quarta parte - capitolo xvi

Lavoro con i neonati

Il lavoro di psicoterapia corporea con il neonato ha un ruolo importante nel Pronto Soccorso Emozionale e, nonostante non ci sia spazio in questo libro per approfondire l’argomento, merita di essere presentato a grandi linee. Nel PSE il lavoro con i genitori e quello con i bambini sono indissolubilmente legati ed è per questo che parliamo di terapia e di consulenza per genitori e neonato. Concretamente, significa che i genitori sono presenti durante il lavoro con il neonato, e anche che durante il processo terapeutico l’attenzione del consulente oscilla continuamente dai genitori al neonato e viceversa. Anche quando la terapia è specificatamente rivolta al neonato, badiamo che i genitori restino ricettivi e disponibili al contatto. Non appena notiamo i primi segnali di stress e paura, il processo del neonato viene interrotto fino a quando non viene ripristinata la disponibilità al legame dei genitori. Prima di iniziare, ci accertiamo che la capacità percettiva dei genitori sia sufficiente e siano in grado di offrire sostegno. È un punto fondamentale, dato che nel corso del lavoro terapeutico con il neonato possono presentarsi forti reazioni emozionali e, se le risorse di legame nei genitori sono scarse, queste possono portare a una destabilizzazione psichica dell’intero sistema familiare. Nel PSE si lavora con il neonato con diversi obiettivi:

  • per ripristinare la capacità di risonanza e percezione dei genitori grazie anche all’osservazione del comportamento del neonato

  • per sostenere la capacità di regolazione vegetativa ed energetica del neonato accompagnandolo con la terapia psicocorporea

  • per sciogliere la sindrome da stress post traumatico nel neonato accompagnandolo nei processi regressivi.


Osservazione del comportamento del neonato

Ricorriamo a questo approccio soprattutto quando i genitori hanno difficoltà a percepire i segnali del bambino, riconoscerli e orientarsi in base a essi. Il consulente “traduce” allora per loro il linguaggio non verbale del neonato. Se la madre si sente sufficientemente sicura a contatto con il neonato, la invitiamo durante la sessione a interagire spontaneamente con il bambino. Nel caso abbia solo qualche giorno o qualche settimana, l’ideale è che si metta comoda seduta con un morbido cuscino dietro la schiena, i piedi poggiati a terra e le gambe unite e piegate, e sistemi il neonato sulle sue cosce. In questa posizione confortevole la distanza con gli occhi della madre è ottimale. Se il neonato è più grande, viene invece sistemato a terra su una coperta, e la madre si siede davanti a lui116.

La madre, o entrambi i genitori, vengono incoraggiati a interagire con il bambino esattamente come fanno normalmente e, a questo punto, il consulente metaforicamente si mette gli “occhiali del neonato” e inizia a tradurne il linguaggio non verbale. La madre si avvicina sorridendo amichevolmente, lui la guarda con gli occhi spalancati, pieno di aspettative, e il consulente - che è seduto accanto alla madre - gli parla: “Sì, ti piace che la mamma adesso si avvicina.” La madre inizia ad accarezzargli dolcemente le braccia e le gambe, cosa che a lui visibilmente piace. Il consulente continua a tradurre: “Sì, ti piace quando la mamma ti accarezza. Adesso ti viene da fare un respiro profondo.


E le tue mani si ammorbidiscono e si aprono.” Dopo un po’ che la madre lo accarezza, il bambino diventa improvvisamente irrequieto e gira la testa di lato. Sta segnalando di non essere più ricettivo, e anche adesso il consulente traduce: “Ah, adesso stai iniziando piano piano a essere stanco. Allora fai una piccola pausa”. La verbalizzazione delle reazioni del bambino permette ai genitori di partecipare direttamente all’accompagnamento, con sensibilità. In senso più ampio, per esplorare questo approccio basato sulla risonanza, approfittano della maggiore capacità di percezione del consulente, che funge loro da riferimento. Nel caso i genitori siano molto insicuri e poco ricettivi, conviene che in un primo momento sia il consulente a interagire con il neonato. Anche adesso i segnali vengono continuamente tradotti a parole, solo che i genitori - seduti accanto a lui - osservano quello che succede in modo passivo. È importante che la sessione si concluda con un colloquio, per confrontarsi su quanto osservato e rinsaldare quanto appreso sul comportamento e il mondo emozionale del bambino, così ricchi e variegati.

Legame attraverso il contatto

Un’ulteriore tipo di lavoro centrato sul neonato è la stimolazione della regolazione neurovegetativa dell’organismo, con la sua capacità di oscillare tra una modalità e l’altra, usando un contatto molto delicato, degli sfioramenti lievissimi che accarezzano appena la pelle. L’obiettivo di questa forma di terapia corporea è fargli superare lo stato di stress grazie alla progressiva attivazione parasimpatica, aumentando quindi direttamente alla radice la sua ricettività e la sua disponibilità al legame. Questo modello si rifà alla terapia corporea dolce per prematuri e neonati sviluppata dalla ginecologa Eva Reich fin dagli anni Cinquanta, ispirandosi a sua volta all’approccio psicosomatico ed energetico messo a punto dal padre Wilhelm Reich per il trattamento individuale degli adulti. Eva Reich lo proponeva come prevenzione delle crisi che possono insorgere nei primi tempi dopo la nascita117.

Nell’ambito del legame attraverso il contatto, il tipo di contatto corporeo delicato e leggero proposto da Eva Reich viene ripreso e associato agli strumenti per rafforzare l’autolegame che già abbiamo presentato. Diversamente da altri tipi di massaggio del neonato, nel PSE partiamo dal presupposto che il contatto corporeo offerto dai genitori abbia l’effetto di rafforzare il legame solo se il loro autolegame è stabile. Pertanto, nel nostro caso, l’accento non è posto tanto nell’esecuzione corretta di una sequenza di manovre, quanto nell’accompagnamento attento del neonato da parte dei genitori, che durante il massaggio devono restare ricettivi e capaci di risonanza. Se, durante il massaggio, i genitori perdono la fiducia nella propria competenza, spesso si osserva che accelerano il ritmo nei gesti e nell’esecuzione dell’intera sequenza.


Quando i genitori riescono a bloccare in tempo, sul nascere e con interventi mirati, le dinamiche di stress, si accorgono di essere capaci di regolare l’irrequietezza in se stessi e nel neonato, evitando che il bambino scoppi per forza a piangere forte. Se i genitori riescono a restare ricettivi, quel contatto delicato è in grado di rafforzare il legame e fa sì che nel cervello si attivino circuiti neuroormonali che influenzano subito positivamente non solo la disponibilità al legame nei genitori, ma anche nel bambino. Tra l’altro si libera una maggiore quantità di ossitocina, ormone importante per la regolazione del legame, che aumenta la disponibilità al contatto visivo, calma il cuore e migliora la circolazione sanguigna superficiale. Il contatto leggero, come una farfalla, funge da catalizzatore per l’interazione tra genitori e bambino. Spesso il neonato fin dai primi sfioramenti si apre e si rilassa e, a seguito di questo cambio di modalità neurovegetativa, sprigiona una forza di attrazione che prima non aveva. I genitori adesso si sentono attirati da lui e gli dedicano più attenzione.


Questo contatto facilita il legame, proprio perché facilita il processo di risonanza che avviene nel cervello grazie ai neuroni specchio. In questo tipo di lavoro corporeo con il neonato restiamo centrati su quel che accade nel presente, con l’obiettivo di una migliore sintonizzazione tra genitori e bambino. Cerchiamo di evitare che il neonato entri in processi regressivi, stando attenti a riconoscere subito quando il neonato arriva al limite e inizia a difendersi. Grazie a una stimolazione così delicata, il limite di tolleranza al contatto del neonato aumenta gradualmente, senza che debba per forza risalire all’origine della riduzione della sua capacità di regolazione. Per esempio, durante una sequenza di massaggio, un bambino di sei settimane esce sempre dal contatto visivo ogniqualvolta la madre avvicina le mani alla sua testa. È evidente che evita il contatto e mostra apertamente il suo rifiuto. La sua reazione dipende dalla nascita difficile, in cui è stata effettuata una manovra di Kristeller ed è stato estratto con l’aiuto della ventosa ostetrica. A testimoniare la forza applicata su di lui gli era rimasto un grosso ematoma sopra la fronte. Con la guida del consulente, i genitori imparano a riconoscere i tempo i segnali di difesa del neonato, e a rispettarli.


Capiscono che il neonato teme di provare nuovamente dolore e lentamente, con pazienza, lo riabituano a essere toccato in quella parte del corpo. In un primo tempo, quindi, la testa non viene toccata e ci si concentra sul ripristino delle risorse del neonato; successivamente, con delicate stimolazioni alla testa, il neonato inizia a sentire che il dolore appartiene al passato e ora il contatto lì non è più pericoloso. Nel prudente avvicinamento alle zone critiche del neonato, i genitori e il consulente osservano con attenzione se resta ricettivo e aperto. Ogni minimo accenno di agitazione e tensione significa che il bambino non si sente più al sicuro. Perché venga attivata la naturale capacità di oscillazione tra le due modalità vegetative non c’è bisogno che riviva il dolore e il senso di sopraffazione che ha provato in passato. Riassumendo, il lavoro di terapia corporea con il neonato riguarda molti aspetti. Intanto, ne migliora la capacità di regolazione vegetativa e, di conseguenza, aumenta la sua disponibilità a interagire con l’ambiente. Secondo, rafforza l’autolegame nei genitori che, di conseguenza, imparano a riconoscere e affrontare in tempo le reazioni di stress in se stessi e nel neonato. Infine, con questo tipo di lavoro, si avvia un processo contagioso che genera salute e che, tra l’altro, da un punto di vista neurobiologico, si spiega con un aumento dell’attività dei neuroni specchio.

Regressioni curative nella terapia del neonato

Nonostante la potenzialità di un lavoro orientato al rafforzamento delle risorse sia enorme, specialmente in caso di esperienze fortemente traumatiche succede che il neonato prema per “raccontare” la sua storia118. Anche se è possibile procedere in modo da ridurre la probabilità che questo accada, non è raro che nelle consulenze in situazioni di crisi il neonato entri in regressione. A volte, addirittura, il processo si avvia subito, non appena supera la soglia dell’ambulatorio. Ormai ci siamo resi conto che la tensione e l’agitazione dei genitori, che spesso emergono proprio all’inizio della prima sessione, possono scatenare intense reazioni nel bambino.

Tuttavia, dopo quindici anni di esperienza nel lavoro con i neonati, continua a sorprendermi quanto il processo regressivo a volte parta rapidamente e in modo inatteso. Nel capitolo dedicato al rebonding è stato già descritto come viene facilitata l’espressione delle emozioni nel bambino nel PSE. Non sempre però questo basta, a volte bisogna esplorare le esperienze fatte in precedenza dal neonato, per poter risolvere il disturbo del legame alla radice. Ciò è particolarmente vero in caso di nascita traumatica o di stress eccessivo nell’immediato dopo parto (come per esempio una separazione dai genitori per motivi medici).


Come già descritto precedentemente, l’impulso di ricapitolare eventi traumatici non rielaborati si fa sentire proprio quando il bambino ritrova sicurezza nella relazione. In questi casi entra in regressione, invece di restare nel presente come nei processi descritti finora. Tramite il linguaggio non verbale, specifiche posizioni o forme di autocontatto “racconta” a chi gli sta accanto alcuni aspetti dell’esperienza passata. Nel caso, per esempio, sia rimasto a lungo bloccato nel canale del parto e abbia sentito sulla testa per ore, senza protezione, la pressione delle contrazioni, nella regressione condividerà ciò che ha vissuto.


Se il consulente è in grado di riconoscere i segnali di queste dinamiche perinatali e lo incoraggia ad avanzare, allora il bambino improvvisamente compie tutti i movimenti con cui a suo tempo ha tentato di liberarsi, assumendo la posizione del corpo tipica di quella fase del parto (per esempio, si distende e si allunga). In alcuni casi tutto ciò avviene nel silenzio e nella calma più totali e il neonato, grazie al linguaggio corporeo, mostra cosa ha vissuto come farebbe un adulto a parole. Ma, a volte, scoppia a piangere disperato: esprime le vecchie emozioni che si rifanno sentire in lui e, fino a quel momento, erano rimaste fissate alla muscolatura e al tessuto connettivo. Quello che già abbiamo detto a proposito del rebonding è valido anche in questo caso. Il bambino ha bisogno di un adulto in contatto con se stesso e il proprio corpo per concludere con esito positivo la ricapitolazione traumatica. Il rischio maggiore si corre quando la persona adulta di riferimento perde la connessione proprio nel momento in cui il bambino è sommerso dalle emozioni.


Nella pratica succede spesso che i processi regressivi del neonato vadano di pari passo con intense reazioni dei genitori e, proprio quando esprime il senso di impotenza e la disperazione che ha provato alla nascita, emergono anche nella madre le emozioni che ha provato in quel frangente. Nei processi regressivi, bisogna fare attenzione a che i genitori non siano travolti dalle impetuose reazioni del bambino; di solito non c’è nulla da temere se, fin dall’inizio, si è badato a creare un sistema di protezione, individuando per esempio una base di sicurezza o una visualizzazione. Con un saldo autolegame l’adulto è al sicuro, perché dispone di un sistema di protezione interno che gli permette di avvicinarsi al neonato disorientato. Il fatto che i genitori sviluppino empatia è l’obiettivo più importante di questo approccio: se prima non comprendevano perché il bambino piangesse in modo talmente disperato, al termine del processo di regressione spesso non è più così, come se improvvisamente vedessero con altri occhi.


Ci siamo chiesti come mai alcuni bambini abbiano bisogno di entrare in regressione, mentre ad altri basta che i genitori siano più disponibili al legame, o ritrovare un maggiore rilassamento corporeo, ma finora non abbiamo trovato una risposta soddisfacente.

La forza del legame
La forza del legame
Thomas Harms
Il pronto soccorso emozionale nelle situazioni di crisi con i bambini.Un prontuario per genitori, psicoterapeuti e professionisti della salute del periodo perinatale per conoscere e gestire i momenti di crisi del bambino. Il Pronto Soccorso Emozionale offre ai genitori che si trovano in difficoltà con i propri figli l’opportunità, fin dai primi momenti dopo la nascita, di (ri)trovare e rafforzare il filo emozionale che li unisce. La descrizione del Pronto Soccorso Emozionale che Thomas Harms svolge nel libro La forza del legame è rivolta agli psicoterapeuti, ai genitori e a tutti i professionisti della nascita, della prevenzione, dello sviluppo o della consulenza nel periodo primale. Conosci l’autore Thomas Harms, psicologo, offre da più di 25 anni consulenza e psicoterapia corporea orientata al legame a neonati, bambini e adulti.Dal 1997 è direttore del Zentrum für Primäre Prävention und Körperpsychotherapie (Centro per la Prevenzione Primaria e la Psicoterapia Corporea) a Brema.