capitolo vii

Una nuova scuola

Sediamoci tutti assieme per una breve pausa. Posiamo il libro sulle ginocchia, chiudiamolo se serve e riflettiamo. Dedichiamo un momento – un piccolo momento – a un pensiero su quanto abbiamo esplorato finora. Abbiamo incontrato termini tecnici con cui siamo più o meno familiari, o che ci hanno intimorito per il loro suono, ma forse le parole più numerose sono state: ragazzi, studenti, alunni, figli. E tra queste? Tra queste spicca timida la parola “scuola”, nascosta tra le righe, come nel gioco “trova l’intruso”.


Eppure la scuola è la protagonista, assieme ai ragazzi. È il luogo dove crescono, dove esercitano le loro capacità sociali, dialettiche, relazionali. Dove imparano a diventare adulti. Ripensiamo al periodo in cui ci aggiravamo noi tra i banchi, in cui provavamo le stesse emozioni e le stesse paure, in cui gioivamo e ci disperavamo, litigavamo, scherzavamo…


Ecco, siamo stati anche noi studenti e, in qualche modo, quell’alunno spaesato e confuso è ancora dentro di noi, a rimproverarci ogni qual volta non proviamo a comprendere le difficoltà dei ragazzi che oggi guardiamo dall’alto del nostro “essere adulti”.


Forse dovremmo ascoltare lo studente che è dentro di noi, quel ricordo confuso rimasto ancorato al banco sotto cui appiccicava le gomme da masticare e sulla cui superficie incideva il proprio nome per dire: “Ehi! Guardatemi, ci sono!”.

È questo che siamo chiamati a costruire: una scuola degli studenti, dove siano i veri protagonisti, dove non vengano ignorati, ma siano pronti all’ascolto reciproco, al dibattito costruttivo; una scuola di laboratori, di quelle che Herrington, Oliver e Reeves definiscono: attività autentiche, quelle che hanno rilevanza nel mondo reale; che sono aperte a interpretazioni multiple, che contengono al loro interno dei compiti complessi da esplorare in periodi lunghi, come un videogioco a più livelli da superare per giungere al suo completamento effettivo; quelle che permettono agli studenti di collaborare tra loro, di riflettere su ciò che stanno facendo e come… che portano alla realizzazione di un progetto finale completo, interdisciplinare, e non un’esercitazione o uno stadio intermedio di preparazione per qualcos’altro1.

Una cosa è da tenere in conto – e da ribadire: la scuola non può più, nell’epoca in cui le nozioni sono rapidamente accessibili grazie a internet, porsi come ricettacolo della conoscenza umana, ma ha la necessità di rinnovarsi e cambiare modo di porsi nei confronti delle nuove generazioni di studenti. Questi ultimi infatti, rispetto alle precedenti, risultano talmente bombardati di informazioni da superare spesso, a livello di conoscenze meramente teoriche, perfino i loro insegnanti.


Per questo il dialogo, l’interdisciplinarietà, la capacità di porre l’alunno e il suo benessere al primo posto e il saperne catturare l’interesse sono fondamentali: è solo attraverso queste leve che la scuola ha la possibilità di formare adulti partecipi, attivi, curiosi e pronti a interrogarsi sul mondo che li circonda e su se stessi.


Non bisogna dimenticare la loro umanità, il loro essere persone in formazione, e la responsabilità che abbiamo di accompagnarli in questo percorso, rispettandone i tempi, le emozioni e i diritti.

Perché sì, i ragazzi, i bambini… tutti i futuri adulti hanno diritti inderogabili che siamo chiamati a rispettare:

  • Il diritto all’adolescenza: “degli adolescenti ci siamo dimenticati, non c’è teatro dedicato a loro, la scuola non ne facilita l’aggregazione, gli spazi sono pochi. Come si preparano ad assumersi le responsabilità della vita in una società libera?”

  • Il diritto alla propria parte di bene comune (gli spazi delle città, la programmazione territoriale, il recupero degli edifici e dei quartieri): “i Comuni dimenticano che esistono bambini, preadolescenti, adolescenti così i vari piani regolatori sono studiati e realizzati per soddisfare le esigenze degli adulti, ma non quelle dei giovani”.

  • Il diritto a beneficiare della tecnologia, senza esserne travolto.

  • Il diritto di sentirsi protagonista: “come può assumersi responsabilità se non gli è stato mai permesso di avere delle responsabilità? Come entra nella scuola, dalla materna all’università, obbligato a seguire schemi ben precisi, schemi comportamentali, schemi di studio. Non è permesso ragionare sulle cose, sui fatti, sulle conoscenze; non è permesso chiedere, discutere, pertanto nemmeno formulare ipotesi, ideare verifiche… Mai responsabile di nulla, se non di ripetere (e anche qui nemmeno liberamente, ma come il professore vuole) le nozioni “ripetute” dall’insegnante (anche l’insegnante non fa che ripetere, mai ponendosi la domanda se non è più interessante riscoprire le cose)”.

  • Il diritto di essere accolto e protetto: pensiamo alla complessità della vita dei bambini rifugiati, ma anche dei tanti bambini stranieri che spesso sono la porta d’accesso, per i genitori, ai servizi pubblici e ai diritti minimi: cosa succede quando è una bambina che traduce alla madre le parole del medico sul suo stato di salute?

  • Il diritto di conoscere le tante culture del mondo: per Alberto Manzi fu un pilastro dell’attività di romanziere: parlare delle storie di altri per capire meglio noi stessi, fare i conti con altri punti di vista, sostenere uno sguardo interculturale.

  • Il diritto ad una scuola che sia porta d’accesso sul mondo: occorre cioè lavorare sulla riduzione delle diseguaglianze e su strategie didattiche coinvolgenti affinché la scuola sia davvero luogo in cui imparare ad essere cittadini attivi, partecipi alla vita della res publica, capaci di ragionare sul proprio destino e di avere un sogno collettivo.2


È in virtù di questi diritti e della necessità di far prendere allo studente la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie potenzialità3, caratteristica indispensabile per affrontare il mondo “al di fuori”, che la scuola e le famiglie sono chiamati a svolgere un ruolo guida nella formazione dell’individuo, affinché esso possa vivere in serenità il rapporto con sé e con gli altri.

La valutazione scolastica
La valutazione scolastica
Giulia Manzi
L’influenza del giudizio sulla motivazione dei nostri figli.Un libro rivolto a genitori e insegnanti, per ripensare la scuola e approcciarsi al mondo degli studenti da un altro punto di vista. La valutazione scolastica affronta lo scomodo tema dei voti e quanto la mala comprensione di essi influenzi la crescita dello studente, non solo a scuola, ma nella vita.Partendo da esperienze personali, Giulia Manzi ripercorre l’analisi dei sistemi e dei criteri di giudizio scolastici, il rapporto tra famiglie e insegnanti e il bisogno di una scuola che ponga al primo posto l’alunno e le sue esigenze d’apprendimento e sviluppo personale.Un libro rivolto agli adulti, genitori o insegnanti che siano, per approcciarsi al mondo degli studenti da un altro punto di vista. Conosci l’autore Giulia Manzi, figlia di Alberto Manzi (il maestro della TV in “Non è mai troppo tardi”), approfondisce tematiche legate alla pedagogia scolastica a partire dagli studi universitari e tiene corsi di formazione per docenti.