Qual è il contributo della Convenzione relativa ai diritti dell’infanzia?
Votata il 20 novembre 1989 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Convenzione dei diritti dell’infanzia è di grande speranza. Il suo articolo 19 chiede a tutti gli Stati di proteggere il bambino “contro qualsiasi forma di violenza”. Il Comitato dei diritti del bambino, davanti al quale ciascuno Stato deve presentare ogni cinque anni un rapporto sul modo in cui rispetta questa Convenzione, precisa con chiarezza che gli Stati membri devono prendere misure per vietare non solo i maltrattamenti punibili dai tribunali, ma anche le punizioni corporali più comuni come sculacciate, sberle, ceffoni.
Il Comitato dunque difende il diritto dell’infanzia all’integrità fisica “senza ammettere alcun grado di violenza contro i bambini”. Bisogna “applicare alla lettera il paragrafo 1 dell’articolo 19 della Convenzione”. “Anche un ricorso limitato alla forza fisica, per esempio una pacca, può essere il primo passo sul cammino di un vero e proprio maltrattamento”. Come ha sottolineato un membro del Comitato al delegato della Gran Bretagna: “per fare un’analogia, nessuno oserebbe sostenere che un ‘livello ragionevole’ di violenza nei riguardi delle donne possa essere permesso”. “Ciò che occorre è bandire completamente le punizioni corporali” così come “le altre forme di disciplina umilianti o troppo frequenti in seno alla famiglia, a scuola o in altre istituzioni, (che) non sono compatibili con la Convenzione”. “I metodi utilizzati per educare il bambino devono escludere qualsiasi trattamento offensivo, brutale, grezzo o degradante, qualsiasi umiliazione e qualsiasi sfruttamento”.
Con questo
modo innovativo di combattere la violenza subita dai bambini, la Convenzione e il Comitato offrono nuove speranze di ridurre innumerevoli forme di violenza una volta divenuti adulti, che mettono in pericolo la sicurezza delle persone.
La speranza in effetti è quella di “interrompere la spirale della violenza che si ripete spesso di generazione in generazione, invocando la tradizione e il costume”. “Se la società vuole risolvere il problema della violenza”, ivi compreso quello della violenza politica giacché “i bambini sottoposti a tali trattamenti non diventano spesso dei buoni cittadini”, “l’azione necessaria deve essere intrapresa il prima possibile nelle famiglie” in cui si tratta di promuovere “un’etica di non-violenza”. Si tratta di “educare i genitori ad allevare i loro figli senza violenza e in uno spirito di comunicazione e di rispetto reciproco.”
Per giungere a questo risultato, bisogna stabilire una legislazione perfettamente chiara. “Nei Paesi in cui la legislazione mette chiaramente al bando le punizioni corporali, essa invia un messaggio ai bambini.” “Questo divieto non ha provocato un’ondata di proteste nei confronti della giustizia, ma è servita a educare i genitori.” “La legislazione gioca un ruolo di catalizzatore per sopprimere l’idea che le punizioni corporali siano qualcosa di normale.”
Le raccomandazioni fatte agli Stati sono di vari ordini:
- intraprendere studi sulla violenza in famiglia, maltrattamenti e sevizie così da misurare la vastità e la natura di queste pratiche;
- adottare misure e politiche appropriate (in particolare l’interdizione delle punizioni corporali);
- contribuire a modificare i comportamenti attraverso l’educazione dei genitori sulle conseguenze delle punizioni corporali;
- in caso di violenza, effettuare indagini appropriate nel quadro di una procedura giudiziaria adattata ai bambini con l’imposizione di sanzioni ai loro autori;
- prendere misure per vigilare:
- sul sostegno ai bambini nelle procedure giudiziarie;
- sul recupero fisico e psicologico;
- sul reinserimento sociale delle vittime dei maltrattamenti;
- chiedere un’assistenza qualificata, in particolare all’UNICEF, all’OMS e alle ONG.
In questo modo gli Stati si sono obbligati da soli, forse senza rendersene sempre conto, a votare presto o tardi una legge di interdizione. E un buon numero di essi ha cominciato a prendere misure incoraggianti. La firma della Convenzione dunque è una grande data nella storia delle punizioni corporali e, forse, nella storia dell’umanità, se pensiamo all’influenza nociva che le punizioni hanno avuto fin qui sulla quasi totalità degli esseri umani. Ma perché queste leggi siano votate e poi applicate ovunque, la pressione dei cittadini e delle associazioni diventa indispensabile visto che gli uomini politici sono poco propensi a prendere misure impopolari e prive di vantaggi elettorali.
D’altronde, in Francia, malgrado l’art. 55 della Costituzione dica che una Convenzione ratificata dalle nostre autorità è superiore alla Legge della Repubblica, una sentenza della Corte di Cassazione del 10 marzo 1993, la sentenza Lejeune, afferma che
le disposizioni della Convenzione non possono essere invocate davanti ai Tribunali; questa convenzione, che crea degli obblighi solo in capo agli Stati membri, non è direttamente applicabile nel diritto interno.