Ai genitori, privi di una comunità di sostegno, disorientati e sommersi da mille indicazioni, viene offerta dalla nostra cultura l’ideologia dell’educazione come condizionamento e modellamento dell’individuo, il mito delle abitudini come chiave per riprendere il controllo di una situazione che sembra sfuggire di mano. Ma l’infanzia è un processo in continuo divenire, e quindi per sua natura fluido e difficilmente afferrabile. Addomesticare l’infanzia è un’impresa ardua che causa spesso frustrazione, senso di inadeguatezza e rabbia tanto nei genitori quanto nei figli, e la tanto desiderata regolarizzazione del neonato (a cui seguiranno altre -azioni altrettanto sofferte, come scolarizzazione, normalizzazione, omologazione) viene raggiunta solo a caro prezzo.
Molti manuali danno suggerimenti ai genitori su come modificare il comportamento dei loro figli; vengono proposti metodi al limite della crudeltà, come lasciar piangere i bambini anche fino al vomito, oppure metodi gentili, che cercano di rinforzare o suscitare i comportamenti graditi e di scoraggiare quelli indesiderati con una certa elasticità e sfruttando desideri e preferenze del piccolo. Ma a differenza di tutte queste proposte, la disciplina dolce (o, come preferisco chiamarla, la guida gentile) non è un metodo, ma un approccio, un modo di essere e di relazionarsi. I metodi offrono tecniche per ottenere determinati risultati, e il focus è sul cosa e sul come; gli approcci invece sono focalizzati sul perché, cioè è importante il motivo, il bisogno dietro un dato comportamento, le ragioni per cui si fa una cosa. In generale i metodi, anche se possono essere efficaci, ottengono solo che il bambino smetta di comportarsi in un certo modo, e agisca invece in un altro. Ma per un genitore empatico e rispettoso, che vuole sviluppare il potenziale del proprio figlio guidandolo verso modi di essere altrettanto rispettosi del prossimo, è importante il perché il bambino si comporta in un certo modo; non si limita a desiderare che si comporti in modo diverso, ma per lui è importante che lo faccia per buone ragioni.
Insomma, questo è il concetto da chiarire: gli approcci rispettosi, empatici, non sono metodi per modellare il comportamento dei bambini.
I metodi, in quanto tali, sono sempre manipolatori, nel senso che hanno un obiettivo, vogliono arrivare a un risultato sull’altra persona. Gli approcci invece non hanno obiettivi, hanno in sé la loro ragion d’essere: sono le modalità di relazione che ci fanno star bene e fanno star bene l’altro, a prescindere dal risultato, pur positivo, che potrebbe derivarne.
Si tratta di una filosofia, un modo di rapportarsi, non uno strumento che viene applicato allo scopo di far fare ai bambini ciò che piace agli adulti (o che gli adulti ritengono giusto), e magari, nelle aspettative di molti genitori, anche di farglielo fare volentieri.
No, non è questo lo scopo. Lo scopo è crescere delle persone nel rispetto e nell’amore, fornendo loro sostegno e contenimento, comprensione ed esempio… la calma o la dolcezza non sono uno strumento, ma il modo naturale in cui l’approccio si esprime.
Quando si applica una tecnica invece di usare il cuore, c’è sempre uno scollamento, la perdita di una connessione con il bambino, che è fondamentale per crescerlo con amore. Le cure prossimali non si possono ingabbiare in una serie di comportamenti o regole stereotipate. Possiamo mostrare una direzione, fornirci di strumenti di navigazione, consultare mappe, ma non c’è una strada segnata o una formula standard che possa indicarci l’accudimento ideale, perché ogni bambino è diverso, così come ogni adulto, e anche i bisogni di un singolo bambino cambiano nel tempo e secondo le situazioni che vive. Nulla può insomma sostituire l’intuizione e l’empatia come guida, per l’adulto che voglia essere e mantenersi in contatto; la guida gentile riguarda molto più il saper essere di quanto riguardi il saper fare.
Definire il ruolo genitoriale solo come normativo, cioè con la funzione di modellare e correggere le deviazioni comportamentali dalla norma sociale, è svilente e riduttivo rispetto all’enorme importanza che ha la presenza dei genitori nella vita del bambino, e tarpa le ali alla piena espressione del potenziale di quest’ultimo. Tuttavia l’ideologia pedagogica dominante, che sia ispirata alla pedagogia nera oppure soltanto a un’idea di “governo” del bambino, a senso unico nella trasmissione di regole, di conoscenze e di valori, è così pervasiva che i genitori che si pongono controcorrente, ricercando un approccio basato sulla gentilezza e il rispetto, devono fare i conti con una serie di paradigmi assai radicati nella nostra cultura.