Isolamento
Nelle società basate sulla produzione e sul consumo di beni, non c’è più spazio per una dimensione conviviale, di cooperazione, di condivisione affettiva e creativa. E cosa succede quando si vive in una comunità che rende le cure necessarie per la prole inconciliabili con tutte le altre attività quotidiane? Come far coesistere le necessità dei bambini, dei genitori e del resto della società, quando questa è organizzata a compartimenti stagni, spazi esclusivi e ambiti separati?
Ora la maggioranza dell’umanità vive nei termitai metropolitani, in cui madri e bambini sono segregati in solitudine, a volte per l’intera giornata, oppure gli adulti si allontanano dalla famiglia e “vanno” a lavorare mentre i loro figli passano ore con gruppi numerosi di altri bimbi della stessa identica età, sorvegliati da un adulto. Una condizione molto lontana da quella della nostra specie, che è stata modellata per vivere in gruppi misti di adulti e bambini di età diverse.
Sono sempre più scarse le occasioni non solo di assistere alla quotidianità delle cure parentali e vedere come è e come agisce naturalmente un bambino piccolo, ma anche di poter sperimentare direttamente l’accudimento dei fratelli minori. I genitori sono soli nel loro percorso di apprendimento con il bambino, senza paragoni viventi da osservare, senza idea di come veramente un neonato o un bambino si comporta. Siamo arrivati alla terza o anche quarta generazione di genitori cresciuti loro stessi a basso contatto, che mancano a volte dell’adeguato background sensoriale ed emotivo per saper apprendere la normalità in modo diretto, dal bambino stesso.
C’è spesso la percezione esistenziale che manchi qualcosa, che i conti non tornino, che manchi un tassello. L’assenza del villaggio è il pezzo mancante del puzzle. Questa mancanza viene colmata da un’illusoria partecipazione a una comunità virtuale che però è effimera e non può riempire davvero la fame di relazioni vive e vitali con altre persone in carne ed ossa. Quali strumenti hanno i genitori per discernere e scremare dall’oceano della rete le informazioni rilevanti e attendibili che servono a loro? I pregiudizi, i falsi miti, le ideologie rischiano in questa situazione di essere semmai potenziati e diffusi capillarmente. Tutti hanno da dire qualcosa ai nuovi genitori, ma pochi sembrano avere il tempo e l’interesse per ascoltarli, consentendo loro di crescere e focalizzarsi meglio sui propri bisogni e percezioni e di esprimere al meglio e in modo autonomo il loro potenziale.
Accudire i nostri figli in questa società così poco connessa con il continuum2 umano, in cui i genitori sono spesso isolati e senza sostegno della comunità, e talvolta incompresi o criticati, è un impegno fisicamente ed emotivamente gravoso. Nessuno si dovrebbe annullare per prendersi cura adeguatamente dei propri figli, ma troppe volte il vissuto dei genitori è quello di andare oltre le proprie energie e risorse e nello stesso tempo sentire ancora di “non aver fatto abbastanza”.
Credo che troppo a lungo si sia sottovalutato l’impatto enorme che ha l’assenza di una piccola comunità viva e attiva, non solo nella vita delle madri e delle famiglie, ma proprio nel modo in cui viene rappresentata la maternità e la paternità, nella costellazione di aspettative, vissuti, strategie che si modellano intorno alla cura di un bambino nei suoi primi anni.
L’isolamento della famiglia nucleare, che spesso durante il giorno si riduce alla sola madre, ha generato aspettative troppo elevate nei suoi confronti. Ci si aspetta che la mamma sia disponibile 24 ore al giorno, sette giorni a settimana, per la maggior parte del tempo senza nessuno che si alterni a lei, nessuno con cui condividere le proprie emozioni, i momenti difficili o quelli belli. Ai primi passi o alle prime parole di suo figlio, spesso la madre è da sola con lui, senza altri testimoni per gioire o per piangere insieme. E se la mamma è triste, spaventata, stanca, chi la consola? Con chi confrontarsi in un momento di rabbia o di confusione?
In passato, altre persone sarebbero state lì a testimoniare, celebrare e ascoltare. Oggi, i primi sorrisi del piccolo viaggiano in rete, le lacrime si esprimono con le emoticon e le domande e i dubbi vengono lanciati sui social, come messaggi in bottiglia che non si sa chi raccoglierà.