capitolo ii

Alcuni concetti di base

Questo libro contiene centinaia di suggerimenti pratici per una disciplina non punitiva. Tuttavia, prima di affrontare il “come” è importante sapere il “perché”. Troppi genitori e insegnanti usano metodi che non producono risultati efficaci a lungo termine per i bambini: questo perché non capiscono le basi essenziali del comportamento umano. I concetti adleriani fondamentali descritti di seguito e nei prossimi due capitoli (insieme a diversi esempi di applicazione pratica) sono d’aiuto perché permettono di comprendere più a fondo il comportamento umano, i motivi per cui i bambini si comportano male e quanto i metodi della Disciplina Positiva siano d’aiuto affinché i bambini imparino le competenze e gli atteggiamenti necessari per diventare membri felici e impegnati della società.


Alfred Adler aveva idee avanti coi tempi. Durante le sue celebri lezioni e seminari aperti al pubblico a Vienna (dopo il distacco da Freud), sosteneva con determinazione la parità tra razze, uomini, donne e bambini molto prima che questi concetti fossero diffusi. Adler, austriaco di origini ebraiche, fu poi costretto dalla persecuzione nazista a lasciare il Paese per poter continuare il suo lavoro.


Rudolf Dreikurs lavorò a stretto contatto con Adler e continuò a portare avanti la psicologia adleriana dopo la morte di quest’ultimo, nel 1937. Dreikurs pubblicò, sia in forma autonoma sia in collaborazione con altri studiosi, libri per illustrare l’applicazione pratica della teoria adleriana a genitori e insegnanti desiderosi di migliorare il rapporto con i bambini a casa e a scuola (vedi “Consigli di lettura”).


Dreikurs si preoccupava del fatto che molti adulti, nel tentativo di mettere in pratica i suoi suggerimenti, non comprendevano però alcuni dei concetti di base. Questa comprensione limitata li portava a distorcere molte delle tecniche e a usarle per imporre le proprie scelte ai bambini anziché per conquistarli. Gli adulti si impongono sui bambini quando usano metodi punitivi e di controllo. Al contrario, gli adulti conquistano i bambini quando li trattano con dignità e rispetto (usando gentilezza e fermezza allo stesso tempo) e hanno fiducia nella loro capacità di collaborare e contribuire. È quindi necessario che gli adulti incoraggino molto i bambini e si prendano il tempo per favorire la formazione delle competenze essenziali per la vita.


Imporsi sui bambini li fa sentire sconfitti, e la sconfitta di solito porta i bambini a sviluppare atteggiamenti di ribellione o di cieca sottomissione; nessuno dei due è auspicabile. Conquistare i bambini significa ottenere la loro collaborazione volontaria.


Uno degli esempi di come gli adulti fraintendono i concetti di base della Disciplina Positiva è che spesso aggiungono l’umiliazione alle conseguenze logiche, nella convinzione sbagliata che, se non soffrono per i loro errori, non impareranno nulla. È vero che l’umiliazione può motivare i bambini a fare di meglio, ma quanto costerà loro in termini di consapevolezza del proprio valore? Diventeranno eccessivamente accomodanti, o dipendenti dall’approvazione, con il pensiero fisso che il loro valore dipende dall’approvazione degli altri? Riusciranno a fare di meglio, ma temendo di correre il rischio per paura di fallire? Il loro processo di apprendimento si fonderà su biasimo, vergogna, dolore e su quello scoraggiamento, generato dagli adulti, che conduce a un calo di autostima? O sarà piuttosto basato sull’empatia degli adulti, sull’incoraggiamento, sull’amore incondizionato e sul sostegno che li aiuteranno ad acquisire competenze di vita e una sana consapevolezza del proprio valore?

Autostima: un concetto sfuggente

Siccome abbiamo parlato dell’autostima e della consapevolezza del proprio valore, è importante approfondire questi due termini, anche se gli esperti non concordano su una definizione univoca. Sono stata membro della California Self-Esteem Task Force; sentire i colleghi della commissione discutere su una possibile definizione di autostima è stato molto interessante.


Sono convinta che non abbiamo fatto un favore ai bambini pensando di poter fornire loro l’autostima. C’è stata una corrente di pensiero convinta di procurar loro l’autostima attraverso lodi, adesivi allegri, faccine sorridenti, e facendoli sentire i “VIP del giorno”. Tutto questo può essere innocuo e divertente, a meno che un bambino non si convinca che la sua autostima dipende dall’opinione esterna degli altri. In questo caso, può diventare troppo compiacente o dipendente dall’approvazione. Impara a guardare gli altri per decidere se quello che sta facendo va bene, invece di autovalutarsi e di riflettere in modo autonomo sulla cosa più giusta da fare. Sviluppa una stima “altrui” piuttosto che un’autostima.


Vi siete resi conto di quanto l’autostima possa essere sfuggente? In un certo momento vi sentite sicuri di voi stessi. Poi fate un errore e vi criticate da soli, o è qualcun altro a farlo; ecco che all’improvviso la vostra autostima scende in cantina.


La cosa migliore che possiamo fare per i bambini è insegnare loro l’autovalutazione (di cui si parlerà più ampiamente nel settimo capitolo), invece di essere dipendenti dalle lodi e dall’opinione degli altri. Gli adulti possono aiutare i bambini insegnando loro che gli errori sono meravigliose opportunità di apprendimento. Se sono lasciati liberi di sperimentare il fallimento, i bambini impareranno a capire da soli come risolvere i problemi nel momento in cui si presentano. Imparare a essere resilienti porterà loro grandi vantaggi: in questo modo saranno in grado di gestire gli alti e i bassi della vita. Per i bambini è un grande beneficio avere molte occasioni di sentirsi bene con se stessi contribuendo in modo significativo a casa, a scuola, e nella comunità. La chiave è il senso di appartenenza e di rilevanza.


In uno dei miei fumetti preferiti dei Peanuts, Lucy chiede a Linus: «Com’è andata a scuola oggi?».


Linus risponde: «Non ci sono andato. Ho aperto la porta e ho chiesto: “Qualcuno qui ha bisogno di me?” Non mi ha risposto nessuno, così sono tornato a casa». I bambini hanno bisogno di sentirsi necessari.


Quando i bambini si rafforzano in tutte le Sette Percezioni di cui è parlato nel primo capitolo, svilupperanno una forte consapevolezza del proprio valore e sapranno fare i conti con la natura elusiva dell’autostima. Gli adulti possono iniziare a creare un ambiente di apprendimento positivo conquistando i bambini invece di imporsi su di loro.

Conquistare i bambini

I bambini si sentono incoraggiati quando pensano che comprendiate il loro punto di vista. Una volta che si sentono capiti, sono più disposti ad ascoltare il vostro punto di vista e a cercare una soluzione al problema. Ricordate che i bambini sono più propensi ad ascoltarvi dopo essersi sentiti ascoltati. Utilizzando i seguenti Quattro Passi per Conquistare la Collaborazione si può facilmente creare un clima in cui i bambini si sentano pronti ad ascoltare e a collaborare.

Quattro Passi per Conquistare la Collaborazione
  1. Esprimete comprensione per i sentimenti dei bambini. Ricordatevi di verificare insieme a loro se avete capito bene.

  2. Mostrate empatia senza essere accondiscendenti. Empatia non significa condividere la stessa opinione o giustificare. Significa semplicemente capire il punto di vista del bambino. Una buona idea in questo caso può essere raccontarsi i momenti in cui ci si è sentiti o comportati in modo simile.

  3. Condividete sentimenti e impressioni. Se i primi due passi sono gestiti in modo sincero e amichevole, il bambino sarà pronto ad ascoltarvi.

  4. Invitate il bambino a concentrarsi su una soluzione. Chiedetegli se ha qualche idea su cosa si potrebbe fare in futuro per evitare che il problema si ripresenti. Se non ne ha, proponete alcuni suggerimenti finché non raggiungete un accordo.


Un atteggiamento amichevole, premuroso e rispettoso è essenziale per compiere questi passi. Anche solo decidere di conquistare la loro collaborazione basterà a stimolare in voi sentimenti positivi. Dopo i primi due passi, anche il bambino sarà conquistato. Il bambino ora sarà pronto ad ascoltarvi quando affronterete il terzo passo (anche se in precedenza vi eravate espressi diverse volte senza essere ascoltati). Ora che si è creata un’atmosfera di rispetto, è probabile che il quarto passo risulti efficace.


La signora Martinez ci ha raccontato la sua esperienza. Sua figlia Linda era tornata a casa da scuola lamentandosi che il maestro l’aveva sgridata di fronte a tutta la classe. La signora, mettendosi le mani sui fianchi, aveva chiesto a Linda in tono accusatorio: «Be’, tu cosa hai combinato?».


Linda aveva abbassato lo sguardo e aveva risposto arrabbiata: «Non ho fatto niente».


La madre aveva ribattuto: «Ma dài, gli insegnanti non urlano agli alunni senza motivo. Che cosa hai combinato?».


Linda si era buttata sul divano con un’espressione imbronciata e si limitava a guardare male sua madre. La signora Martinez aveva continuato a chiederle in tono accusatorio: «Allora, cosa hai intenzione di fare per risolvere il problema?».


Linda aveva risposto, sul piede di guerra: «Niente.»


Il quel momento la madre si era ricordata i Quattro Passi per Conquistare la Collaborazione. Aveva fatto un respiro profondo e aveva cambiato atteggiamento, commentando in tono amichevole: «Scommetto che ti sei sentita in imbarazzo quando l’insegnante ti ha sgridata davanti a tutti». (Primo Passo. Esprimere comprensione).


Linda aveva guardato la madre con interesse sospettoso. La signora Martinez aveva proseguito: «Mi ricordo che una volta in quarta elementare è successo anche a me, solo perché mi ero alzata per temperare la matita durante un compito di matematica. Il maestro mi aveva sgridata davanti a tutta la classe e io mi ero sentita davvero imbarazzata e arrabbiata». (Secondo Passo. Mostrate empatia senza essere accondiscendenti – e condividete un’esperienza simile).


Linda adesso era interessata. «Davvero?» aveva detto. «Ho solo chiesto in prestito una matita. Penso che il maestro sia stato proprio ingiusto a sgridarmi per una cosa del genere».


La signora Martinez aveva risposto: «Be’, certo, capisco come devi esserti sentita. Ti viene in mente qualcosa che potresti fare per evitare altre situazioni imbarazzanti in futuro?» (Quarto Passo. Invitate il bambino a concentrarsi su una soluzione. Il Terzo Passo in questo caso non era necessario.)


Linda aveva detto: «Credo che potrei portarmi più di una matita, così non avrei bisogno di prenderle in prestito».


La signora Martinez aveva concluso: «Mi sembra un’ottima idea».


Uno degli obiettivi della madre era aiutare Linda a comportarsi in modo da non suscitare l’irritazione e la disapprovazione del suo maestro. Si noti che la prima volta che aveva invitato la figlia a pensare a una possibile soluzione del problema, Linda si sentiva troppo ostile per collaborare. Dopo aver fatto ricorso all’incoraggiamento (attraverso i Quattro Passi per Conquistare la Collaborazione), Linda aveva sentito vicinanza e fiducia invece che distanza e ostilità, ed era stata più disposta a pensare a una soluzione. Quando sua madre è riuscita a vedere le cose dal punto di vista di Linda, la bambina non ha più sentito il bisogno di mettersi sulla difensiva.


Anche la signora Jones ha applicato i Quattro Passi per Conquistare la Collaborazione quando ha saputo che suo figlio Jeff, di sei anni, rubava. Ha aspettato di trovare un momento tranquillo in cui non c’era nessuno intorno e gli ha chiesto di sedersi sulle sue ginocchia. Poi gli ha detto di aver sentito che aveva rubato un pacchetto di gomme da masticare dal negozio. (Si noti che non lo ha “incastrato” chiedendogli se avesse combinato qualcosa, dal momento che sapeva già tutto.) Ha proseguito condividendo quello che le era successo in quinta elementare, quando aveva rubato una gomma per cancellare da una cartoleria; sapeva che era sbagliato, e questo l’aveva fatta sentire molto in colpa. Così aveva deciso che non ne valeva la pena. Jeff ha ribattuto, sulla difensiva: «Ma il negozio ha tante gomme da masticare». La signora Jones allora ha guidato Jeff in una riflessione su quante gomme e altra merce doveva vendere il proprietario per pagare l’affitto, i dipendenti, l’inventario e avanzare abbastanza soldi per vivere. Jeff ha ammesso di non averci mai pensato. Hanno anche parlato del fatto che non sarebbero stati contenti se gli altri avessero preso le loro cose. Jeff ha confidato che non voleva più rubare e che avrebbe pagato le gomme rubate. La mamma si è offerta di accompagnarlo per sostenerlo moralmente.


La signora Jones è stata in grado di conquistare Jeff senza accusarlo, biasimarlo o fargli la lezione. Non aveva fatto sentire Jeff una persona cattiva per quello che aveva fatto; il bambino così era stato disposto a prendere in considerazione ragioni socialmente valide per non farlo più. Inoltre, ha potuto prendere parte alla ricerca di una soluzione che, anche se fonte di imbarazzo, sarebbe stata una preziosa lezione di vita per i comportamenti futuri. Ha potuto farlo perché la madre è riuscita a creare un clima di sostegno piuttosto che di attacco e difensiva.

I sentimenti dietro alle nostre parole e azioni

I sentimenti dietro alle nostre parole e azioni sono più importanti di quello che diciamo o facciamo. Le nostre azioni non sono mai tanto importanti quanto il modo in cui le compiamo, determinato dai nostri atteggiamenti ed emozioni. Un adulto può chiedere: «Cosa hai imparato da questa esperienza?» con un tono di biasimo o umiliazione oppure con un tono di voce che mostra empatia e interesse. Un adulto può creare un’atmosfera che invita alla vicinanza e alla fiducia, oppure alla distanza e all’ostilità. È incredibile quanti adulti siano convinti di avere un’influenza positiva sui bambini quando hanno creato distanza e ostilità invece di vicinanza e fiducia. (Ne sono davvero convinti o si limitano a reagire senza pensare?).


Il sentimento che sta dietro alle parole spesso traspare dal tono di voce. Aggiungere l’umiliazione infrange il concetto di base del rispetto reciproco. Trasforma anche quella che potrebbe essere una conseguenza logica in una punizione, il che non porta effetti positivi a lungo termine. Se un bambino rovescia il latte sul pavimento, la conseguenza (o soluzione) logica sarebbe quella di farglielo pulire. Rimane una conseguenza (o soluzione) logica finché l’adulto non coinvolge il bambino con parole gentili ma ferme, come ad esempio: «Oh oh, cosa bisogna fare adesso?». Notate quanto sia più coinvolgente chiedere al bambino il da farsi piuttosto che dirglielo. Chiedere piuttosto che dire è uno dei metodi di Disciplina Positiva più efficaci che imparerete, ed è approfondito nel sesto capitolo. Dire spinge a resistenza e ribellione. Coinvolgere rispettosamente i bambini invece li fa sentire capaci di usare il loro potere per dare un contributo. Una richiesta si trasforma in una punizione quando gli adulti non usano un tono di voce gentile e rispettoso, o quando aggiungono un’umiliazione, ad esempio: «Quanto sei maldestro! Pulisci subito, e d’ora in poi verserò io il latte, visto che tu non sei capace di farlo per bene».


La psicologia adleriana ci mette a disposizione un insieme di concetti che sono un patrimonio di conoscenze utili a migliorare la comprensione dei bambini e di noi stessi, ma è molto di più che mera teoria. I concetti di base non bastano senza atteggiamenti di incoraggiamento, comprensione e rispetto. Se questi non vengono capiti, le tecniche si riducono a una sgarbata manipolazione. Il nostro modo di fare con i bambini sarà molto più efficace se ci chiederemo sempre: «Quello che sto facendo lo incoraggia o lo scoraggia?».

Concetti adleriani di base

1. I bambini sono esseri sociali

I comportamenti sono determinati dal contesto sociale. Nel prendere decisioni su se stessi e su come comportarsi, i bambini fanno riferimento a come si vedono nel rapporto con gli altri e a come pensano che gli altri si sentano nei loro confronti. Non bisogna dimenticare che i bambini prendono continuamente decisioni e si formano opinioni su loro stessi, sul mondo e su quello di cui hanno bisogno per sopravvivere e prosperare.


Quando “prosperano”, sviluppano forza in tutte le Sette Competenze Fondamentali di cui si è discusso nel primo capitolo. Quando sono nella “modalità sopravvivenza” (in cui cercano di capire come provare un senso di appartenenza e rilevanza), gli adulti spesso interpretano questo comportamento come scorretto; ma continua a sembrare tale se lo si pensa come “una modalità di “sopravvivenza”?

2. Il comportamento ha un obiettivo specifico

Il comportamento si basa su un obiettivo da raggiungere all’interno di un contesto sociale. L’obiettivo primario è l’appartenenza e i bambini non ne sono coscienti. A volte hanno idee erronee su come ottenere quello che vogliono, e si comportano in modi danno risultati opposti al loro obiettivo. Per esempio, potrebbero desiderare l’appartenenza ma si comportano in modo irritante nei loro tentativi maldestri di raggiungere l’obiettivo. Può diventare un circolo vizioso: più il loro comportamento suscita fastidio o rabbia, più diventano irritanti proprio a causa del loro desiderio di appartenenza.


Dreikurs spiegava: «I bambini sono bravi a percepire ma non a interpretare.» I bambini non sono gli unici ad avere questo problema. La situazione illustrata di seguito è un esempio di come tutto ha inizio.


Quando la mamma di Adele, di due anni, torna a casa dall’ospedale con il fratellino appena nato, Adele percepisce quante attenzioni la mamma dà al neonato. Purtroppo l’interpretazione di Adele è che la mamma voglia più bene al fratellino che a lei. Questo non è vero, ma la verità non è tanto importante quanto ciò che Adele crede. Il suo comportamento si baserà su ciò che lei crede vero piuttosto che su ciò che è vero. L’obiettivo di Adele è di riconquistare il suo posto speciale nel cuore della mamma, ed è convinta erroneamente che per raggiungerlo debba comportarsi come un bebè; quindi potrebbe volere il biberon, farsi la popò addosso e piangere in continuazione. Così ottiene esattamente l’opposto di ciò che sperava, perché la mamma si sente frustrata e distante invece che amorevole e affettuosa.

3. L’obiettivo primario di un bambino è quello di provare un senso di appartenenza e rilevanza

Riuniamo qui i primi due concetti, perché l’obiettivo di tutti i comportamenti è quello di raggiungere un senso di appartenenza e rilevanza all’interno dell’ambiente sociale. I comportamenti scorretti si basano su una convinzione sbagliata su come ottenerlo, come nell’esempio sopra riportato.

4. Un bambino che si comporta male è un bambino scoraggiato

Un bambino che si comporta male cerca di dirci: «Non provo un senso di appartenenza e rilevanza, e ho una convinzione sbagliata su come ottenerli». Quando un bambino che si comporta male è irritante, è facile capire perché la maggior parte degli adulti fatichi a superare il comportamento scorretto e ricordarne il vero significato: «Voglio solo appartenere». Capire questo concetto è il primo passo che permette agli adulti di essere più efficaci nell’aiutare i bambini che si comportano male. Aiuta a “decifrare il codice”. Quando un bambino si comporta male, pensate al comportamento sbagliato come a un messaggio in codice e chiedetevi: «Cosa sta cercando di dirmi in realtà?». Bisogna ricordare che il bambino non è consapevole del suo messaggio in codice, ma si sentirà profondamente compreso se ci si occuperà delle sue convinzioni nascoste invece di limitarsi a reagire al comportamento. Il cattivo comportamento appare sotto una luce diversa se ci si ricorda che dietro a quest’ultimo c’è un bambino che vuole solo sentire di appartenere ed è confuso o non sa come raggiungere l’obiettivo in un modo socialmente utile. Sarà d’aiuto anche analizzare il proprio comportamento per capire se suscita nel bambino la convinzione di non appartenere o non essere rilevante. Questi primi quattro concetti vengono affrontati più in dettaglio nel quarto capitolo.

5. Responsabilità sociale o senso della comunità

Un altro contributo importante di Alfred Adler è il concetto di Gemeinschaftsgefühl, una bella parola tedesca coniata da lui stesso. Non esiste una vera e propria traduzione, ma alla fine Adler scelse “interesse sociale” (e io uso responsabilità sociale). Significa preoccuparsi davvero per il prossimo e nutrire un sincero desiderio di portare il proprio contributo alla società. La storia seguente è stata raccontata da Kristin R. Pancer su “The Individual Psychologist” del dicembre 1978 per spiegare il significato di responsabilità sociale.


C’erano una volta due fratelli che avevano una fattoria insieme. Facevano fatica a sbarcare il lunario a causa della siccità e del terreno sassoso, ma dividevano equamente i loro profitti. Uno dei due fratelli aveva una moglie e cinque figli; l’altro era celibe. Una notte il fratello sposato non riusciva a dormire. Si girava e rigirava nel letto perché pensava che l’accordo fosse proprio ingiusto. Pensò: «Mio fratello non ha bambini da cui tornare a casa, o che si prendano cura di lui quando sarà vecchio. Ha davvero bisogno di più della metà dei guadagni. Domani gliene offrirò i due terzi. Sicuramente sarà più equo in questo modo.» Quella stessa notte pure l’altro fratello faceva fatica ad addormentarsi, perché anche lui aveva deciso che l’accordo di fare a metà non era equo. Pensò: «Mio fratello ha una moglie e cinque figli da sfamare. E contribuiscono anche al lavoro in fattoria molto più di me. Mio fratello merita più della metà dei guadagni. Domani gliene offrirò i due terzi». Il giorno seguente i fratelli si incontrarono e ognuno disse all’altro del suo piano per un accordo più equo. Questo è un esempio di responsabilità sociale applicata.


Adler aveva quello che chiamava il Programma di Cura in Quattordici Giorni. Sosteneva di poter curare chiunque soffrisse di un disturbo mentale in soli quattordici giorni se il paziente avesse seguito esattamente le sue indicazioni. Un giorno una donna profondamente depressa andò da lui che le disse: «Posso curare la tua depressione in appena quattordici giorni se seguirai i miei consigli».


La donna non era molto convinta e chiese: «Cosa devo fare?».


Adler rispose: «Se lei farà una cosa per qualcun altro ogni giorno per quattordici giorni, alla fine di quel periodo la depressione sarà scomparsa».


La donna obiettò: «Perché dovrei fare qualcosa per gli altri se nessuno fa mai nulla per me?».


Adler rispose scherzando, «Be’, forse le ci vorranno ventuno giorni.» Proseguì: «Se non le viene in mente niente che è disposta a fare per qualcun altro, pensi solo a cosa potrebbe fare se se la sentisse». Adler sapeva che se fosse anche solo riuscita a concepire di fare qualcosa per il prossimo, sarebbe stata sulla via del miglioramento.


Insegnare la responsabilità sociale ai bambini è assai importante. A cosa portano gli studi accademici se i giovani non imparano a diventare membri attivi della società? Dreikurs diceva spesso: «Non fare al posto dei bambini ciò che sono in grado di fare da sé». Lo diceva perché, quando facciamo troppo per i bambini, li priviamo della possibilità di rendersi conto delle proprie capacità attraverso le loro esperienze. Potrebbero invece maturare la convinzione che hanno bisogno di qualcuno che si prenda cura di loro o che hanno “diritto” a trattamenti speciali.


Il primo passo per insegnare la responsabilità sociale è insegnare l’autosufficienza. A quel punto i bambini saranno pronti ad aiutare gli altri e nel farlo si sentiranno molto bravi. Quando gli adulti fanno la parte delle supermamme o dei superinsegnanti, i bambini imparano ad aspettarsi che il mondo sia al loro servizio, invece che loro al servizio del mondo. Questi bambini si sentono trattati ingiustamente se le cose non vengono fatte a modo loro. Quando gli altri rifiutano di mettersi al loro servizio si commiserano o cercano di vendicarsi in qualche modo dannoso e distruttivo. Ogni volta che cercano una rivincita, feriscono loro stessi quanto o più degli altri.


All’estremo opposto ci sono i genitori e gli insegnanti troppo occupati per trovare il tempo di insegnare ai bambini le competenze sociali e di vita per formare un buon carattere. Questi stessi adulti si arrabbiano quando i bambini non “si comportano bene”. Non so dove pensino che i bambini possano imparare a comportarsi bene. Troppi adulti “biasimano” i bambini per i loro cattivo comportamento invece di prendersene la loro parte di responsabilità (e non di biasimo).


La Disciplina Positiva aiuta bambini e adulti a chiudere questi circoli viziosi incoraggiandoli alla responsabilità sociale. I genitori e gli insegnanti di solito non si rendono conto di quante cose fanno al posto dei bambini, quando i bambini potrebbero farle da sé. Non si prendono il tempo di insegnare loro come collaborare a casa o in classe. Predisponete un elenco. Voi insegnanti, quante cose fate in classe che potrebbero essere svolte dai bambini? Voi genitori, quanto fate al posto dei bambini perché è più comodo, invece di aiutarli a sentirsi capaci dando il loro contributo?

Nel libro Positive Discipline in the Classroom1, io e gli altri autori abbiamo parlato dell’importanza di coinvolgere gli alunni nel parlare di tutte le incombenze necessarie in classe. L’insegnante può partecipare al confronto, ma è incredibile vedere quante idee tirano fuori i bambini quando li si invita a farlo. Dopo aver completato la lista, chiedete dei volontari per ogni lavoro. Assicuratevi che ci sia almeno un compito per ogni alunno. Ci può anche essere un “responsabile dei compiti”. È importante stabilire (con il contributo degli alunni) un sistema di rotazione dei compiti in modo che nessuno abbia gli incarichi meno stimolanti per troppo tempo. Risulta chiaro come la divisione dei compiti aumenti il senso di appartenenza, insegni competenze di vita e permetta ai bambini di sperimentare la responsabilità sociale.
6. Uguaglianza

Molte persone oggi non fanno fatica a capire il concetto di uguaglianza, finché non si parla di bambini. A quel punto si sollevano molte obiezioni. «Come possiamo considerare uguali i bambini, visto che non hanno le stesse esperienze, conoscenze o responsabilità?», chiedono.


Come evidenziato nel primo capitolo, uguaglianza non significa «la stessa cosa». Per uguaglianza, Adler intendeva che tutti hanno uguali diritti alla dignità e al rispetto. Molti adulti sono d’accordo sul fatto che i bambini siano uguali a loro sul piano del valore. Questa è una delle ragioni per cui l’umiliazione non fa parte della Disciplina Positiva. Le tecniche di umiliazione sono contrarie ai concetti di uguaglianza e rispetto reciproco.

7. Gli errori sono meravigliose opportunità di apprendimento

Nella società in cui viviamo ci viene insegnato a vergognarci dei nostri errori. Siamo tutti imperfetti. Dobbiamo avere il coraggio di cambiare le nostre convinzioni logoranti a proposito dell’imperfezione. Questo è uno dei concetti più incoraggianti, e tuttavia tra i più difficili da acquisire nella nostra società. Nel mondo non esiste un essere umano perfetto, eppure ognuno si aspetta la perfezione da sé e dagli altri – soprattutto dai bambini.


Chiudete gli occhi e pensate ai messaggi che ricevevate da genitori e insegnanti quando eravate bambini. Com’erano questi messaggi? Per rendere più efficace l’esercizio potreste farlo per iscritto. Quando commettevate un errore vi veniva detto che eravate stupidi, inadeguati, cattivi, maldestri, una delusione? Chiudete di nuovo gli occhi e ricordate un momento specifico in cui siete stati rimproverati per un errore. A quali conclusioni siete arrivati su di voi e su cosa fare in futuro? Ricordate che all’epoca non eravate consapevoli di trarre delle conclusioni; ma quando si torna indietro con la mente, di solito i pensieri di quel momento risultano chiari. Alcune persone hanno dedotto che erano cattive o inadeguate. Altre hanno pensato che fosse meglio non assumersi rischi per paura dell’umiliazione, nel caso gli sforzi messi in campo non avessero prodotto un risultato perfetto. Come abbiamo già accennato, in troppi decidono di diventare compiacenti e dipendenti dall’approvazione, con gravi danni alla loro autostima. Altri decidono di agire in modo elusivo e fare di tutto per evitare di essere scoperti. Questi sono forse messaggi sani e conclusioni che incoraggiano uno sviluppo fecondo di competenze per la vita? No di certo.


Quando genitori e insegnanti trasmettono ai bambini messaggi negativi riguardo agli errori, di solito hanno buone intenzioni. Cercano di motivarli a fare di meglio “per il loro bene”. Non si prendono del tempo per pensare ai risultati a lungo termine del loro metodo; così, gran parte dell’educazione dei figli e dell’insegnamento è basata sulla paura. Gli adulti temono di non fare un buon lavoro se non “portano” i bambini a fare di meglio. In troppi si preoccupano in maggior misura di cosa penseranno i vicini anziché di ciò che imparano i loro figli. Altri temono che i bambini non impareranno mai a migliorare se non instillano in loro paura e umiliazione. La maggior parte ha paura perché non sa cos’altro fare – e temono di agire in modo permissivo se non infliggono biasimo, vergogna e dolore. Spesso gli adulti nascondono le loro paure comportandosi in maniera più autoritaria.


C’è un altro modo. Non è permissivo e motiva davvero i bambini a fare di meglio senza che il senso del proprio valore sia sminuito. È necessario imparare e insegnare ai bambini ad essere entusiasti dei propri errori, perché essi sono delle opportunità di apprendimento. Non sarebbe bellissimo sentire un adulto dire a un bambino: «Hai commesso un errore. Molto bene. Cosa possiamo imparare da questo?» E intendo proprio “possiamo”, non “puoi”. Noi siamo correponsabili della maggior parte degli sbagli dei bambini. Molti vengono commessi perché non abbiamo dedicato tempo alla pratica e all’incoraggiamento. Spesso invece di ispirare miglioramento provochiamo ribellione. Trovate il coraggio di accettare le imperfezioni, in modo che i bambini possano imparare da voi che gli errori sono veramente opportunità di apprendimento.


I bambini imparano a vedere gli sbagli come opportunità di apprendimento e a fare pratica durante le riunioni di famiglia o di classe (di cui si parla nell’ottavo e nono capitolo). Molte famiglie hanno trovato utile, durante la cena, invitare tutti a raccontare agli altri un errore di quel giorno e a esporre che cosa hanno imparato. Una volta alla settimana, durante una riunione di classe (che si tiene ogni giorno) alcuni insegnanti lasciano del tempo perché ogni alunno condivida un errore e quello che ne ha imparato. Ogni giorno, e in modo aperto, i bambini devono poter capire l’importanza degli sbagli – e imparare da questi in un ambiente sicuro.


Uno dei temi fondamentali di questo libro, di cui sentirete parlare più e più volte, è imparare ad usare le sfide educative come opportunità di apprendimento. Innanzitutto, però, gli adulti devono mutare ogni loro opinione negativa sugli sbagli, per poter dare forma a quello che Rudolf Dreikurs chiamava il coraggio di essere imperfetti. Le tre R del Recupero dagli errori sono un ottimo modo per forgiare il coraggio di essere imperfetti.

Le tre R del Recupero dagli Errori
  1. Riconoscere –– «Caspita! Ho sbagliato.»

  2. Riconciliarsi –– «Chiedo scusa».

  3. Risolvere –– «Troviamo insieme una soluzione».


È molto più facile prendersi la responsabilità di un errore quando viene visto come un’opportunità di apprendimento piuttosto che come qualcosa di brutto. Se gli errori vengono visti come qualcosa di brutto la tendenza è di sentirsi inadeguati e scoraggiati e assumere atteggiamenti difensivi, evasivi, giudicanti o critici di noi stessi o degli altri. Al contrario, se gli sbagli vengono visti come un’occasione di apprendimento, riconoscerli sembrerà un’avventura eccitante. «Chissà cosa imparerò da questo errore?». Perdonare se stessi è un elemento importante della prima R del Recuperare.


Avete mai notato con quanta facilità i bambini perdonano quando siamo disposti a chiedere scusa? Avete mai chiesto scusa a un bambino? Se sì, come ha reagito? Pongo questa domanda in tutto il mondo durante le conferenze, e la risposta è universale. Quando gli adulti porgono scuse sincere, i bambini quasi sempre dicono «Non fa niente, mamma» (o papà, o maestro). I bambini possono arrabbiarsi e risentirsi per un comportamento offensivo (e gli adulti probabilmente se lo meritano) e subito perdonare l’adulto non appena questo dice «Mi dispiace».


Le prime due R del Recupero – riconoscere e riconciliare – creano un’atmosfera positiva per la terza R, pensare a una soluzione. Provare a pensare a una soluzione quando il clima è ostile è del tutto improduttivo.


Proprio come la maggior parte di adulti e bambini, anche quando so bene qualcosa, non sempre lo metto in pratica. In quanto esseri umani, è comune essere sopraffatti dalle emozioni e perdere il buonsenso (un vero e proprio ritorno al cervello rettiliano). È allora che, invece di agire con consapevolezza, reagiamo senza pensare. Una cosa che amo dei princìpi della Disciplina Positiva è che per quanti errori io faccia, per quanti pasticci crei con i miei sbagli, posso sempre tornare ai principi, imparare dai miei errori, sistemare i pasticci, e rendere le cose migliori di com’erano prima.


Siccome io faccio un sacco di errori, quello delle Tre R del Recupero è uno dei miei concetti preferiti. Cito sempre come esempio la volta che ho detto a mia figlia di otto anni: «Mary, sei una mocciosa viziata.» (Vi sembra una cosa gentile, ferma, dignitosa e rispettosa da dire?)


Mary, che aveva molta familiarità con le Tre R del Recupero, rispose: «Poi non venire a dirmi che ti dispiace».


Sull’onda della reazione dissi: «Non c’è pericolo, perché non mi dispiace affatto».

Mary era corsa in camera sbattendo la porta. Presto tornai al mio cervello razionale, mi resi conto di quello che avevo fatto e andai in camera sua a chiederle scusa. Era ancora arrabbiata e non era pronta a ricevere le mie scuse. Aveva la sua copia di una delle prime edizioni di La Disciplina Positiva ed era impegnata a sottolineare con un grosso pennarello nero. Sbirciai da sopra la sua spalla e vidi che aveva scarabocchiato «falsa» al margine.


Lasciai la stanza pensando: «Mio Dio, qualcosa mi dice che un giorno uscirà un nuovo libro in stile Mammina cara2». Sapevo di aver commesso un enorme errore.

Circa cinque minuti più tardi Mary venne da me, mi abbracciò timidamente e disse: «Scusa, mamma».


Risposi: «Tesoro, ti chiedo scusa anch’io. In effetti, quando ti ho detto che eri una marmocchia viziata, ero io ad esserlo. Ero arrabbiata perché avevi perso il controllo, ma poi l’ho perso anch’io. Mi dispiace molto».


Mary ribatté: «Non fa niente, mi stavo davvero comportando come una marmocchia viziata».


Dissi: «Be’, mi rendo conto che ti ho provocato».


Mary rispose: «Anch’io mi rendo conto di quello che ho fatto».


Ho visto questa scena moltissime volte. Quando gli adulti si prendono la responsabilità delle loro azioni in un conflitto (e ogni conflitto richiede almeno due persone), i bambini di solito sono disposti a seguire l’esempio e prendersi a loro volta la responsabilità. I bambini imparano a responsabilizzarsi quando ne hanno un esempio.


Qualche giorno dopo sentii Mary che diceva a un’amica al telefono: «Debbie, sei così stupida!» Mary si rese subito conto di quello che aveva fatto e disse: «Debbie, scusami. Se ti chiamo stupida vuol dire che la stupida sono io».


Mary ha fatto propri i princìpi del Recupero e ha imparato che gli errori non sono altro che meravigliose opportunità di apprendimento.

8. Assicuratevi che passi un messaggio d’amore

La signora Smith, una madre single, aveva chiesto aiuto per un problema con sua figlia Maria: aveva paura che potesse avvicinarsi alle droghe. Aveva trovato una confezione di birre sul fondo dell’armadio di Maria. Aveva affrontato la figlia tenendo la confezione di birre in mano e le aveva chiesto: «E questa cos’è?».


Il tono di voce della signora Smith faceva capire chiaramente che non era davvero interessata a una risposta. Era una domanda costruita apposta per incastrare e umiliare Maria, e aveva subito creato distanza e ostilità.


Maria aveva risposto sarcastica: «A me sembra una confezione di birre, mamma».


La tensione stava crescendo. La signora Smith aveva risposto: «Non fare la furbetta con me, signorina. Ora mi dai una spiegazione».


Maria aveva detto con un candore assoluto: «Mamma, non so di cosa tu stia parlando!».


La signora Smith era pronta a far scattare la trappola. «Ho trovato queste birre nel tuo armadio, signorina, e ti conviene darmi una spiegazione».


Maria dopo una rapida riflessione aveva risposto: «Oh, me ne ero completamente dimenticata. Le stavo nascondendo per un mio amico».


La signora Smith aveva ribattuto sarcastica: «Ah, certo! E ti aspetti che io ti creda?».


Maria aveva risposto con rabbia: «Non m’importa se ci credi o no», e si era chiusa in camera sbattendo la porta.


Volevo aiutare la signora Smith ad arrivare al messaggio di fondo, che scaturiva dall’amore e dalla preoccupazione materna, così le chiesi: «Perché si è arrabbiata quando ha trovato le birre?».


Immagino abbia pensato che fosse una domanda stupida perché mi rispose indignata: «Perché non voglio che si metta nei pasticci».


La domanda seguente era: «Perché non vuole che si metta nei pasticci?».


Credo che la signora Smith si fosse pentita di avermi chiamata, perché mi rispose molto irritata: «Perché non voglio che si rovini la vita!».


Siccome non era ancora arrivata al messaggio di fondo, continuai: «E perché non vuole che si rovini la vita?».


Finalmente comprese. «Perché le voglio bene!» esclamò.


Le posi con gentilezza l’ultima domanda. «Pensa che questo messaggio sia passato?».


La signora Smith era dispiaciuta perché si era resa conto che non era nemmeno andata vicino a trasmettere il suo messaggio d’amore a Maria.


La settimana seguente la signora Smith chiamò per raccontare in che modo aveva usato una combinazione delle Tre R per il Recupero e dei Quattro Passi per Conquistare la Collaborazione. La sera dopo, quando Maria era tornata a casa, l’aveva salutata sulla porta e le aveva chiesto con premura: «Maria, possiamo parlare?».


Maria aveva chiesto, sul piede di guerra: «Di cosa vuoi parlare?». (È importante notare che potrebbe volerci del tempo prima che i bambini ascoltino e si fidino del cambio d’atteggiamento da parte degli adulti).


La signora Smith lo capiva. Invece di reagire all’atteggiamento di sfida della figlia, si era messa nei suoi panni e aveva cercato di intuire come potesse sentirsi: «Immagino che quando ho iniziato a sgridarti per le birre ieri sera tu abbia pensato che non mi importava nulla di te».


Maria si era sentita così compresa che aveva iniziato a piangere. Con tono accusatorio e voce tremante aveva detto: «È vero. Mi sono sentita come se non fossi nient’altro che un fastidio per te, e ho pensato che solo ai miei amici importa di me».


La signora Smith aveva risposto: «Capisco che tu ti sia sentita così. Ti ho affrontata con le mie paure e la mia rabbia invece che con l’amore: come avresti potuto sentirti diversamente?».


L’atteggiamento di sfida di Maria si era notevolmente smorzato. L’atteggiamento amorevole della madre si stava finalmente facendo strada dentro di lei. La signora Smith se n’era accorta e aveva proseguito con il giusto atteggiamento: «Mi dispiace molto di aver perso le staffe con te ieri».


La distanza e l’ostilità si erano trasformate in vicinanza e fiducia. Maria aveva risposto: «Non fa niente, mamma. Le stavo veramente nascondendo per un amico».


La signora Smith le aveva confidato: «Maria, io ti voglio molto bene. A volte ho paura che tu faccia cose che possono farti del male. Ingigantisco le mie paure e mi dimentico di dirti che lo faccio solo perché ti voglio bene». La signora Smith aveva abbracciato la figlia dicendole: «Mi dai un’altra possibilità? Possiamo iniziare a parlare tra di noi e risolvere i problemi insieme con amore e premura l’una per l’altra?»


Maria aveva risposto: «Certo mamma. Mi sembra una buona idea».


La signora Smith ha raccontato che da quella sera avevano iniziato a fare delle riunioni di famiglia. Si sentiva grata perché erano riuscite a stabilire un’atmosfera di affetto e cooperazione che aveva cambiato radicalmente il loro rapporto.


Si vede bene come gli esempi all’interno di questo capitolo illustrano in che maniera un comportamento scorretto dell’adulto (per mancanza di conoscenze o competenze) contribuisce al comportamento scorretto del bambino. Quando gli adulti cambiano il loro comportamento, lo fanno anche i bambini. E comunque gli adulti sentono più gioia e vedono risultati più positivi quando si assicurano di trasmettere un messaggio d’amore.


Questi otto concetti adleriani di base sono le fondamenta per capire il comportamento e sviluppare gli atteggiamenti e i metodi necessari per attuare l’approccio della Disciplina Positiva. Essi sosterranno gli adulti nel far propri atteggiamenti e competenze per aiutare i bambini a sviluppare le capacità di vita e le caratteristiche di cui hanno bisogno per avventurarsi nel mondo.

Rivediamo

Strumenti di Disciplina Positiva
  1. Conquistate i bambini invece di usare il vostro potere per imporvi su di loro.

  2. Fornite ai bambini le occasioni per sviluppare le Sette Percezioni e Competenze Significative per aumentare la consapevolezza del loro valore.

  3. Smettete di “dire” e iniziate a “chiedere”, in modi che invitino il bambino a partecipare alla risoluzione dei problemi.

  4. Usate i Quattro Passi Per Conquistare la Collaborazione.

  5. Ricordate che il sentimento dietro alle parole o alle azioni è più importante di quello che dite o fate.

  6. Coinvolgete i bambini in un confronto sui compiti che è necessario svolgere e sull’attuazione di un piano per portarli a termine.

  7. Evitate di crescere i bambini nella bambagia, in modo che possano sviluppare la consapevolezza delle proprie capacità.

  8. Insegnate e mettete in pratica il concetto secondo cui gli errori sono una meravigliosa opportunità di apprendimento.

  9. Insegnate e mettete in pratica le Tre R del Recupero dagli Errori.

  10. Assicuratevi di trasmettere un messaggio d’amore.

Domande
  1. Qual è la differenza tra imporsi sul bambino e conquistare il bambino?

  2. Quali sono i Quattro Passi per Conquistare la Collaborazione? Pensate a una sfida comportamentale che state vivendo con un bambino. Come potreste applicare i Passi in quella situazione?

  3. Quali sono gli atteggiamenti importanti affinché l’approccio positivo sia efficace?

  4. Cosa significa “essere sociale”?

  5. Qual è l’obiettivo primario verso il quale sono orientati tutti i comportamenti?

  6. Perché i bambini spesso si comportano in modi che si rivelano controproducenti rispetto all’obiettivo primario che vogliono raggiungere?

  7. Cosa cercano di dirci i bambini che si comportano male con il loro comportamento scorretto?

  8. In che modo possiamo comportarci in modo diverso se ricordiamo il messaggio nascosto dietro al comportamento scorretto di un bambino?

  9. Cos’è la responsabilità sociale e perché è importante che i bambini la sviluppino?

  10. Cosa intende Adler con uguaglianza?

  11. Perché l’umiliazione non trova spazio nell’approccio positivo?

  12. Qual è lo scopo degli errori?

  13. Perché è importante avere il coraggio di essere imperfetti?

  14. Perché insegnare ai bambini che gli errori sono opportunità di apprendere è più utile che insegnare loro che sono qualcosa di cui vergognarsi?

  15. Quali sono le tre R del Recupero? Discutetele.

  16. Qual è il concetto chiave che apre tutte le porte? Raccontate un esempio di come qualcosa che avete fatto con un bambino avrebbe potuto andare diversamente se aveste iniziato con un messaggio d’amore.

La Disciplina Positiva
La Disciplina Positiva
Jane Nelsen
Crescere bambini responsabili, indipendenti e collaborativi, in famiglia e a scuola, con rispetto, fermezza e gentilezza.Un metodo efficace per crescere bambini autonomi, responsabili e collaborativi, senza il bisogno di ricorrere a premi e punizioni. La psicologa Jane Nelsen spiega come mettere in pratica la “Positive Discipline”: un metodo efficace per aiutare genitori e insegnanti a mantenersi fermi e gentili con i bambini, senza bisogno di ricorrere alle punizioni, e incoraggiando nello stesso tempo il bambino a sviluppare l’indipendenza, il senso di responsabilità, la collaborazione e la capacità di trovare soluzioni in autonomia.La Disciplina Positiva è stato tradotto in 19 paesi. Conosci l’autore Jane Nelsen, psicologa ed educatrice di fama mondiale, è autrice di numerosi libri su accudimento e Disciplina Positiva, rivolti a genitori e insegnanti.