capitolo viii

Quali disastri ci attendono?

Come viaggiatore, confido in semplici regole personali. Se devo soggiornare in una città, desidero sapere il grado di sicurezza che mi offre: posso camminare per le strade dopo il tramonto? Siccome è difficile avere accesso a statistiche affidabili sulla criminalità, prendo in considerazione le statistiche riguardanti la nascita. La mia regola personale è che esiste una correlazione fra i tassi di criminalità e i tassi di interventi ostetrici. Questo significa, ad esempio, che sarei estremamante cauto in città come San Paolo, Città del Messico, Roma o Atene, dove i tassi di tagli cesarei sono alle stelle. Viceversa mi sentirei più rilassato nelle vie di Tokio, Stoccolma o Amsterdam, dove i tassi di parti operativi sono relativamente bassi. Città come Londra, Parigi, Francoforte e Sidney vivono una situazione intermedia.


Questo approccio dettato dal buon senso è sul punto di ottenere il supporto di correlazioni stabilite in modo scientifico. Sarebbe il primo passo, prima di poter stabilire una possibile relazione di causa-effetto. Se i mass-media non ignoreranno questi dati, l’effetto sarà quello di una spettacolare presa di coscienza collettiva. Sto soltanto anticipando uno dei possibili scenari. In realtà, nessuno può prevedere quale sarà l’evento che innescherà il “momento eureka” per quel che riguarda la nascita industrializzata.

Altre analogie

Finora i disastri sono stati gli elementi più efficaci nel provocare dei risvegli di coscienza. Gli esseri umani nel ventesimo secolo hanno sviluppato molti sistemi nuovi e potenti per giocare agli apprendisti stregoni e poi accorgersi degli inconvenienti della loro incapacità di pensare a lungo termine. Ogni giorno tonnellate di anidride carbonica e altri gas serra vengono immessi nell’atmosfera, come risultato dell’uso di combustibili fossili. Già all’inizio degli anni ’70 mi erano familiari i punti di vista comunemente espressi nelle pubblicazioni ecologiste. Ad autori come Murray Bookchin, era già chiaro che in un futuro prossimo l’Umanità avrebbe dovuto cambiare radicalmente direzione, scegliendo energie rinnovabili come quelle eolica e solare. Il buon senso suggeriva che una continua alterazione dell’atmosfera avrebbe provocato cambiamenti climatici incontrollabili. Da allora, non si contano gli avvertimenti provenienti da autorevoli équipe di scienziati. Nondimeno, per assistere alle prime grosse reazioni popolari, è stato necessario attendere fino all’inizio del nuovo millennio, cioè fino al momento in cui le catastrofi climatiche sono diventate ovviamente più frequenti. Stiamo entrando in una fase della storia dell’umanità in cui i più potenti leaders politici sono sul punto di accorgersi che la salute del pianeta deve prevalere su tutte le altre considerazioni.

Un utile strumento di previsione

Nel contesto scientifico attuale, siamo nella posizione di anticipare la natura delle catastrofi che renderanno palesi i pericoli della nascita industrializzata. Ognuno può accedere facilmente alla nostra banca dati, la Primal Health Research data bank (o banca dati di Ricerca sulla Salute Primale, www.birthworks.org/primalhealth). Qui sono contenuti centinaia di rimandi e di abstracts riferiti a studi pubblicati su prestigiose riviste medico-scientifiche. Tutti parlano delle conseguenze a lungo termine di ciò che accade durante il “periodo primale”, cioè quel periodo che comprende la fase della vita fetale, i momenti che circondano la nascita e il primo anno di vita. Non è facile riuscire a scovare questi studi nella moltitudine di pubblicazioni specializzate perché, secondo gli schemi dei sistemi di classificazione attuali, non vengono messi in correlazione tra di loro. Questo è il motivo principale per cui li abbiamo raccolti in una banca dati.


Uno sguardo complessivo alla nostra raccolta rende subito evidente che, in ogni campo della medicina, esistono studi che hanno riscontrato correlazioni fra una malattia dell’età adulta e ciò che è accaduto durante la vita fetale. Grazie a molti studi, oggi è possibile concludere che la nostra salute viene in gran parte costruita nel grembo materno. Ma, poiché l’impatto più impressionante ed invasivo dell’industrializzazione avviene esattamente il giorno in cui il bambino viene al mondo, dobbiamo prima di tutto puntare la nostra attenzione sugli studi che stabiliscono collegamenti con la nascita stessa.

Il giorno della nascita

È facile trovare questi studi ricorrendo a parole chiave come “complicazioni del parto”, “rianimazione”, “analgesia ginecologico-ostetrica”, “medicazioni ginecologico-ostetriche”, “travaglio”, “induzione del travaglio”, “stress fetale durante il travaglio”, “parto cesareo”, “asfissia”, “forcipe”, “ventosa”, “cefaloematoma”1 ecc… Digitando tali parole chiave è possibile scoprire un certo numero di condizioni che sembrano correlate al periodo che circonda la nascita. Diventa subito chiaro che studiare le conseguenze a lungo termine del modo in cui si nasce significa entrare nel campo della socialità, dell’aggressività o, in altri termini, della capacità di amare. Più precisamente, risulta che quando i ricercatori esplorano il passato di persone che manifestano qualche forma di “alterazione della capacità di amare” – verso sé stessi o verso gli altri – si scontrano sempre con fattori di rischio nel periodo della nascita. “Alterazione della capacità di amare” è una espressione molto comoda per sottolineare il legame che c’è fra tutte queste condizioni. Inoltre, quando i ricercatori riscontrano qualche fattore di rischio nel periodo intorno alla nascita, si tratta sempre di un tema molto importante e specifico della nostra epoca.

Il tema della criminalità giovanile è sicuramente d’attualità. Possiamo considerarlo come una “alterazione della capacità di amare gli altri”. Non sorprende affatto che, secondo l’importante studio di Adrian Raine, che ha coinvolto più di 4.000 soggetti di sesso maschile nati nello stesso ospedale di Copenaghen, le complicazioni durante il parto sono da includere tra i fattori di rischio per diventare un violento criminale all’età di 18 anni.


L’“alterazione della capacità di amare sé stessi” può esprimersi in diversi modi. Naturalmente la forma più vistosa di comportamento auto-distruttivo è il suicidio, e il suicidio fra gli adolescenti è di particolare attualità. È attuale perché è un fenomeno relativamente recente, sconosciuto in altre culture. Oggi, in tutti i Paesi industrializzati, è una delle principali cause di morte fra gli adolescenti. In Francia, è la seconda causa di morte fra i 15 e i 24 anni, dopo gli incidenti stradali. Secondo l’ufficio nazionale di statistica australiano, fra i soggetti di sesso maschile di età compresa dra i 15 e i 24 anni, i tassi di suicidi sono passati da 8,7 per 100.000 nel 1964 a 30,9 per 100.000 nel 1997. Secondo un enorme studio pubblicato contemporaneamente su “Lancet” dal Centro di Studi sui Suicidi di Pechino e dalla Scuola di Salute Pubblica di Harvard, oggi il suicidio in Cina è la principale causa di morte nella fascia di età fra i 15 e i 34 anni.


Da tutti questi dati potremmo dedurre che il rischio di compiere suicidio dipende dalla fase della storia della ginecologia ostetrica in cui i giovani sono nati. È indicativo il fatto che l’unico studio sul suicidio in adolescenza disponibile nella nostra banca dati abbia individuato dei fattori di rischio proprio in ciò che accadde il giorno della nascita. L’aver subìto una rianimazione dopo il parto è risultato uno dei fattori statisticamente significativi. Materiale su cui riflettere ci viene offerto anche dai risultati di una serie di studi di Bertil Jacobson, che in Svezia si è interessato ai metodi usati per compiere il suicidio. Sembra che coloro che hanno avuto difficoltà di tipo meccanico durante la nascita tendano a ricorrere a mezzi meccanici (saltare nel vuoto, gettarsi sotto un treno, spararsi…). Risulterebbero invece esistere strette correlazioni fra i suicidi per asfissia e il fatto di aver vissuto uno stato di asfissia durante la nascita.


Ci sono forme più sottili di comportamento autodistruttivo, come la tossicomania, che sono anch’esse di grande attualità. Secondo una serie di studi condotti in Svezia e negli Stati Uniti, i rischi di diventare tossicomane sono maggiori fra coloro la cui madre ha fatto ricorso a certi antidolorifici, come gli oppiacei, durante il parto. Quanto all’anoressia nervosa, può anch’essa essere considerata una alterazione della capacità di amare sé stessi. È particolarmente comune nella nostra società. Uno studio vastissimo, che ha coinvolto l’intera popolazione femminile svedese, ha rivelato l’importanza dei fattori di rischio proprio al momento della nascita. Il fattore di rischio più significativo dal punto di vista statistico è risultato il fatto di essere nati con un cefaloematoma, cioè un coagulo di sangue all’interno di una delle ossa del cranio: di norma è indice di una nascita difficile dal punto di vista meccanico.


Fra le alterazioni della capacità di amare sé stessi, possiamo annoverare anche l’autismo. I bambini e gli adulti autistici non socializzano. Da adolescenti, non flirtano. Da adulti, non hanno bambini. Il mio interesse per l’autismo è iniziato nel 1982, quando incontrai Niko Timbergen, che condivise il premio Nobel con Konrad Lorenz e Karl Von Frisch, gli altri fondatori dell’etologia. Abituato all’osservazione del comportamento animale, studiò in particolare il comportamento non-verbale dei bambini autistici. Come “etologo sul campo”, studiò i bambini nel loro ambiente domestico. Non soltanto potè fornire delle descrizioni dettagliate delle sue osservazioni, ma nello stesso tempo elencò una serie di fattori che predisponevano all’autismo o che ne amplificavano i sintomi.


Scoprì che alcuni di questi fattori si manifestavano nel periodo che circonda la nascita: un parto con forcipe utilizzato in maniera forte, un parto sotto anestesia, la rianimazione dopo il parto e l’induzione del travaglio. Quando lo incontrai, stava esplorando i possibili legami fra la difficoltà degli autistici nello stabilire un contatto visivo diretto, e il disturbo quasi sistematico del primo scambio di sguardi fra mamma e bambino subito dopo il parto. Il lavoro di Timbergen (e di sua moglie) rappresenta il primo tentativo di esplorare l’autismo da una prospettiva di ricerca di “salute primale”.


È probabilmente grazie al mio incontro con Niko Timbergen che lessi con particolare attenzione, nel 1991, lo studio di Ryoko Hattori, psichiatra di Kumamoto, in Giappone. La signora Hattori valutò i rischi di autismo in funzione del luogo di nascita. Dimostrò che i bambini nati in un certo ospedale avevano maggiori rischi. In questo particolare ospedale la routine consisteva nell’indurre il parto una settimana prima della data del termine e di somministrare, durante il travaglio, un complesso cocktail di farmaci.

Prima della nascita

La nascita industrializzata implica anche un certo stile di cure prenatali, costantemente focalizzate sui potenziali problemi. A tutte le donne vengono offerti innumerevoli esami lungo tutto l’arco della gestazione. Semplici reazioni fisiologiche di adattamento alla gravidanza vengono presentate come malattie dai termini bizzarri. Ad esempio, una transitoria modifica del metabolismo dei carboidrati prende il nome di “diabete gestazionale”. Un aumento del volume del sangue, indice di una buona attività placentare, viene erroneamente presentato come “anemia” perché il sangue è più diluito del solito e quindi la concentrazione di sostanze come l’emoglobina si abbassa. È ovvio che ripetuti controlli prenatali spesso abbiano notevoli effetti negativi sullo stato emotivo della donna, istillando in lei i semi del dubbio. È quello che chiamo “effetto nocebo”. Ecco perché, nell’esplorare la nostra banca dati, dobbiamo prendere in considerazione anche le conseguenze a lungo termine delle alterazioni dello stato emotivo della madre durante la gravidanza.


Diversi di questi studi suggeriscono che è anche nel campo della socialità, dell’aggressività o – per dirla in altre parole – della capacità di amare, che gli stati emotivi della donna in attesa possono avere effetti a lungo termine. Il più vecchio di questi studi viene dalla Finlandia. Due psicologi identificarono 167 bambini orfani di padre prima della nascita. Identificarono anche 168 bambini che persero il padre nel primo anno di vita. Seguirono tutti questi bambini per 35 anni, attraverso i referti medici: tutti erano cresciuti senza padre, ma soltanto coloro che erano divenuti orfani durante la vita fetale erano più a rischio di alcolismo, criminalità e malattie mentali.


Gli studi sui bambini frutto di gravidanze indesiderate portarono a conclusioni simili. Alla fine degli anni ’50 una équipe di ricercatori svedesi di Goteborg intraprese uno studio socio-psichiatrico su un gruppo di bambini nati dopo che le madri avevano fatto richiesta di abortire, richiesta che era stata loro negata. 240 soggetti furono seguiti inizialmente fino a 21 anni, poi fino a 35 anni, in parallelo ad un gruppo di controllo. La principale conclusione fu che il grado di socialità era inferiore nel gruppo alle cui madri era stata rifiutata la possibilità di abortire. Le differenze erano ancora evidenti all’età di 35 anni.


Uno studio di Praga si basa su un gruppo di 220 soggetti le cui madri, fra il 1961 e il 1963, non avevano ricevuto il permesso di abortire nè in prima istanza nè in appello. I risultati vennero pubblicati in quattro serie. All’età di 30 anni, 190 femmine furono paragonate ad un gruppo di controllo. Come in Svezia, il grado di socialità era inferiore nel gruppo dello studio. Nel 1966 uno studio finlandese, diverso negli obiettivi, nei protocolli e nelle dimensioni, prese in esame 11.000 donne in attesa. Durante il sesto-settimo mese, fu loro chiesto se la gravidanza fosse stata voluta, se fosse inaspettata ma accolta volentieri, oppure non desiderata affatto. Il rischio di schizofrenia era significativamente maggiore fra i figli non desiderati affatto, in paragone con gli altri due gruppi.


Naturalmente, le alterazioni degli stati emotivi indotte dai controlli prenatali dell’era industriale non sono certo della stessa natura e dello stesso ordine di grandezza di quelli citati nella nostra banca dati. Potremmo comunque concludere che è proprio nei campi del comportamento e della socialità che dovremmo aspettarci delle conseguenze a lungo termine. Inoltre il buon senso dovrebbe suggerire che è arbitrario distinguere correlazioni fra ciò che è accaduto quando la madre era in attesa e ciò che è accaduto al momento del parto. Ad esempio, quando un neonato è reso più fragile prima della nascita attraverso gli ormoni dello stress secreti dalla madre, è probabile che durante il parto aumentino i rischi di sofferenza fetale. Anche se soltanto le complicazioni al momento del parto possono venire annotate, questo non significa però che la catena di eventi abbia avuto inizio proprio quel giorno.


Ad ogni modo, quando arriverà il “momento eureka”, i fattori che lo scateneranno faranno probabilmente parte del campo del comportamento, della socialità, dell’aggressività… insomma, della capacità di amare.

Congetture

Mentre sembra facile prevedere da quale direzione giungeranno gli eventi che potrebbero indurre una nuova presa di coscienza, il momento in cui si verificheranno e la loro esatta natura sono imprevedibili. Ci sono già state delle occasioni perdute. Ad esempio, dopo la pubblicazione degli studi che mettono in relazione la tossicodipendenza all’uso di farmaci – in particolare morfina – da parte della madre durante il travaglio, si sarebbe potuto immaginare che un giornalista influente avrebbe preso questi dati e dichiarato: “Ah Ah! Ora comprendiamo perché la generazione di americani nati all’epoca del Twilight sleep abbia avuto così tanto bisogno di droghe”. Ricordiamo che il twilight sleep arrivò alla sua massima diffusione negli Stati Uniti verso la metà del secolo, e che implicava, fra l’altro, l’iniezione di una dose di morfina durante il travaglio. La cultura della droga ha avuto il suo apice negli anni ’70.


C’è stato un altro recente esempio di occasione perduta. In Francia le forze di polizia hanno organizzato delle manifestazioni imponenti perché non riuscivano più a far fronte all’eccezionale aumento di criminalità. Il tasso globale di criminalità è cresciuto in Francia del 7,69% fra il 2001 e il 2002, mentre il numero di crimini violenti è aumentato dell’8,04%. Tutti i partiti politici francesi concordavano che bisognava urgentemente incrementare le forze di polizia. Immaginiamo che un giornalista influente abbia approfittato dell’occasione per comparare il numero di poliziotti nei diversi stati, in relazione a come vengono al mondo i bambini.


Questo lo avrebbe portato come prima cosa a consultare le statistiche di almeno altri due Paesi simili dell’Europa Occidentale: Italia e Olanda. L’Olanda è in una situazione particolare, perché lì l’80% delle ostetriche lavorano in modo indipendente, e dunque sono relativamente influenti, mentre il numero di ginecologi è basso, e si tratta per lo più di professionisti con molta pratica, dei veri esperti in situazioni anomale e patologiche. Le statistiche olandesi sono uniche, con circa il 30% di parti domiciliari e un basso tasso di parti operativi. L’Italia, d’altra parte, rappresenta anch’essa una situazione particolare, con il maggior numero di ginecologi e uno dei più bassi numeri di ostetriche in Europa in rapporto al numero di abitanti, e il tasso più alto di parti operativi. La Francia è in una situazione intermedia per quanto riguarda il numero di ginecologi e il tasso di parti operativi. Ci sono molte più ostetriche rispetto all’Italia, ma queste sono molto meno influenti delle colleghe olandesi. Una tipica ostetrica francese è solo un membro di una sofisticata equipe medica, all’interno di un grande reparto di ginecologia convenzionale. Il tasso di interventi chirurgici in Francia è molto più elevato che in Olanda, ma più basso che in Italia.


Simili indagini ispirerebbero domande fruttuose. Come si spiega che in Olanda, un Paese di 16 milioni di persone, sia possibile gestire la situazione con un totale di 40.000 dipendenti nella Polizia, fra maschi e femmine (2,5 per 1.000 abitanti)? Contemporaneamente, in Francia, non bastano 222.000 fra poliziotti e gendarmi per una popolazione di 61 milioni di abitanti (3,6 per 1.000). I contrasti diventano ancora evidenti se compariamo l’Italia e l’Olanda, in particolare se andiamo a contare i tassi di crimini annui (41 per 1.000 in Italia contro 15 per 1.000 in Olanda).


Sono tentato di includere, fra le occasioni mancate, l’assenza di forti rea–zioni in seguito alla recente pubblicazione delle statistiche concernenti i tassi di suicidi in Cina. Il fatto che almeno 250.000 Cinesi – soprattutto giovani – muoiano suicidi ogni anno meriterebbe per lo meno una valanga di tentativi di spiegazione. Gli autori del rapporto presentato su “Lancet” disponevano di dati sufficienti per escludere interpretazioni legate a politiche familiari del tipo “un figlio per ogni famiglia”. Hanno anche precisato che l’aumento dei suicidi non è correlato a un incremento parallelo delle malattie mentali in genere. Avendo studiato le condizioni di nascita in Cina nel corso delle mie visite del 1977 e del 2002, sono convinto che meriterebbero di essere prese in seria considerazione possibili correlazioni con l’ipermedicalizzazione del parto. Già nel corso degli anni ’70, l’ipermedicalizzazione aveva raggiunto anche le zone rurali. Attualmente, nei numerosi ospedali della Cina, il disturbare sistematicamente il processo fisiologico del parto va di pari passo con un tasso di cesarei dell’ordine del 40%.


Oggi non possiamo che provare a indovinare quali saranno le prossime occasioni.


Fra gli scenari possibili, la mia prima congettura è che all’improvviso potrebbero venire pubblicate in tutto il mondo delle statistiche allarmanti sull’incidenza di uno dei tanti aspetti della “alterazione della capacità di amare”. Alcune di queste non sono mai state studiate sotto una prospettiva di ricerca di salute primale, e non compaiono nella nostra banca dati. Proprio nel momento in cui le speculazioni si susseguiranno, su una prestigiosa rivista medica o scientifica verrà pubblicato un importante studio ben progettato, che dimostrerà chiaramente le correlazioni fra questa particolare condizione attuale e uno dei tipici aspetti dell’industrializzazione della nascita.


Ci sono delle difficoltà notevoli nel progettare, portare avanti e pubblicare questo tipo di ricerche. La principale è che gli studi in cerca di correlazioni fra una condizione dell’età adulta e le pratiche ostetriche sono al limite della correttezza. Questa è la conclusione delle mie conversazioni con ricercatori come Niko Timbergen e Rioko Hattori, che hanno studiato l’autismo, Bertil Jacobson, che ha studiato i comportamenti autodistruttivi in generale e la tossicodipendenza in particolare, Lee Salk, che ha studiato il suicidio negli adolescenti, e Adrian Raine, che ha studiato la criminalità giovanile. Ognuno di loro ha dovuto superare innumerevoli ostacoli burocratici, fra cui dei blocchi a livello dei comitati etici. Ho recentemente coniato l’espressione “epidemiologia cul-de-sac” per indicare quegli studi che non vengono ripetuti, neppure dai ricercatori originali. Si tratta spesso di ricerche su temi di grande attualità. Malgrado la loro pubblicazione su giornali medici e scientifici di grande autorità, i risultati sono completamente ignorati sia dalla comunità medica che dai mass-media. Ho scelto questa espressione in contrapposizione al termine “epidemiologia circolare”, utilizzato per condannare la diffusa tendenza a ripetere sempre gli stessi studi, anche quando ormai non ci sono più dubbi sui risultati. Sono giunto alla conclusione che quando uno studio è politicamente corretto conduce all’epidemiologia circolare, mentre quando non lo è conduce all’epidemiologia cul-de-sac. L’epidemiologia cul-de-sac potrebbe rappresentare una spiegazione del fatto che la presa di coscienza che stiamo aspettando è stata fino ad oggi pericolosamente ritardata. Gli studi decisivi per il futuro dell’umanità non sono politicamente corretti; come usciremo da questo circolo vizioso? Dobbiamo proprio aspettare l’avvento di qualche catastrofe? Non sarebbe meglio ammettere che le catastrofi già ci sono, ma che non siamo capaci di interpretarle? Le nostre previsioni e congetture sono per lo più basate su una rassegna della nostra banca dati. Altre discipline scientifiche in pieno sviluppo partecipano anch’esse alla rivoluzione scientifica che chiamo “La Scientificazione dell’Amore”.


Cosa possiamo imparare da esse?

L'Agricoltore e il Ginecologo
L'Agricoltore e il Ginecologo
Michel Odent
L’industrializzazione della nascita.Uno scambio di idee che analizza le molteplici similitudini fra l’industrializzazione dell’agricoltura e quella del parto. Sembra il titolo di una favola moderna: durante uno scambio di idee, l’agricoltore e il ginecologo comprendono fino a che punto entrambi abbiano manipolato le leggi della natura e analizzano le impressionanti similitudini fra l’industrializzazione dell’agricoltura e quella del parto, ambedue sviluppatesi nel corso del ventesimo secolo.L’Agricoltore e il Ginecologo di Michel Odent è una pietra miliare sull’industrializzazione della nascita. Conosci l’autore Michel Odent, medico ostetrico celeberrimo, noto soprattutto per aver introdotto il parto in acqua e le sale parto simili a un ambiente domestico, ha al suo attivo una cinquantina di studi scientifici e oltre dieci libri pubblicati  e tradotti in più di venti lingue. Da molti anni gestisce a Londra il Primal Health Centre, studiando gli aspetti relativi alla salute del bambino dalla gestazione al primo anno di vita.Di recente ha creato un nuovo sito internet - www.wombecology.com - dedicato all’ecologia della vita intrauterina.