capitolo xi

Sonno e travaglio

Verso una riscoperta

Questo rapido excursus nella storia del ventesimo secolo ci offre la possibilità di esplorare in modo insolito la natura umana, ma non solo: ha anche delle implicazioni pratiche su ciò che riguarda la nascita. Ci offre infatti nuove motivazioni per limitare al massimo le interferenze sul processo del parto e nel momento del primo contatto madre-bambino. Ci offre nuove ragioni per migliorare la nostra comprensione dei fattori che possono rendere il parto più facile possibile. In altre parole, ci spinge a riscoprire i bisogni fondamentali della donna durante il travaglio. Si tratta di una vera e propria riscoperta, dal momento che in tutte le società si interferisce regolarmente con i processi fisiologici e che pertanto siamo privi di qualsiasi modello culturale.


Per riuscire a comprendere questi bisogni fondamentali, dobbiamo metterci nella prospettiva dei fisiologi e usare il loro linguaggio. Essi studiano ciò che è trans-culturale, e pertanto universale. Ci aiutano a tornare indietro alle nostre radici. Ci offrono una sorta di punto di riferimento dal quale non possiamo allontanarci troppo senza rischiare di incorrere in effetti collaterali incontrollabili.


Il primo passo da fare è quello di immaginare una donna durante il travaglio con gli occhi del moderno fisiologo. Ciò implica il focalizzare l’attenzione sulla parte più attiva del suo corpo, cioè la ghiandola che secerne tutti gli ormoni coinvolti nel parto. Questi hanno origine in strutture antiche e primitive del cervello, l’ipotalamo e la ghiandola pituitaria. Possiamo anche dire che, se guardiamo una donna in travaglio con gli occhi di un fisiologo moderno, visualizziamo la parte profonda e primitiva del suo cervello, molto impegnata nel rilascio di flussi ormonali.


Oggi sappiamo abbastanza da poter affermare che quando intervengono delle inibizioni – durante il processo del parto o ogni altro tipo di esperienza sessuale – queste hanno origine nel “cervello nuovo”, quella parte del cervello molto sviluppata negli esseri umani, che corrisponde al cervello preposto alle facoltà intellettive. Lo potremmo definire “nuova corteccia”, o, come viene comunemente chiamato, neocorteccia.


Se continuiamo ad osservare il travaglio con gli occhi di un fisiologo, diventa facile interpretare un fenomeno ben noto ad alcune madri e alle ostetriche con esperienza di parti non disturbati. Ci riferiamo al fatto che, quando una donna viene lasciata partorire indisturbata, senza alcun intervento medico, c’è un momento in cui tende ad estraniarsi dal mondo, come se “andasse su un altro pianeta”. Osa fare cose che non farebbe mai nella sua vita sociale quotidiana, come gridare o dire parolacce. Può mettersi nelle posizioni più impensate, ed emettere i rumori più imprevedibili. Ciò significa che sta riducendo il controllo da parte della sua neocorteccia. Questa riduzione dell’attività neocorticale è l’aspetto più importante della fisiologia del parto da un punto di vista pratico. È la chiave per comprendere che il bisogno principale della donna in travaglio è quello di essere protetta da ogni tipo di stimolazione della sua neocorteccia. Cosa significa ciò in pratica?

Un’analogia

Il modo migliore per riscoprire i bisogni fondamentali di una donna in travaglio è partire da un paragone. Sia l’entrare in travaglio che il prender sonno sono cambiamenti dello stato di coscienza. Entrambi comportano la riduzione dell’attività della neocorteccia. Tutti noi abbiamo ben chiare le condizioni che consentono al cervello dell’intelletto di mettersi a riposo, quando si tratta di addormentarsi, mentre tendiamo a dimenticarcene in occasione del parto; ecco perché ci serve questa analogia. Diciamo che l’addormentarsi è la nostra “fonte” e l’entrare in travaglio è il “bersaglio”. La fonte è affidabile, perché tutti noi abbiamo imparato dall’esperienza come proteggerci da ogni tipo di inutili stimolazioni della neocorteccia, quando vogliamo dormire, dal momento che ci addormentiamo almeno una volta ogni 24 ore.


È noto a tutti che è più facile addormentarsi in un luogo silenzioso. È particolarmente difficile invece quando qualcuno parla, specialmente se ci vengono rivolte delle domande. Quando la sera ci apprestiamo a prender sonno, non è certo di aiuto dover rispondere a domande come il nome da ragazza di nostra madre o il nostro nuovo numero di telefono. Sappiamo quanto una conversazione dell’ultimo minuto possa ritardare il momento dell’assopimento: il linguaggio, in particolare quello razionale, stimola l’attività della neocorteccia. Quando comunichiamo verbalmente, le parole che percepiamo vengono elaborate da strutture cerebrali specificamente umane. Questo punto viene più che mai ignorato nel campo dell’assistenza alla nascita. Nei moderni reparti maternità, le ostetriche o altri operatori riempiono le donne in travaglio di domande, perché devono compilare dei moduli. Devono seguire dei protocolli messi a punto da individui che non hanno compreso la fisiologia della nascita. Ad esempio, a donne che sono già “su un altro pianeta” viene richiesto di riferire il loro ultimo tasso di emoglobina nel sangue, o quando hanno mangiato l’ultima volta. Molti uomini non esitano a parlare alla loro partner durante le fasi profonde del travaglio. L’incomprensione dell’effetto del linguaggio in simili occasioni è molto diffusa.


Allo stesso modo, sappiamo che di solito è più facile addormentarsi in penombra piuttosto che in piena luce. Di notte, spegniamo la luce e abbiamo inventato scuri, persiane e tende per proteggere il nostro sonno. I professionisti che analizzano l’attività cerebrale con tecniche come l’elettroencefalografia, sanno bene come stimolare la corteccia dei loro pazienti: accendono la luce e chiedono loro di tenere gli occhi aperti. Tuttavia, nell’era dell’industrializzazione della nascita – che è anche l’era della luce elettrica – la maggior parte delle donne partorisce sotto luci intense. Se date un’occhiata ai testi di ostetricia o di ginecologia, non troverete neppure un capitolo su questo argomento: questo ci indica quanto grande sia la mancanza di comprensione della fisiologia del parto. Se si osserva una donna in travaglio dalla prospettiva di un fisiologo, è facile intuire che probabilmente l’intensità della luce non è ininfluente, o per lo meno che è un argomento che vale la pena prendere in seria considerazione. Vi sono certo ospedali in cui si acconsente di abbassare le luci quando una donna è in travaglio, ma più spesso lo si fa per accontentare una richiesta particolare, piuttosto che per adempiere ad una pratica inclusa nel protocollo ospedaliero allo scopo di rendere più facile il parto.


Sappiamo tutti molto bene come sia difficile addormentarsi se ci si sente osservati. La privacy quindi è un bisogno fondamentale. Provate a immaginare che uno scienziato vi riprenda con una telecamera, durante la notte, per studiare le posizioni che assumete mentre dormite; probabilmente quella notte non avreste un riposo sereno. Lo stesso sarebbe se dal tramonto all’alba vi venisse continuamente registrato il ritmo cardiaco. Alcuni studi sistematici confermano che il sentirsi osservati è un fattore di stimolo dell’attività neocorticale. Ce lo dice anche il buon senso: quando sappiamo che ci osservano, tendiamo a modificare il nostro comportamento, ci sentiamo diversi.


Queste considerazioni ci suggeriscono che c’è differenza fra un’ostetrica che sta di fronte alla donna in travaglio e una che si mantiene un po’ in disparte. Ci dicono anche che, in sala parto, andrebbe valutato con attenzione l’uso di strumenti potenzialmente percepibili dalla donna come varie modalità di osservarla, che si tratti di una macchina fotografica in mano al marito o di un monitor fetale elettronico usato dai medici.


Il bisogno di privacy durante il travaglio ci offre un’opportunità per tornare a far riferimento alla diffusa e radicata incomprensione che circonda la fisiologia della nascita. La tendenza a ignorare o negare il bisogno di intimità durante il travaglio è un fattore realmente culturale e non è limitata a certi particolari ambienti, medici o no. Se si dà un’occhiata alla moltitudine di libri sulla nascita rivolti al pubblico, notiamo che spesso le illustrazioni ci mostrano la donna in travaglio circondata da due-tre persone che la guardano, trasmettendo così un messaggio sbagliato. Molti ginecologi furono sorpresi dai risultati di una serie di ricerche sull’efficacia del monitoraggio elettronico continuo del battito cardiaco fetale: tutti gli studi hanno dimostrato che questo sistema ha come unico effetto statisticamente significativo l’incremento del tasso di parti cesarei, rispetto all’uso di un monitoraggio discontinuo, cioè praticato ad intervalli. Molti medici non avevano previsto risultati simili, benché sia ovvio che se una donna in travaglio sa che le proprie funzioni corporee sono sotto un monitoraggio continuo, ciò costituisca un palese stimolo per la sua neocorteccia. Questa stimolazione provoca tendenzialmente travagli più lunghi, più difficili e quindi più pericolosi, facendo aumentare il numero di cesarei d’emergenza. È interessante notare che il bisogno di privacy durante il travaglio non è esclusivo della specie umana, bensì tutti i mammiferi possiedono strategie specifiche per soddisfarlo. Con un po’ d’ironia, potremmo sottolineare che i mammiferi non-umani, la cui neocorteccia è molto meno sviluppata della nostra, sembrano sapere molto meglio di noi cosa fare per metterla a riposo.


È altresì noto come sia difficile addormentarci se ci sentiamo minacciati da pericoli di qualsiasi tipo. Quando ci sentiamo in pericolo, rilasciamo ormoni appartenenti alla famiglia delle adrenaline, la nostra neocorteccia viene stimolata e questo ci permette di mantenerci vigili e all’erta. Durante la notte ci svegliamo anche se aumenta il freddo, altra situazione associata ad un aumento dei livelli di adrenalina. La stessa cosa avviene per la donna durante il travaglio: ha bisogno di sentirsi al sicuro. I fisiologi possono aiutarci a riscoprire i bisogni fondamentali tipici di tali circostanze, ma il loro ruolo non è certo quello di offrirci ricette che ci aiutino a sentirci al sicuro; non ci resta quindi che richiamarci ad una strategia usata dalle donne di tutto il mondo: la tendenza a partorire vicino alla propria madre, o a qualcuno che può ricoprirne il ruolo, spesso un’altra madre o una nonna di riconosciuta esperienza nella comunità. Ecco come ha avuto origine la figura dell’ostetrica: inizialmente era una figura materna, e nostra madre è il prototipo della persona con cui ci sentiamo al sicuro, senza sentirci osservati nè giudicati. Non possiamo fare a meno di pensare ai bambini che, all’ora di andare a letto, hanno bisogno della presenza rassicurante della loro mamma.

L’analogia con il prender sonno ci aiuta a riscoprire il vero significato dell’ostetricia. In alcuni Paesi, in particolare in America Latina, la figura dell’ostetrica si è quasi estinta. Nel Nord America si assiste a un suo riapparire dopo un periodo di scomparsa. In altri Paesi le ostetriche sono ancora molte, ma l’industrializzazione della nascita ne ha fortemente alterato il ruolo tradizionale. C’è ovunque una radicata incomprensione della vera natura dell’ostetricia, pari solo a quella che riguarda la fisiologia della nascita. La necessità di riscoprire la vera ostetricia diviene ovvia se analizziamo il vocabolario fuorviante che viene usato di solito, particolarmente in America, parlando del personale adibito all’assistenza al parto. Chi possiede una chiara comprensione dei bisogni fondamentali della donna in travaglio non userebbe mai parole come coach e coaching1. Come possiamo allenare ad un processo involontario? “Supporto emotivo” probabilmente è il termine più dannoso, perché viene usato costantemente. Come una bambina che ha bisogno della presenza della mamma nel momento di andare a dormire, una donna durante il travaglio ha bisogno di sicurezza senza sentirsi osservata. A nessuno verrebbe in mente di dire che alla bambina serve “una persona di supporto”. La parola “supporto” suggerisce un ruolo attivo da parte di chi assiste al parto. Sono stato testimone di una conversazione via mail fra alcune doule canadesi (doula è il termine usato per indicare una figura femminile di assistente al parto che non è formalmente ostetrica) e alcune ostetriche. “Il suo compagno non offre molto sostegno e non ha molti familiari vicino. Ci sarà l’ostetrica principale, la secondaria e un’apprendista. Mi sono sentita lusingata che l’ostetrica le abbia consigliato me come doula, ma mi rallegra ancor più il fatto che questa ostetrica è attenta ai bisogni della madre, cerca di aiutarla a soddisfarli e a sentirsi adeguatamente assistita. Questa madre potrà contare su un buon sostegno durante il travaglio, non solo da una persona o due, ma da molte…”. Dubito che questa donna, con tutto questo “supporto”, abbia avuto un parto facile.
La collettiva mancanza di comprensione del processo del parto è contagiosa, e ha contaminato molti diversi ambienti specialistici. Ad esempio, i teorici che cercano di interpretare le difficoltà del parto nella nostra specie prendono in considerazione solo i problemi meccanici relativi alle dimensioni e alla forma della pelvi materna. Sembrano del tutto incapaci di occuparsi di quanto accade al di sopra della cintola, non pensano mai al flusso di ormoni che deve essere rilasciato dal cervello primitivo, nè fanno riferimento alcuno alle potenti inibizioni che possono originarsi nella neocorteccia. Oggi questa ignoranza viene condivisa persino da chi assiste al parto dei mammiferi di altre specie. Sono numerose le storie di parti catastrofici di animali in via di estinzione all’interno degli zoo, con giornalisti e fotografi che venivano fatti entrare senza alcuna precauzione. In uno zoo degli Stati Uniti, un’elefantessa fu sottoposta ad un taglio cesareo in condizioni drammatiche, dopo che il suo travaglio era stato osservato da diverse persone (fra cui il domatore, che rivestiva il ruolo di “persona di supporto”).

I limiti di un’analogia

L’analogia con il sonno è di grande aiuto per esprimere in modo semplice e conciso ciò che è necessario sapere per non disturbare un travaglio di parto: la donna va protetta dai discorsi inutili, riparata dalla luce troppo intensa, non deve sentirsi osservata, deve sentirsi al sicuro e la temperatura deve essere sufficientemente calda.


Dobbiamo abbandonare questa analogia quando arriviamo al momento del “riflesso di eiezione del feto”, cioè alle ultime due o tre incontenibili contrazioni prima della nascita del bambino. Ancora una volta partiremo dal punto di vista della fisiologia. Questo riflesso viene inibito nel caso in cui qualcuno assuma il ruolo di “guida”, “aiutante”, “persona di supporto” o “osservatore”. In questa fase, ci serve di più sottolineare le similitudini con il processo dell’orgasmo. Ho udito almeno una dozzina di donne usare spontaneamente il termine “orgasmo” alludendo alla nascita del loro bambino: il flusso di ormoni è infatti paragonabile. Anche durante la cosiddetta terza fase, che va dalla nascita del bambino all’espulsione della placenta, dobbiamo lasciare l’analogia. Questa fase di interazione fra madre e neonato è stata profondamente disturbata in varie società umane. Tuttavia si tratta di una fase critica per la sopravvivenza materna, dal momento che eventuali difficoltà nel distacco e nell’espulsione della placenta possono provocare pericolose emorragie. Si tratta poi di un momento cruciale per l’attaccamento madre-bambino. Dal punto di vista ormonale, questa fase è caratterizzata dalla capacità materna di rilasciare all’improvviso alti picchi di ossitocina, l’ormone necessario alla contrazione uterina e anche l’ormone tipico dell’amore. Se una donna ha perdite ematiche importanti in seguito a problemi durante il secondamento2, è perché non ha raggiunto al momento giusto un picco di ossitocina sufficientemente alto. Le emorragie sono la conseguenza di un ambiente circostante inappropriato. Ecco perché è fondamentale chiarire quali sono le condizioni necessarie ad un efficace rilascio di ossitocina.

La prima condizione per un’espulsione della placenta senza complicazioni è che l’ambiente sia sufficientemente caldo. Dobbiamo infatti ricordare che l’adrenalina – un ormone che viene rilasciato quando si ha freddo – è un antagonista dell’ossitocina. Raramente dopo il parto le donne si lamentano per il caldo. Se tremano, è perché non è abbastanza caldo. Quando le donne in gravidanza mi chiedono cosa devono preparare per il parto in casa, raccomando soltanto un piccolo radiatore portatile, da poter usare ovunque e in qualunque momento. Può anche servire a scaldare asciugamani e coperte da avvolgere addosso a mamma e neonato.


La seconda condizione è che la madre non venga assolutamente distratta, e non abbia niente altro da fare se non guardare il bambino negli occhi, assaporando il contatto con la sua pelle. Qui viene il difficile, perché di solito, subito dopo la nascita del bambino, tutt’intorno ferve un irrazionale bisogno di attività. Così è normale che la mamma venga distratta da qualcuno che le parla, o che la guarda, o che accende la luce, o ancora da una telefonata inopportuna, oppure da qualcuno che si fa avanti per tagliare il cordone ombelicale, ecc… Una delle ragioni per cui è pericoloso tagliare il cordone prima dell’espulsione della placenta è proprio il fatto che ciò rappresenta una distrazione, e inoltre interferisce con l’interazione madrebambino.


La non conoscenza dei fattori che assicurano una facile espulsione della placenta provoca ogni anno la morte per emorragia di migliaia di donne, specialmente nei Paesi in via di sviluppo. Motivi analoghi giustificano la pratica routinaria di iniettare alle donne, subito dopo il parto, un farmaco che sostituisca l’ossitocina naturale: è solo un modo per compensare gli effetti di un ambiente inadeguato, esso stesso conseguenza del fatto che non c’è interesse nei confronti della fisiologia del parto. In termini di civilizzazione, iniettare sistematicamente un sostituto dell’ormone dell’amore in un momento così critico, rappresenta uno degli aspetti più pericolosi dell’industrializzazione della nascita.

L'Agricoltore e il Ginecologo
L'Agricoltore e il Ginecologo
Michel Odent
L’industrializzazione della nascita.Uno scambio di idee che analizza le molteplici similitudini fra l’industrializzazione dell’agricoltura e quella del parto. Sembra il titolo di una favola moderna: durante uno scambio di idee, l’agricoltore e il ginecologo comprendono fino a che punto entrambi abbiano manipolato le leggi della natura e analizzano le impressionanti similitudini fra l’industrializzazione dell’agricoltura e quella del parto, ambedue sviluppatesi nel corso del ventesimo secolo.L’Agricoltore e il Ginecologo di Michel Odent è una pietra miliare sull’industrializzazione della nascita. Conosci l’autore Michel Odent, medico ostetrico celeberrimo, noto soprattutto per aver introdotto il parto in acqua e le sale parto simili a un ambiente domestico, ha al suo attivo una cinquantina di studi scientifici e oltre dieci libri pubblicati  e tradotti in più di venti lingue. Da molti anni gestisce a Londra il Primal Health Centre, studiando gli aspetti relativi alla salute del bambino dalla gestazione al primo anno di vita.Di recente ha creato un nuovo sito internet - www.wombecology.com - dedicato all’ecologia della vita intrauterina.