CAPITOLO I

Breve storia della violenza pedagogica

Esistono punizioni corporali presso le scimmie?

Le madri bonobo1 non “puniscono” i loro cuccioli. Semplicemente li allontanano da eventuali pericoli. Esse ignorano altresì il gesto di picchiare, con il palmo della mano aperto. Quando alcune femmine trattano male i cuccioli, trascurandoli più che maltrattandoli, ciò pare avvenire, quasi sempre, perché loro stesse erano state abbandonate o trascurate nella loro infanzia. Il solo caso in cui intervengono aggressivamente verso i loro stessi piccoli è quando costoro, divenuti adolescenti o quasi adulti, importunano i loro fratelli più piccoli. Picchiare i bambini, quindi, non ha probabilmente nulla di istintivo. È un comportamento umano, culturale, acquisito per imitazione. Ed è un errore considerare il maltrattamento un comportamento bestiale; tale comportamento non rappresenta affatto la nostra parte animale.

Le società umane senza scrittura praticavano la punizione corporale?

I rari studi etnologici sull’infanzia paiono dimostrare che alcune tribù di cacciatori-raccoglitori praticavano le punizioni corporali, e altre no, e che le seconde erano più pacifiche delle prime.


Questo si verifica in tutti i continenti. Possiamo supporre che il comportamento dei primi uomini fosse assai simile a quello delle grandi scimmie e che pertanto non abbiano maltrattato i loro piccoli, proprio come non lo fanno i bonobo.


Ma più le società umane si sono evolute e hanno adottato dei comportamenti lontani da quelli propri innati (in particolare, forse, nel momento del passaggio all’agricoltura2), più gli uomini sono stati portati con la forza a imporre degli obblighi ai bambini, ad esempio a prove dolorose (riti crudeli di iniziazione, riti sacrificali) ai quali evidentemente i comportamenti biologici programmati non erano preparati. I genitori dovevano far uso della forza e della violenza per far capitolare le resistenze dei bambini.


In un secondo tempo, i bambini che avevano subìto questi trattamenti consideravano naturale e necessario, per coazione a ripetere, applicarli ai loro stessi figli.


La spirale della violenza “educativa” veniva così programmata sul piano comportamentale, nell’ambito dell’educazione, nel cervello stesso dei bambini che ne erano stati vittime.

Le prime grandi civiltà hanno praticato le punizioni corporali?

Non sembra esserci eccezione alcuna: presso i Sumeri o nell’antico Egitto e in Cina, nell’India antica e nell’America precolombiana, ad Atene e a Roma, i bambini venivano picchiati. La cultura orale, in seguito scritta, è arrivata a teorizzare ovunque questo comportamento, nei proverbi esistenti in tutti i continenti. Quelli che hanno avuto e hanno tuttora la maggiore influenza sono i proverbi biblici, attribuiti a Re Salomone. Per esempio: “La stoltezza è legata al cuore del fanciullo, ma il bastone della correzione l’allontanerà da lui.” (Proverbi, 22,15)3. E dato che si è creduto che questi proverbi fossero ispirati da Dio, la violenza educativa è stata sacralizzata: picchiare i bambini diventò un dovere religioso e per alcuni lo è ancora.


Questa quadrupla convalida (necessità di reprimere il bambino, ripetizione, cultura orale e scritta, sacralizzazione) spiega perché la violenza educativa sia diventata irremovibile da millenni.

I Vangeli raccomandano le punizioni corporali?

I Vangeli non parlano esplicitamente di punizioni corporali. Ma per Gesù il bambino non è più un essere imperfetto e vizioso che dev’essere corretto. È un modello da seguire e da rispettare in modo assoluto: “Il regno dei cieli assomiglia a loro” (Matteo, 19, 15). E colui che scandalizza uno di questi piccoli “sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare” (Matteo, 18, 6). Si può notare come questi due versetti siano ben poco compatibili con l’idea di correggere i bambini (correggere dei modelli?) e, a maggior ragione, rischiando di scandalizzarli impartendo loro esempi di violenza. Sembra che questa posizione rivoluzionaria non sia stata compresa. La lettera agli Ebrei, per lungo tempo attribuita a San Paolo, ha ripreso il concetto di Dio che punisce perché ama, a imitazione dei padri (Ebrei, 12, 7-8).


Sant’Agostino (354-430), uno dei più influenti Padri della Chiesa, nel primo capitolo delle sue Confessioni, ricorda sia le punizioni corporali subite a scuola, sia la derisione dei suoi genitori quando se ne lamentava. Ma considera che queste punizioni in definitiva siano state per lui benefiche, poiché la scuola gli ha permesso di incontrare Dio. Rifiuta, sempre nello stesso capitolo, l’idea che i bambini possano essere innocenti. Ha inoltre imposto al cristianesimo la credenza del peccato originale che è servita, in associazione ai proverbi biblici, da giustificazione supplementare alle punizioni corporali.


Una volta informati sugli effetti della violenza educativa, è assai facile anche capire perché le parole di Gesù sui bambini non sono state comprese. I suoi discepoli, verosimilmente allevati con la violenza come consigliano i Proverbi, e memorizzata nei loro neuroni come il miglior metodo educativo, non potevano letteralmente capire che le sue parole la rimettevano in discussione.

Chi sono stati i primi contestatori delle punizioni corporali?

Uomini e donne che non avevano subìto punizioni corporali ed erano quindi in grado di giudicarle inconcepibili, in tutte le epoche, devono aver disapprovato questa pratica. Ma è a Roma, nel primo secolo dopo Cristo, che troviamo le prime testimonianze scritte di una critica a questa usanza. Quintiliano (30-100) e Plutarco (46-120) denunciarono la violenza e anche la perversione dei maestri di scuola. Ignoriamo se le loro critiche abbiano avuto una qualsiasi influenza sui loro contemporanei, ma ne hanno avuta in Europa, molti secoli dopo, durante il Rinascimento.

Durante il Medio Evo i bambini venivano picchiati?

Nonostante le affermazioni di alcuni storici che vedono il Medio Evo come un periodo esemplare, molteplici documenti scritti e iconografici testimoniano l’uso delle punizioni corporali nelle scuole dell’epoca. Il maestro veniva quasi sempre raffigurato con in mano una verga. I documenti sono meno numerosi per ciò che concerne le famiglie, ma tutto porta a pensare che nell’Europa cristiana medievale i bambini venissero picchiati così come dappertutto. Isolate proteste probabilmente non ebbero alcun effetto pratico. “Era una società che non ha mai amato i bambini”, dice lo storico Philippe Ariès.

Cosa cambia per i bambini nel Rinascimento?

Nel XV e XVI secolo, vengono riscoperti i testi greci e latini e, tra di essi, quelli di Quintiliano e Plutarco sopra citati. Montaigne, educato con dolcezza da suo padre, poté percepire la crudeltà dei metodi scolastici, e anche lui denunciava le punizioni corporali nelle scuole. “Come sarebbero molto più decorose, cosparse di fiori e foglie, le loro classi, piuttosto che di sanguinanti ramoscelli di salice!”. Fa eco il grande umanista Erasmo: “Non si direbbe una scuola, ma una camera di tortura: si odono solo colpi di bacchette, sibili di verghe, grida e singhiozzi e minacce spaventose”. Il prestigio di questi umanisti probabilmente ha portato alcuni tra i loro lettori a rimettere in discussione le punizioni corporali, ed è cominciata una lenta evoluzione.

Cosa cambia con la Riforma?

Purtroppo per i bambini, nel momento stesso in cui venivano riscoperti i testi greci e latini, ci si metteva altresì a leggere la Bibbia nel testo originale, e a cercare di applicarlo alla lettera. E in materia di educazione, questa insegna soprattutto a picchiare i bambini! Il protestantesimo ha dunque largamente diffuso l’idea che bisogna battere i bambini per la salvezza della loro anima. I Paesi per lungo tempo sottomessi all’influenza inglese ne sono ancora profondamente segnati. Il Nuovo Mondo, in questo campo, ha seguito il Vecchio con una fedeltà che si tramanda fino ai giorni nostri negli Stati Uniti e in Canada.

Cosa portò l’insegnamento cattolico?

Dal XVI al XVIII secolo, benché fossero ancora praticate in modo diffuso le punizioni corporali, l’insegnamento cattolico fu più moderato rispetto al costume protestante. I principali ordini religiosi consacrati all’educazione (Gesuiti e Fratelli delle Scuole Cristiane) e i principali teorici dell’educazione, anziché appoggiarsi ai proverbi biblici, cercarono di ridurre per quanto possibile l’uso delle punizioni corporali. Contribuirono dunque a far evolvere il pensiero in questo campo per ciò che riguarda la scuola. Ma non si sono mai pronunciati sull’educazione familiare. Di conseguenza: i maestri, un tempo loro stessi bambini picchiati, non mettevano in pratica i consigli sulla moderazione, perché la coazione a ripetere è molto più forte dei precetti teorici moderati.

Cosa cambia con Rousseau?

Nel suo Emilio (1762), Rousseau consiglia ai precettori di “non infliggere nessun tipo di punizione ai bambini”, ma la sua condanna non è assoluta e, in una nota, consiglia di “restituire le botte con gli interessi” a un bambino che si azzardasse a colpire un adulto. Le sue Confessioni parlano a lungo della sua infanzia e dell’effetto devastante prodotto in lui da una sculacciata ricevuta e che lo rese masochista. Le sue idee sull’educazione influenzarono un gran numero di pedagoghi (Pestalozzi, Froebel, Maria Montessori) le cui opere hanno orientato l’educazione nella direzione di un sempre maggior rispetto nei confronti del bambino. E il suo racconto autobiografico condusse un gran numero di scrittori a raccontare la propria infanzia e, spesso, a ricordare ciò che avevano subìto. Allora poté aver luogo un accenno di presa di coscienza.


Ciò nonostante, se nel XIX secolo la letteratura rievocava assai spesso le punizioni corporali, si trattava nella maggioranza dei casi di quelle impartite dai maestri o dalle matrigne. Bisognerà attendere L’enfant [Il fanciullo] di Jules Vallès (1879) per incontrare uno scrittore che rievocava a lungo le botte ricevute dai propri genitori. Fino ad allora, appena 125 anni fa, con le punizioni corporali all’interno delle famiglie, in uso da millenni, questo soggetto era tabù. Non che fosse vietato parlarne, ma nessuno si azzardava a farlo a causa di quella stessa forza che oggi fa sì che si continuino a non prendere sul serio gli effetti della violenza educativa.

Quand’è che lo stato interviene per la prima volta?

Nel 1793 la Polonia è il primo Paese che vieta le punizioni corporali nelle scuole. Nel 1834, per la prima volta in Francia, Guizot promulga uno statuto universitario il cui articolo 29 afferma: “gli allievi non potranno mai essere picchiati”. Divieto confermato nel 1887.

Ma per quel che riguarda la famiglia, si deve attendere fino al 1979 perché un Paese, la Svezia, vieti l’uso delle punizioni corporali. Altri 32 Stati, per la maggior parte europei, l’hanno seguita, introducendo uno specifico articolo nel codice penale, attraverso una legge, o ancora grazie a una decisione della Corte suprema del Paese. Questi stati sono: Finlandia (1983), Norvegia (1987), Austria (1989), Cipro (1994), Danimarca (1995), Italia (1996), Lettonia (1998), Croazia (1999), Israele (2000), Germania (2000), Islanda (2003), Ucraina (2004), Romania (2004), Ungheria (2005), Grecia (2006), Paesi Bassi (2007), Nuova Zelanda (2007), Portogallo (2007), Uruguay (2007), Venezuela (2007), Spagna (2007), Togo (2007), Costa Rica (2008), Moldavia (2008), Lussemburgo (2008), Lichtenstein (2008), Polonia (2010), Tunisia (2010), Kenya (2010), Repubblica del Congo (2010), Albania (2010), e Sudan del Sud (2011). In alcuni di questi Paesi, in particolare in quelli scandinavi, il divieto di legge è stato accompagnato da importanti campagne di informazione, compresa una diretta alle minoranze etniche, e con misure di assistenza per genitori in difficoltà.

Come si pronuncia la giustizia nelle questioni riguardanti i maltrattamenti all’infanzia?

A lungo in Francia vi è stata una grande indulgenza nei riguardi dei genitori, anche nei casi di omicidio, fino al 1914. Le condanne rimanevano lievi, d’altronde anche nei casi di violenza sessuale.

“Bisogna attendere gli anni ’20, scrive Jean-Claude Caron4, perché la repressione delle violenze sui bambini incontri una crescente presa di coscienza; le condanne restavano ancora leggere”. E secondo Jacques Trémintin, operatore nel sociale e giornalista, come scrive nel suo sito: “vi era condanna della violenza unicamente quando emergeva una deliberata volontà di dare la morte (con le percosse, per mancanza di cure, malnutrizione)”. Ma aggiunge che anche in questi casi, “fino al 1914, giudici e giurie diedero prova di straordinaria clemenza di fronte ai genitori assassini”.

È poi sintomatico constatare come appena due anni dopo la circolare del Ministero dell’Istruzione del 1887 che vietava le punizioni corporali a scuola, la Corte di Cassazione, dal febbraio 1889, riconosceva a maestri ed educatori un diritto di correzione pari a quello attribuito ai genitori. Schiaffi e ceffoni divennero quindi tollerati nella misura in cui non si cadesse in eccessi e la salute del bambino non fosse compromessa. Questo parere è stato confermato di recente. Un gruppo di genitori ha querelato un maestro elementare che tirava i capelli e le orecchie ai suoi alunni e li prendeva a schiaffi. La Corte d’Appello di Caen ha infine dato torto ai genitori il 7 luglio 1982: “È certo che calci nel sedere, spinte, tirate di orecchie o di capelli, scappellotti, schiaffi e anche colpi di riga quando tali violenze fossero commesse dai genitori non sarebbero considerate eccedenti il loro diritto di correzione allorché non ne derivasse non solo nessuna conseguenza medica, ma neanche alcuna traccia apparente che dimostri una brutalità eccessiva.” Vediamo qui che la Corte d’Appello, molto significativamente, riconosce agli insegnanti il diritto di picchiare facendo leva, appunto, sul diritto di picchiare che i genitori continuano a riconoscere per se stessi.

Quand’è che la scienza medica inizia a preoccuparsi degli effetti delle percosse?

È all’inizio del XVIII secolo, e poi soprattutto nel XIX, che i medici cominciano a sconsigliare vivamente le punizioni corporali, nel quadro di un movimento generale in favore della nozione di igiene (dalla parola greca hugieinon: salute). D’altra parte, nel XIX secolo, i medici legali francesi attirano l’attenzione sui bambini vittime di maltrattamenti fisici e abusi sessuali. Ma si trattava di casi estremi che avevano condotto alla morte e questi studi non mettevano in questione le punizioni corporali che subiva la maggioranza dei bambini.

Bisognerà attendere la seconda parte del XX secolo per veder crescere il numero dei medici e soprattutto dei pediatri che sconsigliavano l’uso di tali punizioni. In particolare il caso di Françoise Dolto. Oggi i manuali di puericultura in vendita nei supermercati sconsigliano in generale schiaffi e sculacciate. Ma alcuni autori, sovente influenzati dalla psicoanalisi, consigliano ancora le percosse.

Qual è la posizione dell’Europa come istituzione?

Il 24 giugno 2004, l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha chiesto con 37 voti contro 3 a tutti i governi europei di decretare, nella loro legislazione nazionale, un divieto assoluto delle punizioni corporali sui bambini. Essa afferma: “L’eliminazione delle punizioni corporali suppone l’adozione o l’esistenza di una legislazione che vieti espressamente queste pratiche, accompagnata da un’azione di sensibilizzazione al diritto dei bambini ad essere protetti e di promozione di forme positive, non violente, di disciplina”.

Qual è il contributo della Convenzione relativa ai diritti dell’infanzia?

Votata il 20 novembre 1989 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Convenzione dei diritti dell’infanzia è di grande speranza. Il suo articolo 19 chiede a tutti gli Stati di proteggere il bambino “contro qualsiasi forma di violenza”. Il Comitato dei diritti del bambino, davanti al quale ciascuno Stato deve presentare ogni cinque anni un rapporto sul modo in cui rispetta questa Convenzione, precisa con chiarezza che gli Stati membri devono prendere misure per vietare non solo i maltrattamenti punibili dai tribunali, ma anche le punizioni corporali più comuni come sculacciate, sberle, ceffoni.


Il Comitato dunque difende il diritto dell’infanzia all’integrità fisica “senza ammettere alcun grado di violenza contro i bambini”. Bisogna “applicare alla lettera il paragrafo 1 dell’articolo 19 della Convenzione”. “Anche un ricorso limitato alla forza fisica, per esempio una pacca, può essere il primo passo sul cammino di un vero e proprio maltrattamento”. Come ha sottolineato un membro del Comitato al delegato della Gran Bretagna: “per fare un’analogia, nessuno oserebbe sostenere che un ‘livello ragionevole’ di violenza nei riguardi delle donne possa essere permesso”. “Ciò che occorre è bandire completamente le punizioni corporali” così come “le altre forme di disciplina umilianti o troppo frequenti in seno alla famiglia, a scuola o in altre istituzioni, (che) non sono compatibili con la Convenzione”. “I metodi utilizzati per educare il bambino devono escludere qualsiasi trattamento offensivo, brutale, grezzo o degradante, qualsiasi umiliazione e qualsiasi sfruttamento”.


Con questo

modo innovativo di combattere la violenza subita dai bambini, la Convenzione e il Comitato offrono nuove speranze di ridurre innumerevoli forme di violenza una volta divenuti adulti, che mettono in pericolo la sicurezza delle persone.


La speranza in effetti è quella di “interrompere la spirale della violenza che si ripete spesso di generazione in generazione, invocando la tradizione e il costume”. “Se la società vuole risolvere il problema della violenza”, ivi compreso quello della violenza politica giacché “i bambini sottoposti a tali trattamenti non diventano spesso dei buoni cittadini”, “l’azione necessaria deve essere intrapresa il prima possibile nelle famiglie” in cui si tratta di promuovere “un’etica di non-violenza”. Si tratta di “educare i genitori ad allevare i loro figli senza violenza e in uno spirito di comunicazione e di rispetto reciproco.”


Per giungere a questo risultato, bisogna stabilire una legislazione perfettamente chiara. “Nei Paesi in cui la legislazione mette chiaramente al bando le punizioni corporali, essa invia un messaggio ai bambini.” “Questo divieto non ha provocato un’ondata di proteste nei confronti della giustizia, ma è servita a educare i genitori.” “La legislazione gioca un ruolo di catalizzatore per sopprimere l’idea che le punizioni corporali siano qualcosa di normale.”


Le raccomandazioni fatte agli Stati sono di vari ordini:


  1. intraprendere studi sulla violenza in famiglia, maltrattamenti e sevizie così da misurare la vastità e la natura di queste pratiche;
  2. adottare misure e politiche appropriate (in particolare l’interdizione delle punizioni corporali);
  3. contribuire a modificare i comportamenti attraverso l’educazione dei genitori sulle conseguenze delle punizioni corporali;
  4. in caso di violenza, effettuare indagini appropriate nel quadro di una procedura giudiziaria adattata ai bambini con l’imposizione di sanzioni ai loro autori;
  5. prendere misure per vigilare:
    - sul sostegno ai bambini nelle procedure giudiziarie;
    - sul recupero fisico e psicologico;
    - sul reinserimento sociale delle vittime dei maltrattamenti;
  6. chiedere un’assistenza qualificata, in particolare all’UNICEF, all’OMS e alle ONG.


In questo modo gli Stati si sono obbligati da soli, forse senza rendersene sempre conto, a votare presto o tardi una legge di interdizione. E un buon numero di essi ha cominciato a prendere misure incoraggianti. La firma della Convenzione dunque è una grande data nella storia delle punizioni corporali e, forse, nella storia dell’umanità, se pensiamo all’influenza nociva che le punizioni hanno avuto fin qui sulla quasi totalità degli esseri umani. Ma perché queste leggi siano votate e poi applicate ovunque, la pressione dei cittadini e delle associazioni diventa indispensabile visto che gli uomini politici sono poco propensi a prendere misure impopolari e prive di vantaggi elettorali.


D’altronde, in Francia, malgrado l’art. 55 della Costituzione dica che una Convenzione ratificata dalle nostre autorità è superiore alla Legge della Repubblica, una sentenza della Corte di Cassazione del 10 marzo 1993, la sentenza Lejeune, afferma che 


le disposizioni della Convenzione non possono essere invocate davanti ai Tribunali; questa convenzione, che crea degli obblighi solo in capo agli Stati membri, non è direttamente applicabile nel diritto interno.

Cosa dimostra la storia delle punizioni corporali?

Che la violenza si tramanda dai genitori ai figli, di generazione in generazione, e che ciò potrà durare ancora molto a lungo. In un Paese come la Francia, ci sono voluti circa da un secolo e mezzo a due secoli perché la soglia di tolleranza alla violenza educativa si abbassasse dalla bastonata allo schiaffo e alla sculacciata. Ma nella maggior parte dei Paesi la soglia di tolleranza va ancora al di là della bastonata. A questo ritmo, prima che i bambini vengano rispettati come se fosse un bisogno vitale, il surplus di violenza inoculata nella società dalla pratica delle punizioni corporali rischia di distruggere l’umanità e il pianeta. Sono dunque indispensabili delle decisioni politiche affinché più nessuno possa ignorare il carattere distruttivo delle punizioni corporali quali che siano e affinché i genitori beneficino di un aiuto nel loro compito educativo.


In attesa che le leggi abbiano vietato ovunque tale usanza, ciascuno può per lo meno interrompere questa catena di violenza sui propri figli e partecipare alle azioni intraprese per l’interdizione della violenza educativa.

La sculacciata
La sculacciata
Olivier Maurel
Perché farne a meno: domande e riflessioni.Le punizioni corporali sono dannose per il corpo e la psiche del bambino. Ma è possibile educare senza picchiare? Se sì, come? Le punizioni corporali sono pericolose per i bambini, in quanto le conseguenze della violenza rimangono permanenti sul corpo e nella psiche.Nel più lungo periodo, inoltre, molti studi dimostrano come questa pratica sia un fattore importante nello sviluppo di comportamenti violenti e sia associata ad altri problemi durante l’infanzia e nella vita. Come possiamo educare i bambini che mostrano un temperamento più aggressivi?Del resto, è stato forse dimostrato che schiaffi e sculacciate rendono più obbedienti i bambiniMigliorano forse l’apprendimento?La sculacciata di Olivier Maurel è una guida che ci permette di aprire gli occhi senza colpevolizzarci, rispondendo con chiarezza a queste e a molte altre domande. La prefazione è curata dalla celebre psicologa e psicanalista Alice Miller. Conosci l’autore Olivier Maurel è nato a Toulon nel 1937. Professore di Lettere al liceo Dumont d’Urville dal 1965 al 1997, è padre di cinque figli.Cresciuto in una famiglia numerosa, le letture dei libri di Alice Miller hanno accresciuto il suo interesse per il tema della violenza educativa, portandolo ad approfondirne le numerose ripercussioni sulla salute psico-fisica dei bambini e sul loro sviluppo. A partire dagli anni ’60, poi, si è fatto promotore di numerose battaglie sociali contro la violenza nel mondo e il traffico di armi.Ha fondato l’associazione Oveo (Osservatorio sulla violenza educativa ordinaria), con lo scopo di descrivere tutte le forme di violenza comunemente accettate in tutto il mondo, a scuola e in famiglia.