capitolo xvi

Avere un bambino prima del 2036

Nessuno può prevedere quando emergerà una richiesta di massa di “parto post-industriale”. In questa era di potenti mezzi di comunicazione, ogni sorpresa è possibile. Tuttavia la svolta verso un parto biodinamico – che implica a sua volta il riconsiderare profondamente il ruolo di ostetriche e ginecologi – non può avvenire in un sol giorno. Qualcuno potrebbe osservare che, in generale, il tecnico altamente specializzato dalle corte vedute non è capace di assimilare rapidamente il concetto di atteggiamento biodinamico.

I semi della consapevolezza collettiva

Nel frattempo dobbiamo pensare alle ragazze che si trovano oggi all’alba della loro vita riproduttiva e che pertanto sono destinate ad avere figli entro i prossimi 30 anni circa. Alcune di loro hanno una profonda consapevolezza dell’importanza della modalità con cui nasce un bambino. Queste donne anticipano la presa di coscienza collettiva che stiamo aspettando. Non possono attendere che si verifichino cambiamenti radicali nella relazione ostetrica-ginecologo, ma devono adattarsi ad un periodo di transizione.


È interessante notare che ovunque nel mondo esistono gruppi di militanti che cercano di sfidare le convenzioni attuali. Questa gente è il seme della presa di coscienza comune. Sono pronti alla prevedibile crescita di un movimento emergente. Spesso sono di fondamentale importanza nel dare aiuto alle donne per trovare le migliori opzioni e risorse locali. Sebbene l’industrializzazione del parto sia un fenomeno globale, vi sono tali differenze da un Paese all’altro che le strategie si devono adattare alle particolarità geografiche, politiche e storiche.

Modi diversi di prepararsi

Ci sono diversi modi per prepararsi all’era del parto post-industriale. Uno è quello di trasformare i reparti maternità degli ospedali in posti accoglienti come la propria casa, come abbiamo cercato di fare negli anni ’70 e ’80 in un ospedale pubblico francese1. Nei Paesi europei di lingua tedesca, dagli inizi degli anni ’90 sono sorti improvvisamente dozzine di “centri nascita”. Strutture simili sono apparse in altri Paesi europei, in Australia e negli Stati Uniti, dove il fenomeno è iniziato a partire dagli anni ’70. Il concetto di centro nascita è un modo per tornare alle radici. È infatti più antico del parto in casa. Nelle società tradizionali le donne non partorivano nelle loro case, ma solitamente in luoghi speciali, dove spesso potevano soggiornare anche durante il ciclo mestruale. In certe culture, il luogo del parto era la stalla o il posto dove le donne facevano il bagno. Nei Paesi scandinavi, alcuni ospedali oggi hanno un “ABC” (Alternative Birth Center, o centro per la nascita alternativa), cioè posti in cui è possibile dimenticarsi di essere in ospedale.

Adattare il parto domiciliare al contesto del ventunesimo secolo potrebbe essere un altro modo di prepararci all’era post-industriale. Oggi molte donne abitano in ambienti urbani, e quindi vicino ad un ospedale. Inoltre abbiamo a disposizione dei dispositivi tecnologici relativamente alla portata di tutti, come il telefono cellulare, che almeno in teoria dovrebbe mettere facilmente in comunicazione l’ostetrica a casa con l’équipe di sanitari dell’ospedale locale. In un simile contesto, i motivi per contrapporre il parto a casa con quello in ospedale tendono a dissolversi. Diviene più facile conciliare l’intimità che può offrire la propria casa con le attrezzature che può offrire una struttura ospedaliera. Molto spesso, la decisione riguardante il luogo del parto può essere rimandata fino a travaglio avanzato. Se il travaglio sta andando avanti senza intoppi, perché non rimanere a casa? Se al contrario alla fine si ritiene opportuno recarsi all’ospedale, per lo meno si sarà eliminata una delle principali cause di parti lunghi e difficili, cioè il recarsi troppo presto all’ospedale, prima di un travaglio avviato bene, in una fase in cui le donne sono estremamente sensibili alle stimolazioni ambientali. Anche le donne che non si sentono a loro agio all’idea del parto in casa, dovrebbero provare almeno a recarsi all’ospedale il più tardi possibile, dopo una sorta di “punto di non ritorno”. Non è facile nel contesto dalla famiglia nucleare, dove spesso il solo adulto presente è il padre, molte volte dominato dalla paura che il bambino possa nascere prima di arrivare in ospedale. Ecco perché, durante il periodo di transizione, le doule possono rivestire, in certi Paesi, un ruolo importante.

Doule nel periodo di transizione

Una doula tipica è una madre o una nonna con esperienza personale di parto “normale”. Rappresenta la figura materna sulla quale una giovane donna può contare durante tutto il periodo che circonda il parto. Il fenomeno delle doule appare come uno degli aspetti della riscoperta dell’ostetricia autentica. A partire dagli anni ’70, questa parola di origine greca è stata usata da John Kennel e Marshall Klaus2 nei loro studi sulla presenza di una compagna “laica” durante il travaglio. La comunità greca non ama questo termine perché nell’antica Grecia indicava una schiava. Un’ostetrica di Atene mi ha confessato che le sembrerebbe di gran lunga più appropriato un termine come “paramana”, che significa “insieme alla mamma”. Tuttavia qui continueremo a parlare di “doula” perché questo termine è stato usato ormai in diversi studi ed è oggi molto conosciuto3.

John Kennel e Marshall Klaus iniziarono i loro studi negli anni ’70, in due affollati ospedali del Guatemala, dove nascevano 50-60 bambini al giorno e dove i protocolli assistenziali al parto erano stati stabiliti da medici e infermiere provenienti dagli Stati Uniti. Dimostrarono che la presenza di una doula riduceva enormemente l’incidenza di ogni tipo di intervento e l’uso di farmaci, migliorando i risultati. Ripeterono gli studi a Houston, in Texas, in una regione popolata prevalentemente da famiglie di origine ispanica a basso reddito. Anche là, gli operatori sanitari responsabili del reparto erano di lingua inglese. Le doule parlavano sia inglese che spagnolo e, come in Guatemala, la loro introduzione produsse effetti positivi.


Finché gli studi furono condotti fra popolazioni povere di origine ispanica, i risultati statistici confermarono chiaramente gli esiti positivi derivanti dalla presenza di una doula. Cambiarono invece nel contesto del Kaiser Permanente Care Program in California occidentale, dove la presenza di una doula non risultò avere alcun impatto sui tassi di tagli cesarei e altri tipi di parti operativi. Differenze simili meritano di essere interpretate. Al Kaiser Permanente la popolazione era rappresentativa della classe media americana. In un contesto simile, il padre era quasi sempre presente. Sfortunatamente, gli autori dello studio non hanno riportato informazioni sul criterio di selezione delle doule. Hanno ritenuto più importante sottolineare che ognuna di loro aveva seguito un corso di formazione “approvato” ed aveva assistito ad almeno due parti, sotto la supervisione di una doula più esperta. Ci si potrebbe chiedere se questa formazione non sia stata controproducente. Sono stato a cena una volta con tre delle doule che hanno partecipato allo studio di Houston. Non hanno fatto che parlare delle loro personali esperienze di parto come di esperienze molto positive, senza mai alludere al termine “formazione”, che suggerisce che quello che la doula fa è più importante di ciò che è. Questo certo non significa che una doula non dovrebbe essere informata.


Con una doula ben informata, una giovane madre si sente più sicura. La doula ideale dovrebbe conoscere tutto ciò che riguarda la gravidanza, il parto e l’allattamento, anche se le sue conoscenze sono superficiali. Immaginiamo una giovane donna in gravidanza che ha sentito il proprio medico parlare della possibilità di una placenta previa: la doula dovrebbe almeno sapere di cosa si tratta.


Le sessioni informative rivolte alle doule dovrebbero prevedere una sorta di “primo soccorso ostetrico”, così che le reali emergenze, di fatto estremamente rare, possano essere subito identificate. Ad esempio, se dopo la rottura delle membrane il cordone dovesse fuoriuscire dalla vagina, la doula dovrebbe essere in grado di capire che bisogna correre senza indugi al più vicino ospedale; nel tragitto, telefonerà ai medici avvertendoli che è in corso un “prolasso del cordone”. Se una donna gravida ha improvvisamente un fortissimo dolore al ventre, senza alcuna remissione, e si trova in stato di shock, la doula contatterà subito i medici parlando di “sospetta rottura della placenta”. Se il bambino nasce in un posto inatteso, come ad esempio in macchina, la doula saprà che in questi casi di parti così veloci e facili non è necessario fare niente, se non assicurarsi che il luogo sia sufficientemente caldo e che mamma e bambino non tremino. Tagliare il cordone non è necessario da un punto di vista fisiologico, tuttavia questo rituale è così ben radicato che molti corsi di pronto-soccorso insegnano come si fa. A volte i mass-media riportano storie di padri eroici e astuti che utilizzano lacci delle scarpe e forbici da cucina per tagliare il cordone. Se la donna partorisce in posti come un aereo o un treno, solitamente i reportage sensazionali dei media riguardano le persone che per caso si trovavano lì e che hanno “fatto nascere” il bambino, piuttosto che la madre che ha partorito.


Il futuro del fenomeno “doula” dipende da come questa parola verrà interpretata. Se la doula dovesse divenire l’ennesima figura che si introduce sul luogo del parto, insieme all’ostetrica, al medico e al padre, allora la sua presenza sarà controproducente. Se si porrà l’accento sulla sua formazione, piuttosto che sul suo essere e sulla sua personalità, allora il fenomeno doula non sarà altro che un’occasione perduta.

Una nuova natività

Durante questo periodo di transizione, in attesa di una nuova generazione di ostetriche “non invadenti”, vi sono casi marginali di donne che riescono a soddisfare il loro bisogno di assoluta intimità durante il parto evitando di farsi assistere da persone qualificate. Queste donne partoriscono semplicemente da sole a casa loro. Non recepiscono il vocabolario in uso, che fa sentire le donne meno capaci suggerendo l’impossibilità di partorire senza un aiutante, o una guida, o un “allenatore” [da coach, il termine usato negli Stati Uniti, N.d.T.], o una persona di sostegno, o un partner, o qualsiasi tipo di operatore sanitario formato. Intuitivamente queste donne sentono che l’autostima, associata a un’atmosfera di assoluta intimità, crea le condizioni migliori per un parto facile.


Sebbene il loro comportamento sia di solito considerato incomprensibile e irresponsabile, abbiamo qualcosa da imparare da queste donne. Ci aiutano infatti a capire che, nonostante millenni di parti culturalmente controllati, esistono ancora donne in contatto con i loro più arcaici bisogni di mammiferi. Un atteggiamento biodinamico nei confronti del parto si baserà proprio sui bisogni profondi della donna che partorisce, piuttosto che sul ruolo di coloro che sono preposti ad assisterla. Queste donne offrono spunti di riflessione per coloro che eserciteranno l’ostetricia e la ginecologia prima del 2036.

L'Agricoltore e il Ginecologo
L'Agricoltore e il Ginecologo
Michel Odent
L’industrializzazione della nascita.Uno scambio di idee che analizza le molteplici similitudini fra l’industrializzazione dell’agricoltura e quella del parto. Sembra il titolo di una favola moderna: durante uno scambio di idee, l’agricoltore e il ginecologo comprendono fino a che punto entrambi abbiano manipolato le leggi della natura e analizzano le impressionanti similitudini fra l’industrializzazione dell’agricoltura e quella del parto, ambedue sviluppatesi nel corso del ventesimo secolo.L’Agricoltore e il Ginecologo di Michel Odent è una pietra miliare sull’industrializzazione della nascita. Conosci l’autore Michel Odent, medico ostetrico celeberrimo, noto soprattutto per aver introdotto il parto in acqua e le sale parto simili a un ambiente domestico, ha al suo attivo una cinquantina di studi scientifici e oltre dieci libri pubblicati  e tradotti in più di venti lingue. Da molti anni gestisce a Londra il Primal Health Centre, studiando gli aspetti relativi alla salute del bambino dalla gestazione al primo anno di vita.Di recente ha creato un nuovo sito internet - www.wombecology.com - dedicato all’ecologia della vita intrauterina.