Compensazioni dei disturbi precoci del legame
In ambulatorio capita spesso che i genitori raccontino di sentirsi come minacciati dal pianto e dall’agitazione del figlio e parlino apertamente di senso di impotenza, delusione e rabbia. Nella maggior parte dei casi viene del tutto a mancare il flusso interno di informazioni, e i genitori, non riuscendo più a decifrare i segnali del neonato, si sentono disorientati e incapaci di agire. È normale che, quando il bambino piange, nei genitori si attivi il sistema nervoso simpatico, che contribuisce a generare la tensione, la concentrazione e la vitalità necessarie per riconoscere e affrontare in tempo una situazione di pericolo. Il pianto del neonato, anche da un punto di vista neurovegetativo, serve a mettere in allarme e scuotere l’adulto, che idealmente verifica le possibili cause, per esempio fame o bisogno di contatto, prendendosene cura amorevolmente.
Se così avviene, si crea un’esperienza di relazione positiva che rafforza il legame. Ovviamente brevi fasi di tensione, delusione e rabbia rientrano nell’inevitabile sfida di essere genitori. Tuttavia, è completamente diverso se, per via della sua intensità, della sua durata e della sua frequenza, il pianto diventa un peso per i genitori. In tal caso perde la sua funzione di rafforzare il legame, anzi accade proprio il contrario: di fronte ai segnali di disagio del neonato, i genitori reagiscono con rifiuto e repressione, perché da un punto di vista neurovegetativo reagiscono come se fossero in grave pericolo. La continua paura di perdere il lavoro o il compagno è , infatti, del tutto paragonabile all’insicurezza di una madre che da giorni o settimane non riesce a calmare suo figlio quando piange da un punto di vista neurofisiologico.
Per evitare che l’agitazione aumenti ulteriormente, spesso i genitori ricorrono a un vero e proprio arsenale di strategie per calmare il bambino. A questo proposito, nel Pronto Soccorso Emozionale chiamiamo “contatto sostitutivo” il tentativo disperato di regolare il pianto e il malessere nel neonato. Ne sono un tipico esempio offrire continuamente il seno, cullarlo per ore e ore, sollecitarlo con determinati rumori, come quello dell’aspirapolvere o della lavatrice. Di solito, per catturare l’attenzione del bambino, vengono stimolati intensamente uno o più canali sensoriali. In un certo senso, questa strategia segue il principio di spegnere il fuoco con il fuoco stesso: per arginare l’attivazione del simpatico, il bambino viene talmente sommerso da stimoli che il cervello, totalmente sopraffatto, non riesce a rielaborare.
Dalle nostre osservazioni tuttavia emerge che la “saturazione” dei canali auditivi, visivi, orali o tattili è soltanto di breve durata. Di fatto lo stato vegetativo cambia solo superficialmente e, anche se in un primo momento c’è davvero sollievo, alla fine il profondo stato di stress e tensione mostra di nuovo il suo vero volto. Molti genitori intuitivamente se ne rendono conto e ammettono di adottare una strategia di “fuga”, sentendosi minacciati dal pianto del neonato. In particolar modo si accorgono che sono costretti a stimolarlo senza posa per ottenere quello che tanto desiderano: che smetta di piangere. Ma, anche se, con determinati stimoli proposti con insistenza, in un primo momento il bambino si calma, non si instaurano la vicinanza e la connessione che i genitori altrettanto desiderano.
Per esempio, prendiamo una madre con il bambino in braccio che cerca di calmarlo molleggiandosi su una palla da ginnastica, ma sta respirando superficialmente, è tutta tesa e il suo livello di ormoni dello stress è alle stelle: nonostante i suoi sforzi, né nel bambino né in lei la situazione neurovegetativa cambia, anche se la sua strategia qualche effetto sortisce, in quanto il movimento permette di scaricare l’energia inutilizzata.
Detto in altre parole, finché la madre gira per casa camminando veloce con il bambino in braccio, non sente fino a che punto ha accumulato paura, rabbia e delusione per aver perso la connessione con lui. Pertanto, muoversi senza posa, quello che è un contatto sostitutivo per lei quando deve stare accanto al figlio che piange disperato, è al tempo stesso un modo per difendersi da forti emozioni e una risorsa. Volendo fare prevenzione, va segnalata ai genitori una strategia alternativa, che nasce da un altro tipo di visione, perché possano abbandonare il sistema di protezione che hanno usato fino a quel momento. Anche per il bambino il contatto sostitutivo offerto dai genitori è un’arma a doppio taglio. Da un lato, gli permette di avere un contatto “superficiale”, ma dall’altro non risolve la sua difficoltà profonda, e in più gli viene impedito di esprimere cosa sente. Non può comunicare cosa lo mette a disagio. Vorrebbe protestare perché non riceve abbastanza attenzione dai genitori, e invece viene zittito con il seno, oppure con il biberon.
Vorrebbe esprimere il dolore che ha provato quando, durante la degenza in ospedale, è rimasto per settimane separato dalla madre, e invece viene cullato finché non si calma. In conclusione, offrire un contatto sostitutivo significa reprimere fortemente i segnali di disagio del bambino, e questo a sua volta impedisce ai genitori di essere empatici con lui, comprenderlo e quindi poter correggere quelle condizioni inappropriate, a cui reagisce con stress e allarme. Se i suoi messaggi non vengono compresi, non gli resta che arrendersi e “seppellire” i conflitti da qualche parte nel corpo.
Questo è quello che succede quando, per esempio, dopo un po’ il neonato smette di piangere e inizia lui stesso a reclamare direttamente la stimolazione orale sostitutiva del biberon o del ciuccio. Per evitare malintesi, preciso come io stesso promuova la pratica del portare i bambini addosso e l’allattamento al seno a richiesta, e sia un convinto sostenitore del contatto corporeo con il bambino, consapevole del significato che ha per la prevenzione. Tuttavia, negli ultimi anni ho osservato con crescente preoccupazione come stia aumentando il numero di neogenitori che scelgono l’allattamento al seno, portano in fascia e in generale seguono una modalità ad alto contatto allo scopo di evitare che il bambino pianga. Allora, e solo in questo caso, c’è il rischio che quei genitori entrino in un vicolo cieco. In tutti gli altri casi invece si tratta di un tipo di accudimento che, nei momenti difficili accanto al bambino, contribuisce a ripristinare vicinanza e connessione.