capitolo v

Diagnosi

In Italia, come abbiamo visto nel primo capitolo, i parametri di riferimento per la diagnosi di dislessia sono la velocità di lettura e l’accuratezza. Le sillabe al secondo costituiscono il dato fondamentale, perché ci permettono di capire il grado di difficoltà del soggetto rispetto ai pari età, ma non ci dicono nulla sui sottoprocessi coinvolti, come le memorie e il sistema attentivo, o sulle abilità compromesse, tutti aspetti che vanno a riflettersi, positivamente o negativamente, sulla lettura. Non è accettabile emettere una diagnosi dopo 15-20 minuti di seduta; per un’indagine seria sono necessarie almeno 3/4 ore (se si vogliono proporre trattamenti coerenti che devono partire dai processi sottostanti). Vanno messi in chiaro più volte le sillabe al secondo e tutti i dati ricavati dai test.


Altro aspetto curioso è che spesso in alcune diagnosi l’unico valore che emerge con chiarezza è il Quoziente Intellettivo (QI), che è la misura più delicata sia dal punto dell’affidabilità, in quanto nessuno è ancora riuscito pienamente a definire l’intelligenza in maniera completa e coerente, sia dal punto della privacy.


Inoltre, il paziente o il genitore del bambino hanno diritto a visionare tutto ciò che è stato somministrato “minuto per minuto” durante la seduta. Le relazioni dovranno quindi mettere in luce i punteggi e le considerazioni per ogni prova, con argomentazioni utili anche per il clinico che leggerà tale relazione in futuro.

Luoghi comuni e dislessia

Il termine “dislessia”, soprattutto con il boom mediatico degli ultimi anni, è sempre più presente nei discorsi di specialisti o di persone comuni. Cercando il termine su un dizionario o su Internet, veniamo rimandati immediatamente alla definizione “disturbo della lettura” ma, essendo così numerose le variabili e le sfumature, ognuno di noi giunge a conclusioni diverse: chi pensa sia una malattia (magari curabile con farmaci) e non un disturbo che persiste nel tempo (con incidenza diversa), chi pensa interessi solo il linguaggio o che si possa intervenire unicamente nel periodo della scuola elementare e non oltre! Nella figura 20 sono illustrati i sei luoghi comuni per eccellenza, con una breve precisazione per ognuno.


I punti fermi che ora dovremmo aver chiari sono:

  • Il dislessico non è “stupido”;
  • La presenza di un reale disagio deve essere monitorata da specialisti con precisi test, anche se non certificabile (caso del borderline, vedere il capitolo I);
  • La dislessia non significa solo non saper leggere, ma non avere abbastanza risorse attentive da impiegare anche in altri ambiti e avere difficoltà nelle funzioni più complesse come l’organizzare e il pianificare nel tempo (vedere capitolo IV);
  • Non esiste il “dislessico tipo”, quindi non esiste una descrizione univoca e universale (come certi siti Internet vorrebbero far intendere), né un unico modo di intervenire. Vi sono situazioni eterogenee con debolezze che possono riguardare il calcolo o la memoria uditiva, il linguaggio o la memoria visiva… È bene ricordare che, nonostante vi siano ricerche che includono tra le cause la genetica e la familiarità, non tutti i soggetti dislessici rientrano in questo quadro. Come si è dimostrato, la dislessia, per come viene diagnosticata, è una sindrome dimensionale e non categoriale.


  • Gli adolescenti non sono perduti1, vi sono miglioramenti attraverso l’utilizzo di trattamenti “integrati” (F. Benso et al., 2008, vedere capitolo VI) non solo nella velocità di lettura ma anche nel QI (d’altronde “centrando” l’attenzione migliorano le prestazioni). Quest’ultimo aspetto è una costante che verifichiamo da anni confermata da Rueda et al. (2005).
  • L’attenzione è alla base di ogni apprendimento e di quasiasi attività di tipo cognitivo (vedere capitolo IV); pertanto va sempre misurata almeno in alcuni dei suoi aspetti e trattata.

Indici predittivi

Gli indici che permettono di valutare precocemente i fattori di rischio discendono direttamente dal modello. Compreso che la lettura è un modulo complesso (come esposto da Moscovitch e Umiltà) ora risultano evidenti i prerequisiti per leggere (percezione visiva, linguaggio, attenzione dedicata e SAS).

Si possono fare previsioni probabilistiche molto affidabili utilizzando prove linguistiche, visuo-percettive, motorie fini, di valutazione dei diversi aspetti dell’attenzione. Sono indici molto importanti per prevedere future cadute negli apprendimenti. Tutto ciò può avvenire a livello di scuola materna o, come si dice oggi, “dell’infanzia”. I prerequisiti in sintesi sono i seguenti:

  • Associazione visivo-verbale: capacità di saper associare il nome di un oggetto all’oggetto stesso (lettera, numero, oggetto, colore…);
  • Accesso lessicale rapido: capacità di recuperare nella memoria il nome di un oggetto velocemente. Esistono batterie di test di denominazione veloce di numeri, oggetti e colori2. Il compito di denominazione veloce di numeri, ad esempio, è considerato un importante indice predittivo: il nome (etichetta nominale) da applicare alla cifra (che rappresenta una grandezza numerica) ha difficoltà a rimanere nella memoria di bambini con risorse attentive deboli, insufficienti ad assemblare moduli complessi come la lettura (F. Benso, 2004; vedere anche teoria del doppio deficit di Wolf).

Prerequisito (cognitivo) fondamentale è, quindi, la simbolizzazione, processo che si evolve nel tempo, per cui i bambini arrivano a capire e successivamente a ricordare, ad esempio, che a ogni segno grafico corrisponde un suono e questo ad una lettera dell’alfabeto3.

Inoltre bisogna considerare che i bambini di 4, 5, 6 anni hanno il SAS in formazione, quindi tendenzialmente hanno tutti debolezze in tal senso: è quindi importante condurre valutazioni confrontando sempre il comportamento del soggetto con il gruppo di pari età.


Nel periodo della scuola dell’infanzia alcuni campanelli d’allarme possono essere:

  • Difficoltà di linguaggio: confusione di suoni o frasi incomplete;
  • Difficoltà fonologica: sostituzione di lettere (s/z, p/b) o omissione;
  • Difficoltà metafonologiche: non avviene la segmentazione e la fusione delle parole;
  • Difficoltà con i ritmi e con le rime, dunque ad imparare filastrocche;
  • Difficoltà a denominare i colori;
  • Difficoltà ad orientarsi nello spazio e nel tempo;
  • Difficoltà nella manualità fine, nel disegno strutturato e goffaggine;
  • Difficoltà nel riconoscimento destra/sinistra;
  • Difficoltà di attenzione;
  • Disturbo della memoria a breve termine e associativa. Nel periodo della scuola elementare (e oltre) queste disabilità si esprimono in difficoltà scolastiche obiettive:
  • Difficoltà di copia dalla lavagna;
  • Difficoltà di fusione fonologica (digrammi come sc, ci, ce e trigrammi come sci, gli…);
  • Confusione e sostituzione di lettere (come b/d, m/n…);
  • Difficoltà a imparare le tabelline;
  • Difficoltà a imparare l’alfabeto;
  • Difficoltà a ricordare elementi geografici, date ed eventi storici;
  • Difficoltà con la linea temporale;
  • Difficoltà a organizzare il tempo in anticipo (ad esempio memorizzare i giorni della settimana e i mesi);
  • Difficoltà ad apprendere le lingue straniere;
  • Difficoltà a concentrarsi: il bambino è catturato da qualsiasi distrattore e interrompe spesso l’attività.

Le difficoltà sopra citate (espresse in sintesi) possono emergere con forza diversa da soggetto a soggetto.

Le diagnosi

Nella figura 21 sono illustrate le tre principali tipologie di diagnosi:

  1. Diagnosi minina;
  2. Diagnosi lineare;
  3. Diagnosi neuropsicologica funzionale.

Quest’ultima propone un ventaglio di test che, oltre al QI e alla prima sfera della lettura, permette di misurare anche scrittura, linguaggio, memorie, capacità di calcolo, SAS e attenzione, visuo-percezione, motricità fine e varie prove sulle funzioni esecutive eseguite al computer.


Un programma di routine diagnostica (della durata di circa 2 ore e mezza) consente all’operatore di includere o escludere determinati approfondimenti durante la valutazione stessa. La batteria di indagine necessita di un clinico molto abile e preparato, in grado di intuire la strada migliore da percorrere, pur seguendo un protocollo ben strutturato e molto analitico.

Protocollo diagnostico e di intervento (utilizzato dallo staff di F. Benso)

Il percorso diagnostico si articola in tre modelli base:

  1. Valutazione degli indici predittivi dei disturbi di apprendimento nella scuola dell’infanzia e nella I classe della scuola primaria;
  2. Valutazione dei Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA);
  3. Valutazione del Disturbo da Deficit di Attenzione con o senza Iperattività (DDA-DDA/I).


Per tutti i modelli vi sono tre momenti:

  1. Un colloquio preliminare con genitori e bambino, della durata di circa mezz’ora, in cui si valutano le problematiche presentate e si ricavano dati fondamentali per escludere in prima analisi: deficit sensoriali, danni neurologici, disturbi relazionali primari e assenza di opportunità educative adeguate.

    La valutazione dei criteri di esclusione si basa sulle procedure indicate nel DSM-IV.

    Per la diagnosi del DDA/I è fondamentale in questo primo colloquio raccogliere informazioni sulla presenza dei sintomi cardine del disturbo in diversi contesti, sulla loro età di esordio (prima dei 6-7 anni), sulla durata (da almeno 6 mesi) e, soprattutto, valutare il grado di compromissione funzionale del disturbo. La compilazione di scale osservative da parte di genitori ed insegnanti rappresenta solo una parte del percorso diagnostico che verrà applicato ai bambini con sospetto DDA/I.

  2. Un lavoro calibrato di approfondimento conoscitivo e diagnostico attraverso l’utilizzo di prove psicometriche standardizzate. Per soddisfare l’ultimo criterio di esclusione del DSM-IV verrà somministrato in prima battuta un test di Ragionamento (matrici di Raven) per la valutazione dello sviluppo intellettivo al fine di escludere il Ritardo Mentale.

    L’iter neuropsicologico prevede l’applicazione dei tre diversi protocolli diagnostici selezionati sulla base dell’età del bambino, delle problematiche emerse dal colloquio con i genitori e dai primi indici di valutazione neuropsicologica.

    Il percorso diagnostico breve si sviluppa in 2 ore e mezzo circa; eventuali prove di approfondimento (come la WISC III per valutare il QI, le batterie per la discalculia, per la visuo-percezione, per i diversi tipi di attenzione e altro) potranno essere somministrate valutando ogni singolo caso.

  3. Un’elaborazione e sintesi dei dati rilevati, un inquadramento del caso e una restituzione che indirizzi verso le strategie abilitative e rieducative più utili in base al profilo funzionale emerso. Questa fase di lettura e analisi della relazione conclusiva si sviluppa durante un incontro con i genitori e altre figure di contorno (invitate dai genitori stessi per rispetto delle norme sulla riservatezza) della durata di circa un’ora.

Pertanto, il percorso diagnostico tiene conto dell’esigenza, comune sia a strutture private sia pubbliche (se pur per ragioni differenti), di rilevare il massimo di informazioni ottenibili per effettuare una valutazione completa nel minor tempo possibile. Tale percorso, differenziato in tre diversi protocolli, si sviluppa in 4 ore (mezz’ora di anamnesi, 2 ore e mezza di somministrazione prove neuropsicologiche standardizzate, un’ora di restituzione del profilo cognitivo funzionale emerso, con proposte di intervento e strategie di comportamento per genitori e insegnanti). Valutando le specificità individuali, il percorso diagnostico potrebbe necessitare di ulteriori approfondimenti (per lo più di 2 ore).

Tre casi

In questa sede non specificheremo il funzionamento di ciascun test, ma proporremo tre simulazioni di diagnosi funzionali per mostrare – anche ai non addetti ai lavori – quali siano gli scenari possibili, con considerazioni e confronti incrociati. I tre casi analizzati di seguito sono organizzati nei sottogruppi: a) cartella clinica, b) conclusioni, c) confronti e considerazioni. I test citati sono quelli della figura 21.

Diagnosi CASO A
  • Cartella clinica: il soggetto presenta un deficit nella lettura del brano, delle parole e delle non parole. Il QI è nella norma. Debolezza nella fusione e segmentazione delle parole (prove metafonologiche CMF). La memoria uditiva a breve termine è debole. Cade nelle prove di valutazione del Sistema Esecutivo (SAS): numerazione all’indietro e figura di Rey (con copia di figure semplici del TPV nella norma).
  • Conclusioni: il soggetto ha un disturbo specifico dell’apprendimento della lettura, con una debolezza alle risorse attentive.
  • Confronti e considerazioni: il caso A è un dislessico “puro”. Può avvalersi, a differenza del caso C (descritto più avanti), di tutti gli strumenti compensativi/dispensativi. È tutelato perché certificabile. La sua abilitazione può avvenire con trattamenti integrati (sul modulo lettura e attenzione). Le memorie possono sostenere gli apprendimenti per via orale, nonostante la memoria uditiva a breve termine sia debole. Il lavoro da svolgere è sul versante linguistico e attentivo.
Diagnosi CASO B
  • Cartella clinica: il soggetto presenta un deficit nella lettura del brano, delle parole e delle non parole, nella scrittura, nel calcolo e difficoltà nella comprensione del testo. Il QI è nella norma. Debolezza nella memoria visuo- spaziale e nella prova del TPV. Caduta nei test delle funzioni esecutive (fluenza figurale) e nella numerazione all’indietro.
  • Conclusioni: il soggetto presenta un disturbo misto delle abilità scolastiche: dislessia, discalculia, disgrafia, con una debolezza delle risorse attentive.
  • Confronti e considerazioni: il caso B ha maggiori difficoltà del caso A e deve lavorare, oltre che sugli aspetti linguistici e attentivi, anche su quelli visuo-percettivi. Probabilmente il soggetto non riesce a rappresentarsi la linea dei numeri. Ipotesi confermata dalla caduta nel calcolo. La caduta in prove visuo-percettive e in quelle che valutano il Sistema Esecutivo confermano l’incapacità del soggetto di gestire i distrattori, quindi è probabile che incontri difficoltà nella comprensione del testo. Si consiglia un lavoro di stimolazione della lettura e dell’attenzione, con un allenamento specifico dell’area visuo-spaziale (esplorazione visiva) e dell’immagine visiva (matrici da visualizzare). In un secondo tempo, sarà affrontata la comprensione del testo scritto. 
Diagnosi CASO C
  • Cartella clinica: il soggetto legge alla stessa velocità brano e parole, con valori leggermente al di sotto della media. Il QI è nella norma, però è sotto la media entro una deviazione standard. Mostra difficoltà nel calcolo, ma non patologiche. Debolezze anche nella memoria a breve e lungo termine. Caduta nella figura di Rey, pur eseguendo bene la copia di figure semplici del TPV.
  • Conclusioni: il soggetto presenta un disturbo dell’attenzione confermato dalle scale osservative. Manca l’effetto contesto in quanto il soggetto legge alla stessa velocità brano e parole (il brano deve essere letto più velocemente, in quanto il significato velocizza la lettura).
  • Confronti e considerazioni: il caso C non è certificabile come dislessico e quindi spesso non gode delle dispense fornite dalla certificazione. È però più grave dei casi A e B, in quanto ha diversi processi di apprendimento disturbati, che si esprimeranno in grosse difficoltà scolastiche. Il trattamento in questi casi deve privilegiare sopprattutto la stimolazione dell’attenzione, delle funzioni esecutive e la capacità di controllo dei distrattori. È consigliabile il lavoro con il tachistoscopio per velocizzare ulteriormente la lettura e stimolare aspetti dell’attenzione spaziale. In un secondo tempo sarà necessario cominciare ad occuparsi della comprensione del testo e del problem solving.

La diagnosi può far emergere, per ogni soggetto dislessico, problemi totalmente diversi: infatti, come ormai sappiamo, il “dislessico tipo” non esiste. Il modello multicomponenziale (che contempla vari aspetti come attenzione, percezione e linguaggio) induce a valutare le diverse componenti e a indirizzare approfondimenti, ed eventuali primi trattamenti, verso le aree più compromesse. L’attenzione esecutiva (legata al Sistema Esecutivo o SAS) è sempre implicata. Nei casi gravi in cui a essere deboli sono soprattutto le componenti linguistiche e/o visuo-percettive è preferibile affidarsi a logopedisti/ortotisti/optometristi.

Cosa fare se è stata emessa una diagnosi di dislessia

  1. Richiedere che sulla cartella clinica compaiano le sillabe lette al secondo (velocità di lettura) per avere un quadro chiaro del disagio. È più indicativo sapere che un soggetto legge 1 sillaba al secondo mentre i coetanei ne leggono 3, piuttosto che attributi vaghi come: disturbo di lettura grave, lieve o moderato. Lo stesso vale per il numero di errori.
  2. Introdurre gli strumenti compensativi/dispensativi (vedere più sotto) solo dopo averli contrattati con il bambino e gli insegnanti, ciò per salvaguardare l’autostima del soggetto. Allo stesso modo concordare con gli insegnanti alcune strategie da mettere in atto anche durante le lezioni (vedere capitolo VII).
  3. Impostare un training abilitativo da condurre con costanza nel tempo. Non vi è alcuna efficacia se il training viene effettuato solo una volta a settimana e se non viene tarato sulle reali difficoltà del singolo.
  4. Proporre training abilitativi a prescindere dall’età del soggetto. Anche gli adolescenti che frequentano la scuola superiore possono migliorare le proprie prestazioni4.
  5. “Spingere sull’acceleratore” affinché il bambino raggiunga una velocità di lettura che gli consenta autonomia nello studio e il miglioramento della qualità della vita; tutti gli altri aspetti scolastici diventano secondari.
  6. Avere ben presente che solo un allenamento impegnativo può dare risultati reali e duraturi nel tempo.
  7. Non fidarsi di “pareri”, ma pretendere la visione e la discussione dei dati, richiedere che venga relazionato l’iter svolto dal bambino.

Gli aspetti relazionali: conseguenza e non causa dei disagi scolastici

In passato, quando non si valutava ancora la dislessia, l’aspetto relazionale alterato era considerato la causa principale dei disagi scolastici. Un bambino lento, considerato limitato e svogliato era indirizzato verso una terapia psicologica che spesso colpevolizzava, oltre al soggetto, anche i genitori e gli insegnanti.


Il fatto che vi sia un aspetto relazionale alterato nei soggetti con dislessia è la conseguenza più naturale. Un ragazzo normodotato intellettivamente che si paragona ai coetanei che leggono meglio e comprendono il testo, può pensare di non essere all’altezza o, addirittura, di essere un po’ “stupido”. Talvolta, scoprire – attraverso la diagnosi – che il problema non è di tipo intellettivo, ma specifico di un apprendimento, giova all’autostima e influisce positivamente sulle modalità di relazione. Chiarito questo punto, cerchiamo di capire perché un disturbo dell’apprendimento è spesso fonte di problemi emotivi e relazionali, che si manifestano con comportamenti dalla chiusura all’aggressività, dall’opposizione al bullismo:

  • In primo luogo, il contatto con la lettura, fonte di ansia e disagio, è molto frequente, dato che i bambini trascorrono gran parte della giornata a scuola;
  • I successi in attività diverse che esulano dalla lettura spesso non vengono valorizzati come meritano, e vengono usati erroneamente per dimostrare che “quando il bambino vuole, si impegna con successo”. Tali affermazioni minano l’autostima del bambino, già depresso e demotivato dagli insuccessi, rendendolo insicuro anche in ambiti nei quale potrebbe applicarsi senza difficoltà. L’esempio classico è quello del bambino che affronta un compito in classe già sfiduciato, con le risorse attentive al minimo, magari non ricordando anche quello che ha studiato. L’esito negativo rinforzerà la demotivazione e la famiglia la propria opinione negativa.


Ecco due consigli pratici per interrompere questo circolo vizioso (prof. De Beni):

  1. Premiare l’impegno e non il risultato; questa strategia, che permette di fortificare l’autostima del soggetto, necessita di un controllo emotivo da parte della famiglia. Di fronte ad un insuccesso, nonostante l’impegno, i genitori dovranno cercare di non assillare il bambino con lamentazioni, né lasciarsi sfuggire smorfie o, peggio ancora, pianti.
  2. Affrontare direttamente il problema; una volta individuato, è importante agire sui punti dolenti per un un miglioramento reale delle condizioni di lettura e conseguentemente dell’autostima.

Affrontare il problema

Agire sul problema spesso comporta difficoltà iniziali. Il cammino da intraprendere è piuttosto impegnativo, altrimenti non si raggiungerebbe alcun risultato, ma può essere affrontanto in diversi modi. Le varianti possibili sono l’uso o meno degli strumenti compensativi/dispensativi o anche di sedute psicologiche. Queste due modalità possono essere d’aiuto, se ritenute necessarie, solo se vi è la messa in atto dei due consigli sopra citati (1- premiare l’impegno, 2- affrontare il problema). Gli strumenti c/d possono, comunque, essere vissuti come privilegi o protesi (ledendo ulteriormente l’opinione di sé) quindi vanno proposti con moderazione e con accortezza; le sedute psicologiche, se mancano questi presupposti, risultano di scarsa utilità. Il soggetto si sentirà realmente meglio solo se effettivamente valuterà, come esame di realtà, che sta potenziando quelle funzioni che gli creavano problemi.


Sono momenti delicati, il soggetto sta invertendo un circuito negativo allenato da anni. Ora è finalmente possibile far ricorso – questa volta sì – alla figura di uno psicologo relazionale che coordini “l’entourage” del soggetto (genitori, insegnanti, allenatori sportivi).


I trainig abilitativi, inoltre, potenziando il Sistema Esecutivo hanno importanti ricadute positive: un sistema cognitivo di controllo più forte è infatti maggiormente in grado di contenere l’ansia e le emozioni negative che possono causare blocchi emotivi e forti destabilizzazioni.

Strumenti compensativi e misure dispensative

Consentono al bambino di compensare le carenze funzionali determinate dal disturbo e facilitare lo studio attraverso particolari attrezzature o strategie.

Strumenti compensativi
  • Computer con programmi di video-scrittura con correttore ortografico ed eventualmente sintesi vocale;
  • Audiolibri, libri parlati;
  • Calcolatrice;
  • Tabella delle misure e delle formule geometriche;
  • Tabelle grammaticali per analisi dei verbi (per italiano e per lingua straniera);
  • Uso di mappe durante le interrogazioni.
Misure dispensative
  • Dispensa dalla lettura ad alta voce e scrittura veloce sotto dettatura;
  • Programmazione di tempi più lunghi per le prove scritte;
  • Interrogazioni programmate;
  • Valutazioni delle prove scritte e orali che tengano conto del contenuto e non della forma o altro; 
Consigli per l’uso

È bene fare alcune considerazioni sull’uso di questi strumenti e di come gestirli nella maniera più opportuna:

  • Non sempre tali strumenti sono accolti positivamente dal bambino/ ragazzo. Il senso di disagio vissuto, l’angoscia e la frustrazione dei fallimenti, hanno ricadute sull’autostima e sul senso di autoefficacia personale; il soggetto potrà vivere tali aiuti come ulteriore segno di emarginazione e di discriminazione dal resto della classe. Sarà pertanto cura degli insegnanti, in stretta collaborazione con i genitori e gli specialisti, valutare quali possono essere le strategie migliori per aiutare l’alunno senza incidere sulla sua autostima e sul rapporto con i compagni;
  • È possibile che alcuni strumenti sollecitino abilità carenti nel soggetto: l’utilizzo delle mappe concettuali (molto utili in diversi casi) per bambini con problemi visuo-spaziali e percettivi può generare ulteriori complicazioni e frustrazioni;
  • Non privilegiare ai training questi strumenti di supporto, altrimenti si perde di vista l’obiettivo primario, costituito dall’autonomia nello studio.

La dislessia
La dislessia
Eva Benso
Una guida per genitori e insegnanti: teoria, trattamenti e giochi.Come riconoscere in tempo i sintomi della dislessia e quali strumenti adottare per farvi fronte. Un manuale teorico e pratico per genitori e insegnanti. La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento, in particolare della lettura, vissuta ancora oggi come un grave handicap cognitivo e sociale. Da qui, l’esigenza imperativa di pubblicare un libro che spieghi come riconoscerne velocemente i sintomi, quali strumenti adottare per farvi fronte (sia in ambito clinico che scolastico) e quale sia la corretta interpretazione da dare ad una condizione troppo spesso sottovalutata. La dislessia si pone l’obiettivo di inquadrare l’argomento in maniera divulgativa, secondo il punto di vista neuropsicologico, affinché possa essere uno strumento utile per insegnanti, genitori e chiunque voglia approfondire la materia, attraverso numerosi grafici, schemi esplicativi e un glossario finale.Etichette e luoghi comuni vengono aboliti, fornendo al lettore una prospettiva strutturata sul problema e illustrando il funzionamento della lettura nei suoi aspetti sottostanti: visuo-percettivo, linguistico e attentivo.Nella parte teorica del testo l’autrice Eva Benso affronta anche il momento diagnostico e quello dei trattamenti abilitativi, le cause del disturbo e i principali luoghi comuni e miti da sfatare, perché non esiste un dislessico uguale a un altro. Infine, la sezione riservata agli esercizi ludici e ricreativi permette di allenare il bambino dislessico divertendolo e interessandolo alla lettura, agevolata con l’uso di illustrazioni, fiabe o attività manuali, tutte tappe di un preciso percorso propedeutico di rinforzo cognitivo. La parola chiave del metodo proposto è “allenamento”, una vera e propria palestra per la mente. Conosci l’autore Eva Benso è Psicologa, Trainer Attentivo 3° livello formatore del Metodo Benso e Applicatore SMAART del Metodo Feuerstein.Opera privatamente a Torino (studio Tigmo) presso enti pubblici e privati, svolgendo attività di valutazione neuropsicologica, supporto psicologico, (ri)abilitazione cognitiva per disturbi delle funzioni esecutive-attentive, della memoria e dell’apprendimento.È socio fondatore e Presidente di ANCCRI. Sul territorio nazionale è docente in corsi per insegnanti, in Master e Seminari Universitari, in corsi di Alta Formazione e sul Metodo Benso.