capitolo vi

I trattamenti abilitativi

Aprire una via logica ed elegante su una montagna richiede di saper individuare, nelle sue difficoltà, un percorso semplice e pulito per raggiungere la cima. È la stessa montagna ad indicarlo. Certo bisogna impararne il linguaggio, conoscerne quindi e utilizzarne le debolezze, intese come le migliori condizioni in cui la montagna si presenta.

Walter Bonatti, I miei ricordi

La metafora della montagna è quella che meglio si avvicina al senso dei trattamenti abilitativi e l’esempio di Walter Bonatti mostra alla perfezione con quale spirito intraprenderli.


I trattamenti o training sono il cammino per raggiungere la vetta, nel nostro caso la padronanza sempre maggiore della lettura e il rinforzamento del sistema attentivo. La via da percorrere, come dice il grande alpinista, deve essere aperta in maniera logica, per arrivare in cima attraverso un percorso pulito: i trattamenti abilitativi, infatti, devono essere precisi e mirati sulle singole caratteristiche del soggetto e possono subire alcune modifiche (anche accelerazioni o rallentamenti) a seconda dei progressi raggiunti e delle abilità smosse.

In montagna sperimenti e sviluppi doti spartane che ti vengono imposte dalla stessa natura. Se praticata in un certo modo, la montagna è una scuola indubbiamente dura e a volte anche crudele, però sincera come non accade sempre nel quotidiano. A me ha insegnato a non barare, a essere onesto con me stesso e con quello che facevo.

Walter Bonatti, I miei ricordi

Solo con training effettuati con costanza, allenando il sistema cognitivo, è possibile “vincere” le difficoltà. Inoltre il risultato è raggiungibile solo in un modo: senza barare. Bonatti sembra suggerirci altre considerazioni utili: dice infatti che

l’impossibile (cioè ogni difficoltà) ha un senso e un merito, se lo affronti e magari lo vinci; perde ogni significato se lo demolisci mediante l’uso eccessivo di mezzi artificiali.

Non si diventa alpinisti e uomini d’avventura raggiungendo la cima di una montagna in elicottero o sgretolando una parete rocciosa perforandola con gli spit [chiodi ad espansione], così come non si possono raggiungere risultati soddisfacenti nella lettura per mezzo di audio-libri o altri strumenti che, senza essere abbinati a trattamenti abilitativi, si rivelano essere soluzioni ingannevoli e illusorie di un problema1.

L’abilitazione

I training per la dislessia o per altri disturbi dell’apprendimento sono abilitativi e non riabilitativi (come spesso si sente dire) perché allenano e sviluppano un’abilità che non si è ancora formata. Se all’età di vent’anni ci rompiamo una gamba, in questo caso faremo un percorso di riabilitazione, in quanto dobbiamo ripristinare un atto motorio già formato e automatizzato come il camminare. Al limite si può parlare di riabilitazione in alcuni casi di alessia, la dislessia degli adulti, causata da traumi, per cui l’abilità della lettura già in possesso viene danneggiata e quindi deve essere riabilitata.

Considerazioni generiche sui training

  • Variano da soggetto a soggetto, dato che ogni dislessico ha caratteristiche sue proprie.
  • Vengono somministrati, a livello di routine, da personale specializzato o anche dai genitori o insegnanti che imparano l’applicazione più superficiale e meccanica del metodo (meglio se supervisionati costantemente da esperti);
  • L’ambiente e l’operatore possono avere un ruolo importante nella motivazione, nell’impegno e di conseguenza nei risultati;
  • Vengono effettuati con costanza almeno 2/3 volte a settimana;
  • Il loro grado di difficoltà è tarato sul soggetto: devono essere uno o due gradini più in basso del livello del soggetto. Se il livello scelto è troppo basso, il soggetto affronta bene le prove, ma non si concentra in modo corretto e non progredisce. Se il livello invece è troppo alto il soggetto si scoraggia, avendo l’impressione di trovarsi di fronte a un muro insormontabile.
  • Traggono i fondamenti teorici dal Modello del Continuum, dunque allenano sia le singole abilità (modulari) carenti sia il SAS: può quindi succedere che un soggetto dislessico senza problemi di calcolo, sia anche sottoposto al trattamento chiamato PASAT modificato da Benso (2001), che coinvolge le abilità di calcolo quale “pretesto”, perché è utile, ad esempio, per gestire l’orientamento, la selezione, la focalizzazzione dell’attenzione e a allenare la gestione dell’interferenza.

Alcuni dati: miglioramento della velocità di lettura

Esempio scuola di grado elementare2: i bambini stimolati con i protocolli integrati (modulo, attenzione e sistema esecutivo) hanno migliorato in velocità di lettura: ottenendo in soli quattro mesi 0,9 sill/sec contro le 0,5 sill/ sec che un buon lettore guadagna normalmente in un anno nel suo processo di crescita e contro le 0,29 sill/sec all’anno acquisite, sempre in un anno, spontaneamente dai soggetti dislessici non trattati.

Esempi scuola media (figure 22 e 23).




Esempi scuola superiore (figura 24).


Esempi di training

Lo scopo di questa parte del libro è quello di illustrare i trattamenti più usati, evidenziarne i legami con i modelli e far acquisire la giusta prospettiva anche a genitori e insegnanti. Tali trattamenti non verranno descritti dettagliatamente, perché sono somministrabili solo da personale formato e da specialisti, ma ne verranno spiegati i princìpi base, con esempi divisi per settori:

  1. Il Tachistoscopio e i movimenti oculari (e non solo);
  2. Il PASAT modificato e la discalculia (e non solo);
  3. Le Matrici e la visuo-percezione (e non solo);
  4. Il Listening Span e la memoria di lavoro (e non solo);


Vorremmo ribadire che esiste un numero considerevole di trattamenti per allenare e rinforzare i diversi moduli o sottomoduli deboli. Inoltre, ogni trattamento può avere più finalità, nel senso che è specifico nel recupero di una determinata area, ma può avere influenze e ricadute positive anche su altre (in generale sul SAS). Quello che importa, per quanto ci riguarda, è che il materiale utilizzato (qualunque sia) si ispiri al modello (sistema esecutivo, attenzione, moduli e memoria di lavoro), che sia tarabile sui soggetti e che sia sostenuto e supervisionato da un operatore esperto e motivante, con conoscenze approfondite della teoria esposta in questo libro.

Il Tachistoscopio

Il Tachistoscopio è uno strumento per velocizzare la lettura. Il soggetto deve leggere liste di parole e non parole (nelle ultime versioni anche pezzi di brano) sullo schermo di un computer. Il numero e il tempo (brevissimo) di apparizione delle parole viene regolato dall’operatore.


Uno degli obiettivi primari è quello di scendere sotto i 200 ms di esposizione per insegnare a leggere con un unico puntamento oculare (dato che ogni movimento oculare o saccade impiega 200 ms ad espletarsi); così si evita che i soggetti con saccadi irregolari “perdano il filo”, vengano “catturati” da distrattori. Pertanto il dislessico per riuscire a leggere veramente (senza tirare ad indovinare) deve esercitarsi gradualmente con parole molto semplici, bisillabe (“mano”, “cane”), per poi passare a bisillabe più complesse (“sopra”, “bello”) e a trisillabe. È prassi variare le liste di parole affinché non vengano memorizzate dal soggetto.


Durante questo trattamento anche il fuoco dell’attenzione viene stimolato e allenato con diverse applicazioni studiate appositamente. È bene ricordare che senza queste “avvertenze” in passato il Tachiscopio veniva utilizzato in maniera impropria ottenendo più effetti deleteri che benefici (favorendo la segmentazione delle parole).

Il PASAT

Il PASAT (Paced Auditory Serial Addition Test) è un test ideato da Gronwall (1977) successivamente adattato e modificato a trattamento da F. Benso (2001). Nel trattamento sono utilizzati numeri, somme e moltiplicazioni.


Si arriverà a sollecitare gradualmente e in progressione i diversi tipi di attenzione, a velocizzare i processi, a gestire la frustrazione e l’interferenza. Come “effetto collaterale” il training aiuta a recuperare le discalculie perché migliora i fatti matematici.


Il trattamento è composto materialmente da un mazzo di 30 carte con numeri che rispecchiano i fatti matematici3 del soggetto e da una serie di schede organizzate in tabelle con gli stessi numeri. Secondo la regola del PASAT, il soggetto dovrà sommare o moltiplicare le ultime due carte uscite, o gli ultimi due numeri indicati sulla scheda.

Sulle schede vengono poi aggiunte varianti e graduali difficoltà, toccando i vari aspetti dell’attenzione, automatici e volontari:

  • Orientamento, selezione e focalizzazione;
  • Coinvolgimento diretto del SAS: “spostarsi” da un’operazione all’altra (shift di compito), attenzione sostenuta, gestione dell’interferenza (anche uditiva), allocazione di risorse per eseguire operazioni mentali.

L’operatore, affinché il soggetto possa progredire e non scoraggiarsi, deve controllare costantemente il livello di difficoltà, senza abbassarlo del tutto. In primo luogo, deve verificare i fatti matematici, in secondo luogo deve stabilire la difficoltà: se un bambino, ad esempio, conosce bene le tabelline fino a quella del 3 e dalla successiva inizia ad avere dei problemi, nella conta non si inserirà il quattro (e tantomeno 6, 7, 8, 9).

Le Matrici

Le matrici da visualizzare sono costituite da carte con numeri, forme, o spazi vuoti detti “buchi”. Esse sono memorizzate (a breve e a lungo termine) e, attraverso un’esplorazione mentale, vengono richiamate e ripetute nell’ordine voluto dall’operatore. Le carte sono disposte in matrici 2x2 (4 carte), 3x3 (9 carte), 4x4 (16 carte) con una complessità sempre crescente. Il soggetto ha un tempo ampio per memorizzarle per righe e, una volta coperte, l’operaratore domanderà al soggetto di ricordarne la disposizione per righe, colonne e diagonali, o di isolarne un gruppo, etc. Anche in questo caso, l’operatore deve gestire bene la difficoltà del trattamento.

Il Listening Span

Il Listening Span è un particolare trattamento per allenare la gestione dell’interferenza nella memoria di lavoro uditiva.


In generale, i trattamenti di listening (ascolto) partono da liste di parole o di numeri (costituite da 2-3 elementi per cominciare) che vengono pronuciate dall’operatore e devono essere ripetute dal soggetto prima come le ha sentite, poi seguendo un certo ordine:

Operatore: 4,7,2

Bambino: 4,7,2 – 2,4,7 (ordine crescente)

 

La rielaborazione in memoria di lavoro è una delle funzioni del SAS (vedere altro esempio nel capitolo IV).


Il Listening Span, nello specifico, consiste in una serie di frasi (partendo da 2 e aumentando sempre di una) da leggere al soggetto che dovrà: ascoltare le frasi, decidere se ognuna è vera o falsa e ricordare l’ultima parola di ogni frase. Il doppio compito è quindi caratterizzato da una richiesta di elaborazione delle informazioni (decisione vero/falso) e da una di memorizzazione (il ricordo dell’ultima parola della frase):

I pesci vivono fuori dall’acqua (falso)
La Befana arriva dopo Babbo Natale (vero)
acqua-Natale
Le fragole e le banane si mettono nella minestra (falso)
Il riscaldamento si accende quando fa freddo (vero)
Le dita di una mano sono otto (falso)
minestra-freddo-otto

Il doppio compito

Due compiti dati contemporaneamente o in successione vengono detti “doppi compiti”. Essi sono indicati per trattare le risorse attentive deboli di soggetti dislessici o con deficicit dell’attenzione, attraverso due modalità:


1) Presentazione simultanea di due compiti

In generale, essendo il sistema attentivo a capacità limitata, se si privilegia un compito, l’altro viene rallentato. C’è un periodo d’attesa chiamato Periodo Refrattario Psicologico durante il quale il secondo compito viene messo in “coda” finché il primo (scelto dal soggetto) non supera alcune fasi del processo. Ovviamente, chi detiene poche risorse ha periodi refrattari molto lunghi oppure rischia di far “saltare” entrambi i compiti. Pertanto per favorire lo sviluppo delle risorse diventa importante, durante i training, aumentare molto gradualmente la difficoltà del secondo compito.


2) Presentazione di due compiti in successione

In questo caso il soggetto deve passare da un compito all’altro sistematicamente (quindi ricordando quello appena svolto) o casualmente (in maniera improvvisa). Il passare da un compito all’altro, shift di compito, comporta sempre un costo nella velocità di processamento, anche quando il tipo di compito in arrivo è prevedibile. Questo è un allenamento al controllo e alla flessibilità (switch). Lo switch è anch’esso un esercizio molto efficace per sollecitare le risorse del SAS, perché esercita diverse funzioni (controllo esecutivo, inibizione, avvio) e coinvolge varie memorie (dichiarative, procedurali, a breve e a lungo termine, vedere voce “memoria” nel Glossario e figura 28 e 29). Il mondo dello sport è ricco di situazioni che portano a svolgere questi tipi di compiti, ma per ottenere risultati positivi bisogna incalzare il soggetto nella misura giusta.

Approfondimento 5 di Federica Mazzoli4 e Gabriele Di Giosia5

Sport e attenzione: perché rafforzare le abilità attentive divertendosi (e sudando) è possibile

Giunti alla lettura di questo paragrafo ormai vi risulterà chiaro che tutti i tipi di apprendimento hanno bisogno di risorse attentive per realizzarsi. Pertanto, un intervento abilitativo non potrà occuparsi soltanto del modulo specifico deteriorato (lettura, scrittura, calcolo), ma dovrà estendersi anche alle componenti attentive ad esso dedicate e al Sistema Attentivo Supervisore (SAS; Shallice 1988).

A questo punto entra in gioco lo Sport. Vi chiederete perché...

Perché l’apprendimento motorio complesso richiede un intervento diretto del Processore Centrale. Durante l’apprendimento di una attività ludico-sportiva si possono affrontare diversi e importanti aspetti del sistema esecutivo (gestione della frustrazione, controllo dell’interferenza, sviluppo delle risorse) calibrando le difficoltà sulle reali risorse del soggetto che sarà impegnato in esercizi gradualmente sempre più complessi.


I bambini con SAS debole sollecitati correttamente e spinti al limite massimo delle loro risorse (come è necessario che accada sia nei campi e nelle palestre sportive sia “a casa”) possono chiedere di abbandonare l’attività, se non ben coinvolti psicologicamente.


Il genitore avrà l’arduo compito di verificare, quando il bambino dirà di non voler più praticare l’attività, se ciò sia dovuto a noia da ipostimolazione (abbandonato nel gruppo dove vengono considerati solo i più bravi), a vessazioni e maltrattamenti di allenatori troppo “convinti” e poco preparati o alla giusta stimolazione del SAS che mette inevitabilmente in difficoltà (Benso, 2007).


Risulta chiara l’importanza della scelta di un buon allenatore che, prima ancora di essere un “tecnico”, dovrà essere osservatore capace e sensibile. Come premesso, il bambino con SAS debole è portato a fuggire non appena sente che viene sollecitato proprio in quelle determinate funzioni che sono i suoi punti di debolezza.


Si sottolinea, per rincuorare quanti di voi si sono già visti sconfitti, che quando il bambino supera il periodo critico dello stress e gestisce la frustrazione, diventa per lui motivante la maggior capacità di concentrazione, di attenzione sostenuta e di controllo: tali abilità potranno essere trasferite efficacemente in altri ambiti.


Torniamo alla domanda… Perché la componente motivazionale e il carisma dei singoli allenatori giocano un ruolo fondamentale nel coinvolgimento di quei bambini con i quali, per diverse ragioni, non è possibile (o è più difficile) lavorare con training cognitivi.


Non sono infatti da sottovalutare i sentimenti di impotenza appresa, bassa autostima e insicurezza sviluppati dai ragazzi che vivono quotidianamente i disagi che possono indurre a condotte di evitamento del compito (e quindi del training) ed ansia da prestazione. Cosa possiamo fare in questi casi?


Ci arrendiamo, lasciando i nostri ragazzi in balia delle loro difficoltà, a cui hanno fatto fronte con strategie funzionali ma deleterie? Oppure scegliamo di combattere, utilizzando un’attività sportiva (o meglio un allenatore) che svilupperà le risorse e renderà nel tempo il nostro ragazzo in grado di vedersi con altri occhi?


E per affrontare l’ansia da prestazione e l’elevata emotività?

Anche su questo fronte lo sport può venire in nostro aiuto.

Perché l’esposizione graduale agli stressor durante le manifestazioni sportive e le gare rappresenta un valido aiuto, insieme al rafforzamento delle abilità, per arginare lo “sconfinamento emotivo” e potenziare il sistema di controllo (Benso, 2007).


Per evitare fraintendimenti e conclusioni superficiali è bene precisare che l’attività sportiva è una delle pedine fondamentali di un progetto che lo psicologo/ neuropsichiatra costruisce (e ricostruisce) attorno al bambino/ragazzo e che comprende la famiglia, la scuola, gli educatori e le altre figure professionali presenti nell’entourage.


Una volta comprese le ragioni della nostra scelta è fondamentale individuare alcune caratteristiche necessarie per raggiungere il seguente obiettivo: rafforzare il Sistema Esecutivo e l’attenzione nelle sue diverse componenti.


Iniziamo con una distinzione: gli sport situazionali (tennis, scherma, arti marziali) ed individuali (equitazione, atletica, danza, nuoto) meglio si addicono al recupero. In questi sport il rapporto individualizzato tra allenatore e allievo permette una strutturazione dell’allenamento ad hoc, indispensabile per stimolare il soggetto al raggiungimento e al mantenimento (più a lungo possibile) del limite massimo delle risorse attentive del momento; quanto espresso non è impossibile ma è sicuramente più arduo da mettere in pratica in uno sport di squadra dove l’allenamento deve essere tarato sul gruppo e non sul singolo. È importante sottolineare, inoltre, che negli sport di squadra un bambino attentivamente debole (e quindi facilmente distraibile e con un sistema emotivo più difficile da controllare) corre il rischio di essere escluso dal gioco o emarginato negli spogliatoi; tutto ciò con inevitabili ricadute sull’autostima e sul suo senso di autoefficacia.


Non spaventiamoci se il nostro bambino/ragazzo non vuole sentire parlare che di calcio o di pallavolo; infatti ci sono ancora due criteri di base da tenere in considerazione. Per prima cosa, a prescindere dal tipo di attività, è fondamentale la scelta dell’istruttore: la competenza, la preparazione e il carisma del singolo potranno infatti sopperire ai limiti di ogni sport. Secondariamente, ma non meno importante, è sempre bene tenere in considerazione le passioni e le preferenze dei nostri bambini, inconsapevoli protagonisti attivi del loro stesso recupero, per sfruttarne al massimo la spinta motivazionale.


Vedremo ora come durante l’apprendimento di una attività ludico-sportiva, finalizzata al nostro obiettivo, si debbano affrontare diversi e importanti aspetti del Sistema Esecutivo:

  • Sviluppo delle risorse attraverso l’apprendimento motorio complesso;
  • Gestione della frustrazione sui compiti;
  • “Doppi compiti” e controllo dell’interferenza provocata dai distrattori;
  • Allerta fasico, ovvero capacità attentive concentrate in un tempo brevissimo;
  • Flessibilità cognitiva, capacità di cambiare velocemente compito o situazione;
Sviluppo delle risorse attraverso l’apprendimento motorio complesso

Iniziamo sottolineando subito un aspetto: è inutile allenare le funzioni esecutive (pianificazione, organizzazione ecc.) se non si hanno sufficienti risorse da dedicare ai compiti scolastici, sportivi o di rilevanza quotidiana. Su queste basi riteniamo necessario aprire la parte dedicata agli aspetti pratici del nostro lavoro con esercizi che allenino direttamente le risorse attentive. Non si può sviluppare un modulo complesso se non si ha “padronanza comportamentale” (Karmiloff-Smith, 1992) dei sottomoduli più semplici e se non si investono sufficienti risorse.


L’automatismo nasce dall’abitudine alla ripetizione lenta che gradualmente acquista sicurezza e si velocizza. Partire con gesti lenti e precisi durante i quali il Sistema Esecutivo è attivato, controllare e fornire energie alle memorie motorie, velocizzare senza forzare, provare e riprovare; tutto ciò significa “modularizzare”. Agendo in tal senso il movimento motorio iperappreso verrà riprodotto automaticamente durante la prestazione senza bisogno dell’intervento del SAS che rimarrà però vigile e pronto a intervenire in caso di necessità.


I moduli di III tipo (Moscovitch ed Umiltà, 1990) nascono dall’assemblamento di moduli di II tipo (ad esempio atti motori semplici), come è già stato ampiamente illustrato nel corso del libro descrivendo la formazione del modulo lettura. Nello sport i meccanismi sono gli stessi e assemblare due atti motori semplici richiede un dispendio notevole di risorse; pertanto attraverso lo sviluppo di atti motori complessi si allena il Sistema Esecutivo.


È il caso della corsa con il pallone tra i piedi. Nei bambini della categoria “primi calci” il primo approccio con la tecnica “pura” avviene tramite esercizi da fermi (modulo di II tipo). È richiesto ai bambini di eseguire movimenti con le diverse parti del piede sul pallone. Si allenerà contemporaneamente la corsa senza palla (modulo di II tipo). Una volta automatizzati entrambi gli aspetti si assembleranno i due moduli appresi singolarmente chiedendo ai bambini la corsa con il pallone tra i piedi con tocchi sempre diversi (modulo di III tipo).


Affinché quanto espresso si traduca in un reale potenziamento delle risorse è necessario promuovere un apprendimento attivo nel quale ogni singolo bambino sia protagonista in prima persona della sua stessa “crescita”. Acquisire gesti motori complessi attraverso un’imitazione passiva a nulla serve. Dovrà essere pertanto cura di un buon allenatore mettere alla prova singolarmente i bambini su quanto illustrato, non solo per capire i loro limiti e le loro potenzialità, ma per verificare che ognuno sia coinvolto attivamente nell’allenamento.

Gestione della frustrazione sul compito

La ripetizione dei fondamentali è condivisa in tutte le discipline che arrivano ad esprimersi a livelli elevati. Abbozzare apprendimenti complessi con sottomeccanismi non ben sviluppati, porta a situazioni di compensazione e di impiego atipico dell’abilità in questione che possono creare memorie di attuazione anomale e difficili poi da far estinguere (Benso, 2007). Ad esempio, nell’equitazione allenare la frustrazione è indispensabile: ripetere i fondamentali come il controllo della posizione del busto, dei piedi e delle mani e la tecnica di base rende possibile imparare a tollerare la “noia”, abilità spendibile, in un secondo momento, nei diversi contesti della vita quotidiana e scolastica.

“Doppio compito” e controllo dell’interferenza

“Mettetevi in fila per uno con il pallone tra i piedi, al mio via partite e fate lo slalom dei dieci cinesini; ma attenti, mentre fate lo slalom dovrete guardare il colore riportato sulla tabella che ho in mano e andare a tirare dal cinesino dello stesso colore che vi ho mostrato”.


Richieste come queste appartengono allo scenario comune del calcio; ciò che si allena proponendo i seguenti esercizi non è solo l’abilità di correre con la palla tra i piedi guardando in aria ma anche, se non soprattutto, le risorse attentive (che sono, come ricorderete, a capacità limitata). L’esempio riportato segue le regole del “doppio compito” secondo cui due esercizi, singolarmente svolti senza difficoltà, richiesti contemporaneamente creano uno sforzo attentivo tale da irritare bambini con il SAS debole. Ognuno di noi in situazioni di “doppio compito” sente il fastidio del compito interferente. Insegnare a tollerare l’irritazione psicologica e a controllare l’interferenza, sui campi da calcio come in un maneggio, è un passaggio fondamentale per allenare le risorse e trasferirle poi sui banchi di scuola.

Allerta fasico

L’allerta fasico è definito come un momento di preparazione alla risposta (warning), che intercorre tra l’avviso e l’apparizione dello stimolo, come la fase tra il “pronti” e il “via” (Posner e Boies, 1971). Aumentare gradualmente la concentrazione del bambino nel lasso di tempo che intercorre tra il “pronti” ed il “via” rappresenta un mezzo per potenziare la sua capacità attentiva protratta nel tempo (allerta tonico). In ogni sport è possibile allenarsi sul “pronti e via” dilatando ogni volta il tempo che intercorre tra i due segnali uditivi in modo che il bambino acquisti secondi di concentrazione in più; inoltre varieremmo ripetutamente il lasso di tempo tra i due segnali, in modo tale da non creare un ritmo che agganci l’attenzione del bambino facilitando l’esecuzione del compito e rendendo inutile l’allenamento.

Flessibilità cognitiva

Per flessibilità cognitiva intendiamo l’abilità di passare repentinamente da un compito all’altro. La rigidità e la perseverazione rappresentano il polo opposto in cui i bambini con SAS debole tendono a cadere. È facile trovare ad esempio nei campi da tennis allievi che, alla richiesta repentina di un cambio di comando, rimangono spiazzati e persistono nell’attività che stavano svolgendo. Un allenatore poco preparato potrebbe scambiare questo comportamento per una mancanza di rispetto o per una distrazione (volontaria e consapevole; ricordiamo invece che senza risorse la volontà non può agire) mettendo in atto comportamenti punitivi che a nulla servono se non ad abbassare ulteriormente l’autostima. Guardando con altri occhi il problema possiamo pensare di allenare la flessibilità. Nel tennis si può chiedere al proprio gruppo di variare, a seconda della richiesta, l’esecuzione del dritto e del rovescio; i bambini dovranno implementare velocemente diversi atti motori (automatizzati) per eseguire correttamente il compito. Nella realtà dei fatti si allena la flessibilità non solo attraverso una differente richiesta del compito, ma anche per mezzo di un repentino cambio della risposta motoria. Nel classico caso del difensore che subisce una “finta” non solo è necessario elaborare la finta a livello mentale, ma è indispensabile fornire una risposta motoria repentina ed efficace (variazione “meccanica”) per non perdere palla.


La parola chiave, che più volte è stata menzionata nel corso del capitolo è “gradualità”; solo attraverso piccoli passi si può raggiungere la meta e non attraverso un’esposizione massiva che esporrebbe inevitabilmente al fallimento. Ma la gradualità senza “gratificazione” non è possibile, così come non è possibile la gratificazione senza la gradualità (Celi, Fontana, 2007).


Nell’approccio cognitivo-comportamentale la gratificazione prende il nome di “rinforzatore” perché rende più forte la risposta che si è gratificata la quale tenderà a ripetersi con maggiore probabilità in futuro. La gratificazione può inizialmente consistere nel “bravo” dell’istruttore, che nota e premia ogni piccolo risultato raggiunto (ecco la gradualità); in un secondo momento per il bambino sarà gratificante riuscire a calciare la palla proprio nel modo corretto o riuscire a far eseguire al cavallo quanto richiesto. In altre parole, l’acquisizione di abilità diventa un rinforzo che spinge a proseguire con maggior caparbietà nell’attività intrapresa perché parallelamente saranno rinforzate l’autostima e il senso di autoefficacia personale. Abilità e acquisizioni che verranno poi trasferite al di fuori dello sport perché apprese attraverso la sollecitazione diretta del Sistema Esecutivo.


Concludiamo affermando che quanto sin qui espresso potrà essere applicato con una buona dose di inventiva e di creatività a tutti gli sport. Prendere in considerazione il coinvolgimento del SAS in ogni allenamento dovrebbe essere un dovere per ogni buon allenatore, che non dovrà solo fornire le abilità tecniche ma dovrà accompagnare per mano il bambino alla scoperta del piacere del benessere psicofisico, perseguendo un miglioramento della qualità di vita che in realtà spetterebbe a tutti noi.

La dislessia
La dislessia
Eva Benso
Una guida per genitori e insegnanti: teoria, trattamenti e giochi.Come riconoscere in tempo i sintomi della dislessia e quali strumenti adottare per farvi fronte. Un manuale teorico e pratico per genitori e insegnanti. La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento, in particolare della lettura, vissuta ancora oggi come un grave handicap cognitivo e sociale. Da qui, l’esigenza imperativa di pubblicare un libro che spieghi come riconoscerne velocemente i sintomi, quali strumenti adottare per farvi fronte (sia in ambito clinico che scolastico) e quale sia la corretta interpretazione da dare ad una condizione troppo spesso sottovalutata. La dislessia si pone l’obiettivo di inquadrare l’argomento in maniera divulgativa, secondo il punto di vista neuropsicologico, affinché possa essere uno strumento utile per insegnanti, genitori e chiunque voglia approfondire la materia, attraverso numerosi grafici, schemi esplicativi e un glossario finale.Etichette e luoghi comuni vengono aboliti, fornendo al lettore una prospettiva strutturata sul problema e illustrando il funzionamento della lettura nei suoi aspetti sottostanti: visuo-percettivo, linguistico e attentivo.Nella parte teorica del testo l’autrice Eva Benso affronta anche il momento diagnostico e quello dei trattamenti abilitativi, le cause del disturbo e i principali luoghi comuni e miti da sfatare, perché non esiste un dislessico uguale a un altro. Infine, la sezione riservata agli esercizi ludici e ricreativi permette di allenare il bambino dislessico divertendolo e interessandolo alla lettura, agevolata con l’uso di illustrazioni, fiabe o attività manuali, tutte tappe di un preciso percorso propedeutico di rinforzo cognitivo. La parola chiave del metodo proposto è “allenamento”, una vera e propria palestra per la mente. Conosci l’autore Eva Benso è Psicologa, Trainer Attentivo 3° livello formatore del Metodo Benso e Applicatore SMAART del Metodo Feuerstein.Opera privatamente a Torino (studio Tigmo) presso enti pubblici e privati, svolgendo attività di valutazione neuropsicologica, supporto psicologico, (ri)abilitazione cognitiva per disturbi delle funzioni esecutive-attentive, della memoria e dell’apprendimento.È socio fondatore e Presidente di ANCCRI. Sul territorio nazionale è docente in corsi per insegnanti, in Master e Seminari Universitari, in corsi di Alta Formazione e sul Metodo Benso.