capitolo iv

Il Sistema Attentivo Supervisore
(SAS)

Arrivati a questo punto possiamo finalmente far convergere tutte le linee tracciate finora. Possiamo, con gli strumenti opportuni e diversi esempi, comprendere come il Sistema Attentivo Supervisore (o SAS) intervenga nella vita quotidiana in ambiti e in momenti che non ci aspetteremmo1.


Il SAS (o Sistema Esecutivo) sembrerebbe coinvolgere diverse aree cerebrali e soprattutto i lobi frontali, i gangli della base e il cervelletto.


Il SAS è il sistema che ha il compito di fornire le “energie attentive” per lo svolgimento dei compiti quotidiani. Ha la funzione di supervisionare il flusso delle operazioni automatizzate. Tali automatismi ci permettono di risparmiare le risorse e di attuare la soluzione e lo schema più appropriato al contesto del momento2.


Le risorse a disposizione non sono infinite, ma a capacità limitata: ad esempio, non possiamo svolgere contemporaneamente due compiti non automatizzati, perché uno toglierebbe energie all’altro.


La guida è per molti di noi un processo automatizzato che richiede pochissime risorse e permette di svolgere contemporaneamente un’altra attività (automatizzata) come il conversare. Ma se ci troviamo in una città sconosciuta, alla ricerca dell’albergo dove pernottare, di solito smettiamo di conversare per dedicare la nostra attenzione interamente alla ricerca: parlare e prestare attenzione alla strada rappresentano un “doppio compito”3 che non possiamo svolgere nello stesso momento, a causa delle risorse limitate del nostro sistema attentivo (varia da persona a persona).

Cosa significa essere al limite delle proprie risorse attentive? Il soggetto non è tranquillo, è a rischio d’errore, quindi può diventare particolarmente irritabile.


Ecco due esempi:

  • Durante la visione di un programma alla TV, nel momento topico, entra nella stanza qualcuno che si mette a parlare e a porgere domande: sensazione di fastidio e di irritabilità per il doppio compito non voluto.
  • La stessa irritabilità nasce in ragazzini con difficoltà attentive in molte situazioni della vita quotidiana: ricopiare dalla lavagna un testo scritto e ascoltare chi lo legge può creare un’interferenza. Questi bambini, a causa delle scarse risorse di cui sono dotati – necessitano di dover controllare sistemi che per altri sono automatizzati – sono sottoposti quasi costantemente allo “stress da doppio compito”.
È importante sottolineare che le risorse sono allenabili, con adeguati training cognitivi tarati sul singolo.

Nel capitolo II abbiamo visto come un modulo, per quanto possa essere automatizzato (come il camminare), non venga mai, comunque, lasciato a se stesso: quando il modulo, ormai formato, lavora in situazioni di routine esistono sottosistemi (come il Processore dedicato al modulo) che lo “accompagnano”, lasciando il SAS inattivo sullo specifico compito, quindi “disinserito”. In casi di novità o di pericolo, invece, il SAS viene “inserito” e interviene direttamente. È fondamentale avere ben chiaro questo concetto di attivazione e disattivazione del SAS.

Inserimento e disinserimento del SAS

Una serie di esempi, tratti dalla vita di tutti i giorni – scolastica, sportiva o lavorativa – ci permetteranno di capire come funziona questo meccanismo.


Un pianista sta suonando una celebre aria che conosce da anni a memoria; un neuropsicologo direbbe che ha automatizzato o modularizzato (resa automatica nel tempo) questa abilità. Può accadere, però, che si ritrovino i manoscritti del compositore, fino a quel tempo sconosciuti, che propongono una ditteggiatura inedita e inusuale. Il pianista, per quanto bravo, incontrerà grosse difficoltà a sostituire quanto già aveva automatizzato con i nuovi gesti proposti. A questo punto, dovrà rallentare l’atto motorio, analizzarlo attentamente, esercitare un controllo per inibire la vecchia ditteggiatura che tende a emergere e avere la flessibilità di cambiare gesto. Il tutto può realizzarsi se il pianista ha in dotazione le risorse attentive per resistere all’interferenza e rimanere a lungo concentrato sul compito. Un grande pianista ha sicuramente tutte queste abilità.


Abbiamo descritto uno schema automatizzato (modulo) e l’intervento del SAS elencando alcune sue funzioni (esecutive) come il controllo, la flessibilità, la capacità di sostenere l’attenzione. Dunque un modulo super-automatizzato non possiede mai una’autonomia totale, in quanto il SAS interviene per correggerlo, farlo riapprendere o anche sostenerlo, se necessario.


Intuitivamente si pensa che più intervenga il SAS, più le situazioni della nostra vita possano essere sotto controllo, ben pianificate e in sicurezza, e in generale è così, ma ci sono delle eccezioni: se il SAS interviene nel momento sbagliato può portare a esiti negativi!


Durante un allenamento di calcio il SAS è inserito: l’attenzione è attivata sui singoli gesti, che vengono scomposti e rallentati al fine di migliorarli e automatizzarli. Il rallentamento è dato anche dal fatto che l’atto svolto passa attraverso la coscienza. Una volta appreso, esso verrà svolto senza più l’intervento diretto del SAS, altrimenti ne perderebbe in scioltezza e velocità.


Durante l’esecuzione di un calcio di rigore, la pressione emotiva potrebbe inserire il SAS nel momento sbagliato: il rigorista potrebbe eseguire la rincorsa con il SAS disinserito, quindi effettuarla in stato di “trance ansiosa” che gli impedisce di vedere il portiere, e inserire il SAS nel momento del calcio, atto motorio iper-appreso e altamente automatizzato. Il risultato sarà un gesto poco fluido, frenato e tecnicamente scorretto.

L’esempio appena descritto mette in gioco un nuovo fattore, l’emozione. La relazione tra il mondo cognitivo ed emotivo è molto profonda e non è da sottovalutare. Le risorse attentive sono condizionate dalle emozioni, positive o negative, e dalla quantità di motivazione esercitata, scarsa o abbondante (vedere figura 15).

Ecco un altro esempio in cui l’emozione può riservare brutti scherzi:

Uno studente interrogato si accinge a ripetere la lezione, imparata con motivazione a casa, cercando di argomentare con parole proprie, per non essere accusato dall’insegnante di studiare in maniera mnemonica. Tuttavia lo stato emotivo, in questo caso troppo attivato e poco controllabile dal SAS, può far “saltare” il sistema di controllo, portando lo studente a cantilenare in modo automatizzato ciò che ha studiato. L’altro comportamento è quello della scena muta: il soggetto rimane bloccato e inibito.

È bene sapere che i soggetti con dislessia esprimono sempre qualche debolezza al SAS, dunque possono incorrere anche in “incidenti” e blocchi emotivi del genere, non solo in ambiti strettamente legati alla lettura4.

I principali compiti del SAS

Nella figura che segue ecco i principali compiti del SAS, di cui ne vedremo nel dettaglio solo alcuni, evidenziando quegli aspetti che riguardano maggiormente la vita e gli apprendimenti scolastici.

L’avvio

L’avvio di una qualsiasi azione richiede risorse. Soggetti poco autoregolati hanno problemi a gestire la frustrazione dell’avvio (per l’età) e vengono esortati più volte a iniziare compiti poco motivanti. Lavorare sulle capacità d’avvio è importante perché comporta lo sviluppo delle risorse e della gestione della frustrazione. In tal caso è anche utile il mondo dello sport (vedere Approfondimento 5 di Federica Mazzoli e Gabriele Di Giosia, nel capitolo VI).

 

L’attenzione sostenuta

Il SAS ha il compito di sostenere l’attenzione protraendo nel tempo la concentrazione di risorse su un compito. Il caso classico di attenzione sostenuta debole è quello dello scolaro che, dopo poco tempo, non segue più la spiegazione dell’insegnante, si distrae, disturba i compagni… Anche questo tipo di attenzione è allenabile: aumentando, in maniera gradulale i tempi di applicazione, lavorando su tempi brevi di concentrazione (come quando dopo un “pronti” si attende il “via”), per arrivare a far sostenere l’attenzione per interi minuti.

 

La flessibilità

Quando uno schema comportamentale continua a prevalere, nonostante non sia più conveniente, si parla di “perseverazione”, che è da intendere anche come “mancanza di flessibilità”. Il sapersi staccare da comportamenti non più adeguati richiede energie attentive, così come passare velocemente, e nel momento opportuno, da un compito ad un altro (shift di compito). Sempre nello sport può essere allenata la capacità di saper cambiare uno schema di gioco e la flessibilità (o switch), ad esempio, recuperando l’azione dopo una finta dell’avversario.


Altro esempio tipico è il bambino “attaccato” al televisore o ai videogames: per potersi “staccare” dal gioco o dal programma TV, sono necessarie ulteriori energie attentive affinché questo tipo di perseverazione possa interrompersi.

Controllo dell’interferenza

Il SAS è responsabile della capacità di gestire l’interferenza dei distrattori e di mantenere la concentrazione sullo scopo. Queste abilità sono necessarie per comprendere il testo scritto e per la risoluzione dei problemi5. Tale abilità si può allenare proponendo esercizi nei quali i soggetti vengono “disturbati” da un crescendo graduale dell’interferenza. Qui (come negli altri training) è molto importante la “sintonizzazione” da parte di un operatore/clinico con il soggetto e la graduazione delle difficoltà. Pertanto risultano meno efficaci i training guidati da una macchina (i cosiddetti brain-training).

 

La rielaborazione in memoria di lavoro

Il SAS sostiene i processi delle memorie6. In particolare la memoria di lavoro (“working memory”), descritta nei pre-requisiti alla lettura, è un “deposito” che può durare pochi secondi7, una memoria a breve termine. Il SAS è assai coinvolto nei suoi processi di rielaborazione e riaggiornamento.


Per comprendere come funziona provate a eseguire questo esercizio. Leggete la stringa di parole qui sotto una sola volta, soffermandovi circa un secondo su ogni parola:



Pesce mela scalda candela

Ora chiudete gli occhi e ripetete la lista come era scritta, poi cercate di porre mentalmente le parole in ordine alfabetico. Noterete una certa difficoltà! Sono le risorse che richiedete al SAS per risolvere il compito. Questa funzione è strettamente collegata con la capacità di soluzione dei problemi (problem solving) che richiede, nelle fasi più complesse della stesura del procedimento e dell’isolamento delle variabili, una potente e continua rielaborazione in memoria di lavoro.


Organizzazione e pianificazione

Organizzazione e pianificazione sono due funzioni sotto il controllo del SAS. La loro unione, più le funzioni sopra citate, permette la risoluzione dei problemi, il cosiddetto problem solving. La base essenziale è costituita dalla capacità di pianificare i procedimenti, di organizzare il materiale (isolando in modo opportuno e utile le variabili) e ciò impegna, come dicevamo prima, il riaggiornamento della memoria di lavoro. Nel momento dell’esecuzione del piano programmato è necessario il controllo dei sottobiettivi per non perdere lo scopo finale (mantenuto in memoria prospettica). È necessario, pertanto, sostenere l’attenzione nelle varie fasi che portano verso la soluzione, variando e combinando il materiale, a tempo opportuno, in memoria di lavoro, resistendo ai distrattori. È intuibile quanto queste abilità siano indispensabili nella vita scolastica e quotidiana dei bambini che spesso hanno difficoltà a preparare lo zaino e a organizzare il diario.


L’adulto, in queste situazioni, deve proporsi come esempio da seguire, diminuendo molto gradualmente l’intervento, in modo tale da favorire l’autonomia e l’autostima. Non deve, invece, porsi come “inquisistore” e pretendere liste di comportamenti che facilmente “scivolano” via dalla memoria del bambino.

Autoregolazione e controllo delle emozioni

Il SAS è in grado di controllare pensiero, azione ed emozione. Anatomicamente, emozione e cognizione trovano un punto di incontro nel Giro del Cingolo, la stessa area cerebrale che, come abbiamo visto nel capitolo IV, si attiva durante la lettura e fornisce le energie attentive necessarie.


Il sistema emotivo può favorire o bloccare il sistema di controllo: bambini molto emozionabili falliscono spesso nelle prove di gestione delle interferenze (esempi calcio di rigore e interrogazione).

Training cognitivi che rinforzano il sistema di controllo possono migliorare la gestione dell’emozione e addirittura promuovere la capacità di empatia con gli altri8.


L’emotività positiva amplifica le risorse e migliora le prestazioni, mentre l’emotività negativa, oltre che deprimere i sistemi centrali (cadute nella memoria, di attenzione e di intuizione) può sia inserire il SAS nei momenti dove è utile il semplice automatismo (ad esempio ipercontrollo motorio del dritto al tennis), sia disinserire il SAS nei momenti che necessitano di attenzione e consapevolezza, lasciando l’individuo in balìa degli impulsi più “primitivi”: l’attacco, la fuga o l’immobilizzazione (freezing).

Risorse e funzioni esecutive

I termini “risorse” e “funzioni” non devono essere confusi e utilizzati come sinonimi:

  • Le risorse “attentive” o “esecutive”, rappresentano l’energie del Sistema Attentivo Supervisore (SAS). Sono il carburante che permette lo svolgimento di pensieri e azioni.
  • Le funzioni, attentive o esecutive, sono processi che appartengono al Sistema Esecutivo. Esse vengono anche definite come le abilità necessarie per programmare, mettere in atto e portare a termine con successo un comportamento finalizzato ad uno scopo9. Dalle più semplici alle più complesse ecco un tentativo di sistematizzazione proposto da Francesco Benso10:
    1. Protofunzioni esecutive: l’allerta, l’avvio, l’orientamento spaziale, il controllo;
    2. Funzioni esecutive di base: l’avvio volontario, l’allerta (fasico e tonico), il controllo volontario, la flessibilità 1 (spostamento dell’attenzione);
    3. Funzioni esecutive complesse: flessibilità 2 (cambiamento di compito), riaggiornamento in memoria di lavoro, pianificazione, organizzazione, monitoraggio dei processi, esecuzione del compito stabilito. Il tutto per arrivare al problem solving.

Abbiamo già incontrato alcune di queste funzioni, altre sono nuove e molto specialistiche, per cui si è deciso, in questo ambito, di nominarle per completezza, ma non verranno trattate11.

Affinché non si confondano risorse e funzioni, procediamo con questo esempio: Robertino non riesce a iniziare i compiti del pomeriggio, si distrae, cerca di spostare in avanti nel tempo l’incombenza e vive una situazione di disagio. Questo bambino ha difficoltà con l’avvio volontario e nell’autoregolazione in situazioni di bassa motivazione (funzioni esecutive di base) e ciò può essere causato da risorse attentive scarsamente applicate.

Ricapitolando

Secondo quanto è stato delineato, il frazionamento e lo sviluppo delle diverse funzioni esecutive avviene parallelamente alla maturazione delle risorse attentive, delle memorie e dei diversi apprendimenti (moduli).


Una delle più importanti distinzioni che dovrebbe essere fatta tra i vari filoni di ricerca è tra coloro che valutano l’aspetto delle risorse attentive e chi non le prende in considerazione. Il SAS di Shallice (1986), il Sistema Esecutivo di Baddley (1986) e il Processore Centrale di Moschovitch e Umiltà (1990) valutano tutti le risorse. Sostanzialmente, questi modelli descrivono un insieme di risorse di elaborazione (a capacità limitata) che alimenta un sistema di controllo. Esso interviene nel caso in cui le azioni routinarie, automatiche o automatizzate non siano sufficienti a garantire una prestazione efficiente, il tutto condizionato dagli stati emotivi (Lewis e Todd 2005, 2007).

Approfondimento 4 di Francesco Benso: Le fasi di sviluppo delle funzioni esecutive, una classificazione

Dalle proto-funzioni esecutive (più implicite) descriveremo l’“emergere” delle abilità “di base” che, come i moduli di Moscovitch e Umiltà (1990), saranno più o meno complesse e soprattutto assemblabili.


Nella fase iniziale o delle proto-funzioni esecutive (non vi è un grosso coinvolgimento della coscienza) il bambino è predisposto geneticamente per gli aspetti automatici dell’orientamento dell’attenzione: viene catturato dagli stimoli più salienti per la specie, si stacca dal percetto catturante, è soggetto all’abituazione (Sokolov, 1963), disancora l’attenzione, la sposta, la riconfigura su stimoli dove riesce a mantenersi collegato grazie anche alla salienza dello stimolo stesso. Solo in seguito, con l’affermarsi delle prime rappresentazioni, potrà sostenere l’attenzione sugli stimoli per lui “rilevanti”: si formano i primi “template” (la memoria di ciò che si sta cercando nello spazio circostante). La memoria associativa, che promuove anche il ricordo di successioni di eventi, verso i 24 mesi comincerà a sviluppare anche le serie più complesse, grazie alle risorse che maturano (Gerardi-Caulton, 2000). Il bambino potrà così entrare più strategicamente nello stato di allerta (come nei casi dove dopo un determinato “pronti” segue il “via”), che richiede concentrazione di risorse in un tempo relativamente breve, ripristinando in memoria l’associazione appresa nel tempo tra due stimoli. In questa prima fase “implicita” delle “proto-funzioni esecutive” emergono le prime espressioni implicite dell’allerta, del controllo, della flessibilità e dell’avvio di una azione. Le rappresentazioni si affermeranno con l’evoluzione delle prime memorie e il tutto sarà assolutamente dipendente dallo sviluppo delle risorse. La dotazione delle memorie implicite, nel corso del tempo, si potenzierà e si completerà con quelle esplicite, che saranno di diverso tipo e di diversa localizzazione cerebrale.


Nei primi sviluppi, le risorse del sistema alimenteranno sempre più i filtri attentivi che indirizzeranno, attraverso configurazioni innate, la memoria associativa. Tale memoria sarà il supporto per i processi di denominazione degli oggetti e degli eventi, per arrivare, in seguito, ad associare un particolare suono a un determinato segno. Questa memoria associativa dipenderà direttamente dalle risorse e, in caso di debolezza, si evidenzieranno correlati disturbi del linguaggio (Posner e Di Girolamo, 2000) e difficoltà di denominazione di oggetti e colori.


Quando comincerà ad affermarsi la memoria prospettica (il ricordo di ciò che si deve fare nel futuro, il nodo al fazzoletto) inizieranno i primi progressi di una componente fondamentale per le funzioni esecutive: la pianificazione, che continuerà il suo sviluppo attendendo l’evoluzione completa delle funzioni di base. Il bambino esprime relativamente presto questa memoria, quando compie i primi atti che manifestano comportamenti intelligenti, come gli aggiramenti di ostacoli per raggiungere uno stimolo. In questo caso bisogna distinguere il “qui ora” puntuale da quello attuale (Koeler, 1961). Il “qui ora” puntuale è senza prospettiva, non ha un arco temporale; se si pone una rete aggirabile tra una gallina e il suo cibo è plausibile trovare la gallina con la testa infilata nella rete attirata direttamente dal cibo. È paragonabile al soggetto che non valuta le conseguenze di un comportamento del momento sul futuro. Il “qui ora” attuale, invece, dura temporalmente finché non è completato l’evento (minuti, ore, anni). Nel caso dell’aggiramento, il bambino si sposta “gattonando” per evitare la rete che lo separa dal giocattolo, mantenendo lo sguardo fisso sull’obiettivo e il “qui ora” termina una volta raggiunto l’oggetto (Koeler direbbe che si è completata la Gestalt). Quando il nostro bimbo riuscirà ad aggirare un muro che nasconde il giocattolo (visto prima), solo allora comincerà a utilizzare la rappresentazione (come uno solo degli scimpanzé del Koeler riuscì a fare) e quindi la memoria prospettica.


La fase successiva si basa sulle rappresentazioni, sulle memorie e sul fatto che le proto-funzioni cominciano a emergere a livello di coscienza. Diventano soggette alla volontà dell’individuo, quindi si possono chiamare a pieno titolo “funzioni esecutive”. Elenchiamo le funzioni esecutive di base secondo il nostro punto di vista: l’avvio volontario, l’allerta fasico (concentrazione di numerose risorse in un breve intervallo di tempo, come nel “pronti e via” volontario) che si sviluppa ulteriormente nell’allerta tonico (attenzione sostenuta volontariamente per lunghi intervalli di tempo, come avviene nei soggetti che monitorizzano un evento di continuo, ad esempio il radarista), il controllo volontario, esplicito che porta anche all’esercizio dell’inibizione.


Altre funzioni esecutive si svilupperanno nel tempo dalle proto-funzioni e dalle funzioni esecutive di base, il tutto supportato sempre dalle memorie. Tra queste funzioni più complesse potremmo elencare la flessibilità, il riaggiornamento e la rielaborazione in memoria di lavoro. La flessibilità è la capacità di staccarsi da un compito non più utile per passare immediatamente ad un altro. Dagli spostamenti attentivi impliciti si giunge a quelli espliciti per arrivare ai cambiamenti di interi compiti (task shift, Rogers e Monsell; 1995). I cambiamenti di compito sono ben più complessi dei semplici spostamenti dell’attenzione, in quanto i “task” coinvolgono memorie, funzioni esecutive, sistemi percettivi di ingresso e sistemi effettori di uscita. Quindi la flessibilità come atto volitivo, che si potrebbe formare dalle prime abilità di orientamento ancora guidate dagli stimoli, necessita dello sviluppo dei supporti necessari e può affermarsi appieno in seguito, nel tempo di crescita del bambino. Il riaggiornamento e la rielaborazione in memoria di lavoro sono funzioni che non si differenziano molto dalla flessibilità, anzi, hanno bisogno di questa abilità, oltre che del controllo esecutivo e dell’appoggio anche di una parte della memoria di lavoro. Sono funzioni diverse dalla memoria di lavoro lineare che è un prerequisito necessario al loro sviluppo. Dai 5 ai 7 anni vi è un ulteriore sviluppo del sistema di controllo e pertanto delle risorse che stanno a monte di tutto (Rueda et al 2005). Le funzioni strumentali (memorie) si consolidano ulteriormente e i ricordi vengono recuperati anche attraverso strategie che impegnano il sistema esecutivo (modello della memoria di Moscovitch e Umiltà, 1990, 1991). Da questo momento in poi, cominceranno ad affermarsi anche le funzioni più complesse: pianificazione, organizzazione, esecuzione del compito stabilito. Queste ultime funzioni non possono espletarsi senza risorse, flessibilità e controllo (inibizione) e senza l’appoggio delle memorie (soprattutto memoria di lavoro e prospettica).


Le funzioni più complesse inizieranno lo sviluppo prima che avvenga il consolidamento delle funzioni di base, ma come direbbe Karmiloff-Smith, non saranno efficienti fino a che le funzioni di supporto non raggiungeranno un determinato livello di sviluppo (la padronanza comportamentale). In un rapporto dialogico-ricorsivo si alimenteranno a vicenda (l’autopoiesi di Maturana e Varela, 1987 o l’auto eco-organizzazione di Morin, 1986). Ad esempio, la pianificazione avrà bisogno di una sufficiente funzione di controllo, la quale si svilupperà ulteriormente nei soggetti che utilizzeranno anche in modo “incerto” e precoce la pianificazione. Lo stesso tipo di esempio si può fare per lo “switch volontario”: finché sono deboli il sistema di controllo, le risorse a disposizione e di conseguenza la memoria di lavoro, non sarà semplice cambiare volontariamente il compito in corso; tuttavia le applicazioni graduali negli spostamenti di attenzione (proto-funzione) favoriranno nel tempo la flessibilità del comportamento.


Con la cosciente applicazione e l’esercizio della volontà vi è l’affermarsi dei moduli di terzo tipo come l’attività motoria complessa e la lettura (attraverso la modularizzazione e l’assemblamento dei moduli di secondo tipo; Moscovitch, Umiltà, 1990). L’intervento del processore centrale, con tutte le sue funzioni e soprattutto con le risorse, in questo caso è esplicito e comandato dalla volontà. In parallelo, gradualmente, e sempre più supportato da tutte queste funzioni, si sviluppa il “problem solving” da livelli minimi fino a complessità sublimi: quest’ultimo è il momento operativo dell’applicazione di tutte le funzioni esecutive.

Il modello del continuum (F. Benso 2007; 2010)

È importante qui fare una puntualizzazione che in neuropsicologia viene data per scontata: modulo e automaticità non sono due termini interscambiabili. Un modulo nel tempo tende ad automatizzarsi, ma se è complesso non sarà mai automatizzato completamente: un gesto motorio complesso avrà sempre un livello di automatismo inferiore rispetto a un riflesso (ad esempio l’ammiccamento). L’essere umano riesce a raggiungere prestazioni di altissimo livello (pensiamo ad un pianista o ad un ballerino), tuttavia vi sono sempre dei margini di miglioramento, il perfezionamento non finirà mai. Mentre moduli semplici “tengono nel tempo”, senza neanche la necessità d’essere allenati, ciò non vale per moduli complessi: un esempio è quello del grande pianista che se interrompe due giorni il suo allenamento sostiene che il pubblico può non accorgersene, ma lui sì! Fatte queste considerazioni possiamo allargare il discorso alla lettura:

  • La velocità di lettura dipende dall’allenamento e può aumentare anche nei soggetti adulti che leggono intensamente;
  • La lettura, essendo un modulo complesso, non potrà mai raggiungere un grado di automatismo assoluto, nemmeno nell’adulto.

Il soggetto dislessico ha poco sviluppato l’automatismo della lettura e per evolverlo non dovrà solo leggere di più, ma anche acquisire la “padronanza comportamentale” dei processi sottostanti con programmi specifici (ad esempio il tachistoscopio). Verrà sollecitato l’automatismo attraverso l’iper-apprendimento, rinforzando in maniera soddisfacente tutti gli aspetti sottostanti la lettura.

Prima analisi del Modello

Dalla teoria modulare di Moscovitch e Umiltà (1990) e di Norman Shallice (1986) si origina il Modello del Continuum di F. Benso (2007) sul quale poggiano le diagnosi e i trattamenti abilitativi.


Tale modello viene definito del “Continuum implicito” perché teorizza un collegamento sempre attivo (continuativo nel tempo) e inconsapevole tra modulo e sistemi centrali (linee tratteggiate in figura 19).


Oltre al collegamento implicito esiste una via più diretta ed esplicita: il “Circuito primario” (le braccia che in figura fuoriescono dai sistemi centrali) che possiede degli interruttori o tasti chiamati T1 e T2, che possono collegare o scollegare il modulo ai sistemi centrali. Sempre nello stesso circuito è presente l’uscita del modulo detta U2 (il braccio che fuoriesce dal modulo).


Ciò che è fondamentale capire è che, secondo il modello, esiste uno scambio continuo, ma “silenzioso” (o meglio, implicito) tra i sistemi centrali e i moduli. Questo circuito è sensibile alle emozioni e alla motivazione del soggetto. Abbiamo visto come l’emozione positiva, ben motivata, permetta alle funzioni esecutive di svolgersi al meglio, mentre emozioni negative, accompagnate da demotivazione e poca autostima, possono far saltare il sistema di controllo e determinare il fallimento anche di compiti ben appresi. Il Circuito del Continuum lavora dunque in “sottofondo” e accumula evidenza (emotiva e motivazionale) intervenendo anche sul Circuito primario (esplicito quello che si vede in figura rappresentato dalle braccia). Tale circuito ha collegamenti diretti e volontari che partono dai sistemi centrali (in particolare del SAS o Processore Centrale) e raggiungono il modulo, attraverso T1, e dal modulo stesso tornano ai sistemi centrali, attraverso T2. Un SAS debole, con poche risorse, non permette il pieno sviluppo del modulo (la modularizzazione della Karmiloff-Smith) e non può supportarlo appieno in situazioni inaspettate o cognitivamente complesse. D’altra parte, un modulo perifericamente già degradato può far risalire la debolezza ai sistemi centrali a lui dedicati. Per un buon apprendimento sono quindi necessarie l’attenzione esecutiva e un apparato modulare integro.

Analisi più dettagliata del Modello

Il Circuito primario (esplicito) viene alimentato dalle risorse dei sistemi centrali, ma a determinare se i vari collegamenti (attraverso T1 e T2) sono attivi o no è il sistema secondario alimentato dal Circuito del Continuum (emozione/motivazione sono importanti attivatori dei tasti T1 e T2). Vediamo nel dettaglio i collegamenti attuati da T1 e T2 e quando possono essere vantaggiosi o svantaggiosi per un comportamento finalizzato allo scopo:

  • T1 collegato al modulo significa che vi è un intervento diretto del Processore Centrale:
    1. quando apprendiamo o modifichiamo un gesto già appreso, come ad esempio le variazioni di diteggiatura di uno spartito musicale ▶ vantaggioso;
    2. in situazioni di pericolo, quando esercitiamo un maggiore controllo nel compiere un’azione, anche semplice, in condizioni emotivamente instabili ▶ vantaggioso;
    3. in situazioni di ansia da prestazione quando controlliamo indebitamente un modulo molto automatizzato, come il campione di tennis che perde di velocità e fluidità durante il colpo che può essere decisivo per la partita, non fidandosi del suo automatismo ▶ svantaggioso.
  • T1 scollegato al modulo significa che non vi è un intervento diretto del Processore Centrale:
    1. il modulo sta lavorando da solo (modularità apparente), ad esempio quando un professionista compie un gesto motorio automatizzato o quando chiunque svolge un’azione routinaria, come il passeggiare ▶ vantaggioso;
    2. il Modulo ha bisogno del Processore Centrale che non interviene. Ciò può accadere in situazioni di panico, il modulo rimane privo di supporto ed è in balia degli impulsi “sottocorticali”, con comportamenti primitivi come la fuga, l’attacco o l’immobilizzamento (freezing) ▶ svantaggioso;
  • T2 collegato al modulo significa che il Processore Centrale, attraverso un sensore, si interfaccia all’uscita del modulo, U2, e ne valuta il lavoro. Ad esempio, quando vediamo un oggetto noto e lo riconosciamo tramite i sistemi centrali; oppure quando, leggendo un testo, arriviamo al livello di comprensione, ricordiamo, produciamo inferenze e collegamenti ▶ vantaggioso.

Questo collegamento può essere ambiguo in questi casi:

  1. il modulo lavora in maniera errata e il Processore Centrale è integro (es. agnosia appercettiva);
  2. il modulo lavora bene, ma il Processore Centrale non è in grado di elaborare le informazioni (es. malattia di Alzheimer);
  3. sia il modulo sia il Processore Centrale sono lievemente deboli o non integri (es. dislessia).
  • T2 scollegato al modulo significa che il Processore Centrale non sta verificando il lavoro del modulo. Ad esempio, in situazioni di panico il collegamento al modulo può saltare a causa della spinta emotiva e si perde il controllo di ciò che si sta facendo ▶ svantaggioso.

La dislessia
La dislessia
Eva Benso
Una guida per genitori e insegnanti: teoria, trattamenti e giochi.Come riconoscere in tempo i sintomi della dislessia e quali strumenti adottare per farvi fronte. Un manuale teorico e pratico per genitori e insegnanti. La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento, in particolare della lettura, vissuta ancora oggi come un grave handicap cognitivo e sociale. Da qui, l’esigenza imperativa di pubblicare un libro che spieghi come riconoscerne velocemente i sintomi, quali strumenti adottare per farvi fronte (sia in ambito clinico che scolastico) e quale sia la corretta interpretazione da dare ad una condizione troppo spesso sottovalutata. La dislessia si pone l’obiettivo di inquadrare l’argomento in maniera divulgativa, secondo il punto di vista neuropsicologico, affinché possa essere uno strumento utile per insegnanti, genitori e chiunque voglia approfondire la materia, attraverso numerosi grafici, schemi esplicativi e un glossario finale.Etichette e luoghi comuni vengono aboliti, fornendo al lettore una prospettiva strutturata sul problema e illustrando il funzionamento della lettura nei suoi aspetti sottostanti: visuo-percettivo, linguistico e attentivo.Nella parte teorica del testo l’autrice Eva Benso affronta anche il momento diagnostico e quello dei trattamenti abilitativi, le cause del disturbo e i principali luoghi comuni e miti da sfatare, perché non esiste un dislessico uguale a un altro. Infine, la sezione riservata agli esercizi ludici e ricreativi permette di allenare il bambino dislessico divertendolo e interessandolo alla lettura, agevolata con l’uso di illustrazioni, fiabe o attività manuali, tutte tappe di un preciso percorso propedeutico di rinforzo cognitivo. La parola chiave del metodo proposto è “allenamento”, una vera e propria palestra per la mente. Conosci l’autore Eva Benso è Psicologa, Trainer Attentivo 3° livello formatore del Metodo Benso e Applicatore SMAART del Metodo Feuerstein.Opera privatamente a Torino (studio Tigmo) presso enti pubblici e privati, svolgendo attività di valutazione neuropsicologica, supporto psicologico, (ri)abilitazione cognitiva per disturbi delle funzioni esecutive-attentive, della memoria e dell’apprendimento.È socio fondatore e Presidente di ANCCRI. Sul territorio nazionale è docente in corsi per insegnanti, in Master e Seminari Universitari, in corsi di Alta Formazione e sul Metodo Benso.