può continuare a rivolgersi al piccolo spiegando che cosa sta facendo.


Semplici frasi che descrivono gesti e azioni quotidiane, affettuosi complimenti accompagnati agli sguardi, al sorriso, al contatto fisico, contribuiscono alla sensazione di benessere e di appagamento del bimbo e favoriscono lo sviluppo della sua capacità di comunicare a sua volta, sempre di più e sempre meglio.

Voce che coccola, ninnananna e filastrocca

Quando culla il suo bambino, quando lo abbraccia, la mamma accompagna il gesto con la voce. Lo fa, anche se nessuno gliel’ha insegnato, perché è la cosa giusta. Lo fa perché è una mamma.


E lo fanno tutte le mamme, di ogni Paese e cultura. Lo fanno da sempre. Sono nate così, dall’amore di tante madri che si è fatto voce e poi parola, le ninnananne e le filastrocche che hanno accompagnato i primi passi nella vita di tante generazioni di bambini e bambine.


Questa sera, in ogni angolo abitato della Terra, anche nel più remoto, ci sarà una mamma che accompagna il suo bambino nel sonno, cantando per lui una ninnananna.


Poche parole, sussurrate e ripetute, un invito al sonno, pronunciato in rime e incorniciato da un ritornello che ritorna di strofa in strofa, tranquillizza, rassicura. Poche parole che danno voce al dondolio di una culla, di un’amaca, di un abbraccio. Poche parole che hanno un potere magico, quello di calmare il pianto e convincere ogni piccino ad abbandonarsi al sonno, con una promessa: “La mamma è qui, con te”. Ed ecco che la voce dei genitori che intona una ninnananna colma il suo bisogno di vicinanza, di rassicurazione, di voce, di affetto.

“La parola detta o ancor meglio cantata – scrive Elena Balsamo – è una sorta di carezza per il cucciolo d’uomo, per il quale la comunicazione è uno dei bisogni primari. Ecco perché sono così importanti le ninnenanne, diffuse in ogni cultura per addormentare i bambini: essere tenuto stretto fra le braccia e sentire il suono dolce della voce della mamma che canta per lui, rappresenta per un piccolino la condizione di benessere ottimale. […] Come sempre, si tratta di piccole cose, semplici gesti, che si tramandano di generazione in generazione, che non richiedono nessuna spesa, nessuna tecnologia: in fondo al bambino basta così poco…”2 È proprio vero, al bambino basta così poco. O così tanto, forse. Perché al bambino, ad ogni bambino, basta la sua mamma. E se al fianco della mamma c’è un papà presente e premuroso, ecco che ha tutto3. Tutto quello che gli serve davvero, insomma.

Voci di mamma

Ho sofferto tantissimo per non aver allattato, perché ritenevo l’allattamento una cosa meravigliosa solo mia e sua, così non ho permesso a nessuno di darle il biberon durante i primi tre mesi, per non privarmi almeno di questo momento. Le coccole non sono vizi, creare momenti tra me e lei che sono solo nostri, mollare la casa così com’è per dedicare il mio tempo a lei, il babywearing anche se un po’ tardivo (ho comprato la fascia che lei aveva nove mesi)…

Fiorenza

Io dal canto mio ho cercato di recuperare tenendolo sempre a contatto, cuore a cuore. Ancora oggi quando ha bisogno di coccole appoggia la testa sul mio cuore.

Cristina

Mio marito Nicola preparava il biberon e io, solamente io, allattavo mio figlio. E uso la parola allattare perché lo facevo a seno scoperto, facendolo ciucciare un po’ e passando al biberon con delicatezza. Fino ai quattro mesi non ho permesso che nessuno desse il latte al bambino, se non qualche volta Nicola perché era suo desiderio. Allattare col biberon è nutrire dando calore alla tettarella di gomma, accarezzando la testa del bambino, tenergli la manina, stare seduti senza fare altro, non lasciarlo da solo col biberon…

Simona

La mia Emma ha quindici mesi e ora sono in attesa di Ester e spero che con lei vada diversamente. Ho coccolato tanto la mia bimba anche se non allattavo, la tenevo tanto in braccio dopo la poppata (certe dormite insieme!), l’ho portata tantissimo in fascia, l’ho massaggiata, ma mi resterà sempre quel vuoto…

Angela

Da quando ha tre mesi prende solo latte artificiale; ho compensato alla mancanza dell’allattamento dandole sempre io il biberon, tenendola stretta a me, guardandola negli occhi e accarezzandola dolcemente, riempiendola di baci e coccole durante tutto il giorno.

Pamela

Per tre mesi ho comunque provato ad allattarlo, un po’ direttamente al seno e un po’ tirando il latte con il tiralatte (così da dargli un biberon di mio latte ogni giorno, poiché volevo passargli i miei anticorpi). Indipendentemente dal tipo di allattamento (biberon o meno), ho sempre tenuto mio figlio attaccato a me dopo la poppata per almeno mezz’ora, sia per farlo digerire che per coccolarlo, pratica che non ho ancora abbandonato adesso che ha dieci mesi. Devo dire che mi sembra che il nostro rapporto fisico sia buono, credo che sia stata fondamentale la serenità trasmessa nella relazione, tanto che quando la sera viene accolto in un abbraccio, Simone si abbandona e rilassa.

Lucia

Credo che la cosa importante sia darle il biberon guardandola sempre negli occhi e tenendola sempre molto vicina al tuo corpo, un po’ come se la si allattasse al seno insomma.

Emanuela

Ha sempre preso il biberon in braccio a me e sono stata quasi esclusivamente io a darglielo, tranne qualche volta il padre e rarissime volte la nonna, ma era già cresciutello.

Silvia

Il mio latte non era sufficiente e soprattutto al pomeriggio e alla sera dovevo dare l’aggiunta. Mi sono però sempre goduta il contatto fisico della poppata e solo quando lui si staccava e aveva ancora fame mio marito gli dava l’aggiunta. Penso che anche mio figlio, come me, provasse piacere perché, nonostante la maggior facilità del biberon, ha sempre voluto anche il seno.

Francesca

Ho allattato il mio primo figlio per un anno e tre mesi usando il DAS, il dispositivo di allattamento sostitutivo. Per me, nonostante la fatica, è stato di grande aiuto pensare che stavo mantenendo una forte relazione con il mio bambino, quasi come se gli stessi dando il mio latte.

Laura

Non so se ho messo in atto dei comportamenti compensativi: avevo sposato la teoria dell’alto contatto già prima di scoprire che non potevo allattare. Sono una coccolona a prescindere, e non potevo non esserlo con il mio bambino. Ho fatto le stesse cose che avrei fatto se avessi allattato:l’ho portato nella fascia, ho cantato per lui, giocato con lui, parlato con lui. Mio figlio non ha mai pianto, ogni suo cenno sapevo interpretarlo per dargli quello di cui aveva bisogno.
E gli ho dato il latte a richiesta: su questo non ho guardato in faccia a nessuno. Che fosse materno o artificiale, non avrei mai e poi mai lasciato che un bimbo di un mese soffrisse la fame e piangesse per questo.
Siamo legatissimi ed è cresciuto proprio bene. Mi resta, però, il grande rimpianto di non aver vissuto la magia dell’essere tutto per lui, del diventare una cosa sola, di essere il suo nutrimento sotto tutti i punti di vista. Spero di rifarmi in futuro con altri bimbi, se arriveranno.

Alice

Sono mamma di Riccardo, un bambino di due mesi e mezzo che allatto in maniera mista, anche se “misto” può definirsi in realtà un eufemismo, dato che – dopo aver poppato quel che esce dal mio seno – il piccolo in aggiunta riesce a trangugiarsi fino a 120 ml di latte artificiale. Il primo mese ho vissuto con grande sofferenza il fatto di non essere in grado di nutrire completamente mio figlio con il mio latte. Ora mi sono rassegnata. In compenso, Riccardo usa il mio seno per trovare consolazione, per gioco o per calmarsi durante le coliche. Rifiuta il ciuccio e questo tipo di contatto è comunque una grande fonte di gratificazione per entrambi e, al momento, la sua maniera preferita e più rapida per prendere sonno.

Elena

La mia bimba non si è attaccata al seno da quando è nata. La mia frustrazione è stata immensa, sapevo che il problema era dentro di me, ma in quei momenti sentivo solo una gran confusione e l’incapacità di provvedere al nutrimento mia figlia. Questo mi ha portato a ridurre, inizialmente, il contatto fisico, ma pretendevo di essere l’unica a darle il biberon: mantenevo così il legame con lei. Solo dopo qualche mese ho contattato un’ostetrica che mi ha consigliato un tiralatte professionale per riavviare la lattazione, ormai ridotta al minimo, e il DAS. Abbiamo iniziato con biberon che simulano la succhiata al seno e con me che la nutrivo a seno scoperto, finalmente una corporeità! Mia figlia ha accettato subito tutto, senza problemi! Ulteriore conferma di quante difficoltà avessi io e non lei. Credo che non dimenticherò mai il giorno in cui da sola s’è attaccata al mio seno…
Ancora oggi mi fa male non aver capito qual è stato il problema, ma ci sto lavorando.

Maria Paola

Sono contenta di aver allattato, anche se poco; è una sensazione meravigliosa e il legame anche fisico che si instaura è unico. Non credo comunque di aver fatto mancare il contatto e le coccole anche con il biberon: ci ho messo l’identico amore! Ora che ho vissuto l’esperienza del parto e del diventare mamma, ora che ho conosciuto altre mamme con esperienze anche molto diverse dalla mia, ora che sono più informata, be’, spero proprio di riuscire ad allattare al seno il secondo figlio!

Eleonora

Desideravo tanto allattarla, ma non ci sono riuscita. Però, il momento del biberon era comunque molto intimo, lei mi accarezzava la mano e ci scambiavamo “baci con gli occhi” guardandoci con amore e battendo le palpebre. Nonostante sia stata una bimba estremamente indipendente, il rito del latte è proseguito a lungo, finché con molta naturalezza la piccola non ne ha più sentito la necessità, ma i baci con gli occhi restano un codice segreto tra noi che rimarrà per sempre…

Annalisa

Durante l’allattamento con il biberon usavo il cuscino a ciambella che mi aiutava ancora di più a tenerla bene, vicina, e cercavo il suo contatto visivo. Durante il momento della pappa lei non amava che le si parlasse molto, così la lasciavo mangiare tranquilla, ma sempre avendo cura di guardarla, di accarezzarla, anche se con discrezione, leggermente. E ogni tanto le parlavo lo stesso! Con voce dolce e tranquilla… Gli orari dei pasti non sono mai stati rigidi, anche perché quando era in fascia, in giro, dormiva così bene che spesso si “dimenticava” del pasto e cambiavamo secondo le sue esigenze. Non abbiamo mai avuto l’ansia da poco cibo e cercavamo, come facciamo ora, di non farla mangiare più di quello che desiderava. Così credo si sappia regolare bene anche adesso.

Clara

Consigli di lettura

  • Balsamo E., Sono qui con te, Il leone verde, 2008.

  • Cozza G., Me lo leggi?, Il leone verde, 2012.

  • González C., Bésame mucho, Coleman Editore, 2005.

Latte di mamma... tutte tranne me!
Latte di mamma... tutte tranne me!
Giorgia Cozza
Quando l’allattamento non funziona: riflessioni, testimonianze e consigli pratici.Un libro per tutte le donne che non sono riuscite ad allattare, ma avrebbero voluto. Un aiuto prezioso per superare la frustrazione e il senso di colpa. Latte di mamma… tutte tranne me! racconta la storia di “non allattamento” dell’autrice Giorgia Cozza, ma anche quella di molte madri che potranno ritrovarsi nelle situazioni e nelle emozioni descritte; una storia di ragadi e poppate dolorose, latte che non arriva, bimbi che crescono troppo poco, mamme stanchissime, tentativi frustranti e commenti poco gentili, scritta per rielaborare un’esperienza, nutrire di coccole e tenerezza il proprio bambino e, perché no, allattare felicemente eventuali fratellini che verranno. In questo libro si trovano informazioni scientifiche utili a comprendere la fisiologia dell’allattamento, grazie al contributo di esperti, neonatologi, pediatri e psicologi, chiarendo quali siano le più frequenti cause di abbandono della poppata. È consigliato anche alle mamme che hanno avuto un’esperienza positiva di allattamento e che vogliono coltivare la propria solidarietà femminile, preziosa alleata di tutte le madri, che allattino o meno. Conosci l’autore Giorgia Cozza è una mamma-giornalista, specializzata nel settore materno-infantile, autrice di libri per bambini e numerosi manuali per genitori, divenuti un importante punto di riferimento per tante famiglie in Italia e all’estero.È stata relatrice in numerosi congressi per genitori e operatori del settore e ospite di trasmissioni televisive per rispondere a quesiti legati all’accudimento dei bimbi e a uno stile genitoriale ecocompatibile.