terza parte - capitolo ix

Legame e percezione

Descrivendo il Pronto Soccorso Emozionale finora abbiamo messo in risalto gli strumenti corporei. Si tratta di una presentazione incompleta, dovuta unicamente a necessità espositive. Di fatto, nel PSE, i metodi di psicoterapia corporea e le tecniche di rilassamento vengono utilizzati solo molto di rado singolarmente. È molto più frequente che siano combinati, per esplorare in dettaglio i processi corporei percettivi interni.

Autolegame attraverso la percezione corporea

Grazie all’esplorazione delle percezioni corporee raccogliamo importanti informazioni sul vissuto soggettivo della madre di fronte al pianto e all’irrequietezza del bambino. Da ciò che ci racconta veniamo a sapere quali reazioni si scatenano nel suo corpo in caso di un comportamento problematico, come quando per ore piange o si lamenta. Sente agitazione e irrigidimento, trattiene il respiro quando il bambino piange, percepisce un groppo in gola o una stretta al cuore?


L’analisi delle sensazioni corporee permette di verificare se l’organismo della madre si trova prevalentemente in uno stato di stress o, viceversa, di apertura, come ben illustra il seguente esempio:


Helga si è messa comoda a terra sul tappeto nell’ambulatorio. Suo figlio Henrik di quattro settimane è disteso sulla sua pancia, mentre lei con un cuscino dietro la schiena è appoggiata alla parete. Il bambino è irrequieto e Helga teme che stia per iniziare a piangere, come fa sempre non appena si siede. La invito a distogliere l’attenzione da lui per spostarla per un attimo sul suo corpo, illuminandolo ed esplorandolo come se avesse in mano una torcia. Cosa sente? Quali parti del corpo percepisce bene e quali risultano lontane e inaccessibili? Dove sente calore e dove, invece, freddo? La incoraggio a esprimersi di getto così come le viene, senza rifletterci su.


All’inizio, le risulta difficile concentrarsi sul suo corpo e apre più volte gli occhi, per controllare che con Henrik sia tutto a posto. Ben presto però inizia a descrivere le sue sensazioni corporee: “Adesso posso sentire quanto il mio corpo è contratto. Soprattutto le spalle, è come se fossero sollevate fino alle orecchie. Sento una sgradevole oppressione al petto, come se mancasse spazio.


È proprio stretto, troppo stretto. Respiro appena, con Henrik appoggiato al mio ventre, come se fossi cauta e “diffidente”. Mi rendo adesso conto di quanto sono all’erta.” Dopo questa condivisione Helga si calma, sospira una volta profondamente e il suo corpo si rilassa. Adesso sembra più abbandonata sul cuscino. Anche Henrik sembra più morbido, apre gli occhi e le mani, che prima teneva chiuse a pugnetto. “Adesso sento un piacevole calore, come un liquido caldo che da qui (indica l’ombelico) si diffonde fino alle braccia. Nel petto si è creato spazio e percepisco più chiaramente la presenza di Henrik sul mio ventre. Mi sembra tenero e coccoloso.”


A questo punto le chiedo se conosce già quello stato sgradevole, che ha appena descritto, dalle situazioni che vive quotidianamente con Henrik. “Sì, credo di ritrovarmi così tutto il tempo. A ogni istante Henrik potrebbe mettersi a piangere, e ogni volta che piange mi sento impotente e disperata. Perciò cammino per casa in punta di piedi e sto attenta a non fare alcun rumore o movimento sbagliato, per evitare che tutto ricominci da capo. In un certo senso cerco di tenerlo sempre di buon umore.”


Quando i genitori vivono una situazione difficile con il bambino, non è detto che si accorgano di quello che sentono nel corpo. L’osservazione clinica di genitori e neonati nel bel mezzo di una crisi indica che spesso proprio in quei momenti non si rendono conto del loro stato. A causa dell’attivazione del sistema nervoso simpatico la madre è occupata soltanto a difendersi dalla minaccia rappresentata dal pianto del bambino. Ripensiamo al castello sotto assedio e a come tutte le forze sono concentrate verso il nemico accampato fuori dalle mura. Il fatto che tutti si aspettino un attacco da un momento all’altro genera una tensione cronica, che indebolisce le risorse interne. Tutto ruota solo attorno alla minaccia rappresentata delle truppe nemiche vicino alla fortificazione, e la sensazione di pericolo incombente impedisce il normale svolgimento della vita quotidiana, con il suo giorno di mercato e le sue feste.


La vita nel castello è ridotta al lumicino. La madre del nostro esempio si trova in una situazione paragonabile: si aspetta una catastrofe da un momento all’altro e ha paura di sentirsi impotente e sopraffatta dal panico. Anche se la situazione tanto temuta non si è ancora presentata, il suo organismo si comporta come se il bambino stesse già piangendo (o il nemico avesse effettivamente sferrato l’attacco). Il suo cervello rettiliano lavora in modalità sopravvivenza. Per paura di perdere il controllo della situazione, la madre fa attenzione a ogni manifestazione del neonato.


È all’erta, completamente concentrata sul bambino. Esattamente come nel castello sotto assedio tutto ruota attorno al nemico, in lei tutta la vita ruota soltanto attorno al bambino. Letteralmente “fuori di sé”, di conseguenza non è quasi più a contatto con il flusso delle sue sensazioni corporee. All’inizio della consultazione i genitori spesso incontrano grandi difficoltà a condividere come si sentono, cosa percepiscono nel corpo, se notano delle tensioni. È sconcertante, considerato l’enorme carico cui sono sottoposti nelle situazioni di crisi del primo periodo dopo la nascita. Invitarli a concentrarsi sul proprio corpo è un intervento paradosso, dato che è proprio il contrario della reazione naturale in una situazione di paura e pericolo, ma permette di riconnettersi al flusso di informazioni corporee.


Helga, per esempio, non appena inizia a rendersi conto di quanto sia contratta e si trattenga mentre tiene il bambino in braccio, improvvisamente percepisce cosa le succede nel corpo quando il bambino si mette a piangere. È affascinante osservare come in pochi istanti, grazie alla percezione del loro corpo, i genitori si sentano rassicurati e ritrovino calma e lucidità. Come si spiega tutto ciò? Come mai l’autolegame ha questo effetto potente? Come accade che una madre, che da ore tiene in braccio il figlio disperata, di colpo si rilassa e torna e essere centrata solo perché è di nuovo in contatto con il suo corpo?

Autolegame e orientamento interiore

Per poter rispondere in modo soddisfacente alle precedenti domande, dobbiamo soffermarci un attimo sulla funzione di orientamento delle informazioni corporee. Anche quando non ne siamo coscienti, il cervello in ogni istante ci fornisce migliaia di singole informazioni provenienti dagli organi di senso. Di solito non ci rendiamo conto della complessità delle percezioni corporee. Quando qualcuno ci chiede come va, rispondiamo tranquillamente “Va tutto bene!”, e con queste poche parole riassumiamo svariate migliaia di informazioni sensoriali. Partendo dalle singole percezioni, il cervello riesce a darci una visione d’insieme, che corrisponde a una specifica emozione o sensazione.


Nel Pronto Soccorso Emozionale ci concentriamo sulle sensazioni corporee soprattutto quando, in situazioni di grave stress, i genitori hanno perso l’orientamento interiore e, a causa della scarsa percezione di se stessi, spesso hanno difficoltà a descrivere cosa sentono nel corpo. In tal caso tendono a parlare in modo molto generico di opprimente paura, delusione e rabbia, ma spesso nella descrizione mancano la profondità e le sfumature di quello che vivono. Invitandoli a concentrarsi sulle proprie percezioni corporee e ad esprimerle, li sosteniamo nel tradurre stress ed emozioni in concrete esperienze corporee. Grazie a questo processo, in cui letteralmente incorporano quello che stanno vivendo, si riallineano con il corpo e ritrovano l’orientamento. Per chiarire meglio di cosa si tratta, vi propongo un piccolo esercizio:


Mentre leggete il testo, seguite attentamente le istruzioni e prestate attenzione alle diverse parti del vostro corpo. Iniziamo con la vostra posizione da seduti. Mettetevi comodi su una sedia. Sentite come la schiena tocca lo schienale e appoggiatevi con tutto il vostro peso. Com’è il contatto dei glutei con il ripiano della sedia? Sistematevi bene e modificate la postura per stare ancora più comodi. Percepite come i piedi toccano il pavimento. La pianta del piede è completamente appoggiata a terra o il peso delle gambe è concentrato nei talloni? Forse ora desiderate correggere la posizione, per avere maggiore stabilità.


Fate attenzione a come respirate. Sentite il respiro scorrere libero e sciolto, oppure lo sentite come stretto? Da cosa dipende la sgradevole sensazione di poco spazio? Dipende da una tensione al torace o da un irrigidimento del diaframma, nella zona sotto le costole, quando respirate? Se ora vi rilassate sulla sedia e vi ascoltate dentro, percepite ancora altro nel corpo? Se vi sembra di sentirvi bene oggi, forse riuscite a percepire in alcune parti del corpo un senso di calore o un flusso benefico. Osservate in quale parte del corpo sentite particolarmente questa gradevole sensazione. Dopo aver passato in rassegna tutto il corpo, rivolgete l’attenzione per un attimo all’ambiente attorno a voi. Se siete seduti in cucina, magari vi accorgete del leggero ticchettio dell’orologio appeso al muro. Ora che siete calmi, improvvisamente sentite anche lo stormire degli alberi. E per quel che riguarda gli odori che arrivano al vostro naso? Forse c’è nell’aria ancora il profumo del pesce alla griglia che avete mangiato a pranzo, o riconoscete il profumo delle rose sul tavolo davanti a voi che avete comprato oggi dal fioraio.

Potremmo continuare a lungo e cogliere ulteriori informazioni tra quelle che, in ogni istante della vita, rielaboriamo e provengono da due canali principali del sistema nervoso sensitivo: da un lato, da ogni stimolo che raggiunge i nostri organi di senso esterni, come gli occhi, le orecchie e il naso; dall’altro, dalle percezioni corporee interne che, attraverso i nervi di visceri, muscoli e tessuto connettivo, arrivano al sistema interocettivo, che comprende i propriocettori e il senso di equilibrio. La propriocezione stessa è a sua volta suddivisa in sensibilità muscolare (o percezione cinestetica), che ci informa sulla localizzazione dei nostri organi nello spazio, e percezione interna, che ci informa sugli svariati processi di regolazione, come respirazione, temperatura corporea, tensione muscolare e fastidio o dolore agli organi. Il senso di equilibrio invece contribuisce a un gradevole adattamento del corpo al campo gravitazionale71.
Con il precedente esercizio abbiamo forse compreso meglio la quantità di informazioni che rielaboriamo in ogni istante, senza esserne coscienti. Soltanto se ci concentriamo per distinguerle singolarmente, ci accorgiamo che come ci sentiamo, ovvero se ci sentiamo più o meno bene, dipende dall’insieme di diverse sensazioni corporee. Nella normale vita quotidiana non abbiamo bisogno di essere tutto il tempo coscienti delle nostre percezioni di base e ci basta poter dire “Sto bene”, oppure “Oggi non sto tanto bene.”

Percezione del corpo e capacità decisionale

È tutta un’altra cosa quando siamo di fronte a una decisione importante. Un genitore ogni giorno si ritrova a prendere decisioni importanti per il figlio. Per scegliere bene, oltre a considerazioni razionali, è opportuno affidarsi alle “sensazioni di pancia”72. A questo proposito è fondamentale essere consapevoli delle sensazioni del corpo, che ci segnalano se una determinata decisione va bene o meno.
La ventottenne Sigrid sta allattando suo figlio Fin da sei mesi, e, ora che riprenderà a lavorare, non sa più bene se svezzarlo, come aveva previsto inizialmente. Nel frattempo, infatti, i suoi piani sono cambiati. Suo marito preme perché smetta di allattare, convinto che così lei sarebbe più libera e lui allora si occuperebbe di più del bambino. La sera precedente hanno parlato a lungo, Sigrid ha ascoltato con attenzione cosa le diceva il marito e non le sembrava del tutto sbagliato. Non era forse vero che da tanto voleva riprendere a praticare sport, e andare in palestra la sera? Non era vero che aveva nostalgia delle chiacchierate con le amiche al bar all’angolo? Seduta lì, ora era il momento di decidere se davvero voleva smettere di allattare, e il bambino, dopo essersi goduto una bella poppata, era tranquillo mezzo addormentato tra le sue braccia. Si era ripromessa di godersi fino in fondo l’ultima poppata con Fin.

Ma prima di smettere davvero di allattare, voleva verificare per un’ultima volta la sua decisione. Prima si immaginò il figlio attaccato al seno e ricordò le belle sensazioni corporee provocate dalla suzione. Per lei quelli erano sempre stati momenti piacevoli e, anche se a volte era sfinita, quando lo allattava era come se potesse sempre attingere a nuove energie. Con queste immagini si diffuse in lei una sensazione piacevole di calore e gratitudine. Poi si immaginò di dargli il biberon e lasciò emergere l’immagine di lei seduta al bar con le amiche e anche tutta sudata in palestra a fare gli esercizi. Anche in questo caso si soffermò sulle sue sensazioni corporee e si accorse come di un peso sgradevole al petto. Quelle immagini la mettevano totalmente a disagio e non riusciva quasi a sopportarle. La rendevano triste. Si accorse che non era ancora pronta a rinunciare a quei momenti di intimità con Fin e che l’idea di smettere di allattare non arrivava dall’intelligenza corporea. Dato che ora si fidava dei messaggi del suo corpo, le risultò facile rivedere la sua scelta e continuare ad allattare ancora per un po’.

Davvero, quando abbiamo un figlio, ogni giorno ci confrontiamo con decisioni di questo tipo e molte volte scegliamo del tutto intuitivamente, senza doverci riflettere su. È adesso il momento di portarlo a letto, o aspettiamo ancora un momento? Lo accontentiamo, dato che vuole assolutamente prendere il seno ancora una volta questa notte? Lo lasciamo piangere, dato che ora è infelice o insoddisfatto, o lo distraiamo, per evitare uno sfogo emozionale? A seconda del momento e della situazione, ognuna di queste domande può sfociare in una scelta differente. Entrano in gioco molti fattori, come lo stato emozionale dei genitori, le condizioni esterne, la durata della sollecitazione a cui sono sottoposti e anche la loro esperienza.

La scelta cadrà in una o in un’altra direzione, a seconda delle sensazioni del corpo, che di fronte a determinate domande compie un leggero movimento in avanti o all’indietro. Il sì, cioè un’apertura verso una determinata decisione, o il no, con una reazione di ritiro, dipendono dalle percezioni corporee. Una scelta intuitiva azzeccata la facciamo dunque in sintonia con il flusso di informazioni corporee, che ci danno la sensazione che sia proprio quella giusta. Il dialogo interno con le informazioni corporee diventa problematico nelle situazioni di stress, come quella di una giovane madre che da settimane, ogni sera, si ritrova a dover cullare a lungo il bambino di sette settimane che piange finché non si addormenta. Spesso il padre rientra tardi dal lavoro e lei deve affrontare da sola le sue paure e il suo senso di impotenza di fronte al neonato disperato.

Nella nostra prima sessione invito Helen a ricordare i momenti la sera in cui sua figlia Julia piange. Le è facile descrivere le diverse strategie che adotta ed è anche consapevole delle singole fasi del pianto di Julia, che comincia piano piano per arrivare a strilli acuti e assordanti, ma non è in grado di condividere ciò che prova nel corpo, in quella situazione. Quando la bambina piange, dimentica se stessa e il suo corpo. Se ne accorge tutto d’un tratto di quanto in quei momenti sia fuori di sé, non si senta più e perda completamente la connessione con il suo corpo.

Le basta solo pensare ai pianti serali di Julia, per attivare in forma ridotta la reazione vegetativa che vive a contatto con la bambina. Mentre parla, il suo corpo si irrigidisce, il respiro si fa superficiale e arrossisce ripetutamente. Non appena Julia inizia ad agitare le braccia e a lamentarsi, mi accorgo dell’enorme agitazione di Helen, che parla tutta concitata. Si vede benissimo che il solo raccontare la mette sottosopra. Le chiedo quindi di spostare l’attenzione al suo corpo e alle percezioni corporee che sente. Ora che descrive le sensazioni legate alla reazione di stress, si sta calmando. Si accorge di avere le mani ghiacciate, di boccheggiare, come se fosse sul punto di annegare, e di essere oppressa da un’enorme ansia da prestazione. Mentre si sta connettendo con le sue sensazioni, dice di getto: “Ho paura di non farcela.” e si mette a raccontare quanto desidera un riconoscimento da parte di suo marito, quanto spera di non deluderlo. Mentre parla, le lacrime le scorrono sul viso e respira dolcemente con tutto il corpo. Tutta la tensione se ne va.

Torniamo alla domanda conclusiva del precedente capitolo: come mai una madre si calma sintonizzandosi con sensazioni corporee sgradevoli? Come mai si rilassa rendendosi conto di essere a disagio? Quando una situazione di stress si protrae nel tempo, l’eccessiva attivazione del sistema nervoso autonomo porta a una forte riduzione della rielaborazione cerebrale delle informazioni che, grazie ai recettori interni ed esterni, provengono dal sistema nervoso sensoriale.

Concretamente, significa che la madre in questione, con il figlio in una crisi di pianto eccessiva, malgrado l’alto livello di attivazione, è solo lievemente in contatto con quello che sente. Sotto stress, è come se migliaia di persone aspettassero di entrare nel cinema per un’importante première. Le persone spingono, sgomitano e si spintonano per arrivare il più velocemente possibile all’ingresso ed entrare in sala.

Alla porta ci può essere una tale agitazione che scoppia il caos o il panico, e le persone non sanno più perché si trovano lì. Quando invitiamo una madre, che con il suo bambino va completamente “fuori di sé”, a riconnettersi con il suo corpo e a raccontare ciò che percepisce, facilitiamo il suo autolegame. Non appena si ascolta dentro e riconosce la sua realtà corporea, la sua agitazione torna a essere un’informazione corporea utile.
Quando siamo coscienti delle singole percezioni corporee, il cervello riceve informazioni interne. Se una madre, esprimendosi a parole, si rende conto di cosa sta succedendo nel suo corpo quando il bambino piange forte tra le sue braccia, ritrova il controllo del suo corpo. Il corpo non è più un nemico che fa quel che vuole, e di cui non capisce i messaggi. Al contrario, ora si viene a creare in lei una coscienza corporea73 e inizia a comprendere “da dentro” le reazioni che ha con il bambino. Grazie alla riconquista del Sé corporeo, la madre torna ad essere un soggetto attivo e, grazie al ripristino dell’autolegame, ci sono i presupposti perché possa rispecchiare al bambino i suoi messaggi e rispondere in modo empatico. Il corpo stesso, sempre grazie al processo di autolegame, diventa un luogo sicuro. Inoltre, ritrovando la connessione con se stessa, ci sono di nuovo i presupposti perché sia in grado di scegliere seguendo il suo intuito (di pancia), cosa che non era possibile finché si trovava in una sorta di volo cieco, priva di orientamento interno ed esterno74.

Modi per rallentare

Chi desidera parlare il linguaggio del neonato, deve rallentare. I genitori e i neonati che si presentano all’ambulatorio, prigionieri di una dinamica di forte tensione, irrequietezza ed eccessiva agitazione, spesso non riescono più a essere lenti. Per questo motivo nel PSE ci occupiamo di come si possa rompere il prima possibile questo circolo vizioso debilitante. In tal senso, la percezione del corpo ha un ruolo particolarmente importante: avviando nei genitori un dialogo interno con le loro sensazioni corporee, possiamo in modo mirato far sì che essi e, in un secondo momento, anche il neonato cambino ritmo e decelerino.

Chi trascorre molto tempo con un neonato è affascinato dal silenzio e dalla calma che emana. Tuttavia, per lasciarsi toccare dalla forza del neonato, l’adulto accanto a lui, che sia il genitore o un operatore professionista, deve riuscire a ridurre la sua velocità e sintonizzarsi con un ritmo più lento. Uno stato di stress e di forte attivazione del sistema nervoso è, in tal caso, la peggior condizione per comprendere il linguaggio percettivo del neonato. In parte, quel che succede è paragonabile alla situazione in cui mi sono trovato un bel giorno, mentre me ne stavo tranquillamente disteso al sole sulla sdraio in terrazza. Mezzo appisolato, ero pressoché libero da pensieri e mi godevo il calore sulla pelle. Ero del tutto presente al qui e ora, come se mi fossi dimenticato totalmente del resto. Improvvisamente sono apparsi i miei due figli in giardino, appena rientrati da una gita con la società sportiva. Correvano ovunque pieni di vitalità e non stavano proprio nella pelle dalla voglia di raccontare, proprio subito, tutto quello che avevano vissuto nel pomeriggio. Mi sentivo ancora stordito dalla siesta e incapace di cambiare la mia modalità così velocemente.

Ho tentato di star loro dietro, con scarsi risultati: riuscivo a cogliere solo la metà di quel che dicevano. Mi sembrava tutto tanto rapido, ma non c’era verso di frenarli, e ho cercato allora di fare del mio meglio, mostrando interesse, annuendo o dicendo “sì, sì...” di tanto in tanto, prima di lasciarmi ricadere sfinito sulla sdraio. Soltanto quando l’eccitazione è un po’ scemata hanno iniziato a raccontare con più calma. Ho potuto fare qualche domanda per capire meglio e sono stato in grado di avere maggiore empatia per le loro esperienze. Per entrare in contatto con le strutture cerebrali arcaiche, che regolano le funzioni vitali di base del corpo, dobbiamo rallentare parecchio il normale ritmo quotidiano. È necessario entrare in un altro stato di coscienza per aprirsi alla percezione delle sensazioni corporee interne. Spesso è più facile assumere quest’atteggiamento a contatto con un neonato che, se ha una buona autoregolazione, è per natura lento e si accontenta di poche novità.

Può restare mezz’ora, pieno di meraviglia, davanti a un gioco di ombre sul muro, o a guardare affascinato la propria mano come se la scoprisse per la prima volta, e si gusta il placido contatto con la madre quando si immerge nei suoi occhi, mentre prende il seno. A volte si tratta di ancor meno, dato che un neonato può starsene sdraiato a lungo tranquillo ad ascoltare i leggeri rumori del suo corpo: il gorgoglio dell’intestino, il battito del cuore o il flusso del respiro. I neonati apprezzano il qui e ora e prendono le cose come sono, senza fretta. Se osserviamo una madre che, con evidente piacere, allatta il figlio di due settimane, ci stupisce quanto poco accada in quel frangente. Di tanto in tanto un sorriso, qualche parola rivolta al bambino, forse una leggera correzione della postura.

La maggior parte del tempo madre e bambino sono in un mondo fatto di lentezza e in uno stato di coscienza simile alla trance, che con palese soddisfazione riscoprono ogni giorno. Invece, per chi vive nel normale mondo frenetico, è una grande sfida stare accanto a una madre, a un padre e a un neonato. Non solo è lento, ma spesso anche noioso, dato che di fatto non succede pressoché nulla! Mentre per un neonato si tratta della velocità ottimale per rielaborare le esperienze fatte nel suo ambiente, per un adulto indaffarato quello stato strano di totale presenza resta un mistero. È un mondo accessibile solo a coloro che, a contatto con i propri figli, hanno accumulato un tesoro di esperienze fuori dal tempo.

Una delle maggiori difficoltà tra madri e padri sta proprio nella differenza di ritmo: quando un uomo, dopo aver lavorato febbrilmente tutto concentrato otto ore filate, alla sera rientra a casa dalla compagna e dal figlio appena nato, spesso in un battibaleno si trova catapultato in un altro pianeta, dove l’orologio scandisce un tempo diverso. Perché possa comprendere le sensazioni della compagna e sviluppare empatia con il bambino e ciò che comunica, o ciò che gli serve, il suo sistema nervoso vegetativo deve d’un tratto passare da uno stato di attivazione a uno di rilassamento. Se il padre arriva carico di stress, questo cambio di ritmo gli riesce difficile e non c’è da stupirsi che vi siano delusioni e disturbi della comunicazione. Per questo motivo, nelle consultazioni, raccomandiamo ai genitori di organizzare una sorta di zona cuscinetto in cui, al rientro dall’accelerato mondo del lavoro, possano adattarsi al ritmo più lento del neonato.
Infatti, è utile non ritrovarsi subito il bambino tra le braccia, appena oltrepassata la soglia di casa, e non dover assumersi di colpo responsabilità per lui senza avere il tempo di adattarsi. Nella pratica si è rivelato proficuo un accordo su una fase di transizione di circa un’ora in cui, a chi rientra a casa, come prima cosa viene lasciato lo spazio per liberarsi della frenesia quotidiana e lasciar crescere piano piano dentro di sé la disponibilità all’interazione con il bambino75.
Cosa significa, di fatto, confrontarsi con un ritmo più lento, ho potuto sperimentarlo venticinque anni fa durante un viaggio a Bali. Pochi giorni prima della partenza avevo sostenuto alcuni importanti esami universitari e la partenza era stata frenetica e piena di inconvenienti. Arrivato a Bali, sono stato accolto da una cultura del tutto diversa e silenziosa, mentre io stavo funzionando ancora a pieno regime. Seduto davanti alla mia capanna in un palmeto paradisiaco, mi frullavano pensieri per la testa mentre osservavo lavorare un giardiniere dell’albergo, che doveva liberare alcune aiuole dalle erbacce e tagliare l’erba tra le palme con un falcetto. Mi colpì la sua lentezza esasperante. Dava tre o quattro colpi di falcetto, poi si fermava ad ascoltare un attimo attorno a sé e continuava, senza la minima fretta, a dare ancora un paio di colpi di falcetto. L’uomo sembrava felice e totalmente immerso nella sua attività. La sua lentezza non aveva niente a che vedere con una sorta di resistenza. Non dipendeva affatto da svogliatezza, era proprio il suo ritmo!

Per me, che arrivavo da una realtà estremamente indaffarata, piena di stress e tensione, era insopportabile. Diventavo sempre più impaziente e avrei tanto voluto prendergli l’attrezzo di mano e - zack zack - finire io il lavoro. Quella lentezza mi sembrava proprio una provocazione. L’impazienza e l’irritabilità di cui ero ancora intriso non facevano che aumentare e, di godere del silenzio e della pace, a quel punto del viaggio non se ne parlava neppure. Successivamente, nel resto della mia permanenza a Bali, mi sono reso conto di quanto lo stile di vita laggiù sia permeato di lentezza e centratura. Il giardiniere dell’albergo non era un’eccezione, bensì la normalità in quella cultura. Mi ci vollero alcuni giorni per assumerne il ritmo, i rituali, le celebrazioni e il modo di stare insieme in famiglia e solo allora sono stato in grado di cogliere la magia e la bellezza di quel mondo.

Nel PSE utilizziamo la respirazione addominale e le percezioni corporee per rallentare l’organismo: infatti, hanno entrambi un effetto di decelerazione. Nell’accompagnamento durante le situazioni di crisi, non appena la madre, a contatto con il neonato, sente che il “filo” di connessione con il suo corpo si fa più sottile, la respirazione più superficiale e compaiono le prime tensioni corporee, spostiamo la sua attenzione al flusso delle sensazioni corporee. Chiedendole cosa succede, o cosa percepisce, in lei si avvia un processo, in cui si riallinea con il suo corpo come luogo sicuro. Spostando l’attenzione e percependo la sua realtà corporea ed emozionale, rallenta e si apre al linguaggio corporeo del neonato.

È compito importante di ogni futuro consulente che vuole dedicarsi ai neonati, sviluppare la propria sensibilità per accorgersi quando lui stesso entra in uno stato accelerato ed eccessivamente agitato. Un consulente è in grado di riconoscere in tempo se il neonato perde la disponibilità al legame e l’equilibrio vegetativo soltanto se ha imparato a percepire bene le proprie reazioni nervose vegetative. La capacità di rallentare è una condizione sine qua non per potersi connettere empaticamente con il neonato e cogliere il suo mondo esperienziale. Nella seguente trattazione della problematica del trauma illustro come mai quest’approccio intrapsichico non è sufficiente se l’indebolimento delle risorse e del legame in genitori e bambino è troppo pronunciato.

Come si manifesta nel corpo l’indebolimento del legame

Nel PSE non ci limitiamo a mettere in rilievo nei genitori le sensazioni corporee legate allo stress, e fare in modo che ne diventino coscienti. Successivamente, esploriamo assieme a loro dove si trova il centro dello stress nel loro corpo. Anche se, nelle crisi acute, spesso la capacità di percezione è limitata, la maggior parte dei genitori è ben capace di nominare la parte del corpo in cui la tensione si concentra maggiormente. Grazie a questo modo di procedere è possibile localizzare somaticamente la dinamica di stress correlata all’indebolimento del legame con il bambino.

Silvia da due settimane si trova in una situazione disperata. Sua figlia Elena ha adesso cinque mesi e ogni sera piange in modo inconsolabile non appena, tenendola in braccio, si dirige verso il lettino. Silvia è disperata, visto che ormai sono quattordici giorni che la figlia vuole dormire solo nelle sue braccia. Ogni tentativo di metterla giù sfocia in pianto e proteste. Silvia ha trentun anni ed è molto sotto pressione, avendo previsto di riprendere il lavoro in banca sei mesi dopo il parto.

Dopo che, tre settimane prima, le è spuntato il primo dentino, la bambina non fa che lamentarsi e reclamare il contatto fisico. A quattro mesi si addormentava senza problemi da sola nel lettino e, ora, sembra aver fatto un amaro passo indietro. Nella prima consulenza in ambulatorio chiedo alla madre di visualizzare il rituale per addormentarsi la sera. Con cautela la guido mentre ricostruisce nella sua immaginazione come Elena reagisce, la attira verso di sé, inizia a lamentarsi e, poi, a piangere disperatamente. In questo breve viaggio di fantasia Silvia osserva come si comporta, e riconosce quanto il suo agire sia ambivalente: continuamente divisa tra l’impulso a prenderla in braccio per consolarla e il proposito di non accettare questa debolezza, è lei stessa che permette alla bambina quella sorta di regressione, o passo indietro. Mentre si immagina la situazione, e sono certo che è del tutto immersa nello stato d’animo che prova in quei momenti, la invito a spostare l’attenzione sul suo corpo. Cosa sente adesso? Dove diventa “stretto”? Dove percepisce tensione? Spontaneamente Silvia segnala un peso al petto che descrive come una sorta di pesante lastra di ferro. Respira con difficoltà e tutto il suo corpo è teso come un arco. Accanto a queste opprimenti percezioni corporee, si accorge dei pensieri ossessivi che non le danno tregua.

Quando la invito a esprimerli, parla della preoccupazione di non poter più lavorare in futuro e della paura che la bambina la costringa a restare a casa. Queste idee le danno un senso di delusione e scoraggiamento, proprio le emozioni legate alla percezione di una lastra di ferro nel petto! Dopo averla ascoltata e averle ripetuto quanto mi ha appena detto, la invito a restare con l’immagine della situazione che vive con Elena la sera, a respirare con calma con la pancia e, a ogni espirazione, inviare calore alle braccia e alle mani verso la bambina, che durante la visualizzazione tiene in braccio. La tensione corporea di sua figlia si scioglie, si calma completamente e si accoccola sul corpo della madre. Già dopo un paio di cicli respiratori, Silvia afferma che la sensazione di lastra di ferro è cambiata e sente leggerezza e “spazio” nel petto.

La pesantezza si è trasformata in profondità e sensibilità. Grazie alla respirazione, Elena è stata in grado di riconoscere com’è diventata del tutto ricettiva e morbida durante la visualizzazione. Ora accarezza delicatamente con le dita le braccia e le mani di Elena, che tutta rilassata sonnecchia supina. Le chiedo di nuovo se è cambiato il vissuto nel suo corpo. “Sì”, risponde, e aggiunge indicando il torace “qui adesso sento fiducia.”
In questo caso, aver localizzato il peso al petto è servito da marker somatico76. Quando le capiterà nuovamente di sprofondare nella preoccupazione e scoraggiarsi, potrà ricordare come si manifesta nel corpo l’assenza di legame, e ricorrere alla respirazione addominale quale strumento per rafforzare l’autolegame. L’esperienza con il PSE conferma che i risultati sono tanto più duraturi quanto più i genitori riescono a riportare a una specifica zona del corpo l’indebolimento del legame.
La qualità dell’esperienza fatta nelle consulenze nelle situazioni di crisi facilita l’applicazione di misure volte a rafforzare il legame nella vita quotidiana. Con il PSE, tuttavia, cerchiamo non solo i marker somatici del crollo del legame legato allo stress, ma anche quelle parti del corpo che sono il fulcro di un processo positivo che rinsalda le risorse. Il crearsi di un senso di spazio e leggerezza nel petto diventa, quindi, la controparte positiva del peso al petto, con cui era iniziata la sessione, e permette di collegarsi a un’esperienza rafforzante.

Autolegame e limiti psichici

I genitori che si confrontano con le crisi emozionali dopo la nascita, spesso si sentono del tutto impotenti e in balia dell’intensità delle reazioni del neonato. Durante le consultazioni molte madri ammettono di sentirsi esposte al pianto del bambino, prive di protezione e di difese. Ai nostri occhi è interessante osservare nei genitori la correlazione tra la perdita della capacità di delimitazione e quella, che va di pari passo, della connessione con se stessi e il proprio corpo. Lavorando con genitori e neonati in situazioni di crisi, emerge come si instauri una sorta di difesa immunitaria psichica non appena si ripristina un solido autolegame.

Quando una madre stressata e impotente riprende il dialogo interno con le proprie sensazioni corporee, si sente meno assillata e sopraffatta dal pianto del neonato. Nell’adulto si sviluppa per così dire un filtro degli stimoli e, curiosamente, il miglioramento della protezione dagli stimoli non significa che diventa chiuso e irraggiungibile ma, al contrario, più capace di rispondere in modo intuitivo alle richieste del neonato e di rispecchiarne lo stato emotivo. Nell’accompagnamento di genitori con figli che piangono eccessivamente, questo fattore di protezione emozionale è importante per la sopravvivenza. Se, prima, l’adulto accanto al bambino si sentiva impotente di fronte al pianto, la capacità di delimitazione e regolazione migliora spontaneamente grazie alla connessione al Sé corporeo.

È sbalorditivo quanto un migliore autolegame rafforzi il processo di espressione emozionale nel neonato. Ciò significa che il pianto del bambino diventa più intenso non appena la madre torna “in sé”. Molti dei genitori che ritrovano la connessione con il proprio corpo raccontano di sentirsi meno minacciati rispetto a prima, nonostante il bambino ora pianga più forte. Quando i genitori hanno un autolegame debole, osserviamo inoltre un accumulo di forme di relazione simbiotica con il neonato. Nel PSE consideriamo la simbiosi un sintomo dell’indebolimento del legame tra genitori e figlio. La madre, nelle crisi acute, letteralmente svanisce a contatto con il neonato: perde la visione d’insieme su quali emozioni si scatenano a causa degli impulsi del bambino e quali invece sono da imputare al proprio processo. In breve, nella simbiosi, i confini tra il Sé della madre e del neonato sono troppo poco definiti.
Il fatto che, spesso, i genitori si sentono personalmente feriti dalle reazioni del bambino, e reagiscono offesi e delusi di fronte al suo comportamento problematico, è un segnale di questa carenza di delimitazione. Invischiati come sono nella simbiosi, il bambino è parte del loro Sé. In una relazione simbiotica, se il bambino “non funziona come dovrebbe” è sempre sinonimo di un fallimento e di un comportamento sbagliato dei genitori77.

Nel PSE cerchiamo di raggiungere uno stato in cui differenziazione e connessione coesistono, all’interno del primo legame tra genitori e figlio. Il ricercatore americano Daniel Stern chiama questa prima forma di relazione “essere se stessi con gli altri” (Stern). A questo proposito facilitare l’autolegame significa creare un presupposto significativo. Quando una madre, prima impotente, grazie all’autolegame ritrova una connessione sicura con il proprio corpo, automaticamente ridiventa lei stessa una base sicura per il bambino, di cui lui ha così tanto bisogno per cavarsela nel mondo circostante. Nelle situazioni di crisi, dico spesso ai genitori che la loro funzione è quella di essere un faro. Quando c’è tempesta, sarebbe un problema se le barche in difficoltà al largo improvvisamente non vedessero più la luce del faro, perché il guardiano, a causa del maltempo, ha staccato l’elettricità. Le barche improvvisamente si troverebbero prive di orientamento in balia del mare in burrasca, e rischierebbero di naufragare. Un neonato che si sente in pericolo ha bisogno di un adulto accanto ben connesso al proprio corpo. Grazie alla presenza emozionale dei genitori, il neonato ha un punto di riferimento fisso78, un luogo sicuro verso il quale dirigersi quando è sommerso da sensazioni burrascose.

Al contrario, se l’adulto accanto a lui non è più in contatto con se stesso, allora il neonato perde la sua base sicura, anzi, peggio ancora: dato che pure l’adulto è in balia di forti emozioni e sensazioni corporee sgradevoli, il neonato viene investito anche dalla sua agitazione, oltre che dalla propria. Torniamo brevemente alla metafora del faro e immaginiamo per un attimo che il guardiano abbia spento la luce, ma non smetta di cercare disperato chi potrebbe essere in difficoltà al largo. Sporgendosi sul parapetto, per quanto possa fare con il mare in tempesta, scruta l’orizzonte e grida senza posa: “Mi sentite?”, “Sono qui!”, “Siete nella direzione giusta!”. Al più tardi a questo punto i genitori abbozzano un sorriso, poiché naturalmente si rendono conto che i naufraghi non raggiungeranno la riva in alcun caso. Il guardiano può darsi da fare quanto vuole, manca l’essenziale perché possano orientarsi: la luce del faro.

La forza del legame
La forza del legame
Thomas Harms
Il pronto soccorso emozionale nelle situazioni di crisi con i bambini.Un prontuario per genitori, psicoterapeuti e professionisti della salute del periodo perinatale per conoscere e gestire i momenti di crisi del bambino. Il Pronto Soccorso Emozionale offre ai genitori che si trovano in difficoltà con i propri figli l’opportunità, fin dai primi momenti dopo la nascita, di (ri)trovare e rafforzare il filo emozionale che li unisce. La descrizione del Pronto Soccorso Emozionale che Thomas Harms svolge nel libro La forza del legame è rivolta agli psicoterapeuti, ai genitori e a tutti i professionisti della nascita, della prevenzione, dello sviluppo o della consulenza nel periodo primale. Conosci l’autore Thomas Harms, psicologo, offre da più di 25 anni consulenza e psicoterapia corporea orientata al legame a neonati, bambini e adulti.Dal 1997 è direttore del Zentrum für Primäre Prävention und Körperpsychotherapie (Centro per la Prevenzione Primaria e la Psicoterapia Corporea) a Brema.