quarta parte - la pratica - capitolo xii

Le tre colonne portanti

Abbiamo iniziato a sviluppare il Pronto Soccorso Emozionale all’inizio degli anni Novanta con le consulenze nelle situazioni di crisi e la terapia breve per genitori di neonati che piangono eccessivamente. Fino a oggi, il lavoro con i neonati è rimasto il più importante campo di applicazione del Pronto Soccorso Emozionale, anche se nel corso degli anni se ne sono aggiunti altri, che in alcuni casi esulano completamente da quello originario. Se diamo un’occhiata allo schizzo seguente, riconosciamo le tre grosse colonne su cui si basa il Pronto Soccorso Emozionale.

La prima colonna del Pronto Soccorso Emozionale riguarda proprio la promozione del legame e la protezione della salute, sia nei genitori sia nel bambino. In questo tipo di consulenze, i genitori dispongono di buone risorse e sono in grado di percepire e descrivere le loro sensazioni corporee. L’obiettivo in questo caso è fare prevenzione e preparare i genitori a sostenere bene se stessi e il figlio, in caso di emozioni intense e agitazione, come per esempio durante un attacco di pianto. Vengono utilizzati vari strumenti, come la respirazione addominale, per ripristinare l’autolegame e migliorare la capacità di autoregolazione. Inoltre, i genitori imparano a riconoscere i segnali corporei che accompagnano la perdita di contatto. Dando più attenzione al sistema di allerta fin dalle prime avvisaglie, i genitori si accorgono che sono in grado di rendersi conto subito se la comunicazione e la relazione con il bambino iniziano a peggiorare, e possono correre ai ripari prima che la crisi diventi profonda. 

Già durante la gravidanza si può iniziare con questo allenamento preventivo, volto a migliorare l’autolegame. In tal caso, l’ideale è coinvolgere fin dall’inizio il futuro padre nell’apprendimento di una sensibilità corporea ed emozionale. È particolarmente bello se i genitori possono sperimentare praticamente strumenti corporei specifici, come la base di sicurezza o il massaggio farfalla, utili per evitare fin dalla nascita difficoltà a contatto con il neonato. Grazie allo sviluppo della propria sensibilità potranno affrontare eventuali problematiche con successo e agevolmente.


Per esempio, se la madre tende a diventare insicura quando il bambino inizia ad agitarsi, una o due consulenze nelle situazioni di crisi possono essere sufficienti per ridurre sensibilmente lo stato di sofferenza e ripristinare la capacità di regolazione originaria. Ciò dipende soprattutto dal fatto che la preparazione preventiva dei genitori si inserisce su una capacità di legame già presente e, di conseguenza, gli strumenti proposti nel Pronto Soccorso Emozionale possono venir applicati senza difficoltà nella vita quotidiana.

Con lo stesso obiettivo di promozione del legame e di educazione alla salute, nel Pronto Soccorso Emozionale si utilizzano anche altre strategie. Con il legame attraverso il contatto, un’evoluzione sistematica del massaggio farfalla al neonato sviluppato da Eva Reich98, i genitori imparano ad effettuare una forma delicata di contatto. Diversamente da altri tipi di massaggio del neonato99, in cui ci si concentra sull’insegnamento di una specifica sequenza di movimenti, nel legame attraverso il contatto i genitori scoprono, in particolare, come accompagnare e regolare i segnali della presenza, o della scomparsa, della loro disponibilità al contatto100. In incontri di gruppo i genitori si familiarizzano ad entrare in una sorta di danza gioiosa e ben sincronizzata con il neonato, basandosi sul dialogo interno con le informazioni provenienti dal loro corpo.


Nel corso degli incontri, viene trasmessa ai genitori una conoscenza mirata che, nelle situazioni acute di stress, li aiuta a ritrovare con le proprie forze la stabilità o il filo di connessione con il bambino. I principi del lavoro non si differenziano sostanzialmente da quelli delle consulenze nelle situazioni di crisi. Tuttavia, l’unico intento degli incontri di gruppo è quello di rafforzare e sviluppare ulteriormente le risorse già presenti nei genitori e nel bambino, e la conoscenza riguardo il legame. La colonna centrale, invece, si riferisce al campo d’intervento classico, e comprende le consulenze individuali per genitori e neonato nelle situazioni di crisi. I genitori si presentano con problemi relativi alla nota sintomatologia legata ai disturbi precoci della regolazione, dell’interazione e del legame. Il motivo più frequente della richiesta riguarda il senso di impotenza di fronte all’irrequietezza e al pianto eccessivo del neonato, ma anche abbastanza spesso ai problemi relativi al sonno o all’alimentazione del bambino (età da 0 a 2 anni)101.

Le consulenze ambulatoriali nelle situazioni di crisi, su cui ritornerò più in dettaglio successivamente, comprendono generalmente tra una e dieci sessioni della durata di circa 60-90 minuti, e nella maggior parte dei casi tra due e sei. Di solito lavoriamo solo con neonati e bambini senza patologie organiche e, in caso di dubbio, collaboriamo con un pediatra o con l’ospedale. Lo stesso vale in caso di sospetto disturbo psichico dei genitori, come depressione o psicosi post partum. Seguiamo sempre il principio “prima di tutto la sicurezza”. Solo dopo aver escluso il rischio di impulsi suicidi nella madre o di pericolo per l’incolumità del bambino, inizia davvero il lavoro di accompagnamento. Anche in queste situazioni possiamo far leva sulle risorse presenti nei genitori e nel bambino102.
Infatti, per quanto i disturbi della regolazione nel primo periodo di vita del neonato possano apparire drammatici, se non sconvolgenti, e rappresentare una sfida sia per i genitori sia per l’operatore, con interventi mirati si può rapidamente portare sollievo e giungere a una risoluzione. In caso di problematiche dovute al pianto, l’efficacia dipende soprattutto dai traumi passati non rielaborati dei genitori, e quanto essi vengono riattivati dal pianto del neonato, nonché dalla solidità della rete sociale e familiare. Se la capacità di risonanza e di empatia dei genitori è buona, bastano solo da due a sei incontri per giungere a un notevole miglioramento. Tutto dipende, infatti, dalla capacità di legame dei genitori e dal grado di disturbo della regolazione nel bambino, oltre che dal suo temperamento. La terza colonna portante del Pronto Soccorso Emozionale riguarda il campo di applicazione propriamente terapeutico.

Se guardiamo il grafico, notiamo che in quel settore è chiaramente concentrata la maggior parte delle patologie. Nella terapia con genitori e neonato ci occupiamo, per lo più, degli effetti di un disturbo da stress post traumatico non rielaborato, sia nel neonato sia nei genitori. In questa categoria rientra lo stress traumatico a seguito di un parto difficile e complicato, di una gravidanza segnata da paura in modo inabituale, come spesso è il caso con la fecondazione assistita, o anche di una nascita prematura in cui il neonato è rimasto per settimane o mesi in ospedale. Le numerose separazioni tra genitori e neonato, il confronto quasi ininterrotto con trattamenti medici dolorosi, così come la costante paura per la vita o la salute, sono solo alcuni dei fattori che compromettono il primo legame. Anche se, nel caso dei bambini nati prematuri, le situazioni traumatiche vissute dai genitori e dal bambino possono essere molteplici, non significa che la psicoterapia classica sia l’approccio adatto.

Credo che in tal caso sia necessaria un’applicazione duplice della terapia preventiva, che preveda da un lato il ripristino prudente di fiducia e sicurezza nel bambino - grazie alle quali lentamente inizia ad accettare la vicinanza e il contatto con i genitori e abbandona la reazione di rifiuto - e dall’altro lo sviluppo di strategie mirate che permettano ai genitori di affrontare le sue reazioni acute di stress e pianto. Se riusciamo a rafforzare il legame, questa terapia offre inoltre l’opportunità di rielaborare e sciogliere in modo mirato le esperienze dolorose e spaventose fatte dai genitori e dal neonato. Pertanto, di solito le sessioni non avvengono separatamente, ma il neonato resta assieme ai genitori mentre si abbandonano al loro processo di rielaborazione e, allo stesso modo, loro gli restano accanto, sostenendolo e contenendolo, mentre ricapitola il suo vissuto traumatico. In seguito approfondirò come mai nel lavoro con il neonato il coinvolgimento terapeutico dei genitori abbia un ruolo fondamentale. L’esperienza raccolta in quindici anni di lavoro indica che, in caso di terapia per genitori e neonati orientata al trauma, a seconda dell’entità dei disturbi bisogna considerare da sei a venti sessioni di trattamento.

A destra dello schema incontriamo una doppia linea, dove finisce il campo di applicazione vero e proprio del Pronto Soccorso Emozionale e inizia quello della psicoterapia. Se il grado di patologia ha superato una certa misura, ed è troppo accentuato l’indebolimento delle risorse di legame nei genitori, dovuto a un disturbo della personalità, non resta che un trattamento intensivo all’interno di un ospedale, o di uno studio psicoterapeutico specializzato. Negli ultimi anni abbiamo fatto esperienze positive continuando con una terapia secondo il PSE, dopo la stabilizzazione di madre e bambino ottenuta grazie ad alcune settimane di ricovero ospedaliero.

Il modello dei sette passi

Dopo aver presentato nei capitoli precedenti le basi metodologiche del PSE, è giunto il momento di descrivere in pratica come si procede nell’accompagnamento preventivo o psicoterapeutico di genitori e neonato. Iniziamo dal modello dei sette passi, che si è rivelato efficace in caso di disturbi precoci della regolazione e del legame, e si lascia magnificamente applicare anche in altre situazioni, come per esempio la psicoterapia preventiva in gravidanza o nel periodo perinatale. Il punto cardine del modello dei sette passi è fare in modo che i genitori riescano a spostare l’attenzione da ciò che originariamente ha scatenato la dinamica (per esempio il pianto del neonato) alla percezione delle proprie sensazioni corporee. Le basi di questo modo di procedere sono state sviluppate, all’inizio, nelle consulenze con genitori di neonati che piangono eccessivamente e, pertanto, presento in dettaglio i singoli passi e i punti problematici nel contesto dell’accompagnamento nei momenti di crisi post parto.

Passo 1 - Fase della definizione del problema
In questa prima fase viene messo a fuoco il motivo che ha spinto i genitori a cercare aiuto. Molto spesso, quando si presentano, sono convinti che sia il bambino, che piange tanto ed è irrequieto, ad avere un problema e desiderano che si comporti diversamente, cioè diventi più calmo, facile da accudire e accessibile. Raramente, all’inizio della consulenza, descrivono il loro senso di impotenza, ma spesso l’insicurezza e la carenza di contatto di fronte al bambino si manifestano fin dai primi minuti. Per esempio, emerge subito come la madre, ai primi segni di irrequietezza del neonato, reagisca con un bel repertorio di strategie per distrarlo e impedirgli di piangere: oltre alla stimolazione orale con il seno, il biberon o il ciuccio, in molti casi ricorre a varie stimolazioni motorie.

Spesso, infatti, si mette a camminare per la stanza tenendo il bambino in braccio, cullarlo o molleggiarsi sulla palla da ginnastica. In questa prima fase incoraggiamo i genitori a mettere in atto le strategie che utilizzano di solito per calmare il bambino. Al consulente risulta utile non intervenire prematuramente e mantenere una certa discrezione, perché osservando raccoglie molte informazioni significative. Può riconoscere come il comportamento dei genitori viene accolto dal neonato e se rafforza il contatto e la connessione o meno, e osservare le emozioni dei genitori di fronte al pianto e all’agitazione del bambino. Sono in grado di parlare di quello che provano, oppure vengono rapidamente sopraffatti dal senso di impotenza, restando muti e paralizzati?

Nell’ambito di una terapia breve di Pronto Soccorso Emozionale, è molto importante chiarire fin dall’inizio con i genitori cosa li tocca particolarmente a contatto con il neonato e dovrebbero rispondere senza esitazioni alla domanda: qual è la questione più urgente che oggi dovremmo affrontare? Ciò aiuta ad orientarsi nella selva di possibili domande, particolarmente in caso di crisi acuta. Se, per esempio, la madre racconta di sentirsi persa quando il bambino si agita e inizia a piangere, e cerca aiuto per affrontare meglio questa specifica situazione, si profila chiaramente la struttura della sessione successiva.

Nel PSE stiamo attenti a prendere le dichiarazioni della madre come punto di riferimento e, alla fine di ogni singola consultazione, verifichiamo se i processi da lei vissuti e ciò che ha scoperto durante l’incontro le siano utili per sentirsi più sicura nell’interazione quotidiana con il bambino. Spesso la madre improvvisamente si mette a parlare di situazioni che esulano da quella iniziale, per esempio di un conflitto con la suocera, con cui convive, da cui emerge la problematica riguardante il saper porre dei limiti. Il consulente può decidere di approfondire il tema relativo alla situazione abitativa e lasciarle lo spazio di esprimere la sua paura a prendere posizione e mandare la suocera a quel paese. La madre, dopo essersi sfogata, trova il coraggio di immaginarsi come suddividere meglio lo spazio e anche come farlo concretamente. Dato che si tratta di una consulenza in situazione di crisi, un simile svolgimento della sessione va valutato criticamente, poiché, se il problema di delimitazione della madre non viene ricondotto a quello espresso inizialmente, c’è il rischio che il senso di impotenza e disorientamento quando il bambino piange persista, anche se rientra a casa rafforzata.
Passo 2 - Fase dell’esplorazione dello stress
Nel secondo passo esploriamo l’entità della dinamica di stress in cui genitori e bambino sono prigionieri. A questo proposito, le varie manifestazioni emozionali, corporee e comportamentali devono essere osservate in una situazione concreta di crisi. Nel PSE, dopo aver messo a fuoco le strategie preferite dai genitori per calmare il bambino, si tratta ora di verificare la dimensione psichica del vissuto durante una crisi. Quando una madre cammina frenetica per la stanza tenendo in braccio il bambino che piange, con il suo comportamento mostra ciò che vive interiormente. Possiamo differenziare tre tipi di informazioni: il piano emozionale, le percezioni corporee e infine la loro localizzazione.

Una giovane madre nel corso della prima sessione racconta di sentire un peso, o una pressione, in mezzo allo sterno quando il bambino piange, e indica con le mani il punto preciso. Inoltre, aggiunge, si accorge anche di aver iniziato a respirare in modo più superficiale e di fare fatica a inspirare ed espirare con calma. Proseguendo nella sua esplorazione, racconta di sentirsi in trappola e senza via d’uscita ogni volta che il bambino inizia a piangere. Anche se, vista da fuori, sembra del tutto calma, se potesse metterebbe giù il bambino e scapperebbe via.

Adesso è in grado di descrivere con sempre maggior precisione i differenti aspetti della paura che prova quando il bambino piange. Come si vede nell’illustrazione, l’esplorazione dello stress permette di evidenziare una correlazione tra ciò che ha innescato all’esterno la dinamica, le strategie per calmarlo e la rappresentazione intrapsichica dei genitori. Improvvisamente la madre riconosce come il pianto inconsolabile del neonato e il frenetico molleggiarsi sulla palla da ginnastica sono indissociabili dalla sensazione di peso e pressione al petto e dal senso di impotenza.
Spesso già durante la raccolta preliminare di informazioni i genitori iniziano a cambiare atteggiamento. Da un lato, d’un tratto, si rendono conto della stretta correlazione tra la loro reazione e il comportamento del bambino, dall’altro capiscono che le sensazioni corporee - come il peso al petto - sono un primo segnale d’allarme della perdita di contatto con se stessi e con il bambino. Inoltre, aver identificato i segnali di stress spesso li rende comprensivi verso il loro disorientamento e la difficoltà in cui da tempo si trovano. In un secondo momento esploriamo lo stress vissuto dal neonato, aspetto che verrà approfondito e discusso in dettaglio nel capitolo “Lavoro con i neonati”.
Passo 3 - Fase dell’autolegame
Nel terzo passo aiutiamo i genitori a ripristinare il contatto con il proprio corpo. Non appena imparano a spostare l’attenzione sul proprio corpo e ad adottare la respirazione addominale, tornano ad essere disponibili al contatto e al legame. Mentre il primo colloquio con i genitori frequentemente può avvenire solo grazie al fatto che continuano a muoversi per la stanza con il bambino agitato in braccio, ora nella terza fase li invitiamo a mettersi comodi. Impossibile sottolineare abbastanza quanto il fatto che si sistemino in una posizione confortevole favorisca l’esito della sessione.

Spesso il solo dare attenzione alla comodità della madre è già un primo atto simbolico di cura materna e amorevole, che porta a una prima reazione di apertura e rilassamento. Nelle consulenze in situazioni di crisi innanzitutto spieghiamo in modo semplice e conciso ai genitori come si procederà concretamente e per quale motivo utilizziamo determinati strumenti corporei per sostenere il processo di legame con il neonato. Spesso è utile provare le singole tecniche, come per esempio la respirazione addominale, prima che sia realmente necessario. Per molti genitori concentrarsi sulla respirazione e sulle loro sensazioni corporee è un’esperienza del tutto nuova.

Ciononostante, sorprendentemente la stragrande maggioranza di loro è in grado di comprendere e applicare molto velocemente il procedimento quando si trova in una situazione di crisi. Spiegando la tecnica è essenziale dare indicazioni efficaci: finché applichi la respirazione addominale, sei in uno stato di sicurezza; finché percepisci il tuo corpo, anche il bambino ti può percepire e può fare riferimento a te; la respirazione ti aiuta a mantenere la calma e la sicurezza, soprattutto quando il bambino piange forte. I genitori vengono invitati a tenere il bambino a pancia in giù appoggiato sul loro grembo, mettendo una mano sulla sua nuca e l’altra all’altezza dell’osso sacro, e come prima cosa a spostare l’attenzione sul proprio corpo e percepire il movimento del respiro nonché come, a ogni fase respiratoria, l’addome si adatti al corpo del bambino. Incoraggiamo la madre ad abbandonarsi con tutto il peso allo schienale o ai cuscini durante l’espirazione.

Non sempre però la respirazione addominale basta a rafforzare la disponibilità al legame dei genitori. Una madre con poche risorse fa molta fatica a distogliere l’attenzione dal bambino e concentrarsi sul respiro e, spesso, durante l’esercizio continua con le solite strategie per calmarlo (per esempio, continua tutto il tempo a fare “Shh, shh”). Le risulta difficile chiudere gli occhi per un istante e abbandonarsi per sentire il suo corpo. In tal caso, è assolutamente indicato puntare su ulteriori strumenti e, particolarmente, sulla base di sicurezza. Spesso già la ricerca dell’esatta zona sicura del corpo (vedi capitolo “Legame e contatto”) le permette di spostare un po’ l’attenzione su di sé e iniziare a ripristinare il contatto con il bambino.

Alcune madri si sentono talmente minacciate dal pianto e dall’agitazione, che quanto descritto può avvenire solo in piedi con il bambino in braccio. In linea di principio, la respirazione addominale si può effettuare da seduti, in piedi o distesi e, più che la posizione scelta, è importante che non venga eseguita in modo meccanico e che l’adulto ritrovi l’autolegame e entri in uno stato vegetativo di apertura. Se è presente anche il padre, spesso risulta utile che i genitori vivano il processo di riconnessione assieme. In tal caso, invitiamo il padre a sedersi dietro la madre e fungere da appoggio per lei e il bambino, come se fosse una poltrona, e ad adottare anche lui la respirazione addominale, percependo come durante l’inspirazione la sua pancia si adatti alla schiena della compagna. Abbiamo constatato che per molti genitori è una sorta di piacevole deja-vu, dato che hanno già sperimentato questa posizione nel corso di preparazione al parto. Se però le tensioni all’interno della coppia sono pronunciate e correlate al disturbo di regolazione del bambino, l’utilizzo di questa tecnica è sconsigliato.
Passo 4 - Fase del processo

In caso ottimale le misure per sostenere l’autolegame nei genitori fin qui descritte sono sufficienti perché si sentano di nuovo sicuri e rilassati, e si accorgano nel giro di pochi minuti dell’effetto benefico della connessione con il loro corpo e con il neonato. Anche quando perdurano irrequietezza o pianto nel bambino, grazie al ripristino dell’autolegame diminuisce il loro senso di impotenza e disorientamento.


La percezione del proprio corpo li aiuta a essere più tolleranti e resistenti verso le emozioni del neonato. Improvvisamente madri, che fino a quel momento erano cadute in preda alla disperazione e alla tensione più totali di fronte al pianto e ai lamenti del bambino, sentono diffondersi in loro calma e senso di calore. Alcuni genitori lo descrivono con queste parole: si forma una sorta di pellicola di protezione sulla superficie del corpo, che permette loro una migliore delimitazione. In questa quarta fase si osservano due possibili reazioni nel neonato: o il cambiamento della situazione, sia emozionale sia corporeo, lo rende subito più aperto e rilassato, oppure si mette a piangere ancora più forte.


Nel primo caso, relativamente frequente, si tratta di bambini con una forte autoregolazione, che attivano il sistema parasimpatico non appena i genitori iniziano a rilassarsi. Molti neonati, infatti, si calmano subito e restano tranquilli sul ventre della madre, immobili e con gli occhi spalancati, come sorpresi di quanto tutto sia diverso dal solito. Nel secondo caso, invece, grazie al “tornare-in-sé” dei genitori, il neonato può finalmente dare libero sfogo al pianto che finora aveva trattenuto. Ciò avviene soprattutto a quelli che, con una qualsiasi forma di compensazione orale (seno, biberon, ciuccio), fino a quel momento avevano dovuto “buttar giù”, cioè reprimere le loro grida di protesta. I genitori ora smettono di offrirgli un contatto compensatorio, cosa che lui vive come una liberazione. Il pianto stesso allora ha un effetto realmente liberatorio e risulta benefico per tutti. Nel capitolo seguente descriverò in dettaglio quali condizioni facilitano il pianto nel neonato, oltre alle procedure diagnostiche e alle controindicazioni nell’accompagnamento di un pianto eccessivo.

È difficile prevedere in anticipo in quale dei due modi reagirà il bambino, ma ai fini del PSE in entrambi i casi resta fondamentale concentrarsi sul ripristino nei genitori dell’autolegame e della sicurezza interiore. Anche quando il neonato ha bisogno di intensificare il pianto, l’attenzione resta puntata sul mantenimento della disponibilità al legame dei genitori. Frequentemente anche loro provano emozioni più intense grazie al processo di rebonding. Non appena il corpo si rilassa e si sentono nuovamente connessi a se stessi e al neonato, spesso scoppiano a piangere anche loro. Ritrovare la vicinanza con il bambino per molti genitori è una liberazione. La stragrande maggioranza si presenta dichiarando di avere grande nostalgia di una relazione intima e profonda con il figlio. Sembra che sappiano istintivamente che doveva essere sempre così dall’inizio. Nel Pronto Soccorso Emozionale l’intensità delle emozioni dei genitori segnala una riorganizzazione del legame. Oltre al pianto liberatorio, emergono frequentemente sentimenti di gratitudine, valorizzazione e profondo amore. 
Passo 5 - Esplorazione di un nuovo vissuto di legame

Nel quinto passo aiutiamo i genitori a identificare dentro di sé il cambiamento nella costellazione di legame. È importante, infatti, che siano consapevoli del cambiamento avvenuto non solo nel comportamento del bambino, ma anche nel loro vissuto emozionale e corporeo. A questo scopo è essenziale che le esperienze positive vengano fissate come esperienze somatiche. In pratica significa che la madre, con il neonato tutto rilassato appoggiato su di lei al termine della sessione, prenda atto di quello che è cambiato nel suo organismo, dal punto di vista sia emozionale sia corporeo. È vero che la riorganizzazione del campo di legame con il bambino ha reso possibile una reazione parasimpatica in lei, tuttavia il punto resta come vive soggettivamente questo processo. Se, all’inizio della sessione, aveva parlato di senso di oppressione al petto durante gli attacchi di pianto del bambino, adesso è il momento di chiederle cosa è successo dopo il processo di apertura. Capita che racconti di sentire calore e un’espansione piacevoli nel petto e che, improvvisamente, il senso di impotenza abbia lasciato posto a una profonda gratitudine. Spesso è utile verificare con precisione in che modo i sintomi iniziali si sono trasformati. Ha ancora bisogno di camminare per la stanza con il bambino in braccio? Cos’è cambiato nel corpo esattamente? Come percepisce il bambino sul suo ventre? L’adulto deve innanzitutto prendere atto di quanto le sue emozioni e le sue sensazioni siano radicalmente cambiate, e non solo il comportamento del neonato.

Passo 6 - Fase dell’intimità

Questo passo ha particolare significato in caso di processi emozionali molto intensi nel neonato. Il pianto prolungato spesso si conclude con un’atmosfera di pace, una sorta di silenzio sacro, in cui il neonato resta calmo e immobile in uno stato di profonda commozione e raccoglimento. In questa fase è importante non disturbare il processo intimo e personale con parole e domande premature. Nel caso i genitori dispongano di sufficienti risorse, spesso è una buona idea uscire dalla stanza per un po’. Infatti, spesso la madre riesce a coccolare il bambino e parlargli amorevolmente, o si permette di piangere lei stessa, soltanto quando non si sente più osservata. Il medico francese Michel Odent103 spiega quanto sia necessaria questa sfera privata protetta affinché il processo di legame tra madre e neonato possa avvenire. Effettivamente, dopo un processo di rebonding, l’atmosfera assomiglia parecchio a quella dei delicati momenti immediatamente dopo la nascita. Odent nei suoi libri descrive ripetutamente e in modo perentorio come stimolare prematuramente con domande razionali la neocorteccia, cioè la parte nuova del cervello, inibisca il flusso di liberazione dell’ossitocina e disturbi il processo di legame.

Passo 7 - Sviluppo di strategie d’azione per la vita quotidiana

Al termine di una consulenza in una situazione di crisi è essenziale che quanto vissuto si traduca in passi e soluzioni concreti da portare avanti nella vita quotidiana. Anche se questo, spesso, avviene spontaneamente e i genitori escono molto rafforzati grazie all’esperienza fatta, non significa per forza che siano in grado di applicare quanto scoperto nelle situazioni reali. Pertanto può essere utile chiedere loro di descrivere ancora una volta la situazione problematica con il neonato, immaginando però ora di restargli accanto come hanno appena fatto durante la sessione. Spesso emergono in loro immagini molto precise: sono in una stanza con il bambino in braccio e riescono a restare tranquilli anche se sta piangendo, vedono inoltre come la loro tranquillità si propaga al bambino. Queste visualizzazioni conclusive sono di orientamento ai genitori per affrontare la vita di tutti i giorni. In seguito si discute con loro cosa faranno se dovessero sentire di nuovo il senso di impotenza di cui hanno parlato e, a questo punto, si danno istruzioni chiare su come e quando utilizzare le tecniche di connessione che hanno appreso, come per esempio la respirazione addominale. È importante anche spiegare come utilizzare i segnali corporei di stress (per esempio, l’oppressione al petto) quale primo campanello di allarme per riconoscere in tempo la perdita di contatto con il bambino ed evitarla.

I 7 passi del Pronto Soccorso Emozionale

  1. Fase dell’identificazione del problema
  2. Esplorazione dello stress (comportamento, emozioni, vissuto corporeo)
  3. Fase dell’autolegame (con respirazione, contatto corporeo, percezione, visualizzazione)
  4. Fase del processo a) Reazione di rilassamento e apertura b) Processo di espressione (lavoro di sostegno del rebonding)
  5. Esplorazione di nuove esperienze di legame
  6. Fase dell’intimità
  7. Sviluppo di nuove prospettive d’azione rispetto al problema iniziale

La forza del legame
La forza del legame
Thomas Harms
Il pronto soccorso emozionale nelle situazioni di crisi con i bambini.Un prontuario per genitori, psicoterapeuti e professionisti della salute del periodo perinatale per conoscere e gestire i momenti di crisi del bambino. Il Pronto Soccorso Emozionale offre ai genitori che si trovano in difficoltà con i propri figli l’opportunità, fin dai primi momenti dopo la nascita, di (ri)trovare e rafforzare il filo emozionale che li unisce. La descrizione del Pronto Soccorso Emozionale che Thomas Harms svolge nel libro La forza del legame è rivolta agli psicoterapeuti, ai genitori e a tutti i professionisti della nascita, della prevenzione, dello sviluppo o della consulenza nel periodo primale. Conosci l’autore Thomas Harms, psicologo, offre da più di 25 anni consulenza e psicoterapia corporea orientata al legame a neonati, bambini e adulti.Dal 1997 è direttore del Zentrum für Primäre Prävention und Körperpsychotherapie (Centro per la Prevenzione Primaria e la Psicoterapia Corporea) a Brema.