seconda parte

Africa

Dato che l’Africa è in gran parte francofona, è proprio di questo continente che mi è stato possibile riunire il maggior numero di informazioni. Non bisogna trarre la conclusione che gli africani siano particolarmente violenti. Più semplicemente, non ho potuto ottenere lo stesso numero di dati e informazioni sull’America o sull’Asia. D’altra parte vedremo che un buon numero di informazioni qui sotto provengono proprio da fonti africane, e sono il segno di una presa di coscienza della gravità del fenomeno della violenza educativa.

Per prima cosa, alcune informazioni generali. In un libro collettivo sul maltrattamento psicologico3 Ferdinand Ezembé, psicologo del Togo, colloca la violenza educativa nel suo contesto culturale:

Con riferimento all’educazione del bambino, nelle società africane esiste la credenza abbastanza diffusa che sia necessario preparare il bambino a vivere in un ambiente che sarà ostile fisicamente e psicologicamente4. (…)
Le punizioni corporali, quindi, fanno parte della normale educazione dei bambini, e vengono perpetrate e rese legittime dalle autorità amministrative, giudiziarie e scolastiche. I genitori che non le impartiscono vengono considerati lassisti, cioè rinunciatari. Secondo un proverbio dei Bassas del Camerun, se vuoi educare bene tuo figlio trattalo come uno schiavo. Gli africani considerano che le punizioni fisiche abbiano un valore pedagogico. (…) Tra gli Wolof del Senegal le parole educazione e bastone sono indicate dallo stesso sostantivo: Yar5. Per non dover provare dei sentimenti nei confronti dei propri figli, gli Wolof affidano la loro educazione a uno zio o a un marabutto, poiché secondo uno dei loro proverbi “lo straniero non ha pietà”. (…) Le pratiche di violenza sui bambini prendono forme più gravi in particolare per i giovani delinquenti. Nel Senegal i bambini di strada vengono chiamati “rifiuti umani”. Michel Galy (1995) riferisce che in Zaire alcuni passanti spengono le sigarette sui corpi dei bambini di strada addormentati: dicono per “insegnargli a vivere”. Questi bambini spesso vengono “picchiati dai poliziotti con metodo e crudeltà come un rituale per esorcizzare le cattive inclinazioni”.

Un altro africano, il giornalista Ousmane Thiény, dal canto suo deplora che

un bambino (possa) essere oggetto di correzioni corporali da parte di qualsiasi abitante del villaggio, o vicino prossimo, se questa persona giudica che abbia commesso una grave mancanza dei propri doveri. Può trattarsi del rifiuto di salutare o della sua omissione, del rifiuto di fare una commissione, un insulto volgare verso persone anziane, ecc.

Da parte sua, Boubacar Issa Camara, ex insegnante, ex responsabile dell’istruzione e della salute al ministero nigeriano della Salute Pubblica, descrive in questi termini la situazione generale in Africa (Cahiers de la Réconciliation n. 4, 2000). Innanzi tutto riconosce che

la pratica della violenza nell’educazione in Africa rappresenta (…) un grande pregiudizio fatto ai giovani. Al primo livello della scuola coranica il bambino, a partire dai 3, 4 anni, è stato più o meno vittima di punizioni corporali, certo non gravi. Il “marabutto”, l’educatore, fa molto spesso il giro del cerchio che gli allievi formano con in mano un frustino; guai a quello che non riesce a recitare la sua sura. La paura del maestro, lo stress che l’allievo vive al passaggio dell’insegnante è tale che alcuni arrivano a perdere il controllo degli sfinteri. Fortunatamente le cose stanno migliorando con l’arrivo di giovani professori usciti dalle università, più moderni, più istruiti, meglio formati dal punto di vista pedagogico. In tal modo, questa situazione sta diventando sempre più solo un lontano ricordo.

Ma risulta probabilmente emblematico della soglia di tolleranza molto alta riguardo alle punizioni corporali in Africa il fatto che Boubacar Issa Camara considera come “senza gravità” colpi di frustino la cui paura porta i bambini a urinarsi o defecarsi addosso!


Prosegue:

La scuola moderna europea non è strutturata meglio di quella coranica per ciò che concerne il comportamento degli insegnanti. La pratica della violenza, sia verbale che fisica, è un fenomeno conosciuto, anche se sempre meno presente. Esistono ancora, purtroppo, maestri che non esitano a somministrare dei colpi agli allievi che non abbiano appreso la lezione. La reazione del maestro può anche essere solo verbale, ma non per questo meno nefasta. L’insegnante tratta i suoi alunni da “tarati” e si burla ostentatamente di quelli che hanno difficoltà nell’apprendimento. Gli alunni vengono picchiati, insultati, rimandati a casa prima della fine delle lezioni, perché non hanno ramazzato il giardino prima di rientrare in classe.

Poi Boubacar Issa Camara dà alcuni esempi di violenze:

Il bambino viene messo in ginocchio per un’ora ai piedi della lavagna perché non ha imparato la lezione. Questa posizione è talmente dolorosa che l’alunno, tremante in tutto il corpo, coperto di sudore, con le lacrime che scendono dagli occhi rossi, è pronto a gridare ‘aiuto’. L’allievo viene costretto a stare davanti al sole con gli occhi spalancati. Conoscendo l’intensità dei raggi del sole in Africa, possiamo immaginare il dolore che può provocare questa posizione al bambino. Non solo per il suo morale, ma soprattutto per la sua salute fisica. Altre punizioni: il bambino viene fatto accovacciare, con le braccia passate sotto alle ginocchia e tenendosi le orecchie. E non deve accadere che il sedere tocchi terra.

Nel suo libro L’Enfant Noir, lo scrittore africano Camara Laye racconta il trattamento da lui subìto, da parte di scolari più grandi, incaricati dal direttore della scuola di far ramazzare agli allievi più giovani le foglie che ricoprivano il cortile della scuola:

Vedendo che il lavoro non procedeva come si aspettava il direttore, i grandi, piuttosto che impegnarsi assieme a noi, trovavano più comodo staccare dei rami dagli alberi e frustarci. Questi alberi di goyavier risultavano più flessibili di quanto sperassimo; ben maneggiato, il ramo sibilava duramente, e sembrava che le nostre schiene andassero a fuoco. La pelle bruciava crudelmente; le lacrime sgorgavano dai nostri occhi e cadevano sul cumulo di foglie marce.

Una etnologa, la signora Ortigues, che fa parte di un’associazione che si occupa dei bambini di strada africani, racconta, sul sito della sua associazione, quello che subiscono gli allievi di alcune scuole coraniche, dove i bambini vengono mandati sulla strada a chiedere l’elemosina:

Se il bambino non porta soldi, viene duramente picchiato; questo può comportare fino a cento colpi con i cavi elettrici. Abbiamo verificato il caso di un bambino di otto anni che ne è morto […]. Molti dei bambini che ho intervistato mi hanno detto con fierezza ‘mio padre mi picchia per bene’.

Anche alcuni proverbi africani sono significativi: quando i genitori affidano il figlio come apprendista a un maestro, a volte gli dicono: “A lei la carne, a noi le ossa”, frase che significa un’autorizzazione a picchiare fino a un certo limite. Capita a volte che i genitori che arrivano a scuola dicano: “Tu ammazzalo, io lo sotterro”. Oppure: “La capra non cammina senza bastone”.


Possiamo capire il grido di Ousmane Thiény, giornalista africano, che in un vibrante appello a rinunciare alle punizioni corporali, “crimine contro l’infanzia”, scrive: “Al detto “Chi ama molto picchia molto” bisogna opporre “Chi ama molto protegge di più”.

Africa del Nord

I rapporti degli Stati si caratterizzano da un ottimismo davvero angelico. “In famiglia mai delle sevizie”, “i bambini crescono in un clima di affetto”, “gli abusi sono molto rari”. Ma la realtà sembra molto diversa.


Il rapporto marocchino ad esempio, assicura che “il problema (delle punizioni corporali) è legato a un livello di sviluppo economico e sociale e anche a fattori regionali”.


Invece da La Prisonnière di Malika Oufkir (tascabile), apprendiamo che anche il re, per cui difficilmente si può chiamare in causa “il livello di sviluppo economico e sociale”, l’ha sottoposta per una sciocchezza al supplizio della falaka, che consisteva nel colpirle la pianta dei piedi a colpi di bastone mentre uno schiavo la costringeva a stare distesa sulla schiena. Anche lo stesso re Hassan II, nelle sue Memorie, scrive:

Fino all’età di dieci, dodici anni, ho ricevuto dei colpi di bastone ed ero felice che fosse mio padre ad impartirmeli piuttosto che qualcun altro (…) Sapete che ancor’oggi nelle scuole coraniche, il faqih (maestro di scuola tradizionale) ha sempre con sé un bastone. Di solito lo usa sui polsi. Anch’io ho dato prova della stessa severità genitoriale con i miei figli, e grazie a Dio, non ho avuto problemi di educazione con loro. Non bisogna mai applicare la logica con un bambino poiché gli chiedereste un ragionamento troppo difficile per il suo animo e di cui non sempre capirebbe la finalità. Quando ragionate con lui, egli pensa che stiate tentando di negoziare. In definitiva, a quell’età è necessario, come diceva Pascal, piegare la macchina, inebetirlo. Solo più in là potrà comprendervi e non interpreterà più questa discussione come una prova di debolezza.

La punizione della falaka veniva inferta a scuola, agli inizi degli anni Ottanta (testimonianza di uno studente marocchino). Un sistema di lacci girevoli serviva a bloccare su di una sbarra di legno le caviglie degli allievi puniti, a cui il maestro poteva picchiare le piante dei piedi a suo piacimento. Praticata da un padre sul figlio nel film tunisino Halfaouine, l’enfant des terrasses, probabilmente è una pratica comune in tutto il Maghreb. Applicato ai prigionieri, giustamente questo metodo è stato denunciato. Perché nessuno ne parla quando viene applicato ai bambini?


La falaka veniva praticata anche da famiglie ebree in Tunisia, in un modo molto ritualizzato, spesso dal padre e dal rabbino contemporaneamente, ciascuno su un piede del bambino.


Il 30 giugno 2002, il giornale “Libération” di Casablanca ha pubblicato i risultati di uno studio effettuato da una ONG e pubblicato dall’UNICEF su bambini dai 3 ai 15 anni. Ne risultava che il 72% degli studenti marocchini subiva punizioni corporali. Un’altra percentuale, derivata forse dalle domande poste ai bambini, era dell’85%, e ciò malgrado il divieto formale delle punizioni corporali nelle scuole. Dopo aver presentato questo rapporto, il rappresentante dell’UNICEF si è augurato l’instaurarsi di una scuola “amica dei bambini”.


In Tunisia, Paese che ha vietato le punizioni corporali in famiglia nel 2010, un’inchiesta realizzata dai pediatri su 70 genitori rappresentativi della popolazione di cultura tradizionale nella regione di Sousse ha rivelato che l’80% di loro era stato picchiato durante l’infanzia. Il 64% pensava che fosse stata una buona cosa per la propria educazione. Gli autori dell’inchiesta aggiungevano: “Picchiare il bambino, come picchiare la donna, è considerata una cosa scontata” e dicevano di aver raccolto molti proverbi che vantavano i benefici del bastone.

Africa dell’Ovest

I rapporti mostrano che le punizioni corporali sono applicate nella maggior parte degli Stati, sia all’interno delle famiglie sia a scuola. Il Benin, il Mali e il Senegal, che ufficialmente le hanno vietate a scuola, riconoscono che in effetti “i comportamenti sociali tradizionali continuano ad incoraggiare il ricorso a tali punizioni” e “la punizione corporale non è vietata in Senegal poiché la società senegalese considera che, se l’educazione dev’essere efficace, le misure punitive vanno consentite”. L’articolo 235 del codice della famiglia autorizza colui che esercita la patria potestà a infliggere correzioni e rimproveri nella misura compatibile con l’età e con la correzione della condotta del bambino. Uno studio condotto in un ospedale del Senegal6 ha constatato poca violenza solo verso i lattanti. La maggior parte dei bambini esaminati hanno tra gli 11 e i 15 anni (70,45%), soprattutto di sesso maschile (57,95%) e nella maggior parte dei casi sono colpiti da lesioni al cranio (40,74%). Ferdinand Ezembé che ha stilato il rapporto di questi fatti segnala inoltre che il 36% degli insegnanti ammette di ricorrere ancora all’utilizzo delle punizioni corporali per punire i bambini. Le “misure punitive” consistono, in alcune scuole, nell’incatenare i bambini, con i ferri ai piedi, a volte per parecchi mesi, e introdurgli braci ardenti nelle orecchie, cosa che pruduce la bruciatura del timpano. Nel Mali, un’inchiesta in quattro scuole primarie e quattro collegi ha mostrato che il 39% delle allieve avevano subìto punizioni corporali. In Niger, da uno studio condotto in una clinica di oftalmologia, il 26,4% dei traumi oculari trattati erano dovuti agli schiaffi ricevuti da donne e bambini.

In Niger, dopo il rapporto di organizzazioni non governative e associazioni sull’applicazione della Convenzione sui diritti del bambino (settembre 2001), la protezione contro i maltrattamenti è un diritto riconosciuto dalla Costituzione e il Codice Penale protegge per principio il bambino contro qualsiasi forma di sevizia o di violenza. 

Tuttavia, la punizione corporale è ancora praticata in seno alla famiglia e a scuola, e i ricorsi alla giustizia contro tali trattamenti sono quasi inesistenti. Lo stesso dicasi per i casi di ragazzine date in matrimonio con la forza, che subiscono forme di violenza morale e fisica”. Il delegato del Togo “assicura che gli insegnanti e i genitori hanno preso coscienza di questo problema e ricorrono a punizioni corporali – molto leggere – solo in rare occasioni.

Tuttavia la testimonianza di una religiosa di questo Paese non conferma questo ottimismo:

Molti genitori attribuiscono la propria riuscita personale alla quantità di botte e altre sevizie in uso alla loro epoca. È difficile cercare di fornire una percentuale dei genitori che usano le punizioni corporali per educare i figli. Non è ancora possibile concepire l’educazione senza il loro uso. I bambini maggiormente picchiati con violenza sono le piccole serve (dai 6 ai 15 anni) e i giovani apprendisti (dai 9 ai 17 anni). (…) Capita di vedere, in alcune chiese, adulti muniti di bastone per mantenere l’ordine tra i gruppi di bambini. Ci vorrà ancora tempo perché il dialogo, la comprensione, e l’affetto prendano il posto del bastone.

Un’inchiesta della Federazione Internazionale per i Diritti del Bambino (FIDE), giunge alla conclusione di una percentuale del 96% di bambini sottoposti a violenza educativa. Questa organizzazione nel marzo del 2004 ha avviato una campagna contro le punizioni corporali: attraverso la diffusione di un manifesto contro la violenza educativa, la diffusione di questo libro, e interventi in televisione.


Nel Ghana le punizioni corporali sono “istituzionalizzate” “come mezzo di disciplina nelle scuole” e il manuale degli insegnanti li autorizza a ricorrere, come misura disciplinare, a colpi di canna. Lo stesso manuale, pubblicato dal Ministero dell’Istruzione, precisa che le punizioni corporali possono essere inflitte come ultima risorsa, anche se vengono descritte, per invitare gli insegnanti a utilizzarle, alcune misure disciplinari differenti da quelle corporali. Il delegato del Ghana aggiunge inoltre: 

Abbiamo letto di recente sui giornali che bisognerebbe ripristinare tali punizioni in vigore in alcune scuole. Tuttavia sono stati fatti degli sforzi per condurre il ministero dell’educazione a prendere coscienza che tali pratiche confliggono con la Convenzione relativa ai diritti del bambino. Non possiamo imporre delle regole vincolanti alle istituzioni scolastiche. L’unica soluzione possibile è quella di perorare in favore di tale o talaltro punto di vista, sperando che esse vi prestino attenzione. Nel passato, qualsiasi scolaro poteva essere preso a bacchettate da un maestro. In seguito alle proteste, è stato deciso che solo il direttore scolastico fosse abilitato a somministrare le bacchettate, restando inteso che le circostanze della questione sarebbero state debitamente registrate e approvate dagli ispettori”. Il delegato del Ghana riconosce che “le punizioni corporali purtroppo sono ricorrenti in Ghana quando non siano anche incoraggiate.

L’articolo 41 a) del Codice Penale di questo Paese autorizza i genitori di un bambino o la persona che se ne occupa a infliggergli violenze fisiche “in misura ragionevole”. Benché, come sottolinea uno dei membri del Comitato, “la maggior parte dei casi di maltrattamento trovi la loro origine nel ricorso alla forza a fini educativi”, e che “gli effetti pregiudizievoli delle punizioni corporali non siano più da dimostrare”.


In Guinea, il codice penale proibisce ufficialmente la punizione corporale ma, nel corso della medesima seduta, il delegato della Guinea segnala che la punizione corporale è stata effettivamente proibita “in quasi tutte le scuole pubbliche e private” (seduta del 27 gennaio 1999), cosa che rende più relativa la prima affermazione. Il delegato di Guinea riconosce che “la violenza è un problema che causa molta preoccupazione nella società guineana: è necessario far capire ai genitori che qualsiasi bambino allevato in un’atmosfera di violenza inevitabilmente diventa violento e che per vivere una vita prospera e felice i bambini devono crescere in un ambiente pacifico”. Il suo governo farà degli sforzi per introdurre “un sentimento di armonia e di equilibrio nella vita famigliare guineana”.


In Sierra Leone, secondo il delegato del Paese (seduta del 20 gennaio 2000) “la punizione corporale non è molto praticata attualmente. Nelle scuole, nessun insegnante, eccetto il Preside, è autorizzato a infliggere tale punizione e solo insegnanti donne possono infliggerle alle studentesse.” In realtà, come afferma il Comitato, “le punizioni corporali rimangono un comportamento generalizzato” nelle famiglie e a scuola. E così nel maggio 1997, con il pretesto di un aumento della criminalità dovuta all’influenza della musica e del cinema americani, gli studenti che seguivano la moda americana, si facevano la treccia ai capelli o portavano gli orecchini, venivano pubblicamente frustati prima di essere rimandati a casa.

Africa dell’Est

In questa regione, gli atteggiamenti dei governi sono molto contrastati. Il Kenya ha vietato le punizioni corporali nelle scuole e un altro Paese, la Tanzania, è sul punto di farlo, malgrado la resistenza della popolazione e spesso degli insegnanti. Troviamo la stessa resistenza in Zambia dove non si vuole “imitare le abitudini degli Occidentali che hanno problemi con i loro delinquenti”. La Tanzania, nel suo rapporto del 1994, affermava che il governo aveva avviato la creazione di un movimento africano per la prevenzione e la protezione contro i maltrattamenti inflitti ai bambini, cosa che sembrava testimoniare di una certa coscienza del problema. Menzionava inoltre che “la violenza delle famiglie” era una delle cause del fatto che molti bambini vivevano in strada o venivano messi a lavorare malgrado la giovanissima età. In seguito, la presa di coscienza sembra essersi precisata, visto che nel dicembre 1997 l’agenzia di stampa cinese Xinhua segnalava che 

le autorità (di Tanzania), che hanno siglato la Carta dei diritti del bambino, hanno preso coscienza degli effetti traumatici delle punizioni corporali e degli abusi evidenti ai quali conduce inevitabilmente il permesso di picchiare accordato agli insegnanti. In tal modo, i partecipanti ad un laboratorio sulle punizioni corporali nelle scuole primarie hanno constatato che i bambini venivano picchiati per infrazioni come i ritardi all’ingresso in classe, le risposte sbagliate o il fatto di non portare l’uniforme. Molti bambini erano stati puniti anche perché i loro genitori non avevano potuto pagare la retta scolastica, o ancora senza motivo alcuno.

Le ultime notizie (marzo 2000) riportano che il governo sarebbe sul punto di sopprimere le punizioni corporali nelle scuole. In Tanzania il rapporto del governo riconosce che “la violenza nelle famiglie” porta molti bambini sulla strada o a lavorare malgrado l’età: non osano più tornare a casa.


Il rapporto delle Comore dà un’idea della violenza delle punizioni praticate in certe scuole coraniche: Gli “studenti cattivi” vengono condotti attraverso il villaggio, “seminudi, col viso e il corpo cosparso di fango e di nero fumo, con una collana di conchiglie attorno al collo (…). Così conciato, e tra i fischi degli altri bambini, punito in tal modo, il bambino è costretto a gridare lo sbaglio commesso.” Questa punizione spesso “è preceduta da bastonate, immersioni in un bagno d’ortiche ed esposizione al sole del corpo spalmato di sciroppo di canna da zucchero (…). Generazioni di maestri coranici continuano a portare avanti una tradizione secondo la quale il bambino è un essere perverso, che bisogna saper “raddrizzare”, attraverso la disciplina e le punizioni corporali.”


Il Kenya ha votato nel mese di agosto 2010 una nuova costituzione, in cui un articolo vieta formalmente qualsiasi punizione corporale inflitta ai bambini a scuola e in famiglia. Questo divieto è tanto più benvenuto, poiché in questo Paese la violenza delle punizioni corporali era tale che alla fine degli anni Novanta almeno sei allievi sono morti in quattro anni. Non solo i colpi di canna facevano parte dell’ordinario nelle scuole, alcuni bambini venivano feriti anche in modo grave: “contusioni, tagli, fratture, denti rotti, emorragie interne”, precisava l’ONG Human Rights Watch (HRW) fondata a New York, in un recente rapporto intitolato “Risparmiare i bambini: le punizioni corporali nelle scuole keniote”. Il rapporto di HRW, basato su un’inchiesta sul campo (decine di interviste con scolari, insegnanti, genitori e personale amministrativo), sottolineava che i bambini kenioti erano spesso puniti per motivi minori: ad esempio arrivare in ritardo, o portare l’uniforme sgualcita. Le conseguenze erano gravi. Da una recente indagine è emerso che il tasso di scolarizzazione era in rapida diminuzione. Solo il 42% di coloro che intraprendevano studi primari li portavano a termine. Per i ricercatori, tale declino era dovuto, tra l’altro, alla povertà e a un ambiente pedagogico ostile. 

Alcuni studenti ci hanno detto che avevano lasciato la scuola a causa delle botte”, afferma Yodon Thonden. “Questa è una violazione bell’e buona del diritto del bambino all’istruzione.

Le vittime spesso venivano dalle campagne, dove non ci sono i mezzi per pagare un avvocato per difendersi, e dove il sostegno giudiziario è ridotto. Inoltre, “la gente di campagna non protesta affatto quando i loro figli vengono picchiati: hanno paura di esporli ancora di più alle botte. E fino a oggi, nessun insegnante è mai stato giudicato colpevole di queste morti”, osservava la giornalista Jemimah Mwakisha, autrice di lunghi articoli sull’argomento per il maggior quotidiano keniota, il “Daily Nation”. Era molto raro che un professore venisse condannato per botte e ferite. In alcuni casi, ricorda Jemimah Mwakisha, alcuni insegnanti portati davanti a un tribunale non sono stati puniti, poiché è impossibile provare un movente per l’omicidio, come esige il diritto penale.


Ufficialmente il ministero keniota dell’Istruzione ha smentito formalmente le dichiarazioni di HRW, accusandolo di aver ingigantito alcuni casi isolati. Ma in privato, un alto responsabile del ministero riconosceva che il rapporto era “quasi corretto”. Gli insegnanti “picchiano brutalmente i bambini senza motivi validi in molte scuole”, aggiunge. “Potremo mettere fine a questa pratica solo abolendo completamente le punizioni corporali”.


Infine in Ruanda, da parte di un amico del Camerun che ha intervistato studenti universitari ruandesi: “la violenza educativa verso i bambini sembra ancor più totale e più dura” che in Camerun. E da un religioso ruandese: i bambini “vengono picchiati in modo diffuso, a scuola e anche a volte, purtroppo, dai nostri educatori. È un fatto culturale largamente diffuso qui: il bambino deve essere “raddrizzato” con la forza”.


Lo Zambia ha difeso la pratica delle punizioni corporali a scuola fino a poco tempo fa. Il ministero dell’Istruzione, infatti, affermava il 31 agosto 1999 che non aveva alcuna intenzione di abolirle. La punizione corporale per il ministero è un “mezzo di repressione disciplinare che bisogna utilizzare in casi eccezionali per correggere i bambini indisciplinati”. Gli insegnanti, così come i genitori, il più delle volte sono convinti che senza le punizioni corporali i bambini si comporterebbero male a scuola:

Anche se vogliamo imitare i popoli civilizzati occidentali, lasciamo perdere questa storia dei diritti dell’uomo, altrimenti alleveremo bambini indisciplinati. Noi picchiamo i figli a casa perché crediamo in tal modo di raddrizzarli. Se pensassimo che ci fossero altri metodi efficaci, li utilizzeremmo

afferma una maestra elementare di una scuola privata a Lusaka. Un direttore scolastico dichiara che i genitori contano sugli insegnanti per disciplinare gli scolari: “Alcuni genitori vengono da me con i loro figli e mi chiedono di picchiarli perché si comportano male a casa”. Un genitore intervistato su questo argomento ritiene che la punizione corporale sia un buon castigo purché non lasci tracce di ferite sul corpo dei bambini. È sua convinzione che se tale tipo di punizione venisse abolita i bambini potrebbero citare a giudizio i propri genitori, colpevoli di averli picchiati. E aggiunge:

Non prestiamoci alle abitudini degli Occidentali che hanno problemi con i loro delinquenti.

Per lui la cultura in Zambia considera le punizioni corporali come una buona misura disciplinare, e non una violazione dei diritti dell’uomo. Qualsiasi tentativo contrario porterebbe a una resa collettiva. Al contrario, sua moglie, educatrice, confida nell’abolizione delle punizioni corporali e propone altre forme di punizione, come la soppressione di privilegi, la custodia dei bambini dopo le ore di scuola e i lavori manuali. Nell’ottobre 1999 a due bambini zambiani un maestro ha quasi spezzato gli arti perché avevano marinato la scuola. Hanno dovuto ricorrere a cure ospedaliere per gravi ferite. Ma né loro né i loro genitori si sono lamentati. I compagni pensano soltanto che siano stati puniti per essersi assentati da scuola. Non si è levata nessuna voce indignata, né è stato condotto alcun dibattito pubblico quando la stampa ha riportato questa notizia. Lavu Malimba, presidente della Commissione permanente dei diritti dell’uomo (PHRC) ritiene che

bisognerà semplicemente rendere la gente meno compiacente e mostrare loro che la punizione corporale è inumana.

La PHRC e la Commissione zambiana di elaborazione delle leggi (ZLDC), che giudica la punizione corporale come una pratica “crudele, disumana e degradante”, chiedono entrambe che sia soppresso l’emendamento dell’Atto sull’Istruzione che autorizza le punizioni corporali e che afferma che solo il diritto consuetudinario africano le considera come un delitto.


Per la ZLDC la punizione corporale è in contraddizione con la Costituzione e con gli strumenti internazionali come la Convenzione sulla tortura che lo Zambia ha siglato. Ma tutto questo sembra dover cambiare in seguito a una sentenza pronunciata all’inizio del mese di maggio 2000. La sentenza, che aveva condannato un giovane di 19 anni a dieci colpi di canna per vandalismo, è stata riformata in appello, poiché il giudice ha valutato che tale punizione, “brutale residuo della legge inglese, e che viene applicata solo ai Neri, contravviene alla Costituzione che bandisce qualsiasi punizione inumana e degradante.” Questa sentenza deve essere comunque confermata dalla Corte suprema e riguardare anche le scuole.


La testimonianza di una maestra svizzera che ha insegnato in Zambia per qualche semestre è davvero terribile (protestInfo/Corinne Moesching):

La ragazza è entrata in sala insegnanti coperta di sangue, visibilmente scioccata. L’ho fatta stendere e ho visto che aveva una ferita alla testa che aveva bisogno di parecchi punti di sutura. Malgrado il referto medico, il professore che l’aveva picchiata non è stato perseguito. (…) A volte, tutti gli alunni di una classe venivano picchiati, sentivo il sibilo delle frustate dall’aula accanto. (…) I professori, mal pagati, alla mercè di una direzione arbitraria, picchiano gli scolari con qualsiasi cosa capiti loro tra le mani: bastoni, spazzole, aste di caucciù.

Testimone forzata, questa donna di esperienza ha tentato di reagire:

Ero l’unica che osava dire qualcosa, anche i genitori tacevano per paura che se la prendessero con i loro figli. Quanto a me, mi hanno fatto presto capire che non dovevo immischiarmi.

L’insegnante, impotente di fronte a questa situazione, ha deciso di mettere fine rapidamente al suo mandato, e tornare in Svizzera.

Nel Congo-Kinshasa, il 29 ottobre 2002, in occasione della Giornata mondiale della Salute Mentale, il cui tema era “le conseguenze degli avvenimenti traumatici e della violenza sui bambini e sugli adolescenti”, il Ministro della Salute, il dott. Mashako Mamba, ha deplorato il fatto che i genitori e gli altri adulti, in particolare nella Repubblica Democratica del Congo, creassero ogni giorno un ambiente violento e traumatico per i bambini, cosa che spinge questi ultimi al vagabondaggio. “Dalle nostre case, dalle nostre chiese, dalle nostre scuole e dai luoghi di lavoro, spingiamo migliaia di bambini sulle strade. Impegniamoci concretamente a ridurre questa violenza perpetrata sui bambini”, ha consigliato agli adulti congolesi. Ai bambini ha chiesto non solo di rivendicare i propri diritti, ma anche di evitare la violenza, di non copiare gli adulti per non perpetuarla a propria volta7.

La Repubblica del Congo (o Congo-Brazzaville) ha vietato le punizioni corporali a scuola e in famiglia nel 2010. Il nuovo stato del Sudan del Sud ha pronunciato lo stesso divieto nel 2011.


In Etiopia il Codice civile prevede espressamente che i genitori possano, a titolo educativo, somministrare ai figli “punizioni corporali amorevoli”. Possiamo tuttavia sperare che in questo Paese cominci a prendere piede una presa di coscienza, grazie in particolare all’associazione degli psicologi etiopi, che nel corso di un seminario organizzato il 15 gennaio 1999, tramite il presidente della Camera della Federazione di Etiopia ha denunciato le punizioni corporali e ha invitato i genitori e gli insegnanti a cessare l’utilizzo di queste pratiche che ha dichiarato vietate dalla nuova legge fondamentale dello Stato.

Africa centrale

Soprattutto in Ciad, ma anche negli altri Paesi di questa regione, “la correzione fisica negli ambienti tradizionali fa parte delle misure educative del bambino”; “essa viene considerata come una parte del processo di socializzazione.” Il governo ha tentato di vietarla ma ha trovato una forte resistenza, in particolare all’interno delle scuole coraniche. In queste scuole i bambini, che vengono consegnati dai genitori ai marabutti, sono fustigati, picchiati, incatenati, in alcuni casi fino a nove mesi, e le istituzioni governative che sono al corrente di questa situazione non osano intervenire poiché queste scuole sono “finanziate dai Paesi del Golfo e beneficiano dell’appoggio di alti responsabili8.


In Burundi le autorità riconoscono che “i bambini sono spesso vittime piuttosto che responsabili della violenza” e che “le sevizie e i maltrattamenti sui minori in realtà esistono.” Ma vogliono far credere “che provengono spesso da genitori in miseria, indegni o alcolizzati”, cosa che contribuisce a dissimulare, come avviene spesso, il problema massiccio delle punizioni corporali dietro a quello del maltrattamento additato in casi estremi dalla giustizia.


In Camerun un proverbio dei Bassa consiglia: “se vuoi educare bene tuo figlio, trattalo come uno schiavo”. Questo proverbio sembra purtroppo messo in pratica, visto che uno studio realizzato dall’associazione camerunense EMIDA (Eliminazione del Maltrattamento Infantile Domestico Africano) con il sostegno dell’UNICEF, ha mostrato che l’83,9% dei genitori ammette di usare il bastone per educare i figli; il 90,6% dei bambini dichiara di essere bastonato a casa; il 90,3% degli insegnanti dichiara di utilizzare il bastone in classe; il 96% dei bambini dichiara di essere bastonato in classe; 21 bambini (su 2.059 intervistati) dichiarano di non essere picchiati né a casa né a scuola. La punizione viene inferta con una bacchetta, un bastone, una liana flessibile (la “chicotte”) o un cavo elettrico. Uno studente di questo Paese, punito dal consiglio disciplinare, è stato escluso dal liceo professionale di Mefomo, nell’aprile del 1999, per aver rifiutato di ricevere 155 (centocinquantacinque!) colpi di bastone sulle piante dei piedi. Eppure l’usanza delle sevizie in classe è vietata in Camerun da molti anni.


In Nigeria il rappresentante governativo, nel corso della seduta di ottobre 1996, affermò che “le punizioni corporali non sono autorizzate (a scuola), in nessuno Stato” (la Nigeria è una federazione), ma che in effetti, “esse sono praticate qua e là per via delle influenze culturali. Quando vengono somministrate in un istituto scolastico, il Consiglio consultativo ne definisce preliminarmente le modalità, e sono sottoposte a un controllo rigoroso”. Tuttavia nel luglio del 1999 le punizioni corporali sono state ripristinate, con il pretesto di un livello inaccettabile di indisciplina. Gli insegnanti sono quindi autorizzati a fustigare i bambini. Diversamente dalla vecchia usanza, quindi, non sono più gli altri studenti a far subire il “caning” ai propri compagni9.

In Uganda, nel 1996, le punizioni corporali erano ancora applicate. Ma il rappresentante del governo deplorava che gli studenti venissero frustati dai maestri in tutte le scuole, quando invece solo il direttore scolastico era autorizzato a infliggere le punizioni corporali. 

A volte, la punizione è esagerata e l’alunno viene ferito. È indispensabile prendere delle misure per mettere fine a questa pratica illegale e degradante, che non è compatibile con i diritti e la dignità del bambino. (…) Attualmente possiamo infliggere punizioni corporali a un bambino di meno di 16 anni. Le punizioni corporali sono offensive, attentano ai diritti del bambino e non ne favoriscono il suo senso della dignità. Ai sensi del progetto di legge sulla protezione dell’infanzia, il tribunale per la famiglia e i bambini non può infliggere a titolo di sanzione le punizioni corporali come la frustata.

L’anno seguente è stata votata una legge, ma contro l’opinione pubblica che resta molto favorevole alle punizioni corporali. Nel corso della seduta del 2 ottobre 1997 il rappresentante dell’Uganda ha affermato che il governo del suo Paese 

ha rivisto il programma di insegnamento al fine di includervi più corsi sui diritti del bambino, e il Ministero dell’Istruzione è sensibile alla necessità di contribuire ad assicurare un ambiente scolastico sicuro, in cui i diritti del bambino siano rispettati. Di conseguenza, le punizioni corporali a scuola sono state abolite malgrado una forte opposizione dovuta alle usanze tradizionali; altri metodi vengono messi alla prova. I bambini sono più invogliati a segnalare i tentativi di bastonate o di violenze sessuali da parte degli insegnanti, perché si rendono conto non solo che tali comportamenti sono ingiustificabili, ma anche che sono loro stessi a poter fare qualcosa per mettervi fine. I programmi di sensibilizzazione e di mobilitazione della popolazione inoltre hanno aperto gli occhi dei genitori su questo problema.
Tuttavia, moderando tale ottimismo, il rappresentante del governo dichiarava un po’ più tardi (seduta del 7 ottobre 1997) che “la bastonata (caning), essendo un’antica usanza, avrà bisogno di un certo tempo prima che sparisca davvero”. I fatti hanno largamente confermato questa previsione. I genitori fanno pressione sugli insegnanti perché ritornino a questi metodi disciplinari. Evidentemente si sono messi d’accordo, visto che nell’aprile 1999 cinquanta studenti sono stati picchiati dai loro insegnanti per non aver corso come avrebbero dovuto10. Ma l’atteggiamento fermo e impegnato del governo ugandese va sottolineato in quanto è raro.

Africa australe

Nella Repubblica Sudafricana le punizioni corporali erano sistematicamente applicate secondo regole ben stabilite. La disobbedienza, i ritardi, ma anche il fatto di fumare erano passibili di colpi di canna o di frustate. Le punizioni a volte erano talmente violente che nel marzo 1997 uno studente di 18 anni ha preferito tentare il suicidio offrendosi volontariamente ai leoni di una riserva naturale, piuttosto che rischiare di essere di nuovo picchiato dagli insegnanti che gli avevano inflitto più di sessanta colpi di canna. Nel 1972 il direttore di un centro dell’Armée du Salut11 si è visto pubblicare sui giornali nome e foto non per aver picchiato molti bambini del suo centro, ma per averli picchiati dopo avergli fatto abbassare i pantaloni. Nel 1997 la Corte costituzionale ha sentenziato che una punizione corporale inflitta a un bambino, in quanto sanzione imposta da un tribunale, costituiva una violazione del diritto a “non essere sottomesso a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.” La legge del 1997, abolendo le punizioni corporali (Abolition of Corporal Punishment Act), rende illegale qualunque sanzione di questo genere. Le punizioni corporali inflitte ai bambini sono vietate allo stesso modo dalla legge del 1996 sulle strutture scolastiche sudafricane, e ormai costituiscono un reato penale. I genitori conservano, nell’esercizio della patria potestà, il diritto di punire “all’interno di limiti ragionevoli”. Nelle istituzioni rientranti nella legge del 1983, relativa alla protezione dell’infanzia, le punizioni corporali sono ancora ammesse nella misura in cui siano previste dal regolamento di istituto. Dal punto di vista legale, le punizioni corporali non possono essere inflitte ai detenuti “per infrazione al regolamento disciplinare della prigione” (Rapporto del 22 maggio 1998). Il New Domestic Violence Act, che è entrato in vigore dal dicembre 1999, permette direttamente al bambino di chiedere una protezione, senza aver bisogno dell’assistenza dei genitori (seduta del 2 febbraio 2000). Sono stati attuati dei progetti pilota per aiutare i genitori a ricorrere alla negoziazione piuttosto che alle punizioni corporali.

Tuttavia molti insegnanti continuano a credere al principio delle tre T: Teach (insegnare), Try (valutare), Thrash (picchiare) come unica maniera di ristabilire la disciplina. Un’organizzazione religiosa cristiana che rappresenta 196 scuole e 14.500 scolari, ha sporto denuncia per ottenere il mantenimento della punizione corporale (la “punizione biblica”), che considera come un diritto costituzionale alla libertà religiosa e culturale. Ma il 18 agosto 2000 la Corte costituzionale dell’Africa del Sud ha riconosciuto la legittimità del divieto. Anche gli africani xhosas rivendicano la punizione corporale come un elemento della loro cultura. In Namibia molti insegnanti e genitori si lamentano del divieto deciso dal governo; a tal punto che, in una scuola senza particolari problemi di disciplina, un padre è venuto ad esigere che suo figlio fosse picchiato. Gli insegnanti gli hanno dato in mano la canna, ed egli ha picchiato il figlio in loro presenza.

Anche in Swaziland le punizioni corporali sono sempre autorizzate. Ma nel settembre 1999, dopo che una studentessa di dodici anni ha perso un occhio per essere stata picchiata da un insegnante con un ramo di un albero, il presidente del Congresso dei giovani, Bongani Masuku, ha chiesto (senza ottenerlo) il divieto delle punizioni corporali12.


In Botswana, dove si utilizza sempre il bastone per imporre la disciplina, molti insegnanti considerano che se la punizione corporale viene “applicata con amore”, non è un abuso13.


Stessa posizione in Madagascar, dove il rappresentante dello Stato riconosce che “le sevizie e i maltrattamenti sui minori esistono nella realtà malgascia”, ma aggiunge dentro a una discutibile parentesi “(genitori indegni o alcolizzati, povertà, ecc.)”, mentre in realtà si tratta palesemente di un’usanza tradizionale. Se “gli insegnanti, formatori e avvocati seguono dei corsi di sensibilizzazione ai diritti del bambino”, “i diritti del bambino cominciano” solamente “a essere insegnati nelle scuole primarie” e “i programmi per educare gli adulti sulle loro responsabilità sono solo previsti”.


Dopo 16 anni di guerra civile, in Mozambico (1976-1992) il terrore è stato istituzionalizzato dal FRELIMO14. Dopo la guerra, il FRELIMO affermava che avrebbero vinto le elezioni e anche le successive, perché “quando una madre batte suo figlio, costui si rannicchia tra le sue braccia”! Questa formula che sembra un proverbio merita una riflessione. Essa illustra sia l’attaccamento del bambino alla madre, quale che sia il modo in cui questa lo tratta, sia il machiavellismo cinico che sa usare molto bene i riflessi creati dalla violenza educativa per mantenere un sistema politico.

Nello Zimbabwe, la Corte Suprema aveva deciso la soppressione delle punizioni corporali nelle scuole nel 1989, ma, tra questa data e il 1996, il governo le ha ristabilite nella Costituzione. “La legislazione ammette il ricorso alle punizioni corporali a scuola così come in famiglia” (rapporto del 7 giugno 1996). Ma i casi di maltrattamento sono stimati “poco frequenti” (seduta del 4 febbraio 1997). Il rappresentante dello Stato (seduta del 4 febbraio 1997) ha indicato che “la partecipazione dei bambini alla gestione delle scuole”, “attirando l’attenzione dei responsabili, nelle scuole, sulle preoccupazioni degli studenti” aveva comportato “una riduzione generale del numero di punizioni corporali inflitte.”


Ciò nonostante queste punizioni sono organizzate “come una sorta di cerimonia, in presenza del direttore di istituto e con l’iscrizione del nome dell’allievo punito su di un registro. Alla situazione viene data la forma di un dramma e lo scolaro viene marcato con l’impronta dell’infamia, cosa che risulta contraria – commenta il Comitato – alle disposizioni del paragrafo 2 dell’art. 28 della Convenzione.” Quanto al grado di moderazione dei colpi, riconosce il delegato che “è in funzione, non della gravità dell’offesa, ma dell’umore della persona che impartisce la punizione in questione.” Il Comitato suggerisce che lo Zimbabwe segua “l’esempio della Namibia, che ha bandito le punizioni corporali dalla scuola e che forma gli insegnanti sui metodi per evitarle”. Ma le autorità dello Zimbabwe hanno la tendenza ad attribuire la colpa delle “violenze esercitate all’interno della famiglia” alle scene di violenza viste in televisione, mentre in realtà queste si producevano molto prima che la televisione esistesse!


Inoltre, in molti Paesi dell’Africa, come abbiamo visto, le donne che portano i figli sulla schiena avrebbero l’usanza, per abituarli a tenersi puliti, di picchiarli fin dalle prime settimane di vita ogni volta che i bambini fanno i loro bisogni, finché questi non prendono l’abitudine di segnalare il bisogno piangendo. In tal modo, le madri possono mettere i figli a terra prima di sporcarsi. Come possono conoscere le conseguenze negative sui bambini di tale usanza, se nessuno le informa?

La sculacciata
La sculacciata
Olivier Maurel
Perché farne a meno: domande e riflessioni.Le punizioni corporali sono dannose per il corpo e la psiche del bambino. Ma è possibile educare senza picchiare? Se sì, come? Le punizioni corporali sono pericolose per i bambini, in quanto le conseguenze della violenza rimangono permanenti sul corpo e nella psiche.Nel più lungo periodo, inoltre, molti studi dimostrano come questa pratica sia un fattore importante nello sviluppo di comportamenti violenti e sia associata ad altri problemi durante l’infanzia e nella vita. Come possiamo educare i bambini che mostrano un temperamento più aggressivi?Del resto, è stato forse dimostrato che schiaffi e sculacciate rendono più obbedienti i bambiniMigliorano forse l’apprendimento?La sculacciata di Olivier Maurel è una guida che ci permette di aprire gli occhi senza colpevolizzarci, rispondendo con chiarezza a queste e a molte altre domande. La prefazione è curata dalla celebre psicologa e psicanalista Alice Miller. Conosci l’autore Olivier Maurel è nato a Toulon nel 1937. Professore di Lettere al liceo Dumont d’Urville dal 1965 al 1997, è padre di cinque figli.Cresciuto in una famiglia numerosa, le letture dei libri di Alice Miller hanno accresciuto il suo interesse per il tema della violenza educativa, portandolo ad approfondirne le numerose ripercussioni sulla salute psico-fisica dei bambini e sul loro sviluppo. A partire dagli anni ’60, poi, si è fatto promotore di numerose battaglie sociali contro la violenza nel mondo e il traffico di armi.Ha fondato l’associazione Oveo (Osservatorio sulla violenza educativa ordinaria), con lo scopo di descrivere tutte le forme di violenza comunemente accettate in tutto il mondo, a scuola e in famiglia.