CAPITOLO I

La scrittura manuale

Mi capita a volte, parlando del mio lavoro con amici, conoscenti, insegnanti o genitori, di illustrare le basi di una corretta scrittura a mano e di spiegare, ad esempio, le regole e l’efficacia di una buona impugnatura, sentendomi quasi sempre rispondere “Ah, ma guarda, non ci avevo mai pensato!” Esatto, non ci si pensa mai. Siamo così abituati a utilizzare la scrittura come una pratica comune e ordinaria che abbiamo finito per considerarla scontata. Non ci rendiamo conto di quanta abilità, destrezza, arte, tecnica, ingegno impieghiamo con il “semplice” atto di scrivere a mano, ossia utilizzando una delle più straordinarie invenzioni dell’uomo, un prodotto squisitamente culturale e proprio ed esclusivo della nostra specie.


La scrittura a mano nei tempi odierni è stata per lo più soppiantata da quella elettronica a video e le grafie dei giovani studenti stanno gradualmente peggiorando, come se la scrittura stesse andando in disuso. La cosa è diventata tanto evidente che ha cominciato ad allarmare e difatti ci si imbatte sempre più spesso in articoli, studi e appelli che richiamano l’attenzione su questo triste fenomeno. Per ridare dignità a questo formidabile mezzo di comunicazione ed espressione è necessario restituirgli l’attenzione che merita, cercando di stimolare la curiosità e l’interesse verso un gesto complesso che richiede grande abilità. Per apprezzare e far apprezzare alle giovani generazioni questo importante traguardo dell’umanità, utile e affascinante, dobbiamo forse andare a riscoprirlo, a conoscerlo meglio, a guardarlo da vicino, perché è un tesoro che appartiene a tutti, che ci accomuna e che va salvaguardato.


A tale scopo vorrei innanzitutto attrarre l’attenzione sull’importanza della scrittura come patrimonio culturale, collettivo e personale. Per conoscerla in maniera approfondita andremo ad analizzare il funzionamento della scrittura e la sua fisiologia. Mi soffermerò in un secondo tempo sui princìpi dell’acquisizione della scrittura intesa come gesto grafico, su aspetti pratici in fase di apprendimento e sulle complicanze della disgrafia, in base alla mia esperienza di educatrice e rieducatrice. Senza avere la pretesa di essere esaustiva, perché il lavoro di educazione e rieducazione al gesto grafico è complesso e richiede una preparazione specifica, vorrei però dare utili indicazioni a genitori ed educatori che si trovano a insegnare la scrittura in un momento in cui pare stia attraversando un periodo di crisi per questioni, potremmo dire, socio-culturali.


Cercherò di dare spunti e consigli pratici per sviluppare le competenze di base per l’apprendimento e per l’esecuzione efficace e funzionale della scrittura, a favore di bambini in età prescolare e scolare.


Confido, in primo luogo, di riuscire a stimolare negli educatori, insegnanti e genitori, una sensibilità e una curiosità verso la scrittura manuale, e in particolare il corsivo, affinché siano loro i primi ad apprezzarla in tutte le sue funzioni di comunicazione, utilità ed espressività e di conseguenza a trasmetterne l’amore ai ragazzi. Un approccio più approfondito e consapevole di cosa sia la grafia, della sua importanza, funzionalità e bellezza – da parte di queste figure educative – credo ridarebbe alla scrittura manuale il fascino che le appartiene.


Conoscere il fenomeno della scrittura, e scoprire quanto sia interessante ed elaborato il suo sistema creativo e il suo processo di acquisizione, può essere interessante per chiunque, anche non necessariamente un educatore; perché sebbene tutti sappiamo scrivere a mano, tuttavia si tratta di un atto più complesso e delicato di quanto pensiamo, che coinvolge fattori fisici, psicologici e culturali. L’atto dello scrivere è suggestivo e può essere osservato come manifestazione umana, tecnica e intellettiva, seppure lo consideriamo alla stregua di uno strumento oggettivo, come un frullatore.


Comprendere come funziona la scrittura è di vantaggio non solo per chi la insegna, ma per chiunque sia curioso di conoscere se stesso e le cose del mondo; è come mettere sotto la lente di ingrandimento un oggetto consueto: si scoprono mondi nuovi.


Per chi insegna può essere come per l’agricoltore: questi può benissimo limitarsi a seminare e raccogliere il frutto, ma cosa molto differente è andare a esaminare il seme che si schiude, lo sviluppo della piantina, la composizione del terreno, la qualità dell’aria e dell’acqua. In tal modo ha una visione più completa e approfondita e può favorire il processo di crescita.


Per chi invece non insegna, comprendere meglio la scrittura manuale può rappresentare un viaggio antropologico e ontologico: studiando una piccola parte della vasta sfera delle cose umane si può conoscere meglio l’uomo, se stessi e la relazione di quella piccola parte col mondo.

Il bello della scrittura a mano

In molti anni di lavoro sul gesto grafico ho scoperto che la scrittura ha una sua particolare sensibilità e può essere osservata, come qualunque fenomeno umano, sotto diversi aspetti. Da quando la scuola è diventata obbligatoria in Italia, con una prima legge del Regno di Sardegna nel 1859 (perché i bambini sapessero “leggere, scrivere e far di conto”) l’analfabetismo, che era la norma tra la popolazione meno abbiente, è stato debellato. Tutti nel mondo occidentale, salvo casi specifici, sanno scrivere. È scontato, un atto comune. Si ha la consapevolezza che richieda un certo apprendistato e che ognuno di noi abbia la sua propria grafia peculiare, ma difficilmente ci si rende conto che parliamo di un’azione complessa, che impegna la coordinazione di diversi ambiti intellettivi, motori, emotivi e psicologici.


La scrittura è una produzione personale, difficilmente imitabile, che cambia nel corso della vita, della giornata, a seconda dell’umore o di quello che stiamo scrivendo. È una produzione “artistica” che plasmiamo ogni giorno; se prendiamo per buona la definizione di arte quale “attività umana fondata sull’esperienza, sullo studio, sull’estro personale e disciplinata da un complesso di conoscenze tecniche precise”1 direi che la scrittura soddisfa ogni requisito. La scrittura al computer e la videoscrittura non sono altrettanto affascinanti, né credo abbiano alcunché di artistico.


Scrivere a mano riporta al contatto con la materia, fatta di fogli, matite, inchiostro, ben diversa dalla asettica virtualità degli schermi elettronici e delle tastiere.


Non è una banale questione di nostalgia dei bei tempi andati quando si usavano carta, penna e calamaio; piuttosto credo si possa essere tutti concordi sul fatto che l’impatto emotivo di fronte a una scrittura a mano non è paragonabile a quello di fronte a una pagina su uno schermo digitale. La curiosità che suscita un corsivo e l’adattamento che dobbiamo compiere nel decifrare i diversi tipi di grafia sono processi emotivi e cognitivi squisitamente “umani”, nel senso proprio dei Sapiens e in quello di espressione di “comprensione e solidarietà”. Intuire la persona che sta dietro alla sua particolare scrittura è un po’come notare l’abbigliamento di qualcuno, il suo profumo, i modi o lo sguardo. La scrittura è qualcosa di molto intimo, e infatti talvolta abbiamo pudore nel mostrarci mentre scriviamo, come se la nostra scrittura rivelasse qualcosa di noi. Di fatto è proprio così, una grafia grande o complessa, minuta o ariosa, premuta o allargata parla di noi anche a livello intuitivo o subliminale.


A pensarci bene è cosa assai bizzarra che una serie di segni convenzionali che usiamo per comunicare, adattati a seconda dell’indole di ognuno, rappresenti noi stessi, ma così è, perché la grafia è peculiare ed esclusiva dell’individuo, come ogni altro aspetto personale.


Forse quelli nati prima del 2000 saranno gli ultimi a provare quello struggente piacere, quella delicata malinconia che si avverte ritrovando in un cassetto, in un vecchio libro o in un diario quel biglietto che ci scrisse l’amato, l’amico o il fratello; le lettere rosa, le cartoline con i saluti, le firme, il riferimento criptato a qualcosa o qualcuno. Quando ero bambina, negli anni ’80, ci si regalava spesso, per i compleanni, carta da lettere: colorata, profumata, cifrata, decorata, e durante le vacanze estive si scriveva agli amici, ai parenti, alla famiglia. Si scriveva ad amici lontani, in altre città. Si avevano “amici di penna” anche all’estero e si immaginavano le nostre missive consegnate da postini che parlavano un’altra lingua.


Si scrivevano lettere per affetto, per rabbia, per informare, per urgenza, per tanti motivi, ma si scrivevano. A mano.


Si annotavano diari, memorie, appunti che sono poi entrati nella nostra storia personale, documentando con carta e inchiostro i fatti della nostra vita: un’amicizia, una gioia, un dolore, un’avventura, un viaggio, un progetto, un sogno, un segreto.


Quelli nati prima del 2000 saranno forse gli ultimi a custodire la testimonianza cartacea della propria vita interiore; che si imbatteranno, dentro un diario in soffitta, in un “io” di altri tempi, con una grafia leggermente diversa, forse più immatura, forse più o meno spigolosa o ordinata di oggi, ma con una carica emotiva tangibile. Saranno gli ultimi a trovare la ricetta della torta scritta dalla nonna, il biglietto appassionato di un corteggiatore timido, la lettera affettuosa dell’amica lontana, un numero di telefono sul biglietto del concerto, una poesia su un foglio a quadretti strappato da un quaderno.


Scrivere lettere, diari o biglietti a mano oggi è diventato una pratica poetica, vintage, alternativa, inusuale, bizzarra, per pochi. I mezzi per comunicare che usiamo – email, SMS, WhatsApp, social vari – non lasciano traccia nel tempo, e non essendo scritti con una propria grafia rimangono comunque asettici.


Unico risultato, non lasceremo traccia neanche a noi stessi.


I manoscritti di famose opere letterarie e le missive di personaggi storici sono battute all’asta da Sotheby’s per cifre da capogiro. Dubito che tra qualche anno le email di Philip Roth o Alessandro Baricco saranno altrettanto affascinanti.


Ricordiamo che le più grandi opere letterarie classiche sono state scritte a mano e che i manoscritti ci emozionano profondamente ancora oggi, rivelandoci qualcosa dei loro autori che da un testo stampato non può trapelare.


I testi scritti al computer non mostrano le cancellature, i ripensamenti, le correzioni, in definiva la “costruzione” materiale del testo. A riprova dell’importanza dei manoscritti originali, esiste negli Stati Uniti, a Austin, l’Harry Ramson Center, che provvede a recuperare e custodire i manoscritti di autori del passato e contemporanei, come Don DeLillo, J.M. Coetzee, Doris Lessing, Tom Stoppard, David Foster Wallace e Ian McEwan.


Sono stati scritti a mano anche i diari di viaggio di Cristoforo Colombo, Magellano, Charles Darwin, Ernesto Che Guevara, Bruce Chatwin. Ma anche il bellissimo diario che abbiamo scritto, o scriveremo, sul nostro viaggio in Asia, in America, in Grecia in tenda, in Sicilia con la famiglia, o da soli senza una meta precisa. Un diario con una copertina semirigida e le pagine porose, con un elastico per tenere composte le pagine, gli appunti e i biglietti.

La scrittura manuale fa parte delle nostre storie e delle nostre vite e di conseguenza anche di infiniti meccanismi narrativi.


Nel film Memento, di Cristopher Nolan, il protagonista riesce a risolvere la sua intricata storia attraverso gli appunti scritti a mano su alcune polaroid. Nel film V per Vendetta di Lana e Lilly Wachowski, la protagonista riesce a sopravvivere alla prigionia grazie ai messaggi scritti su carta igienica della vicina di cella. Ma vorrei citare anche la famosa lettera scritta a due mani da Totò e Peppino de Filippo nel film Totò, Peppino e la Malafemmina, che ha fatto ridere intere generazioni.


In letteratura vorrei ricordare Il nome della rosa, di Umberto Eco, dove monaci amanuensi trascrivevano libri antichi, uno dei quali letale. Nella Trilogia della città di K, di Agota Kristof, i gemelli protagonisti scrivono nel Grande Quaderno la loro agghiacciante quotidianità. E non si può tralasciare il diario scritto a mano per eccellenza, quello di Anna Frank.


Il famoso “messaggio nella bottiglia” affidato alle acque è entrato in innumerevoli leggende, storie, narrazioni, fino a entrare nell’immaginario collettivo e usato come modo di dire colloquiale e letterario (ricordo il brano Message in a bottle dei Police. “Walked out this morning, I don’t believe what I saw. A hundred billion bottles washed up on the shore. Seems I’m not alone in being alone A hundred billion castaways looking for a home”).


Un altro aspetto interessante a favore della scrittura a mano è che esistono studi che avvallano l’idea che sia in qualche modo terapeutica. Secondo Matthew Lieberman, ricercatore all’università della California (UCLA), scrivere in un momento di tensione o disagio permette la riduzione dell’attività dell’amigdala, complesso nucleare del cervello che gestisce le emozioni soprattutto di paura, aumentando invece l’attività delle regioni prefrontali, preposte alla guida dei pensieri e delle azioni2.

La scrittura viene anche usata in psicologia e psicoanalisi durante i percorsi terapeutici. Per esempio nella psicologia cognitivo-comportamentale viene usata per rielaborare episodi emotivi disturbanti. Altre tecniche psicoanalitiche che si avvalgono della scrittura sono la scrittura espressiva (per cui a un soggetto viene chiesto di scrivere di getto esternando pensieri e sentimenti profondi, provocando così una scarica emotiva catartica) e la scrittura autobiografica (in questo caso viene richiesto al soggetto di mettere per iscritto, con impegno e metodo, il proprio mondo interiore e la propria vita, aiutando in questo modo a sbloccare un momento di stasi e a portare nuova linfa vitale).


Esiste poi una fitta letteratura che considera e consiglia la scrittura come mezzo di conoscenza di sé e volta a migliorare la propria vita.


Un’altra buona ragione per continuare a scrivere è che la scrittura manuale è personale ed è molto difficile da imitare, prova ne è che durante le controversie legali spesso ci si rivolge a periti e consulenti per l’analisi e la comparazione delle grafie. Un documento scritto a mano è difficilmente contraffabile, e ancora più difficile è produrne uno falso. E anche se esistono attualmente sistemi di firma digitale, l’autografo rimane sempre la sottoscrizione più usata in innumerevoli ambiti. In pratica lo usiamo quotidianamente.


Altro aspetto rilevante della scrittura manuale è che diverse forme di scrittura si sono sviluppate nelle varie civiltà del globo e in varie epoche, basti pensare alla differenza tra le forme alfabetiche e gli ideogrammi; questa è senz’altro una risorsa e un aspetto culturale peculiare che va salvaguardato, come intimo prodotto di una cultura, fonte di studi e riflessioni antropologiche.


Per esempio l’arte della calligrafia giapponese viene chiamata Shodo, da sho-(scrivere) e do-(via) e non consiste solo nell’esercizio di una bella grafia, ma in un continuo perfezionamento della tecnica e un contemporaneo accrescimento personale dell’individuo. Abbandonando quindi l’abitudine a scrivere a mano perderemmo molte risorse culturali.


Per chi ama la letteratura o la filmografia apocalittica potremmo anche dire che la scrittura andrebbe valorizzata e coltivata in caso di calamità o disastri che impediscano l’uso di computer e dispositivi tecnologici. Senza voler fare i catastrofisti, possiamo però tranquillamente ricordare che la scrittura manuale non necessita di dispositivi tecnologici né di corrente elettrica e può quindi essere usata in qualunque situazione; lascio a voi ipotizzare quali.


L’Istituto Grafologico Internazionale Girolamo Moretti, dal 2015, ha dato il via alla “Campagna per il diritto di scrivere a mano”. Lo scopo è di attirare l’attenzione di studiosi e opinione pubblica sull’importanza della scrittura manuale. Preoccupati per “il progressivo abbandono dell’esercizio della scrittura manuale a favore della scrittura digitale” e considerando la scrittura a mano come fenomeno che ha “accompagnato e promosso il cammino della civiltà e della società”, auspicano che possa essere inscritta tra i patrimoni mondiali dell’umanità. Nella motivazione alla campagna leggiamo: “Scrivere a mano è un comportamento, una comunicazione e una testimonianza in tutte le fasi della vita: è una gestualità che attiva la formazione della persona nei bambini; diventa espressione completa e totale di sé negli adulti; aiuta il benessere di mente e cervello anche da anziani. La scrittura ha valore antropologico universale, è la manifestazione oggettiva dell’unicità di ciascun individuo, è compagna di vita dallo scarabocchio sino al testamento. L’atto della scrittura unisce in una “melodia cinetica” l’essere uomo nella sua totalità, perché chiama in causa la mente, il cuore e la mano. Nessuno ha il diritto di privare le generazioni future di tale ricchezza: abbiamo il dovere e la responsabilità di salvaguardarne l’esistenza mediante un’importante e vasta operazione culturale e sociale.”

Un po’ di storia

Al contrario di quanto si potrebbe pensare, le prime forme di scrittura, intese come segni convenzionalmente riconosciuti per esprimere un concetto, non sono state inventate per narrare storie o scrivere poesie.


Rappresentazioni simboliche di un pensiero o di un oggetto (sole, casa, caccia) sono stati usate dai Sapiens arcaici, cacciatori-raccoglitori, con pitture o incisioni rupestri già nell’era paleolitica, ma non possono essere propriamente considerate “scrittura” nella sua definizione di segni grafici di espressione di una lingua. In effetti lo spartiacque tra ciò che chiamiamo “storia” e “preistoria” è proprio l’invenzione e l’uso della scrittura, perché da quel momento in poi abbiamo potuto avere documentazione scritta dell’evoluzione delle società umane. Pensate quindi che importanza fondamentale ha avuto questo strumento comunicativo nello sviluppo della civiltà, nonché nello studio dell’uomo, della sua storia e di ogni sua attività nel tempo.


Non furono dunque i Sapiens cacciatori-raccoglitori a inventare la scrittura. Fu grazie allo sviluppo di civiltà più complesse, stanziali e agricole, con l’instaurarsi di sistemi sociali strutturati, che si cominciò a sentire il bisogno di lasciare documentazione scritta di un dato, un elemento o un fatto senza dover fare affidamento esclusivo alla memoria, e quindi per fini eminentemente pratici. La storia, le storie, le poesie, l’epica, le leggende, i princìpi religiosi erano, come sempre nelle società arcaiche, trasmessi oralmente e forse l’esigenza di un supporto scritto non era sentita. È invece verosimile che le prime forme scritturali siano state inventate per scopi più prosaici.


Fra il 3.500 e il 3.000 a.C. il popolo dei Sumeri, in Mesopotamia, cominciò a usare una serie di segni su tavolette di argilla per indicare e immagazzinare dati su pagamenti di tasse, eredità, scambi. Usavano segni per indicare numeri e altri per rappresentare persone, animali, merci, territori. Una tavoletta ritrovata nell’antica città di Uruk, in Mesopotamia, e che risale al 3.400-3.000 a.C. rappresenta dei segni che indicano numeri, mesi, orzo e una firma, Kushim (la prima firma della storia), segni che, letti e interpretati, volevano probabilmente significare “Un totale di 29.086 misure di orzo è stato ricevuto nel corso di 37 mesi. Firmato Kushim”. I primi scritti redatti quindi non narravano le gesta di condottieri né decantavano poesie, cosa che avveniva oralmente per tradizione; la prima forma di scrittura fu inventata per altre ragioni molto pragmatiche, quali il commercio, l’archivio, il catasto, le leggi, e divenne necessaria in forme di civiltà complesse, in cui vigevano leggi, proprietà, tasse, commerci, caste, un numero elevato di persone, ecc. Una struttura sociale complessa aveva bisogno di una forma di burocrazia e di archiviazione che non fosse aleatoria, che fosse comprensibile da molti e persistente nel tempo3.

Questa prima forma di scrittura mesopotamica era parziale, non possedeva cioè un numero sufficiente di segni che potesse rappresentare una lingua parlata. Veniva usata da poche persone e solo come strumento burocratico.


Solo in un secondo tempo, fra il 3.000 e il 2.500 a.C., sempre in Mesopotamia, vennero aggiunti simboli, segni e convenzioni che andarono a comporre un sistema scrittorio: la scrittura cuneiforme. Nel 2.500 a.C. la scrittura cuneiforme veniva usata per emanare decreti, per le funzioni religiose, per messaggi personali. Più o meno nello stesso periodo, gli Egizi svilupparono la loro scrittura geroglifica. Altri sistemi di scrittura vennero elaborati da diverse culture in diverse parti del globo e si diffusero.


La scrittura cuneiforme e quella geroglifica non erano scritture alfabetiche, i segni erano rappresentazioni simboliche e semplificate di un concetto o un oggetto. Solo intorno al XIX secolo a.C. furono elaborati sistemi alfabetici che avrebbero gettato le basi per il nostro sistema di scrittura, in particolare la scrittura alfabetica fenicia, a sua volta derivante dalla proto-sinaitica.


La scrittura alfabetica fenicia venne fatta propria dai greci antichi con l’aggiunta delle vocali. Caratteristica dell’alfabeto greco è quella di scomporre il parlato in fonemi, facilmente riproducibili in segni.


Questo tipo di alfabeto rese possibile la diffusione della scrittura tra dignitari, uomini di alto rango, funzionari, perché era più semplice, senza innumerevoli segni da imparare. In questo modo la scrittura divenne mezzo per la trasmissione di saperi e per lo scambio di notizie anche a lunga distanza, tramite le missive: unico mezzo di comunicazione a distanza prima dell’avvento del telegrafo.


I romani usarono una forma scritturale alfabetica per il latino. Essa venne mutuata dall’alfabeto etrusco, a sua volta di derivazione greca.


La forma calligrafica del latino, che comunemente era usata per le iscrizioni e che possiamo vedere ancora oggi sui marmi romani, è la Capitale Romana. Per i documenti e gli scritti veniva usata, per comodità, una forma di scrittura corsiva minuscola, un primo tentativo di rendere la scrittura più veloce e maneggevole. Questa nel tempo subì diverse trasformazioni e, anche grazie al passaggio dalla scrittura su papiro, rigido e fragile, alla pergamena, più solida e resistente, divenne più morbida e meno ingombrante.


Furono i monaci amanuensi che elaborarono un modello di scrittura diverso, optando per una scrittura differente per i testi sacri che si distinguesse da quelle di epoche precedenti, meno timorate di Dio. Fu così sviluppata la scrittura Onciale, che a differenza della Capitale Romana, lineare e acuta, era di forme morbide e ovali; anche grazie all’uso della penna d’oca per scrivere, le linee cambiarono diventando più sottili, nette e leggibili.


Passando dalla scrittura Minuscola Carolina di epoca carolingia, sviluppata per uniformare lo stile degli scritti in tutto l’impero e renderli più leggibili possibile, si arriva, nel 1400, alla scrittura Italica o Cancelleresca, dalla quale deriva il nostro corsivo.


Il corsivo nasce dalla semplificazione delle lettere staccate, quelle della Capitolare Romana fino alla Minuscola Carolina, per renderle di facile esecuzione e unirle con legamenti, allo scopo di far diventare lo scritto più rapido e agevole. Ogni stacco di penna infatti rallenta la scrittura, che con il corsivo diviene invece una linea sinuosa e fluida.


Non dimentichiamo che fino all’invenzione della macchina da scrivere, tutti gli scritti e tutti i documenti erano redatti a mano.


Un primo prototipo di macchina da scrivere fu costruito da un italiano, Giuseppe Ravizza, nel 1846, che la chiamò “cembalo scrivano” e che nella sua intenzione doveva servire ai non vedenti. La prima macchina da scrivere venne prodotta in America nel 1874. La prima Olivetti in Italia fu presentata nel 1911. Presentata, ma ci volle ancora molto tempo prima che diventasse di uso comune; sino agli anni trenta o quaranta del ’900 qualunque testo non stampato era scritto a mano: lettere, manoscritti, dispacci, ma anche atti catastali, ufficiali e anagrafici. Quindi, ad eccezione dei testi stampati, qualsiasi altro documento era scritto a mano, e da qui la necessità di una modalità di scrivere che fosse pratica, chiara, veloce e non faticosa. Questa era il corsivo.


Per quel che riguarda gli strumenti grafici, i primi a essere usati, agli albori della scrittura, furono i calami, vale a dire stili di canna o giunco usati in un primo tempo per incidere l’argilla e in un secondo per redigere scritti con inchiostri vegetali. I calami vennero poi sostituiti con le penne d’oca, difatti il termine “penna” è rimasto per indicare le nostre moderne penne a inchiostro. Con le penne d’oca furono scritti alcuni Rotoli del Mar Morto intorno al 100 a.C. e la Costituzione degli Stati Uniti d’America nel 1787. Esistevano e venivano utilizzati anche pennini di rame (ne è stato trovato uno durante gli scavi di Pompei) ma risultavano piuttosto rigidi.


Sono stati ritrovati disegni di Leonardo Da Vinci che rappresentano una penna d’oca con un serbatoio di inchiostro, e vista la continuità degli scritti di Leonardo si può supporre che effettivamente Leonardo ne usasse una per scrivere. La prima penna stilografica viene però brevettata da Petrache Poenaru nel 1827 ed ebbe grande fortuna.


La penna biro, che tutti usiamo oggi, venne inventata nel 1936 da Laszlo Birò, che escogitò una penna con una punta sulla cui sommità vi era una pallina piccolissima. Questa, ruotando e scorrendo sul foglio, pescava l’inchiostro dal serbatoio e lo stendeva sulla superficie.


Il primo progetto di matita invece viene attribuito agli italiani Simonio e Lyndiana Bernacotti intorno al 1560, che utilizzarono un bastoncino ovale tagliato longitudinalmente che ospitava una bacchetta di grafite; normalmente la grafite veniva utilizzata avvolta in stoffa, per non sporcarsi le mani. Le prime vere matite però vennero diffuse nel 1795 da Nicolas-Jacques Conté che mise a punto un composto di grafite e argilla, che dona diverse durezze alla mina, inserendola poi in bastoncini di cedro cavo e fermandola con una punta di colla.

La grafologia

La grafologia è quella scienza che mette in correlazione gli aspetti psicologici di un individuo con la sua grafia. Senza voler esaurire l’argomento, che è davvero molto ampio, considereremo la grafologia come ulteriore elemento che avvalora l’importanza della scrittura a mano come espressione del sé, come valore culturale, come strumento di ricerca personale (lungo il processo di individuazione, come direbbe Carl Gustav Jung), come fenomeno ontologico, come patrimonio dell’umanità.


La grafologia è stata per lungo tempo considerata una disciplina quasi magica, alla stregua della chiromanzia o dell’astrologia, e ha faticato ad essere considerata uno strumento di conoscenza psicologica. Forse colpevole è il fatto che essa nasce come branca della fisiognomica (lo stesso Cesare Lombroso scrisse il libro Grafologia nel 1895), che tanta critica ha ricevuto in epoca recente per le sue basi non strettamente scientifiche.


Il primo “grafologo”, o meglio, il primo a intuire un nesso tra scrittura e personalità, è stato Camillo Baldi che nel 1622 scrive il Trattato come da una lettera missiva si conoscano la natura e la qualità dello scrittore. Rimane però un fatto pressoché isolato finché nel 1872 con I misteri della scrittura l’abate Jean Hippolyte Michon fonda la scuola grafologica francese, che asserisce la connessione tra grafia e tratti caratteriali, decodificando una serie di elementi della scrittura personale in correlazione con la struttura psichica dello scrivente. Il suo allievo Jules Crepieux-Jamin porterà avanti il lavoro in modo più organico. Partendo dallo stesso presupposto, ci sono stati diversi studiosi che hanno fondato altrettante scuole di pensiero che hanno dato forza, spinta e contributi alla Grafologia (Klages, Pulver ecc.). In Italia sarà Girolamo Moretti che nei primi anni del ’900 fonderà la Scuola Grafologica Italiana.


I presupposti della grafologia si basano sul fatto che la scrittura è in correlazione con il nostro sistema nervoso centrale e con il subconscio, le pulsioni, la volontà, le quali, essendo elementi specifici e distintivi di ciascuno, rendono la grafia personale unica, esclusiva e specchio del peculiare mondo interiore di ogni individuo.


Ci sono tre princìpi che mettono in correlazione la grafia con la personalità e che stanno alla base dei fondamenti della grafologia, e cioè:

  • Il principio di espressione: la scrittura è un atto spontaneo, una manifestazione intima dell’uomo, al pari delle manifestazioni emotive come il sorriso, lo sguardo, le espressioni del viso, il modo di camminare, la postura.
  • Il principio di rappresentazione: la scrittura non è solo atto spontaneo ma anche volontario, intenzionale e in quanto tale subisce l’influenza delle aspettative dello scrivente, dei suoi desideri, dei suoi valori, di come si pone nei confronti del mondo, di come si “rappresenta” agli altri.
  • Il simbolismo: l’individuo scrivente è immerso in una realtà di simboli personali, collettivi e culturali che proietta nella scrittura (basti pensare al significato di “alto e basso”, concetti che hanno una connotazione di “aulico e degradato”, “divino e infernale”, “spirituale e istintivo” dato dalla cultura dominante e assimilato da ogni individuo).

La combinazione di questi aspetti rende la grafia una sorta di mappa delle caratteristiche psicologiche, emotive e caratteriali del soggetto.


Esistono una pluralità di scuole, molti approcci, diversi studiosi di riferimento: Klages, Pulver, Crepieux-Jamin. Le analisi grafologiche sono molto accurate, necessitano di una lunga preparazione specifica e possono indicare il tipo di intelligenza, le strategie comportamentali, le attitudini relazionali ecc.


Anche se non siamo grafologi però, trovandoci di fronte a una scrittura, anche a livello intuitivo, possiamo cogliere dei fattori caratteristici che ci danno un’impressione generale dello scritto; facendo un paragone è come quando, conoscendo una persona e notandone le movenze, l’espressione del viso, gli abiti che indossa, ci facciamo una certa idea del soggetto.


Di fronte a un manoscritto possiamo valutare quattro aspetti evidenti: lo spazio, la forma, il tratto e il movimento.


La gestione dello spazio ci rivela come ci si pone e ci si muove nello spazio stesso. Potremo notare l’occupazione complessiva del foglio, se è molto pieno oppure arioso, quindi invadente o discreto. Potremo valutare l’ordine e gli spazi intorno allo scritto; è ben organizzato? In genere lo spazio lasciato a sinistra del foglio indica l’attaccamento al passato, quello a destra il porsi al futuro (infatti nella nostra cultura tendiamo a guardare il tempo come una linea che parte da destra e procede verso sinistra).


La forma indica il codice comunicativo sociale. Potremo notare innanzitutto se è espressiva (originale, personale) o impressiva (legata a un modello, trattenuta, che non lascia trasparire la personalità). Possiamo osservare la proporzione delle zone, si spinge verso l’alto (lo spirito) o verso il basso (la passione)? Noteremo i rapporti curve-angoli, la scrittura è morbida (accoglienza), spigolosa (irruenza) o equilibrata?


Il tratto rappresenta l’energia di base dello scrivente, un tratto molto pesante indica energia, decisione, uno più leggero velocità, progressione. Noteremo se ci sono inceppi, se fluisce o se c’è tensione.


A seconda che sia sciolto o controllato, se vi sia costrizione o libertà, il movimento può indicare l’autonomia, la spontaneità. Noteremo se è una scrittura orizzontale, che procede verso destra, che è quindi incline all’incontro, oppure se è verticale, con linee dritte verso l’alto a indicare disciplina. Osserveremo se procede sul foglio con scioltezza o se ci sono delle torsioni a indicare resistenze.


Sempre considerando che non esiste una grafia migliore o peggiore, buona o cattiva, e lasciando ai grafologi le minuziose valutazioni del caso, possiamo però dire che una pagina scritta a mano avrà sempre una sua aria, una sua allure, una personalità, un’atmosfera, come un tono di voce o un’espressione del viso, che sapranno sussurrarci qualcosa.


Anche in questo caso tengo a rimarcare che, al contrario di quella manuale, videoscrittura e scrittura al computer non possono essere rappresentative della personalità dello scrivente, né espressione di sé.

La videoscrittura rispetto alla scrittura a mano

Se la scrittura a mano poteva sembrare un’attività obsoleta e superata grazie all’uso massiccio e diffuso della videoscrittura, recenti studi e una nuova attenzione alla grafia hanno dimostrato come quella manuale batta di gran lunga la scrittura al computer, sia per l’apprendimento della letto-scrittura, sia per l’organizzazione del linguaggio, la produzione letteraria e lo sviluppo cognitivo.


La scrittura a mano richiede abilità grafo-motorie, interessa diverse aree del cervello, implica tutto il corpo e i sensi, ogni lettera è associata a uno specifico movimento ed esige un coinvolgimento diretto. Inoltre la produzione del tracciato ha un impatto emotivo. Nella videoscrittura invece vi è solo il riconoscimento della lettera su una tastiera e il movimento, non specifico né esclusivo, per digitare il tasto corrispondente; non vi partecipa tutto il corpo e rimane emotivamente sterile.


L’Educational Summit “Handwriting in the 21st century”, tenuto a Washington nel 2012, ha donato nuova linfa all’interesse e agli studi scientifici in materia di scrittura a mano; diverse ricerche scientifiche presentate hanno dimostrato che quest’ultima incrementa l’attivazione di diverse aree cerebrali, ha un effetto positivo sulle abilità di linguaggio, sulla lettura, sulla produzione scritta e sulla capacità critica, favorisce lo sviluppo cognitivo del soggetto, migliorando i risultati in ambito scolastico di qualunque grado.


Tra questi studi alcuni sono particolarmente interessanti e indicativi. La dottoressa Virginia Berninger, ricercatrice e docente di Pedagogia all’Università di Washington, in uno studio su alunni della scuola primaria, ha dimostrato che i bambini abituati a usare la scrittura manuale scrivevano con maggiore rapidità, con un numero superiore di parole ed erano in grado di esprimere una maggiore gamma di concetti rispetto a quelli che usavano la videoscrittura. La produzione scritta dei primi era migliore sotto tutti i punti di vista, consentendo prestazioni scolastiche superiori in ogni materia.


Un’altra ricerca presentata al Summit, effettuata dalla dottoressa Karin James, psicologa e docente di Neuroscienze dell’Indiana University, individuava due gruppi di bambini. Al primo era stato chiesto di scrivere a mano libera delle lettere e al secondo di osservare attentamente lettere tracciate da altri. Ai bambini sono state poi mostrate le stesse lettere sotto risonanza magnetica, che ha evidenziato come nei due differenti gruppi vi fosse una diversa attivazione delle aree cerebrali. Il gruppo che aveva scritto le lettere a mano presentava un’attività neurale più avanzata e adult-like.


Una dimostrazione di quanto la scrittura manuale sia più efficace di quella a video nell’elaborazione del pensiero è stata fornita nel 2014 da due studiosi americani, P.A. Mueller dell’Università di Princeton e D.M. Oppenheimer dell’Università della California. I due ricercatori hanno condotto un interessante esperimento: a 327 studenti universitari è stato chiesto di assistere ad alcune brevi lezioni; un primo gruppo doveva prendere appunti a mano, un secondo con l’uso di un laptop. A fine seminario, dopo una pausa di 30 minuti, sono state fatte delle domande sulla lezione seguita. Alle domande su fatti e situazioni gli studenti hanno dato risposte simili, ma alle domande su concetti e contenuti il gruppo che ha preso appunti a mano ha dato risposte nettamente migliori. Gli appunti presi al laptop risultavano più prolissi di quelli presi a mano, che al contrario erano più sintetici, e gli studenti con questi ultimi rispondevano meglio alle domande. Gli stessi risultati si sono ottenuti dopo una settimana, quando gli studenti hanno potuto rivedere e rielaborare gli appunti.


È evidente che scrivere appunti a mano favorisce la memorizzazione e che la sintesi immediata dei concetti che si opera al momento della scrittura richiede attenzione ed elaborazione, le quali favoriscono l’assimilazione delle nozioni.


Uno studio è stato condotto in Italia dal Professor Benedetto Vertecchi, pedagogista e linguista, su 386 bambini di scuola primaria di Roma e Ostia.


È stato chiesto a bambini di terzo, quarto e quinto anno della scuola primaria di scrivere un pensiero di 4/5 righe su un tema, il più possibile neutro, senza implicazioni religiose o sociali, tutti i giorni per quattro mesi. I risultati mostrarono che, seppure in un primo momento le produzioni risultavano più povere, con una sintassi difficoltosa e l’uso di molte parole per esprimere un concetto, alla fine del progetto gli scritti risultavano più ricchi, con una migliore sintassi, con meno errori di ortografia. I bambini hanno potuto migliorare le prestazioni grazie all’esercizio grafo-motorio, sfavorito dall’uso del tablet, migliorando le abilità di apprendimento, lessicali e di pensiero.


Le ricerche suffragano l’idea che la scrittura manuale debba essere tenuta in vita e applicata anche come strumento pedagogico e di sviluppo cognitivo, e che non venga considerata un mero strumento comunicativo, facilmente sostituibile dalla videoscrittura senza conseguenze.


Ma vi sono altri buoni motivi per favorire la scrittura a mano.


La scrittura manuale è un atto motorio che coinvolge tutto il corpo, necessita di capacità di controllo, percezione motoria, modulazione di tensione e respiro. La videoscrittura non richiede tale coinvolgimento fisico, e risulta quindi più povera di stimoli.


La scrittura manuale è facilmente accessibile, non inquina ed è economica: bastano un foglio e una penna. Si può utilizzare anche in situazioni difficili, come nel terzo mondo o in mancanza di dispositivi tecnologici o di energia elettrica; la videoscrittura non ha tutte queste caratteristiche.


Scrivere a mano è un atto a volte rilassante, a volte liberatorio, sicuramente umano e coinvolgente da un punto di vista emotivo. Ci mette di fronte al nostro sé e a nostri aspetti fisici e psicologici peculiari, cosa che la videoscrittura non fa.


Scrivere un biglietto o una lettera a mano è un dono che facciamo perché intimo e personale.


Conoscere il corsivo inoltre serve a decifrare scritture altrui e a leggere documenti del passato.


La scrittura manuale ha una storia, una sua evoluzione che ha accompagnato la civiltà umana ed è giusto che ogni individuo, e le future generazioni, siano legittimi e fieri possessori e beneficiari di questa sapienza secolare.


Non si tratta ovviamente di demonizzare la videoscrittura, ma come l’uso dell’automobile non esclude l’uso della bicicletta – semplicemente ne faremo un utilizzo differente – così anche la scrittura a mano e la videoscrittura sono strumenti che possono essere usati in base alle necessità. E tenendo presente che, al contrario di quel che si pensa oggi, sostituire la scrittura manuale con la videoscrittura non è un’operazione così proficua, dati alla mano.


Sottolineiamo infine che la scrittura manuale va comunque appresa correttamente e utilizzata abbastanza spesso per cogliere appieno le sue potenzialità, e che non può, e non deve, essere sostituita dalla scrittura su video.

Il piacere di scrivere a mano
Il piacere di scrivere a mano
Simona Cassarino
Fisiologia e pedagogia della scrittura, prevenzione della disgrafia.Rivalutare la scrittura manuale: strumento utile, funzionale, espressivo e formidabile per ogni individuo. Con esercizi e attività di pregrafismo e preparazione al gesto grafico. La scrittura manuale, personale e inimitabile, frutto di abilità cognitive e manuali, ha origini antiche perché ha accompagnato il cammino della civiltà ed è simbolo di sapere, mezzo di comunicazione ed espressione di sé.Oggi però il suo valore è messo in discussione dall’uso massiccio della videoscrittura e le grafie delle nuove generazioni sono sempre meno efficaci a causa dell’impoverimento delle capacità manuali.Il piacere di scrivere a mano è rivolto a tutti coloro che desiderano rivalutare la scrittura manuale, per riscoprirne il fascino, e a educatori e genitori che hanno il delicato compito di insegnarla ai bambini.In ambito pedagogico ed educativo il libro, ricco di esercizi e illustrazioni, intende offrire a insegnanti di scuola primaria e dell’infanzia strumenti e metodologie appropriate, volte a preparare il gesto grafico per la scrittura corsiva e stampatello, favorendo l’acquisizione di una grafia sciolta, chiara e armoniosa, e prevenendo problemi di difficoltà di scrittura.L’autrice propone inoltre moltissime attività di preparazione al gesto grafico e di sviluppo delle abilità di base attraverso il gioco, affronta le problematiche della scrittura manuale, della disgrafia e la sua prevenzione, valutando gli ostacoli dei soggetti con difficoltà di scrittura.Perché la scrittura manuale sia strumento utile, funzionale, espressivo e formidabile per ogni individuo, oggi e domani. Conosci l’autore Simona Cassarino, milanese, vive sulle sponde del lago d’Iseo, dove si occupa di disgrafia.Formata con l’Associazione Europea Disgrafie, svolge attività nelle scuole con progetti di educazione al gesto grafico e formazione insegnanti. Lavora come rieducatrice al gesto grafico con soggetti disgrafici ed esercita opera di divulgazione sulla scrittura manuale.