capitolo ii

Che cos’è un modulo

Percezione visiva, lettura, calcolo, andare in bicicletta sono tutti moduli che si differenziano tra loro per complessità. Un modulo, in poche parole, è un sistema automatizzato che compie un lavoro specifico. Occorre distinguerlo dai Sistemi Centrali, i siti in cui i dati vengono rielaborati, condivisi e riscritti.


Caratteristiche principali dei moduli secondo la neuropsicologia:

  • Possiedono un certo grado di autonomia;
  • Sono controllati, soprattutto durante il loro sviluppo, dal Sistema Attentivo Supervisore - SAS1;
  • Sono assemblabili tra di loro;
  • Si sviluppano gradualmente, si “modularizzano”2, fino alla loro completa automatizzazione.

“Sciare”, ad esempio, è un modulo complesso frutto dell’unione di moduli semplici automatizzati come il “camminare”.


Ogni modulo, però, non è mai del tutto autonomo. Il Sistema Attentivo Supervisore (SAS) organizza e controlla i moduli durante la loro formazione e le emergenze. Non appena ci troviamo in situazioni nuove, difficili o in condizioni di forte emotività, il SAS interviene anche sui moduli iper-appresi, come il “camminare”: se si è costretti ad attraversare una passerella sull’orlo di un precipizio, si pensa solo a dove si mettono i piedi (l’attenzione viene attivata a livello implicito dall’emotività), a differenza di quando si passeggia distrattamente per fare shopping (si trascura il camminare per rivolgere l’attenzione diversamente).


“Leggere” non è affatto un apprendimento banale, in quanto è un modulo complesso (di “terzo tipo”, vedere capitolo II).


L’efficienza di un modulo dipende principalmente da:

  1. Integrità e la completa formazione del modulo stesso;
  2. Integrità del SAS;
  3. Integrità dei collegamenti tra moduli e SAS.


Si inizia a capire come l’efficienza di una singola funzione, seppur isolata, dipenda dalla salute dell’intero sistema. Un SAS debole, poco allenato, non permette il pieno sviluppo di certi moduli, dunque di certi apprendimenti e ciò varia da persona a persona (vedere capitolo IV). Così un modulo lievemente deteriorato può far risalire il disturbo ad alcune componenti dei sistemi centrali.

Il SAS e i collegamenti con i moduli

1 Soggetto dotato cognitivamente e senza problemi specifici dell'apprendimento.

Sas, moduli e funzioni esecutive sono tutte attive

2 Soggetto dotato cognitivamente con disturbo specifico della lettura.

Modulo lettura e funzioni esecutive collegate sono disattivate

3 Soggetto non dotato cognitivamente in grado di leggere in maniera meccanica ma non in grado di comprendere il senso del testo

Attivo solo il modulo lettura, dove vengono convogliate le pochissime risorse a disposizione

Concetto di modulo semplificato

Supponiamo che il modulo in questione sia un forno per cuocere il pane. Dall’ambiente, dopo varie trasformazioni, otteniamo un composto di farina e acqua che inseriremo nel modulo-forno: dopo un certo tempo, il modulo avrà completato le sue operazioni e noi andremo a verificarle. I nostri sensi, in particolare quello del gusto (che corrisponderebbe al Sistema Centrale o SAS) valuterà se il modulo-forno ha fatto il suo dovere, quindi se il pane è cotto, bruciato o insipido.


È da sottolineare un fatto fondamentale: il forno-modulo, nonostante sia una macchina efficientissima, non verifica ciò che ha prodotto3. Solo i Sistemi Centrali, portando il risultato a livello della coscienza, possono emettere una sentenza e provvedere a correggere l’errore.


Potrebbe anche succedere, però, che l’errore non venga corretto a causa di un SAS molto debole o di un collegamento fallato tra modulo e SAS. Risulta chiaro come un risultato sbagliato possa coinvolgere più “colpevoli”: dal singolo modulo fino ai Sistemi Centrali.

Approfondimento 1: funzionamento del modulo

Per i neuropsicologi, un modulo è qualsiasi sistema automatizzabile, anche se complesso, che abbia una sua relativa indipendenza computazionale.


Le informazioni provenienti dall’ambiente raggiungono il modulo passando prima attraverso un “trasduttore sensoriale”, che trasforma l’input in un formato che la struttura specializzata riesce ad elaborare. Nel modulo vengono quindi eseguiti compiti complessi e, infine, il risultato viene inviato ai Sistemi Centrali, per poi arrivare alla coscienza.


Punto di partenza delle teorie modulari è costituito dal lavoro di Fodor “La mente modulare” (1983).


I tre concetti principali sono:

  1. La specificità di dominio (ogni modulo accetta una sola tipologia di informazione);
  2. L’incapsulamento informazionale (non esiste uno scambio di informazione tra moduli e sistemi centrali);
  3. L’output superficiale (l’uscita del modulo non è cosciente).


Se Fodor nega la possibilità che i moduli possano assemblarsi e svilupparsi, Shallice (1988) considera i criteri di Fodor troppo specifici e limitanti per gli scopi della neuropsicologia4 e preferisce ispirarsi alla teoria di Marr (1982) secondo il quale i moduli sono «sottosistemi isolabili e dissociabili, con “scarsa” interazione tra loro».


A seguire vi è il punto di vista di Karmiloff-Smith (1992) per la quale un modulo necessita di un certo tempo per maturare attraverso specifiche interazioni ambientali. In altre parole, i sistemi si modularizzano, e quindi si automatizzano nell’arco del tempo. Quest’ultima citazione porta al lavoro di sistematizzazione di Moscovitch e Umiltà (1990), i quali suddividono gerarchicamente i moduli in tre tipologie.

Esempi di moduli: dai semplici a quelli più complessi

Possiamo dividere i moduli in tre classi o tipi5:

  • Moduli di primo tipo: i riflessi e la percezione delle caratteristiche (il colore, la forma, la captazione della profondità, delle frequenze acustiche, la localizzazione dei suoni)6;
  • Moduli di secondo tipo: le abilità linguistiche, il riconoscimento degli oggetti7;
  • Moduli di terzo tipo: la lettura e le abilità motorie complesse (attività sportive, suonare strumenti musicali)8;

Al primo gruppo appartengono gli atti motori elementari e semplici come i riflessi e i sottosistemi della percezione (innato e tipico della specie homo è il sistema del riconoscimento dei volti).


Al secondo gruppo appartengono moduli di primo tipo assemblati tra di loro. La percezione di una figura intera è un modulo di secondo tipo, dato dalla fusione di caratteristiche elementari (colore, forma ecc..), utilizzando le risorse attentive del SAS.


Al terzo gruppo appartengono moduli di primo e di secondo tipo assemblati tra di loro grazie all’esperienza, alla volontà e alle risorse attentive: la lettura (come si vede in figura 7) è un modulo frutto di più unioni: percezione e linguaggio – moduli di secondo tipo – il tutto supportato dall’attenzione.


È da sottolineare come, ad ogni livello, il SAS supervisioni il funzionamento dei moduli e il loro pieno sviluppo. In un modulo di terzo tipo come la lettura, il SAS interviene direttamente, è attivato coscientemente, affinché il testo venga compreso attraverso una lettura fluida e corretta. Nel caso di moduli di secondo tipo, il SAS non è costantemente attivato: si occupa di tenere un livello di attenzione minimo, salvo emergenze (vedere nota 7). Appreso che la lettura non è un apprendimento banale e neanche un ambito isolato, ma è inserita in una fitta rete di moduli, memorie, sistemi attentivi9... è il momento di capire come funzioni.

La dislessia
La dislessia
Eva Benso
Una guida per genitori e insegnanti: teoria, trattamenti e giochi.Come riconoscere in tempo i sintomi della dislessia e quali strumenti adottare per farvi fronte. Un manuale teorico e pratico per genitori e insegnanti. La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento, in particolare della lettura, vissuta ancora oggi come un grave handicap cognitivo e sociale. Da qui, l’esigenza imperativa di pubblicare un libro che spieghi come riconoscerne velocemente i sintomi, quali strumenti adottare per farvi fronte (sia in ambito clinico che scolastico) e quale sia la corretta interpretazione da dare ad una condizione troppo spesso sottovalutata. La dislessia si pone l’obiettivo di inquadrare l’argomento in maniera divulgativa, secondo il punto di vista neuropsicologico, affinché possa essere uno strumento utile per insegnanti, genitori e chiunque voglia approfondire la materia, attraverso numerosi grafici, schemi esplicativi e un glossario finale.Etichette e luoghi comuni vengono aboliti, fornendo al lettore una prospettiva strutturata sul problema e illustrando il funzionamento della lettura nei suoi aspetti sottostanti: visuo-percettivo, linguistico e attentivo.Nella parte teorica del testo l’autrice Eva Benso affronta anche il momento diagnostico e quello dei trattamenti abilitativi, le cause del disturbo e i principali luoghi comuni e miti da sfatare, perché non esiste un dislessico uguale a un altro. Infine, la sezione riservata agli esercizi ludici e ricreativi permette di allenare il bambino dislessico divertendolo e interessandolo alla lettura, agevolata con l’uso di illustrazioni, fiabe o attività manuali, tutte tappe di un preciso percorso propedeutico di rinforzo cognitivo. La parola chiave del metodo proposto è “allenamento”, una vera e propria palestra per la mente. Conosci l’autore Eva Benso è Psicologa, Trainer Attentivo 3° livello formatore del Metodo Benso e Applicatore SMAART del Metodo Feuerstein.Opera privatamente a Torino (studio Tigmo) presso enti pubblici e privati, svolgendo attività di valutazione neuropsicologica, supporto psicologico, (ri)abilitazione cognitiva per disturbi delle funzioni esecutive-attentive, della memoria e dell’apprendimento.È socio fondatore e Presidente di ANCCRI. Sul territorio nazionale è docente in corsi per insegnanti, in Master e Seminari Universitari, in corsi di Alta Formazione e sul Metodo Benso.