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Primo passo: la mamma cerca di convincere Johnny che ha bisogno della pappa per rimanere in forze durante la giornata. Ricordate che cosa sarebbe successo mangiandola, secondo vostra madre? «Ti terrà bello caldo il pancino!». Vi siete mai chiesti cosa pensa un bambino di tre anni quando si sente dire che la pappa gli scalderà lo stomaco? Non ne è molto entusiasta.
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Secondo passo: la mamma cerca di migliorare il sapore della pappa. Prova tutti i tipi di miscugli: zucchero di canna, cannella, uvetta, miele, sciroppo d’acero, e anche gocce di cioccolato. Johnny ne assaggia un po’ ed esclama di nuovo: «Bleah! Mi fa schifo!».
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Terzo passo: la mamma cerca di insegnargli un po’ di gratitudine. «Ma Johnny, pensa a tutti i bambini africani che muoiono di fame perché non hanno pappa da mangiare». Tommy non è ancora convinto, e risponde: «Be’, mandala a loro».
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Quarto passo: la mamma ormai è esasperata e sente che la sua unica alternativa è quella di dargli una lezione per la sua disobbedienza. Lo sculaccia e gli dice che rimarrà a stomaco vuoto.
La mamma è soddisfatta del modo in cui ha gestito la situazione per circa trenta minuti, ma poi inizia a sentirsi in colpa. Cosa penserà la gente quando scoprirà che non è riuscita a far mangiare suo figlio? E se Johnny stesse davvero soffrendo per la fame?
Johnny rimane a giocare in giardino abbastanza a lungo da far montare i sensi di colpa nella madre. Entra allora in casa e dice: «Mamma, ho davvero tanta fame!». La mamma ora gli insegna la lezione più divertente di tutte, quella del «Te l’avevo detto». Non si accorge che Johnny sta fissando il vuoto, aspettando che lei finisca per poter tornare a fare ciò che stava facendo. La mamma è soddisfatta della sua filippica. Ha compiuto il suo dovere: gli ha dimostrato che aveva ragione lei. Gli dà quindi una galletta, e gli dice di tornare a giocare. Per compensare la perdita nutritiva di una mancata buona colazione, va in cucina e inizia a preparare fegato e broccoli. Indovinate come andrà il pranzo.
La scena successiva si svolge in una famiglia permissiva, dove la mamma sta addestrando un futuro anarchico. Quando questo Johnny entra in cucina, la mamma chiede: «Cosa vorresti per colazione, tesoro?».
Visto che Johnny si esercita da tre anni, è un vero e proprio “tesoro”, e procede a sottoporre la mamma all’allenamento di routine. Dapprima Johnny chiede pane e marmellata. La mamma deve fargli cinque fette, prima che ne esca una giusta. Poi Johnny decide che non vuole la marmellata, in realtà vuole la crema alla nocciola. La mamma ha ancora un po’ di pane, così lo accontenta. Nel frattempo Johnny sta guardando la televisione. In una pubblicità vede che gli atleti riescono a fare cose incredibili se mangiano i “Corn Flakes dei Campioni”. Esclama: «Voglio i corn flakes, mamma!» Dopo aver assaggiato i corn flakes, cambia idea e chiede i cereali croccanti. La mamma non li ha, ma corre al negozio a comprarli. Johnny non ha mai bisogno di far leva sui sensi di colpa nella madre: li ha già lei che la fanno correre ventiquattro ore al giorno.
Queste storie non sono esagerazioni; sono esempi di situazioni reali. Una madre mi ha confessato che suo figlio non mangiava nulla all’infuori delle patatine. Le ho chiesto dove se le procurasse. Ha esclamato: «Be’, gliele compro io, perché non mangia altro!». Il modo in cui molti bambini vengono cresciuti li trasforma in tiranni che si sentono importanti solo se riescono a manipolare gli altri perché soddisfino le loro richieste.
Eccoci ora in una casa dove si applica la Disciplina Positiva. Ci sono due differenze significative già prima della colazione. Innanzitutto, Johnny si veste e si rifà il letto prima ancora di andare in cucina. (Più avanti imparerete come ottenere questo comportamento.) La seconda differenza è che Johnny fa qualcosa per contribuire alla routine familiare, come apparecchiare la tavola, tostare il pane o sbattere le uova (sì, i bambini di tre anni sanno sbattere le uova, come vedrete quando parleremo delle faccende di casa).
Questa mattina è il turno dei cereali. La mamma dà a Johnny una scelta limitata: «Preferisci i corn flakes o il riso soffiato?» (la mamma non compra cereali ricoperti di zucchero).
Anche questo Johnny ha visto spot televisivi su ciò che mangiano i grandi atleti, così sceglie i Corn Flakes. Dopo un assaggio, cambia idea e dice: «Non li voglio questi!»
La mamma risponde: «Bene. Non possiamo far tornare croccanti i Corn Flakes. Va’ fuori a giocare, ci vediamo a pranzo». Notate che questa mamma ha saltato tutti i passi compiuti da quella autoritaria. Non ha cercato di convincerlo, né gli ha raccontato dei bambini che muoiono di fame, e neppure ha provato a rendere i cereali più buoni. Non ha dovuto nemmeno sculacciarlo. Gli ha semplicemente permesso di sperimentare le conseguenze della sua scelta.
Visto che questo comportamento della mamma è nuovo, Johnny cerca di fare leva sui suoi sensi di colpa. Due ore dopo, quando le dice che ha tanta fame, lei risponde gentilmente: «Ci credo!». La mamma evita la filippica del “te l’avevo detto”, e invece rassicura Johnny: «Sono sicura che puoi resistere fino a pranzo».
Sarebbe bello se la storia finisse qui con la comprensione e collaborazione di Johnny, ma non succede così in fretta. Johnny non è abituato a questo comportamento da parte della mamma. È frustrato perché non ha ottenuto quello che si aspettava e si mette a fare i capricci. A questo punto alla maggior parte delle madri verrebbe naturale pensare che questa cosa della Disciplina Positiva non funziona. La mamma di Johnny conosceva la spiegazione seguente, che illustra ciò che spesso accade quando cambiamo il nostro approccio. I bambini sono abituati a ricevere certe reazioni dagli adulti. Quando cambiamo le nostre reazioni, essi tenderanno a esasperare il loro comportamento (ossia peggiorarlo) nel tentativo di farci reagire come loro si aspettano. Questo è l’effetto “calci alla macchinetta”. Quando inseriamo le monetine e la bibita non esce dal distributore automatico, lo prendiamo a calci e spintoni per cercare di fargli fare quello che dovrebbe.
Il problema dell’approccio autoritario è che, quando viene punito, il comportamento scorretto si blocca immediatamente, ma presto ricomincia di nuovo… e di nuovo, e di nuovo.
Anche se il comportamento potrebbe peggiorare quando si applicano per la prima volta i concetti della Disciplina Positiva, noterete che, prima che il bambino si comporti male di nuovo, c’è un assestamento. Quando un bambino vede che le sue tattiche di manipolazione non funzionano, probabilmente le tenterà di nuovo, giusto per essere sicuro. Quando la Disciplina Positiva viene usata in modo coerente, il comportamento sconveniente diventa meno intenso, con periodi di assestamento più lunghi.
Quando accompagniamo la fermezza a dignità e gentilezza, i bambini imparano presto che la loro cattiva condotta non ottiene i risultati che si aspettano; sono quindi motivati a cambiare il comportamento, conservando intatta la loro autostima. Una volta compreso questo punto, superare i momenti di peggioramento temporaneo non è tanto difficile quanto la continua fatica delle lotte di potere provocate da un approccio eccessivamente severo.
Quando Johnny fa i capricci, la mamma può usare la tecnica del periodo di raffreddamento (illustrata più avanti) e andare in un’altra stanza finché entrambi non si sentono meglio. Fare i capricci senza un pubblico non è tanto divertente. Oppure, potrebbe provare l’approccio “Vorrei un abbraccio” (spiegato nel settimo capitolo), in modo che entrambi si sentano meglio. Poi, se il bambino è abbastanza grande da partecipare al problem solving, possono provare insieme a risolvere un problema. Per i bambini più piccoli spesso è sufficiente sentirsi meglio, o anche solo distrarsi, per cambiare condotta.
Questa storia illustra e fornisce molti esempi della differenza fra i tre approcci all’interazione adulto-bambino, e quanto la Disciplina Positiva ottenga più efficacemente risultati positivi a lungo termine. Tuttavia c’è ancora molto lavoro da fare per convincere alcuni adulti dei suoi benefici.
Molti rifiutano di rinunciare al controllo eccessivo, perché sono erroneamente convinti che l’unica alternativa sia il permissivismo, il quale è molto dannoso per bambini e adulti. I bambini educati in un ambiente permissivo crescono pensando che il mondo giri attorno a loro. Sono allenati a usare tutta la loro energia e intelligenza per manipolare e tormentare gli adulti affinché soddisfino ogni loro desiderio. Passano più tempo cercando di sfuggire alle loro responsabilità che a sviluppare la loro indipendenza e le loro competenze.