capitolo v

Perché è necessario vietare
la violenza educativa?

Cosa ci insegna l’esperienza dei Paesi dove questa è stata vietata?

Trentatré Paesi hanno vietato le punizioni corporali sia in famiglia sia a scuola e nel sistema giudiziario. Nessuno prevede un ritorno ai vecchi metodi. Per fare solo qualche esempio, in Svezia la legge impone che il bambino

deve essere trattato nel rispetto della sua persona e della sua personalità e non può essere sottomesso a punizioni corporali né ad alcun altro trattamento brutale.

Alla data di giugno 2000, essa ha dato luogo a un solo processo. Un volantino intitolato “È possibile allevare i bambini senza sculaccioni?” è stata diffusa e tradotta in inglese, serbo-croato, polacco, greco e turco. A seguito di un’inchiesta realizzata nel 1994-95, il 70% degli studenti delle ultime classi e il 56% degli adulti si oppongono a ogni forma di punizione corporale inflitta ai bambini. Il numero di Svedesi che considera le punizioni corporali come indispensabili è passato dal 53% del 1965 al 30% nel 1970 e all’11% nel 1995. Sono stati creati, nei quartieri maggiormente popolati, dei luoghi di incontro per genitori di bambini piccoli dove si possono anche, con l’aiuto di personale formato in pedagogia, organizzare varie attività. I risultati sembrano incoraggianti: tra il 1982 e il 1995, le “misure obbligatorie” sono diminuite del 46% e gli affidamenti in comunità del 26%. La percentuale dei giovani dai 15 ai 17 anni condannati per furto è diminuita del 21% tra il 1975 e il 1996. Il consumo di droga, alcool e suicidi si sono parimenti abbassati. In Finlandia, la legge di divieto è stata votata nel 1983: 

Un bambino deve essere allevato in uno spirito di comprensione, sicurezza e amore. Non dovrà essere oppresso, sottomesso a punizioni corporali o umiliato in qualunque altro modo.

In Norvegia l’interdizione è stata approvata nel 1987: “Il bambino non deve essere sottoposto ad alcuna violenza né trattato in alcun modo che possa mettere in pericolo la sua salute fisica o mentale.” L’Austria ha abolito le punizioni corporali il 1° luglio 1989. La legge vieta di infliggere a un bambino qualunque forma di violenza fisica o mentale. Le violazioni di tale divieto non vengono sanzionate immediatamente se non sono eccessive. A Cipro il divieto è entrato in vigore nel 1994. Lo stesso anno, la Corte Suprema del Portogallo ha condannato le punizioni corporali, mentre fino a quel momento la giurisprudenza accettava il diritto di correzione contro la legge di interdizione delle violenze sui minori di 15 anni. La violenza educativa è vietata poi in Portogallo, ma su una base ancora precaria che ha bisogno di essere confermata. In Danimarca la legge votata il 10 giugno 1997 recita: “Il bambino ha diritto alla cura e alla sicurezza. Bisogna agire in maniera rispettosa di fronte al bambino e non infliggergli punizioni corporali o altri trattamenti umilianti.” Durante l’autunno e l’inverno del 1998 è stata distribuita ai genitori una documentazione nelle scuole e nelle strutture per l’infanzia, ed è stato diffuso dalla televisione nazionale un documentario sulla sculacciata.

La stessa documentazione è stata distribuita ai genitori appartenenti a minoranze etniche di lingua inglese, turca, bosniaca, serba, croata, araba, urdu e somala. Dopo il voto di questa legge, secondo studi recenti, un terzo dei genitori danesi picchia ancora i figli, ma è iniziata un’evoluzione che valorizza l’attenzione al bambino piuttosto che la disciplina e il controllo. Nel giugno 2000 la legge non aveva ancora avviato alcun processo. In Lettonia la legge sulla protezione dei diritti dei bambini del 19 giugno 1998, basata sulla Convenzione, vieta le punizioni corporali. La Croazia ha vietato le punizioni corporali nel 1999 dopo un’inchiesta che ha indicato che su 1000 studenti interrogati, il 93% aveva subìto delle punizioni corporali e il 27% di tali punizioni aveva procurato delle ferite. L’Italia non ha ancora una legge sulle punizioni corporali, ma la Corte di Cassazione ha deciso, il 16 maggio 1996, di vietare ai genitori di utilizzare le punizioni corporali per allevare o correggere i bambini. Le giurisdizioni inferiori non osano contraddire una decisione della Corte di Cassazione, e di fatto tale decisione ha valore di legge per l’Italia1. In Israele allo stesso modo la Corte Suprema ha preso la decisione nel gennaio 2000 in seguito a un processo d’appello. La Knesset [parlamento, N.d.T.] ha ratificato questa decisione il 13 giugno seguente. La decisione della Corte Suprema è stata così motivata: 

Nelle circostanze giudiziarie, sociali ed educative nelle quali viviamo non dobbiamo cedere a compromessi che possano mettere in pericolo la salute e il benessere fisico dei bambini (…). Dobbiamo inoltre considerare che viviamo in una società in cui la violenza si sta espandendo come un’epidemia. Se autorizziamo una violenza leggera, essa può degenerare in violenza gravissima. Non dobbiamo mettere in pericolo la salute mentale e fisica di un minore con nessun tipo di punizione corporale. Una verità che meriti tale nome dev’essere chiara e non equivoca e il messaggio è che la punizione corporale è vietata.”2.
In Germania la legge è stata votata il 10 luglio 2000, ed è entrata in vigore il 1° gennaio 2001. Essa ha comportato un’aggiunta a un articolo del codice civile sul diritto dei bambini a una educazione non violenta. Qualsiasi forma di aggressione e umiliazione contro i bambini viene considerata inammissibile. 
L’80% dei bambini e dei giovani subisce, in proporzioni variabili, la violenza nell’educazione, per esempio sotto forma di schiaffi o raffica di botte. Circa 1,3 milioni di bambini subiscono maltrattamenti fisici. Tra loro, 420.000 bambini subiscono tali maltrattamenti con frequenza, molti di loro fin da neonati o bambini. A tutto questo va aggiunta, in proporzioni simili, la violenza psicologica sotto forma di rifiuto da parte dei genitori o di negligenza.
Ma il governo precisa che “denunciare la violenza nell’educazione non significa in alcun caso criminalizzare i genitori.” Il suo scopo, al contrario, è di sostituire la punizione con un aiuto ai genitori che devono confrontarsi con i problemi dell’educazione. Il Sudan del Sud è l’ultimo Paese ad aver votato in Costituzione, nel 2011, il divieto di ogni punizione corporale “da parte di chiunque, inclusi i genitori”.

Perché non riusciremo mai a sconfiggere i maltrattamenti se continuiamo a tollerare la violenza educativa?

Molti rifiutano il divieto. Claire Bisset, difensore dei bambini, dice che la situazione in Francia non è ancora matura. Boris Cyrulnik, al pari difensore dei bambini e della loro causa, afferma, senza però dire su cosa fonda tale affermazione, che un divieto servirebbe solo ad aumentare le violenze psicologiche e verbali. Altri ancora sostengono che non sia giusto colpevolizzare i genitori…


Risulta pertanto chiaro che il maltrattamento, che consiste in correzioni giudicate eccessive (abusi sessuali e negligenza ovviamente esclusi), si situa nella continuità della violenza educativa ordinaria. La punta emersa e denunciata dell’iceberg sarà sempre proporzionale alla parte sommersa e tollerata. La maggior parte delle forme di maltrattamento considerate come tali cominciano con le “correzioni”. Molti genitori iniziano con la “pacca sul pannolino” o “sulla mano”, poi, quando queste risultano insufficienti, vengono portati in un inasprimento che può andare ben al di là dello schiaffo o dello sculaccione.

Il 57% delle morti infantili, scrive Daniel Goleman3, sono causate dai genitori o dai parenti stretti. Nella metà circa dei casi, essi affermano di ‘aver voluto semplicemente punire il bambino’. Tali correzioni fatali erano causate da ‘errori’ di ben poco conto: il bambino gli impediva di guardare tranquillamente la televisione, piangeva o sporcava il pannolino.
Questo risulta ancor più vero perché i bambini, per fare una bravata, possono sfidare i genitori (“e anche tanto!”). L’unico modo per far diminuire il maltrattamento consiste quindi nel non considerare più accettabile la violenza educativa ordinaria, di informare sui suoi pericoli e di proporre altri metodi educativi. Ma l’effetto “sindrome di Stoccolma” rallenta di continuo l’evoluzione verso un rifiuto generale della violenza educativa. Ci sono voluti circa due secoli e mezzo perché la soglia di tolleranza dell’opinione pubblica in Francia si abbassasse fino allo schiaffo e alla sculacciata. Ci vorranno forse altri due secoli e mezzo perché anche questi non siano più tollerati, quando sono spesso proprio i difensori dei diritti dei bambini che rifiutano tale divieto? Come scrive Alice Miller, “Non possiamo liberarci di un male senza averlo chiamato e giudicato un male.”

Dato che l’educazione dei bambini è un affare privato, perché lo Stato vuole immischiarsene, vietando lo sculaccione?

Anche le relazioni coniugali sono affari privati, eppure c’è forse qualcuno che trova anormale che la legge vieti agli uomini di picchiare le donne?

I sostenitori del divieto alla sculacciata non sono estremisti, integralisti della non-violenza?
Non bisognerebbe essere più moderati, più ragionevoli?

Quando qualcuno chiede l’interdizione delle punizioni corporali, spesso viene accusato di essere un puritano, un talebano, un estremista. Coloro che difendono schiaffi e sculaccioni si presentano invece come persone moderate, ragionevoli, che considerano le circostanze. È esattamente come se, a proposito delle violenze coniugali contro le donne, dicessimo: “Non bisogna essere estremisti. Qualche piccola lezione di tanto in tanto non ha mai fatto male a una donna!”.


Chiedere il divieto delle punizioni corporali significa solo essere realisti.


Realisti per quel che riguarda i genitori i quali, proprio perché a propria volta sono stati picchiati da piccoli, non possono da soli, non soltanto smettere di picchiare, ma anche rimettere davvero in discussione questo comportamento, che è legato per essi all’immagine dei loro genitori e all’imitazione integrata nel profondo dei loro neuroni. Solo un divieto promulgato da un’autorità superiore a quella dei genitori può obbligare gli adulti che sono stati picchiati a rinunciare a questo comportamento sui loro stessi figli.


Realisti riguardo a ciò che sono i bambini, che nessuno dei loro comportamenti innati prepara a subire, senza esserne lesi, la minima violenza da parte degli esseri che costituiscono la base della loro sicurezze e di cui hanno bisogno di avere una fiducia assoluta. È questa fiducia che costituirà le fondamenta della loro fiducia in se stessi e nella propria capacità di comprendere gli altri. Se questo patto di fiducia si rompe, ne viene intaccata proprio la loro fiducia in se stessi poiché immediatamente il bambino vittima di un maltrattamento si accusa: “Se colui o colei che io amo tanto mi picchia, è perché sono cattivo”.


Chiedere l’interdizione delle punizioni corporali non significa essere estremisti; al contrario, vuol dire chiedere il minimo vitale per assicurare l’integrità dei bambini, minimo vitale di cui beneficiano gli animali più simili a noi e di cui il bambino abbisogna. Questa interdizione sarà altrettanto benefica per la felicità reale e reciproca dei genitori e dei figli. I genitori potrebbero essere davvero felici se i loro figli li picchiassero, anche se in modo “ragionevole” e “moderato”?


Allo stesso modo i bambini che vengono picchiati dai loro genitori in modo “ragionevole” e “moderato” difficilmente possono essere davvero felici. E, di riflesso, la felicità dei genitori ne risulta alterata. Questo divieto è altrettanto indispensabile perché sempre più la sopravvivenza dell’umanità dipenderà dalla responsabilità degli uomini, dalla loro capacità di sfruttare tutte le risorse della loro affettività e intelligenza. Non possiamo più permetterci, sottomettendo i bambini con botte più o meno forti nel momento in cui il loro cervello si organizza, di snaturarli e compromettere lo sviluppo della loro personalità. I nostri genitori non conoscevano gli effetti delle botte che ci davano. Noi non possediamo più questa innocenza; di conseguenza non abbiamo più il diritto di picchiare i bambini.

Che mondo sarebbe quello in cui i bambini non venissero più picchiati?

Non sarebbe il Paradiso. La maggior parte dei problemi che si pongono oggi continuerebbero a presentarsi. Ma non sarebbero più attizzati dalla pressione alla violenza che la maggior parte degli adulti porta oggi dentro di sé fin dall’infanzia. Gli adulti non avrebbero appreso fin dalla più tenera età che la violenza verso esseri più deboli è un metodo normale di regolare i conflitti. Nella maggior parte degli uomini e delle donne il cervello cognitivo e quello emotivo potrebbero svilupparsi senza essere perturbati dagli effetti delle botte e sarebbero in miglior armonia. Sicuramente ci sarebbero meno depressione, meno malattie, meno incidenti. Ognuno potrebbe essere più felice del semplice fatto di esistere senza aver bisogno di surrogati di felicità come la corsa all’avere, al potere e all’apparire che non solo sta accentuando le scadalose ineguaglianze tra gli uomini, ma distruggendo altresì il pianeta. Le intelligenze, meno disturbate dalle violente emozioni dell’infanzia, potrebbero scegliere con più lucidità i candidati al potere e controllarli meglio. I discorsi dei demagoghi riscuoterebbero meno successo. Le capacità di empatia e compassione, anch’esse più rispettate, renderebbero più difficili le persecuzioni e forse anche impossibili. Di certo gli uomini non picchierebbero più le proprie compagne né i figli. E proprio le donne sarebbero meno portate a lasciarsi maltrattare perché non ne sarebbero state abituate fin dall’infanzia. La tossicodipendenza, l’alcolismo, il tabagismo diminuirebbero perché, più inclini alla felicità, gli uomini avrebbero meno bisogno di paradisi artificiali.

La sculacciata
La sculacciata
Olivier Maurel
Perché farne a meno: domande e riflessioni.Le punizioni corporali sono dannose per il corpo e la psiche del bambino. Ma è possibile educare senza picchiare? Se sì, come? Le punizioni corporali sono pericolose per i bambini, in quanto le conseguenze della violenza rimangono permanenti sul corpo e nella psiche.Nel più lungo periodo, inoltre, molti studi dimostrano come questa pratica sia un fattore importante nello sviluppo di comportamenti violenti e sia associata ad altri problemi durante l’infanzia e nella vita. Come possiamo educare i bambini che mostrano un temperamento più aggressivi?Del resto, è stato forse dimostrato che schiaffi e sculacciate rendono più obbedienti i bambiniMigliorano forse l’apprendimento?La sculacciata di Olivier Maurel è una guida che ci permette di aprire gli occhi senza colpevolizzarci, rispondendo con chiarezza a queste e a molte altre domande. La prefazione è curata dalla celebre psicologa e psicanalista Alice Miller. Conosci l’autore Olivier Maurel è nato a Toulon nel 1937. Professore di Lettere al liceo Dumont d’Urville dal 1965 al 1997, è padre di cinque figli.Cresciuto in una famiglia numerosa, le letture dei libri di Alice Miller hanno accresciuto il suo interesse per il tema della violenza educativa, portandolo ad approfondirne le numerose ripercussioni sulla salute psico-fisica dei bambini e sul loro sviluppo. A partire dagli anni ’60, poi, si è fatto promotore di numerose battaglie sociali contro la violenza nel mondo e il traffico di armi.Ha fondato l’associazione Oveo (Osservatorio sulla violenza educativa ordinaria), con lo scopo di descrivere tutte le forme di violenza comunemente accettate in tutto il mondo, a scuola e in famiglia.