È vero che i bambini “cercano le sculacciate”?
I sostenitori di questo tipo di punizione hanno spesso davanti agli occhi il bambino insopportabile, sfrontato, provocatore che sembra fare di tutto per ottenere una sculacciata: “Se l’è proprio cercata!” È vero che il bambino nella sua esplorazione dei comportamenti possibili cerchi naturalmente fin dove può arrivare. Se non siamo riusciti a convincerlo che questo o quel comportamento è vietato, è naturale e al limite sano che cerchi di riprodurlo. Noi adulti non trasgrediamo mai dei divieti? Se reagiamo di nuovo senza la forza di convinzione necessaria, il bambino può fare il gioco di provocare la madre o il padre. A partire da una certa età, e a condizione che si trovi fra bambini della sua età, può dire a se stesso: “Se non lo faccio, sono una pappamolle”. In quanto genitori, possiamo essere legittimamente esasperati da tale comportamento, ma questo non giustifica una sculacciata. Bisogna piuttosto esaminare che cosa, nel nostro atteggiamento, abbia potuto produrre questo comportamento.
In un bambino che abbia già ricevuto delle sculacciate, può prodursi tutta un’altra cosa: se la sculacciata ha suscitato nel bambino un piacere sessuale, può molto semplicemente cercare di ottenerne la ripetizione. Un lettore mi ha confessato di aver chiesto a sua madre, una maestra che egli aveva visto picchiare i compagni, di dare anche a lui uno sculaccione per questo motivo.
Ma la maggior parte delle volte, i bambini, quando non sono stati induriti dalle botte ricevute, e spesso anche quando lo sono stati, provano una paura intensa delle sculacciate e delle punizioni corporali. Molti bambini, per evitarle, sono disposti a sopportare qualunque cosa. Nel giugno del 1999 in Utah (USA) è stato trovato un bambino sul punto di morire di caldo in un’auto. I suoi genitori gli avevano concesso di scegliere tra una sculacciata e un’ora in un’auto chiusa in pieno sole. Il bambino non aveva esitato. In Africa molti bambini non vanno più a scuola né fanno ritorno a casa per paura delle botte che riceverebbero. Questo fatto è diventato un problema sociale in molti Paesi. Un uomo per nulla sospettabile di codardia come Churchill ha conservato un ricordo terribile dei due anni passati in una scuola in cui venivano praticate le punizioni corporali. Nella Repubblica Sudafricana è stato trovato uno scolaro in una riserva dove rischiava di venire attaccato dai leoni: preferiva quella sorte piuttosto di quella che lo attendeva al collegio. Balzac, che ne sapeva qualcosa, comparava il destino dello studente che sta per essere sculacciato a quello del condannato che si reca al patibolo. Il fatto che alcuni bambini, che hanno preso l’abitudine alle botte per averne ricevute spesso, sfidino e provochino i loro genitori non deve indurre a credere che sia il caso della maggior parte dei bambini.
Se tutto quello sopra esposto è vero, come mai non siamo tutti all’ospedale o in prigione visto che quasi tutti siamo stati picchiati? La maggior parte della gente è per lo meno apparentemente normale?
Com’è già stato detto poco sopra, gli effetti della violenza educativa per fortuna sono compensati dalla presenza, accanto alle vittime, di questi “testimoni compassionevoli e consapevoli” di cui parla Alice Miller e che permettono ai bambini di conservare la propria integrità malgrado ciò che subiscono. I bambini che, nonostante siano stati picchiati, hanno conservato il loro equilibrio e non replicano su nessuno questo comportamento, in particolare non sui propri figli, lo devono in generale agli sguardi benevolenti, di affetto e di stima di un parente, di un vicino, di un insegnante, che hanno permesso loro di restare se stessi. Lo devono anche, come ha mostrato uno studio di Hunter e Kilstrom, alla loro capacità di rivolta contro ciò che hanno subìto. Ma questa capacità di ribellione positiva (diversa dalla ribellione che conduce, ad esempio, alla delinquenza) si sviluppa più facilmente in coloro che hanno conosciuto la stima, non fosse che di una sola persona, piuttosto che in coloro a cui nessuno ha insegnato che ciò che subivano non era meritato. Lo stesso studio ha mostrato che per un bambino il semplice fatto di capire di non aver meritato ciò che ha subìto riduce il rischio di vederlo diventare un delinquente o una persona violenta.
D’altra parte, gli effetti della violenza educativa variano evidentemente a seconda del livello di violenza subita. Il livello più elevato è quello che può produrre i serial killers e, sul piano politico, la presa di potere degli assassini di massa come sono i dittatori e la realizzazione dei loro progetti. Il livello subito inferiore produce varie patologie, gli incidenti, la violenza sulle donne, il maltrattamento continuativo, la delinquenza e la criminalità ordinaria del diritto comune. E al livello più basso della violenza educativa corrisponde, in una sorta di risultato minimo garantito, la ripetizione della violenza educativa ordinaria (pacche, sberle e sculacciate) sui bambini o la giustificazione di questo modo educativo.