terza parte - capitolo xi
La forza delle immagini interiorio
Rafforzamento del legame con le visualizzazioni
Al risveglio il mattino Kerstin è distesa a letto con il figlio Justin di quattro settimane ed è felice di stargli vicino. Le piace sentire il calore della pelle del bambino, quel profumo che conosce così bene, gli sguardi pieni d’amore, i movimenti delicati delle manine. Il sole entra dalla finestra e illumina il pavimento fino al bordo del letto. Si sente il cinguettio degli uccelli. Nell’insieme è una situazione speciale, che la commuove profondamente.
Quando le chiedo di aprire gli occhi, sembra arrivare da un altro mondo. Il suo viso si è del tutto ammorbidito e trasuda amore. Kerstin si è appena immaginata un bel momento accanto al figlio, e il ricordo di quella piacevole mattina la aiuta a sentire di nuovo intimità e vicinanza nell’interazione con lui. Quando un’ora prima si è presentata in ambulatorio, se fosse stato possibile, avrebbe preferito lasciarlo lì e andarsene via. La giornata era stata insopportabile per lei: da mezzogiorno il bambino non faceva che lamentarsi e piangere, e perfino la passeggiata al parco stavolta non aveva funzionato.
Non ricorda più quando esattamente fosse successo, ma a un certo punto“si erano spente le luci dentro di lei”. Aveva perso ogni speranza, quella che Justin a un certo punto cambiasse, e in un certo senso si era arresa. Riusciva a sentire solo rifiuto, delusione e voglia di scappare.
La visualizzazione mirata la sostiene nella riattivazione dell’autostima e dell’autolegame. È un po’ come se, grazie alle piacevoli immagini interiori, si ammorbidisse e liberasse. Il ricordo di quel momento gradevole assieme al bambino le permette di agganciarsi agli istanti in cui la relazione funzionava ancora ed era piena di vitalità. Le immagini sono come piccole palline che rianimano la forza latente e dimenticata del legame90.
Di fatto, lavorando con i genitori nelle situazioni di crisi post partum abbiamo visto quanto il ricordo di momenti belli, costruttivi e rafforzanti assieme al bambino esca velocemente dal campo visivo in caso di stress e insicurezza prolungati. Nuove ricerche suggeriscono che uno stato di stress prolungato inibisce fortemente l’attività mnemonica91.
Tutto sembra indicare che paura, insicurezza e stress psichico, se durano a lungo, hanno l’effetto di cancellare dalla memoria le esperienze più piacevoli e gradevoli. Ciò spiega parzialmente come mai le madri che si presentano in ambulatorio spesso si lamentano del fatto che stare con il bambino non sia più affatto gradevole. Soltanto gli aspetti opprimenti e sgradevoli hanno significato e meritano di essere raccontati. Ma il vero obiettivo delle visualizzazioni nel PSE non sta nel contenuto delle immagini, che sono molto diverse da persona a persona. Mentre alcuni genitori ricordano momenti concreti di vicinanza con il neonato, altri lo vedono pacifico di fronte a loro, accoccolato nel suo lettino, o ancora si immaginano situazioni in cui, curioso e affascinato, esplora il mondo che lo circonda. Queste immagini potenti possono contenere tutta una serie di interazioni o essere fisse, come il ricordo di un certo sguardo, o di un certo sorriso92.
Visualizzazioni e percezione corporea
Come già è stato descritto in merito agli altri strumenti per rafforzare il legame, la visualizzazione è pienamente efficace solo in combinazione con una buona percezione corporea. Se la madre è consapevole dei cambiamenti che avvengono nel suo corpo ed è in grado di descriverli esattamente, può associare l’immagine interiore a un concreto vissuto corporeo e quindi trasformarla in una precisa esperienza corporea. Prendetevi un attimo di tempo per il seguente esercizio, che chiarisce questo aspetto del lavoro.
Chiudi gli occhi e ascolta il tuo corpo. Fai attenzione al flusso del respiro, all’alzarsi e all’abbassarsi dell’addome. Senti come il respiro crea spazio dentro di te. Senti come a ogni espirazione lasci il tuo peso allo schienale e al ripiano della sedia. Lascia adesso emergere un’immagine in cui ti sei sentito pienamente soddisfatto, felice e al sicuro con tuo figlio. Un piccolo momento in cui ti sei sentito molto vicino, pieno di amore e consapevole di quanto ti sta a cuore.
Lascia che quest’immagine diventi più chiara e guarda cosa stai facendo con lui. È un momento di riposo, intimità o vicinanza fisica? Magari tuo figlio ti sorride o ti accarezza delicatamente il braccio? Forse stai saltando sul letto assieme a lui, e vi scompisciate dalle risate? Oppure senti i rumorini che fa quando è attaccato al seno, quei sospiri e quel modo di respirare? È possibile anche che ti ricordi di un preciso odore, come quello dolce del latte, o l’inebriante profumo di neonato. Lascia entrare in te tutti questi ricordi e soffermati un attimo sulle immagini.
Fai attenzione a quali sensazioni provocano nel tuo corpo. Dove inizia il rilassamento, dove si espande calore e dove si crea un senso di spazio? Percepisci bene dove inizia a fluire piacevolmente. Prova a sentire dove si trova il centro di questo benessere. Forse puoi percepire più precisamente la sensazione che provi quando pensi a tuo figlio. Che cosa ti trasmette quest’immagine? Si tratta di un senso di vicinanza, connessione, fiducia? Di gratitudine, sicurezza o semplicemente di profonda soddisfazione?
Lavorando con genitori e bambini che piangono tanto possiamo spingerci ancora oltre, e correlare le immagini visualizzate non solo con le sensazioni corporee dell’adulto, ma anche con le reazioni del neonato. Soprattutto se la tecnica di visualizzazione viene usata con il bambino presente, molto spesso, quando cambia la modalità di base nell’adulto, la sua risposta è immediata. Come un sismografo sensibile, segnala e rispecchia l’apertura emozionale e i cambiamenti a livello corporeo di chi gli sta accanto. Non appena la madre si connette interiormente con le immagini e si rilassa, anche il bambino emette un profondo sospiro.
Contraddizioni nella pratica del Pronto Soccorso Emozionale
All’inizio del Pronto Soccorso Emozionale, il tipico approccio consisteva nel dedicarsi alle dinamiche di crisi tra genitori e neonato con i suoi clamorosi sintomi: nel neonato il pianto, lo sfuggire allo sguardo e l’agitazione; nell’adulto il senso di impotenza e disorientamento, e le strategie disperate per evitare o placare la crisi, in modo da non doversi confrontare con il pianto del neonato. In questa prima fase dell’elaborazione del PSE, l’esplorazione del disagio e dell’indebolimento del legame era assolutamente centrale ed era il punto di partenza del percorso che genitori e bambino facevano assieme.
Gli svantaggi di questo modo di procedere, tutto concentrato sulle manifestazioni dell’indebolimento del legame, diventarono ben presto evidenti. Addentrarsi nelle reazioni dei genitori durante le crisi di pianto spesso sfociava in un aumento di stress e tensione sia nei genitori sia nel neonato. Bastava solo parlare delle situazioni di disagio per riportare a galla emozioni dolorose, tensione corporea e agitazione. A volte, infatti, succedeva che, non appena iniziavamo a fare domande mirate ai genitori, nel giro di pochi minuti l’atmosfera - che era ancora distesa all’inizio della consultazione - diventava impegnativa e sgradevole. Per esempio, quando la madre iniziava a descrivere il senso di impotenza e le strategie per calmare il bambino, accadeva che lui iniziasse ad agitarsi nelle sue braccia. Se non si faceva abbastanza attenzione, si ripresentava in ambulatorio lo stesso scenario vissuto quotidianamente a casa.
La dimostrazione dal vivo dell’irrequietezza del bambino aveva sui genitori un effetto totalmente liberatorio, poiché era per loro una buona occasione di presentare, davanti a dei testimoni, quanto fosse terribile e senza via d’uscita la loro attuale situazione. Infatti, nel corso delle consultazioni nelle situazioni di crisi, osservavamo quanto fosse forte la tendenza dei genitori a mettere l’accento sul disagio e l’oppressione provati a contatto con il bambino nella vita di tutti i giorni. È del tutto comprensibile, vista la loro enorme tensione, che preme per essere espressa. Che un approccio incentrato sull’indebolimento del legame possa essere pericoloso emerge chiaramente nel caso i genitori dispongano di scarse risorse e di fronte al pianto del neonato si sentano talmente sotto pressione e spaventati, da non riuscire più a percepire se stessi e a guardarsi dentro. Presto approfondirò meglio le specifiche difficoltà incontrate se i genitori hanno scarse risorse. Per il momento mi limito a segnalare che il consulente deve provvisoriamente assumersi il ruolo di co-regolatore per i genitori, a causa del crollo dell’Io dovuto allo stress. Le persone con una struttura dell’Io debole hanno particolare difficoltà a restare connesse con il proprio corpo e questo fenomeno è ancora più accentuato in caso di disturbo da stress post traumatico.
A seguito di queste osservazioni ci siamo posti alcune fondamentali domande. Nelle situazioni di crisi si può evitare di esporre i genitori e il neonato a ulteriore stress e a un ancor maggiore indebolimento del legame? Come procedere per rafforzare fin dall’inizio le risorse interne, invece di mettere in primo piano stress e disagio?
Le immagini interiori come base di sicurezza
Per evitare una riattivazione dello stato di stress durante il primo colloquio, e muoverci in sicurezza in un terreno sconosciuto, utilizziamo la visualizzazione. All’inizio della consultazione, come prima cosa, ripristiniamo l’autolegame nei genitori, ricorrendo per esempio alla respirazione addominale o a immagini in cui il legame è forte. Si è rivelato utile un piccolo esercizio, in cui i genitori si immaginano un momento della vita quotidiana con il bambino in cui l’interazione funziona bene.
Concentrarsi sugli aspetti positivi, fin dall’inizio della sessione, rafforza e sostiene l’autostima nei genitori, che si rendono conto come non tutto vada male quando stanno con il bambino. Ciò è particolarmente importante se il bambino richiede molta attenzione durante la giornata e il legame tra genitori e neonato è fortemente compromesso. A partire dal ripristino dell’autolegame, si possono intraprendere i primi passi per esplorare le situazioni problematiche. Ci interessano soprattutto due aspetti: come si comportano i genitori e il bambino nei momenti di forte stress e come viene rielaborata psichicamente e interiormente dai genitori la situazione fonte di stress, per esempio quando il bambino piange a lungo e in modo inconsolabile. Se ci accorgiamo che la madre, mentre racconta, diventa più tesa, inizia a respirare più superficialmente o semplicemente a parlare più rapidamente, tutti segnali di un’intensa mobilitazione del sistema simpatico, vuol dire che potrebbe essere sul punto di passare a uno stato di attivazione e agitazione.
Parlare del senso di oppressione che prova accanto al neonato la stimola in modo controproducente, e potrebbe chiudersi e perdere la sua disponibilità al contatto. In quel momento è fondamentale un intervento tempestivo del consulente, per contenere la dinamica debilitante. Con un segnale di stop la invitiamo a interrompere il racconto e tornare a visualizzare quei momenti con il bambino, che costituiscono una base di sicurezza. Se all’inizio della consultazione le risorse sono state fissate sufficientemente bene, riagganciandosi all’immagine “buona”, la madre è in grado di entrare in una dinamica antistress.
Nel primo colloquio Rika, trentadue anni, descrive le insopportabili crisi di pianto di suo figlio Julian di dieci settimane, che una o due volte al giorno piange in modo così intenso che la sua voce diventa penetrante e assordante. Nel giro di soli pochi minuti la situazione può precipitare a tal punto che in volto diventa tutto rosso, o perfino bluastro, e resta in apnea per qualche secondo, come se non sapesse più come si fa a respirare. “In quei momenti mi prende il panico e tutto si aggroviglia dentro di me. A volte trattengo io stessa il fiato, e riprendo a respirare solo quando mi accorgo che anche Julian lo fa.”
Mentre parla, Rika tormenta irrequiete la maglietta con le mani e le sue labbra diventano sottili e pallide. Per il resto, in linea di massima, l’espressione corporea è misurata e controllata, anche se la tensione è evidente. Invece di lasciarla continuare, la invito a fermarsi: “Senti ora il respiro nell’addome. Percepisci come il tuo ventre si espande a ogni inspirazione. Ritorna a quel bel momento passato assieme a Julian che hai descritto all’inizio della sessione.
Pensa di nuovo alle coccole mattutine e al calore che senti sulla pelle”. Julian, disteso su una copertina davanti a lei, è tutto intento a succhiare soddisfatto un cubetto di legno, e Rika chiude gli occhi per abbandonarsi al flusso di immagini. Mentre rivolge l’attenzione dentro di sé, la sostengo con un contatto in alto sulla schiena, tra le scapole. Dopo un po’ riesce a riconnettersi con le immagini gradevoli, la sua postura inizia a rilassarsi, i tratti del volto si ammorbidiscono e il ritmo del respiro si fa più profondo. Quando apre gli occhi, mi guarda con espressione serena. Posa una mano su Julian, come se volesse accertarsi che adesso va tutto bene. Gli accarezza le braccia e le mani e cerca di incrociare il suo sguardo.
Adesso che ha ritrovato un luogo sicuro dentro di sé e anche la connessione con lui, riprende a raccontare: “Sì, sto proprio male quando Julian piange così forte da smettere di respirare. Ho davvero paura che muoia! Tutto in me si contrae. È terribile!” Stavolta Rika può parlare con calma del suo disagio. È meno coinvolta dalle reazioni del figlio. La visualizzazione positiva ha rotto il circolo vizioso di stress e tensione, e ha visibilmente avuto un impatto positivo sul suo contatto con la realtà e la sua resistenza emozionale.
Grazie al ripristino dell’autolegame e a un sostegno adeguato è possibile evitare in tempo l’innescarsi di una dinamica di stress sia nella madre sia nel bambino. Per la madre le immagini interiori sono come il pedale di un freno, che le impedisce di precipitare suo malgrado in uno stato di agitazione e impotenza. Anche mentre parla delle situazioni stressanti con il figlio, grazie alla connessione sicura con il Sé-Corpo è in grado di restare calma e, allo stesso tempo, aperta verso i segnali del neonato. Perché questo modo di procedere sia efficace, bisogna tuttavia saper dare più peso all’energia e ai processi corporei di chi racconta, piuttosto che al contenuto di ciò che dice. Spesso la descrizione degli eventi terribili cattura l’attenzione del consulente, che si lascia coinvolgere.
Se ciò accade, corre il rischio di lasciarsi travolgere dal vortice di stress di chi ha di fronte. Pertanto, nel PSE, siamo continuamente attenti a tutti i diversi segnali corporei, che indicano se la disponibilità al contatto e la ricettività sono sufficienti. Accanto al linguaggio corporeo e alle eventuali tensioni nella muscolatura e nella respirazione, osserviamo anche le reazioni del bambino e, non ultimo, il nostro stesso processo di risonanza. Tutte queste fonti di informazione ci indicano se è possibile continuare con il racconto o se, invece, è opportuno fermarsi per ripristinare innanzitutto l’autolegame. L’utilizzo del segnale di stop per evitare un’attivazione esagerata del sistema nervoso richiede grande sensibilità. Molti genitori cercano una consulenza perché, fino a quel momento, non hanno avuto occasione di parlare delle loro paure e della loro situazione di emergenza.
Spesso il segnale di stop, già all’inizio della sessione, viene percepito come un’interruzione non necessaria del filo del discorso. Sono venuti per liberarsi dallo stress parlando, e ora vengono continuamente interrotti e dovrebbero perfino volgere lo sguardo alle esperienze quotidiane positive. Facilmente reagiscono con rifiuto, dato che potrebbe sembrare che il consulente si comporti come tutti gli altri, che non sopportano i racconti delle crisi di pianto e non sono disponibili ad ascoltarli. Pertanto, è importante presentare ai genitori con precisione il modo di procedere. Infatti, se comprendono che il segnale di stop viene usato solo per evitare ulteriore stress e destabilizzazione, di solito non ci sono problemi e collaborano volentieri.
Visualizzazioni e retrospezione
Non tutti i problemi legati al disturbo precoce della regolazione del bambino si lasciano affrontare con i metodi finora presentati del Pronto Soccorso Emozionale. Per molti neogenitori, oltre al pianto, sono un grande dilemma anche i disturbi del sonno e della veglia nel primo anno. Spesso, però, in tal caso le problematiche legate al comportamento del bambino o all’interazione tra genitori e bambino non emergono facilmente durante una sessione di lavoro tanto quanto quelle relative al pianto e all’agitazione. Di solito, in ambulatorio i bambini “che non dormono” mostrano il lato solare della loro personalità: sono interessati al contatto, disponibili e curiosi, esplorano attivamente l’ambiente e interagiscono in modo amichevole con le persone. Frequentemente i loro genitori vivono una sorta di sindrome di Doctor Jekyll e Mister Hide. La notte è un vero inferno: il bambino si sveglia piangendo, non ne vuole sapere di riaddormentarsi, cerca continuamente il seno senza però riuscire a calmarsi, oppure si sveglia al minimo rumore, come quello di una porta che sbatte o del pavimento di legno che scricchiola. I genitori finiscono per muoversi per casa in punta di piedi trattenendo il respiro, come se fossero dei ladri.
Visualizzazione dell’aiutante interiore
Non sempre è sufficiente avere un’alta stima di sé e connettersi con immagini di situazioni piacevoli per rafforzare la capacità di risonanza e legame. Nelle dinamiche di stress, che sono fortemente correlate a schemi di rifiuto di se stessi, ci vuole dell’altro per sostenere i genitori nel trovare una via d’uscita alla crisi con il figlio. Quando prevalgono rifiuto e svalutazione personale, ciò è strettamente connesso alle proprie dinamiche, che dipendono da un primo legame carente e traumatico. Se da neonati, o da piccoli, non ci siamo potuti fidare del partner di legame più importante, perché siamo stati traditi, feriti o abusati emozionalmente da lui, con un processo di identificazione e di introiezione di questo “oggetto” negativo si avvia in noi un processo in cui ci rifiutiamo, trascuriamo e critichiamo quando disattendiamo le nostre aspettative o le nostre pretese. Nell’accompagnamento di genitori e neonati, questo rapporto negativo con se stessi si osserva particolarmente se i genitori hanno una concezione di sé molto idealizzata.
Il neonato che piange disperato esce completamente dal campo visivo di simili genitori, che soffrono principalmente per il fatto di non essere in grado di soddisfare le proprie esagerate aspettative. L’immagine idealizzata e la realtà sono troppo discordanti e, tra l’altro, ne risulta un’enorme rifiuto di se stessi e un’eccessiva autocritica. Nelle consulenze nell’immediato dopo parto o nei primi mesi, le costellazioni narcisistiche sono una sfida enorme, ma non rientra nell’obiettivo di questo libro trattare l’argomento in modo esaustivo. Ci basta segnalare che con i metodi corporei presentati finora - come il contatto, la respirazione, la percezione - si possono trattare e risolvere solo in modo molto parziale i disturbi precoci del legame dovuti a un disturbo della personalità in senso narcisistico dei genitori.
Ciò è ancora più evidente per le forme classiche di lavoro corporeo orientato all’espressione. Nel Pronto Soccorso Emozionale, in caso di genitori che vorrebbero essere perfetti, il problema principale sta nel fatto che il ripristino dell’autolegame non porta all’attivazione di risorse e di un’accogliente riconnessione come si osserva in altri casi, e pertanto è stato sviluppato il metodo dell’aiutante interiore, per tentare di controbilanciare con una forza positiva la dinamica distruttiva di rifiuto di sé. Questo metodo richiede diversi passaggi. In un primo momento, viene visualizzata la situazione di intenso stress che il genitore vive con il bambino.
Successivamente, viene lasciata emergere quella forma devalorizzante, sminuente e distruttiva di rapporto con se stesso, cosa che ha grande significato proprio in caso di mania di perfezionismo. Infine, il genitore in questione viene invitato a tornare alla situazione iniziale e a immaginarsi la comparsa di un’aiutante interiore (può benissimo essere senza volto e neutrale) a offrire sostegno e quel legame rafforzante e accogliente che gli servirebbe per tornare a sentirsi forte e disponibile al contatto. Il sostegno offerto dall’aiutante interiore può essere di vario tipo.
A volte le persone immaginano un contatto con alcune specifiche parti del corpo, come la schiena, o un abbraccio consolatorio, a volte sentono la presenza protettiva di una figura alleata, che solo per il fatto di esserci infonde sicurezza. Continua a impressionarmi quanto siano creative e appropriate le immagini interiori che emergono con questo modo di procedere. È importante non confondere la tecnica dell’aiutante interiore con il suggerimento esterno attivo di un “desiderio”. Le immagini relative a ciò che fa l’aiutante interiore dovrebbero arrivare in modo passivo e sorgere istintivamente, da dentro. Per esempio, una madre il cui senso di impotenza e smarrimento di fronte all’agitazione del bambino è accompagnato da una feroce autocritica, si immagina di avere al suo fianco una figura di sostegno e può vedere e descrivere come la tocca con la mano nella zona lombare, e percepire l’incoraggiamento e la buona disposizione del suo linguaggio corporeo e della sua postura.
Quando ritorna alla situazione con il bambino che piange, che altrimenti scatena in lei una paralizzante sensazione di impotenza e di essere senza via d’uscita, ora non si sente più sola e persa, ma sostenuta e in buone mani. Con quell’immagine, nel suo petto si propagano calore e contatto, il cuore si apre e inizia a comprendere cosa deve concedersi per ritrovare la sicurezza interiore e la vicinanza con il bambino.
Nel PSE, l’esercizio di visualizzazione dell’aiutante interiore viene utilizzato in molte situazioni, oltre a quella in cui i genitori sono molto perfezionisti, come nel lavoro psicoterapeutico con madri e padri traumatizzati o nel contenimento e nella risoluzione di ripetute reazioni di transfert, ovvero di proiezione. Il vantaggio di questa tecnica sta nel fatto che sono i genitori stessi a elaborare proposte concrete di soluzioni e azioni. L’effetto rafforzante sul legame non scaturisce da un generico sostegno dell’autolegame, ma dal riconoscere l’effettivo stato di emergenza del bambino interiore e dal fare passi nuovi che permettono una diversa considerazione dell’autolegame, cosa che a sua volta aumenta la capacità di risonanza e sintonizzazione con la situazione vissuta dal bambino. È importante che i genitori sentano che l’aiutante non è una suggestione dall’esterno, ma l’espressione della propria attività psichica. In altri termini, devono comprendere che l’aiutante interiore rappresenta un modo nuovo di prendersi cura di sé. Se, fino a quel momento, la persona di riferimento adulta, di fronte al pianto del neonato, si era rifiutata, criticata e lasciata da sola, ora inizia ad assumere un atteggiamento amorevole e solidale con se stessa.
La forza del legame
Thomas Harms
Il pronto soccorso emozionale nelle situazioni di crisi con i bambini.Un prontuario per genitori, psicoterapeuti e professionisti della salute del periodo perinatale per conoscere e gestire i momenti di crisi del bambino.
Il Pronto Soccorso Emozionale offre ai genitori che si trovano in difficoltà con i propri figli l’opportunità, fin dai primi momenti dopo la nascita, di (ri)trovare e rafforzare il filo emozionale che li unisce.
La descrizione del Pronto Soccorso Emozionale che Thomas Harms svolge nel libro La forza del legame è rivolta agli psicoterapeuti, ai genitori e a tutti i professionisti della nascita, della prevenzione, dello sviluppo o della consulenza nel periodo primale.
Conosci l’autore
Thomas Harms, psicologo, offre da più di 25 anni consulenza e psicoterapia corporea orientata al legame a neonati, bambini e adulti.Dal 1997 è direttore del Zentrum für Primäre Prävention und Körperpsychotherapie (Centro per la Prevenzione Primaria e la Psicoterapia Corporea) a Brema.