CAPITOLO II

Fisiologia della scrittura

Come funziona la scrittura manuale

La scrittura è la rappresentazione visiva e grafica, attraverso segni convenzionali, della lingua e del pensiero ed è insieme atto cognitivo e atto motorio. Molta attenzione viene posta agli ambiti della scrittura che coinvolgono l’aspetto linguistico, l’ortografia, la sintassi, e quello cognitivo di espressione della lingua; un po’ meno attenzione viene posta a un altro aspetto dello scrivere, quello motorio: il gesto grafico, che qui andremo a esaminare da vicino.


Scrivere è l’atto di motricità fine più specifico che l’uomo impari nella sua vita e necessita di un lungo apprendistato. Il cervello umano possiede tutte le potenzialità per imparare la scrittura, sarà poi l’apprendimento della stessa che svilupperà i processi neuronali specializzati a tal fine, passando da una fase di atto volontario (attraverso il circuito cortico-spinale) a una fase di automatizzazione del gesto che diventa spontaneo (attraverso il circuito cerebello-sottocorticale-spinale).


L’automatizzazione del gesto avviene tramite ripetizione, la quale non fa che tracciare un solco neuronale nelle zone preposte che rende il gesto spontaneo e automatico. È evidente quindi l’importanza di apprendere le tecniche grafo-motorie corrette e funzionali sin dalla più tenera età per non rischiare di automatizzare gesti inopportuni che poi è difficile correggere, per esempio l’impugnatura.


L’atto di scrivere consta di quattro fasi:

  • la decodificazione del fonema, cioè il riconoscimento delle unità acustiche e la scomposizione della parola nei singoli suoni delle lettere che la compongono.
  • l’associazione del fonema al grafema, cioè la correlazione del singolo suono alla lettera corrispondente nella sua forma grafica.
  • l’associazione del grafema allo specifico gesto che serve per rappresentarla graficamente.
  • l’esecuzione grafica, l’atto motorio necessario per eseguire le lettere.

Il cervello fa già un bel lavoro con il riconoscimento del fonema e l’associazione al grafema, a cui si aggiunge l’esecuzione materiale del tracciato, tramite l’uso di mano, braccio e dell’intero corpo, e l’attivazione dei sensi. Tutto questo lo facciamo automaticamente e a una velocità incredibile, ogni volta che vogliamo. Il nostro cervello esegue questo compito complesso e contemporaneamente analizza lo scritto, compie scelte, struttura il pensiero, ricorda. Allo stesso tempo ha consapevolezza di dove si trova e riceve informazioni sull’ambiente circostante, adegua la postura, la presa, la pressione. Questo dimostra quanto scrivere sia un processo che coinvolge l’intero organismo. È un atto strutturato, motorio e cognitivo, psicologico ed emotivo: possiamo dire che scriviamo con corpo e cervello.


Vorrei ribadire che per quel che riguarda la videoscrittura il processo è meno complesso, quindi meno ricco, perché non vi è un’associazione specifica e univoca tra un grafema e il gesto per tracciarlo per mezzo di uno strumento grafico, vi è solo il riconoscimento del grafema sulla tastiera e il gesto di premere il tasto, uguale per tutte le lettere. Manca quindi l’elemento coordinatorio, motorio e sensoriale, oltre che emotivo.

Da un punto di vista grafo-motorio la scrittura procede attraverso tre movimenti:

  • Il movimento di grande progressione: partendo dalla spalla e facendo perno sul gomito, il braccio si distende lungo il foglio per seguire la scrittura dell’intera frase. Si allunga da sinistra verso il bordo di destra. Finito il rigo torna a sinistra. Il braccio è appoggiato al piano per dare stabilità ma non pesantemente, deve mantenere una certa leggerezza, perché il braccio deve spostarsi e muoversi progressivamente, con movimento uniforme, sul foglio.
  • Il movimento di piccola progressione, che coinvolge il polso. Il polso si allunga sul foglio accompagnando lo strumento grafico nel tracciare la singola parola. Il polso si flette da sinistra a destra per disegnare la parola. La parte laterale della mano e il mignolo ripiegato sono appoggiati al piano, il che rende più salda la presa e precisa la scrittura; deve però “strisciare” sul foglio, verso destra, e non deve quindi essere appoggiato pesantemente.
  • Il movimento di inscrizione: viene eseguito dalle dita pollice, indice e, in collaborazione minore il medio su cui si appoggia la matita, intorno allo strumento grafico. Questo movimento permette l’esecuzione delle forme delle lettere. Pollice e indice, uniti a pinza sulla penna, eseguono un movimento di raptazione, cioè di allungamento e contrazione, che serve per tracciare le lettere, per eseguire allunghi, coppe e piccoli cerchi che compongono la scrittura.

Nel gesto delle dita, come descrive Robert Olivaux (medico francese, psicologo ed esperto di grafia e rieducazione alla scrittura),


Il movimento essenziale dell’atto scrittorio è il gruppo flessione-abduzione che determina la “coppa” (la “U” n.d.r.), gesto-tipo della nostra scrittura. La flessione provoca la discesa del tratto che l’abduzione continua verso la destra; sullo slancio dell’abduzione, l’estensione prepara l’attacco della lettera successiva, la sua attuazione; il gesto di abduzione interviene negli occhielli e in tutti i gesti di ritorno all’indietro1.


Da un punto di vista neurologico, descrive sempre Olivaux,


I nervi principali che intervengono nell’atto scrittorio sono tre. Essi determinano il funzionamento armonico di tutti i segmenti del braccio con l’azione dei loro muscoli estensori e flessori: il nervo mediano interviene sui flessori delle dita nei tracciati verticali discendenti; il nervo radiale interviene sugli estensori nella risalita del tracciato dopo la flessione; il nervo cubitale comanda l’appoggio dello strumento creando la pressione della scrittura. In realtà si tratta di una vera e propria collaborazione, di un’organizzazione d’insieme, di una perfetta sinergia: quando si esegue il gesto, tutte le parti del braccio e le loro trentaquattro articolazioni sono in una posizione e in una relazione precisa e determinata sia tra di loro che in rapporto all’insieme2.


I movimenti di grande progressione, piccola progressione e inscrizione determinano il gesto grafico, ma vi sono altri aspetti importantissimi che incidono sull’atto dello scrivere. Il primo di questi è la tensione del braccio e della mano.


Scrivere è un atto di equilibrio tra tensione e distensione. La contrazione muscolare necessaria per compiere i movimenti di progressione, presa e raptazione deve essere modulata, la muscolatura deve essere in qualche modo dosata e alleggerita dal rilascio di quella del braccio. L’equilibrio è delicato ma fondamentale per una scrittura armoniosa e non faticosa.


Una eccessiva contrazione muscolare del braccio rende faticoso l’atto di scrivere. Molte persone ritengono faticoso scrivere, rilevano affaticamento dopo qualche riga di scrittura e dolore alla mano; questo può essere dovuto proprio a un mancato rilassamento del braccio. Al contrario, utilizzare un’energia adeguata economizza le forze e non stanca il braccio permettendo di scrivere lungamente senza problemi. Un’eccessiva tensione può portare anche problematiche a livello di spalla e di schiena.


Bisogna quindi fare attenzione alla tensione che sentiamo nel braccio quando scriviamo. Dobbiamo porci con la penna in mano in uno stato di rilassamento del braccio, sentendo poi uno sforzo muscolare minimo durante l’esecuzione del tracciato. La giusta impugnatura dello strumento grafico è necessaria per non creare tensione nel braccio.


Se abbiamo un problema di tensione nello scrivere, con dolore o affaticamento, imparare a rilassare il braccio potrà farci scoprire un piacere nella scrittura che non conoscevamo. Se si sono instaurati, probabilmente fin dall’apprendimento, dei meccanismi automatici scorretti con un’eccessiva ritenzione della muscolatura e una presa stretta, non conosciamo un modo diverso da quello che utilizziamo e pensiamo che scrivere sia tensione e fatica per tutti, non sapendo che è solo un atteggiamento errato che abbiamo acquisito. Se ce ne accorgiamo possiamo sempre porre rimedio, a qualunque età, prima di tutto prendendo coscienza della tensione del nostro braccio scrivente e poi sciogliendola con qualche esercizio di rilassamento del braccio e di respiro.


Insegnanti, genitori ed educatori dovrebbero fare molta attenzione al proprio modo di scrivere in modo da insegnare la scrittura in maniera corretta e offrire un buon modello di gesto grafico da imitare, ma è altrettanto importante che trovino gradevole scrivere per poter trasmettere il proprio piacere nella scrittura ai bambini; se il piacere non c’è a causa di tensioni e fatica, non può essere trasmesso.


Un aspetto correlato alla tensione nel braccio è la pressione sul foglio. La pressione della penna sul foglio rivela il dinamismo di base del soggetto scrivente. Ognuno ha caratteristiche fisiologiche e psicologiche differenti e ognuno ha un’energia di base, una sorta di impronta genetica, che lo caratterizza; questa può essere influenzata da fattori psicologici, culturali ed educativi, ma fondamentalmente rimane invariata e ci è peculiare. Basti pensare alla velocità del passo con cui camminiamo, c’è chi è più veloce e chi è più lento, oppure c’è chi mangia con voracità e chi mastica lentamente, e così in ogni aspetto prettamente spontaneo dell’individuo. Così anche la traccia che lascia la penna sul foglio, più premuta o più leggera, dipende dall’energia inconscia, fisiologica e intrinseca dell’individuo. Un tracciato premuto è caratteristico di una persona volitiva, con una forte energia, mentre uno leggero è proprio di una persona più sensibile e veloce. Non è quindi un aspetto della scrittura che va corretto o adeguato a un unico modello. Vero però che una eccessiva pressione rende lo scritto faticoso, tende a non scorrere sul foglio e a volte arriva a bucarlo. Se quindi il tratto è troppo premuto bisognerà alleggerirlo mediante esercizi specifici, nonché, anche in questo caso, attraverso il rilassamento del braccio e rilasciando una presa dello strumento grafico troppo energica, stretta, tesa o disfunzionale.


Un altro aspetto da prendere in considerazione nel gesto grafico è il respiro.


Il respiro accompagna tutta la nostra vita, nel sonno come nella veglia. È simbolo di vita, indicatore emotivo, ha aspetti fisiologici, fisici, pratici e risonanze poetiche (“la cadenza che di notte mi posa sulla guancia la rosa solitaria del respiro”, Garcia Lorca).


Sappiamo bene quanto sia importante il respiro nella ginnastica, nello sport, nel canto, nella meditazione, nel suonare uno strumento. Siamo consapevoli che il respiro è un atto spontaneo ma che può esse modulato, educato, controllato in base a diverse esigenze, perché il respiro aiuta, accompagna e coordina certe attività, pensiamo a quanto sia difficile eseguire un esercizio ginnico se non è accompagnato da una giusta coordinazione del respiro. La stessa cosa avviene nella scrittura, lo scritto fluisce come fluisce il respiro. Un respiro affannoso, o peggio, l’apnea, ostacolano il processo di scrittura.


Il respiro aiuta il rilassamento del corpo e del braccio, dona il passo, l’incedere alla scrittura, e deve quindi essere largo e ritmato.


Il respiro va all’unisono con il ritmo della scrittura. Anche la velocità del tratto, come la pressione, è un aspetto individuale; la scrittura di alcune persone è ponderata e la forma delle lettere minuziosamente costruita a scapito della velocità, in altre il tratto è rapido e febbrile, tra l’una e l’altra ci sono tutte le sfumature del caso. Nessuna modalità è migliore di un’altra, la bellezza della scrittura a mano è proprio lì, in tutti i casi però ritmo e respiro giocano un ruolo importante.


Ritmo e respiro permettono alla mano di procedere sul foglio in modo fluido, di dare alla scrittura, che sia rapida o lenta, una cadenza uniforme, permettono di tracciare linee, coppe e curve con una scansione ordinata, senza arresti e disarmonie.


La scrittura è un’epifania, una coordinazione equilibrata di tutti questi fattori, tensione, pressione, ritmo e respiro. La conoscenza delle lettere dell’alfabeto non basta, non sono le lettere che fanno la scrittura, ma una fusione armonica di intelletto e gesto.


L’aspetto meraviglioso della scrittura corsiva è che, di fatto, si tratta di un filo che si dipana più o meno senza interruzioni. La regola del corsivo è che la penna, durante il tracciato di una parola, non si deve staccare mai dal foglio se non davanti agli occhielli (o, a, g, d, q), la struttura del corsivo è composta da lettere con segni semplificati per essere eseguiti in un unico gesto e legati tra loro, che lo rendono scorrevole e non faticoso. Nelle scritture adulte però, quindi dopo la fase calligrafica, ognuno trova le proprie strategie per eseguire il tracciato in base alle sue scelte consce e inconsce; c’è chi scrive senza staccare la penna dal foglio, a volte neanche per fare le stanghette alle T, chi esegue raggruppamenti di lettere nella parola prima di alzare la penna, oppure chi opta per una scrittura staccata, con frequenti alzate di penna.


Scopo del corsivo è di essere veloce e leggibile. Un modello di scrittura quali lo stampato maiuscolo e lo script, per cui si deve staccare la penna a ogni lettera, e anche all’interno della lettera stessa, rendono la scrittura più lenta e frammentata. Lo so, molte persone scrivono velocemente anche in stampatello, ma rimane un modello grafico che risulta più come un singhiozzo che come un respiro teso; utile in certi casi, ma che non dovrebbe sostituire il corsivo. Alcuni studi rivelano che la struttura legata del corsivo favorisce la continuità del pensiero. Non sottovalutiamo poi l’eleganza di una mano che esegue un tracciato continuo e sinuoso, e non spezzettato. Lo stampatello uniforma le scritture, che risultano meno personali, infatti le scritture staccate di script e stampatello sono più stereotipate. Inoltre il corsivo necessità di più abilità e risulta quindi mentalmente più stimolante.


Il corsivo, nel suo distendersi, intriga come una voce narrante, si tende come il suono di un violino, esegue arabeschi, si tuffa, si rialza, si allunga, circola, vibra. Il filo della scrittura si sviluppa e procede sul foglio come una traccia, un sentiero, un disegno. La mano scorre sul foglio, le dita si muovono abili e con grazia; costruiscono forme, eseguono percorsi, disegnano colline, onde, cerchi, ghirlande, occhielli, affondano nel basso profondo, si allungano verso l’alto etereo, sembra che giochino.


Quando scriviamo a mano il foglio è la scena su cui si svolge l’azione. Che tipo di carta useremo? Dipende dal contesto, dal materiale che abbiamo sottomano o sceglieremo o cercheremo, per redigere lo scritto: un foglio di pergamena ricercato o un semplice foglio di blocknotes, un foglio colorato o un foglio bianco A4. Già la scelta del supporto indicherà il contenuto e la nostra inclinazione verso lo stesso, la nostra intenzione. È già l’organizzazione di un progetto.


Anche la scelta dello strumento grafico rientra nella messa in scena, potremo usare una matita o una penna, e il colore dell’inchiostro darà una diversa sfumatura al contenuto.


Lo scritto verrà progettato e organizzato in base al foglio, al volume delle informazioni che abbiamo intenzione di inserire, al tempo che abbiamo a disposizione, alla quantità e dimensione del materiale cartaceo: già prima di scrivere abbiamo elaborato un piano ben organizzato, salvo poi eventuali colpi di scena, allora lo scritto si allunga o si accorcia sulla scia di qualche trasporto emotivo o nuove idee che non avevamo valutato. Pensate quindi che lavoro logico, cognitivo, predittivo, analitico compiamo con il semplice decidere di scrivere un documento a mano.


L’impaginazione ha delle sue regole ma queste saranno rielaborate in base al nostro gusto e alle nostre tendenze. Il fatto di scrivere da sinistra verso destra è una convenzione imprescindibile, ma lo spazio che lasceremo ai margini, tra il bordo del foglio e lo scritto, se le parole e le righe saranno vicine e serrate o distanziate e ariose, lo sceglieremo noi, e non sarà solo un fattore di estetica, entrano in gioco pulsioni, filosofia di vita, atteggiamenti inconsci.


Su questa scena si andrà a dispiegare il tracciato della nostra scrittura, diversa a seconda dell’umore, del destinatario, dell’ora del giorno, del contenuto.

Strumenti grafici

Anche la scelta dello strumento grafico è personale, c’è chi preferisce scrivere a matita, chi con la penna a sfera blu o nera. C’è chi ama le roller o le penne a gel. La stilografica è per estimatori.


La matita offre più attrito sul foglio e spesso viene preferita da chi teme la scivolosità della penna (o l’irreversibilità dell’inchiostro). In fase di apprendimento, nella scuola dell’infanzia e nel primo anno di scuola primaria, per eseguire pregrafismi, la matita è sempre preferibile alla penna. La matita offre più resistenza nello scorrere sul foglio e si ha quindi più controllo, perché il tratto risulta rallentato, non scivola via.


La biro ha un inchiostro oleoso non troppo scorrevole, tende quindi ad essere più controllabile nel tratto delle roller che hanno un inchiostro più liquido a base acquosa e quindi hanno un tratto più fluido. L’inchiostro delle roller tende a marcare il foglio che lo assorbe in fretta, il tratto risulta quindi più pastoso ed espressivo. Le penne a gel danno una sensazione di morbidezza mentre si scrive e l’inchiostro risulta indelebile e molto resistente, da preferire quindi in caso di necessità di durata dello scritto.


Ognuno ha le sue preferenze, i diversi tentativi ci faranno scoprire quale sarà il nostro strumento grafico prediletto. Non da ultimo giocherà il fattore estetico, esistono penne di tutte le fogge e di tutti i colori.

Questa benedetta impugnatura

Come precedentemente illustrato, la presa ideale, funzionale, armonica ed efficace è la “tripode dinamica”. Lo strumento grafico viene afferrato con il pollice e l’indice con un movimento a pinza e si appoggia sul medio. Questo permette alle tre dita di effettuare dei movimenti di allungamento e ritenzione, e di piccoli cerchi e semicerchi. La presa deve essere morbida, le dita non devono essere strette, serrate sulla penna, altrimenti i piccoli movimenti non si possono effettuare o si effettuano con fatica.


Nessun altro tipo di presa permette il movimento di inscrizione, tranne la presa “a sigaretta”, con la matita presa tra indice e medio come una sigaretta appunto, ma è piuttosto rara.


Le altre prese non permettono il movimento di inscrizione delle dita e costringono lo scrivente a utilizzare polso e braccio per disegnare le lettere, azione faticosa e a volte dolorosa, in tutti i casi disfunzionale e inadatta.


Una volta, a una festa a cui ero presente, fu chiesto ai partecipanti di scrivere un pensiero su di un foglio. Ognuno aveva carta e penna; mi guardai intorno, per deformazione professionale, a osservare le impugnature degli astanti. Erano per lo più tutti giovani sotto i 30 anni e non ce n’era uno con l’impugnatura corretta. Solo i presenti più âgé avevano un’impugnatura adeguata.


Mi duole constatare che i giovani oggi hanno quasi sempre un’impugnatura errata. Temo non si insegni più, inoltre credo sia difficile apprendere una corretta impugnatura se non si hanno esempi validi di giuste impugnature, che pare stiano scomparendo. Sembra che la generazione dei quarantenni di oggi sia l’ultima di cui le impugnature siano quasi sempre corrette.


Il fatto è che fino agli anni ottanta del ’900 si imparava a impugnare la penna da generazioni di genitori e insegnanti che avevano appreso a tenere in mano la penna a scuola, a sei anni e non prima, da severe insegnanti che impostavano l’impugnatura da zero, sul modello di “penna e calamaio”, con una impostazione ben precisa e non lasciata al caso. I modelli da imitare quindi, fino agli anni ottanta, avevano prese corrette.


Oggi i bambini, alla scuola dell’infanzia e anche prima a casa, hanno la possibilità di utilizzare pastelli e pennarelli e disegnare o sperimentare i primi grafismi in età precoce, con il risultato che, non avendo modelli di riferimento corretti e se non indirizzati adeguatamente, finiscono col trovare da soli un modo di impugnare matite e pennarelli; per questa ragione le impugnature sono quasi sempre errate e non funzionali.


Negli anni ’60 si era poi diffusa un’idea educativa per cui il bambino deve essere libero di sperimentare e non deve in nessun modo essere limitato, ma lasciato libero di esprimere la sua individualità (mi riferisco, per esempio, a Benjamin Spock, pediatra statunitense – 1903-1998). Per lo più idee rivoluzionarie per cui non si vedeva più il bambino come un vaso vuoto da riempire, privo di peculiarità e da irregimentare, idee che hanno avuto molti risvolti positivi e che hanno dato il via a una nuova pedagogia. Purtroppo nell’ambito della scrittura questa nuova visione non ha affatto portato dei benefici, perché la scrittura ha delle regole di esecuzione ben precise e funzionali e lasciare i bambini liberi di decidere che impugnatura o che postura utilizzare li può portare a trovare modi per lo più bizzarri e disfunzionali.


La presa dello strumento grafico non viene assimilata nella scuola primaria quando si inizia a scrivere ma avviene molto prima. Quando il bambino inizia la scuola primaria ha già utilizzato in gran quantità matite, pennarelli e pastelli, ha già disegnato, eseguito pregrafismi, di solito sa scrivere il suo nome; ha già acquisito e interiorizzato la presa della matita. Bisogna quindi agire per tempo. Già a tre anni, quando sperimenta i primi scarabocchi, si può mostrargli come impugnare bene la matita. Bisogna mostrare la giusta presa, aiutandolo, senza forzare, a tenere bene la matita, come facciamo quando gli si insegna a usare le posate: invitandolo a osservare l’esempio degli adulti ed esortandolo a impugnare correttamente forchetta e cucchiaio. Se necessario, e di solito lo è, bisogna riprenderlo e correggerlo più volte, serenamente e con pazienza; l’apprendimento ha tempi lunghi.


Le insegnanti di scuola dell’infanzia dovrebbero fare particolare attenzione alla presa dei loro piccoli alunni; faremo loro sicuramente un gran favore a impostare o correggere l’impugnatura prima che si instaurino cattivi automatismi.


Le insegnanti di scuola primaria farebbero bene a pensare di lavorare sull’impugnatura nel primo periodo del primo anno di scuola, in contemporanea, o precedendo, ai primi grafismi e all’insegnamento della scrittura, con esercizi mirati di manualità fine e specializzazione della mano scrivente.

Mettiamoci in testa una volta per tutte che la presa più efficace ed ergonomica è la tripode dinamica.

L’impugnatura corretta è la “tripode dinamica”. Le dita afferrano lo strumento grafico sopra la punta con pollice e indice, il medio funge da appoggio. Anulare e mignolo ripiegati sono appoggiati sul foglio (Fig. 1)
Questa presa è l’unica che consente il movimento di “raptazione”, cioè l’allungamento in avanti (Fig. 2) e la ritenzione delle dita (Fig. 3), movimento necessario per disegnare coppe, archi, cerchi e allunghi proprie della scrittura in corsivo e stampato.

Questo tipo di presa è l’unica, ripeto, l’unica che permette il movimento di inscrizione, quello che consente i piccoli movimenti delle dita per tracciare le lettere tonde e ad arco e gli allunghi in alto e in basso, senza fatica e senza andare a scomodare mano, polso, braccio e spalla.


Una presa scorretta rende meno fluida la scrittura, spesso diventa rigida e comporta un notevole dispendio di energia. Una cattiva presa porta a dolori alla mano e al braccio e a un notevole affaticamento. Con una presa scorretta sono di solito quei bambini o ragazzi che, dopo aver scritto qualche riga, cominciano a scrollare la mano scrivente vigorosamente, operazione che serve per defaticare la mano, per rilassarla.


È ovvio che un bambino che trova faticoso e disagevole scrivere non amerà mai la scrittura e finirà per evitarla il più possibile, limitando anche la produzione scritta.


Scrivere invece non costa nessuna fatica sempreché si usino i modi corretti. È fondamentale che gli insegnanti della scuola dell’infanzia e della primaria, ma anche e soprattutto i genitori, si attivino quanto prima nell’impostazione della corretta impugnatura. La presa errata è una delle principali cause di difficoltà di scrittura.

Stadi evolutivi della scrittura

La capacità di scrivere, le abilità e le competenze necessarie non giungono al bambino il fatidico primo giorno di scuola. Il bambino non è colpito da un raggio ultraterreno entrando nell’atrio della scuola primaria che lo rende automaticamente abile alla scrittura. Le abilità necessarie all’apprendimento e all’utilizzo della scrittura sono il frutto di una serie di esperienze pregresse fatte alla scuola dell’infanzia e a casa, durante il gioco, l’esercizio fisico, le attività didattiche. La scrittura è l’ultima tappa di un processo di apprendimento che parte dai primi esperimenti grafici, passando dagli scarabocchi e poi dal disegno.


La qualità dell’attività grafica di un bambino di sei anni che inizia la scuola primaria dipende da diversi fattori: dal suo livello di sviluppo psicomotorio, dalla sua consapevolezza dello schema corporeo, dallo sviluppo delle capacità visuo-spaziali, dalla lateralizzazione ecc. Ogni bambino ha un suo percorso individuale che dipende dal suo personale bagaglio di esperienze e dalle proprie peculiarità fisiche, fisiologiche e psicologiche.


Il percorso evolutivo della scrittura di un individuo parte da molto lontano, dalla protoscrittura del bambino, e quindi dallo scarabocchio.


Il bambino, già dai 18, 24, 30 mesi, giocando con la pappa, la terra o le tempere, comincia a comprendere che riesce a lasciare una traccia visiva su una superficie, con le mani e con degli strumenti. Si tratterà di macchie e linee frutto di scariche motorie, spontanee e impulsive, tuttavia questi primi tentativi gli faranno comprendere il rapporto causa-effetto tra i suoi gesti e le tracce lasciate e, se incoraggiato e motivato, continuerà nella sua personale ricerca, procedendo per gradi a una maturazione del gesto.


Quando sarà in grado di afferrare uno strumento grafico comincerà, se messo nelle condizioni, a tracciare i primi scarabocchi.


Anche lo scarabocchio ha una sua evoluzione nel tempo che procede in base all’esperienza del bambino e alla sua maturità neurologica e psicofisica e attraversa diversi stadi.


Il primo stadio è quello dello scarabocchio motorio: intorno al secondo, terzo anno di età, il bambino comincia a tracciare i primi segni su un foglio. In questo stadio evolutivo usa tutto il corpo in questa attività. Prevale l’impulsività del gesto e infatti le linee tracciate non hanno una direzione o un verso, spesso sono rotatorie perché il bambino usa spalla e braccio senza l’appoggio del gomito, e la pressione è continua. I segni sono spesso monocromatici, non c’è una scelta ponderata dei colori né dello strumento grafico, usa lo strumento che ha a disposizione e che lascia una traccia più visibile. L’energia è tale che il tratto è rapido e spesso esce dai margini del foglio. Non esegue forme particolari ma poco a poco, a seguito dei continui tentativi, comprende che la traccia che compare sulla superficie la lascia lui, con la sua attività, e cercherà di controllarla. La presa sarà tendenzialmente a pugno.

Il secondo stadio è quello dello scarabocchio coordinato: con lo sviluppo psicomotorio la mano e il braccio diventano più abili, si osserva una graduale coordinazione motoria di spalla, braccio e mano, e a tre anni comincia ad esserci una prensione di tipo digitale. Il braccio comincia a poggiarsi sul tavolo col gomito. In questa fase i tracciati cominciano a diventare intenzionali e a ricercare una forma con linee chiuse riuscendo a rimanere nei margini del foglio. Il tratto rallenta e la produzione generale dipende dallo stato d’animo del bambino.


Lo stadio della presentazione è il terzo: verso i quattro anni il bambino comincia a rappresentare oggetti conosciuti e ad associare forma e nome riconoscendo le forme-oggetti riprodotte anche a distanza di tempo. Acquisendo le categorie mentali quali dimensione, colore ecc. le forme cominciano a essere realistiche.


Il quarto stadio dello scarabocchio è lo stadio della rappresentazione: dal quarto anno di età cominciano ad apparire degli schemi rappresentativi: lo schema-uomo, lo schema-casa, lo schema-albero. Sono dei pattern, delle rappresentazioni semplificate, per riprodurre la realtà. Il bambino tende a ripeterli continuamente, perfezionandoli e arricchendoli di particolari verso i quattro, cinque anni. È in questa fase che troviamo il cosiddetto fenomeno della trasparenza, per il quale un bambino non disegna ciò che vede di un oggetto ma ciò che sa di lui: per questo, per esempio, la casa è rappresentata dall’esterno mostrando mobili o persone che sono all’interno; non perché li veda, ma perché sa che sono lì.


A sei anni le dimensioni sono realistiche e comincia a disegnare ciò che vede.


I disegni della prima infanzia hanno una loro dignità e un loro fascino, pensiamo a quanto l’arte moderna abbia attinto dagli scarabocchi dei bambini. Cesare Brandi, critico d’arte, scrive “Il bambino disegna o cerca di fissare quel che ha estratto da quel che vede, e, con quel che ha estratto da quel che vede, non mira a una rassomiglianza con l’oggetto che vuole rappresentare, ma con lo schema rudimentale che se n’è formato”3. Le avanguardie artistiche del ventesimo secolo vedono nel bambino una pura macchina della visione sorgiva, tant'è che Kandinsky, Klee, Matisse, Picasso, Mirò e Dubuffet collezionano disegni infantili.

L’importanza del disegno

Con lo sviluppo il bambino riesce a rappresentare graficamente un modello mentale. Fortunatamente di solito i bambini amano disegnare perché il disegno è propedeutico alla scrittura in quanto permette di migliorare le abilità di base necessarie, come la coordinazione oculo-manuale per esempio, che è importante in quanto è la capacità della mano di seguire i movimenti dello sguardo sul foglio.


Il disegno permette altresì lo sviluppo della percezione e della gestione dello spazio-foglio, del controllo del gesto grafico, della tonicità muscolare, della presa e dell’attenzione. Pare quindi chiara l’importanza del disegno nello sviluppo delle abilità di base per la scrittura.


Il disegno non è quindi solo divertimento e il bambino va invitato a disegnare quanto più possibile. Ad alcuni bambini piace di più e ad altri meno, nessun problema, ognuno ha le sue peculiarità; non può essere però evitato del tutto anche se non particolarmente gradito. In questo caso si possono coinvolgere i bambini con giochi o attività divertenti che comportino il disegno, per esempio giocare a farne uno e indovinare il più in fretta possibile cosa l’altro sta rappresentando, disegnare e far disegnare i loro oggetti o animali preferiti, farne da regalare ai nonni o alle maestre, come fosse un regalo bellissimo perché prezioso.


Se un bambino non ama molto il disegno non è un problema, è soggettivo, ma meglio comunque assicurarsi che non vi siano delle ragioni fisiologiche che glielo rendono sgradevole, quali un problema di vista, una disagevole presa della matita, difficoltà visuo-spaziali, un braccio ipotonico.

Si comincia a scrivere

Una volta che il bambino ha acquisito, tramite il gioco e le attività educative, tutto il bagaglio di competenze che gli servirà per affrontare la scuola primaria, è pronto anche per imparare a scrivere. Un apprendimento importante e fondamentale che è accompagnato da ansie e aspettative che coinvolgono anche la sua vita emotiva.


Di fatto scrivere pare il grande salto da compiere per passare da infante a bambino; nonni, zii, insegnanti non fanno che ripetere al piccolo che a scuola imparerà a scrivere, si immagini quindi di che ansia e di quale curiosità la scrittura è ammantata per il novello alunno.


Se da una parte è un bene incuriosire il bambino verso la scrittura, un’attività di cui solo “i grandi” conoscono le regole come fosse qualcosa tra il magico e l’ingegneristico, dall’altro forse non bisogna enfatizzare troppo. Non è bene trasmettere l’idea che sia qualcosa di molto complicato e faticoso, cosa che potrebbe spaventare e far partire col piede sbagliato; né che sia una cosa molto semplice da imparare, perché il training è lungo e complesso e il bambino rischierebbe di sentirsi tradito o incapace.


Il messaggio, a mio parere, dovrebbe essere che la scrittura è qualcosa che imparerà ora che è grande e pronto, e che è qualcosa di molto bello, utile e piacevole, che ci vorrà del tempo per imparare bene ma che insegnanti e genitori lo aiuteranno in questo percorso.


Il bambino si troverà al primo anno di scuola primaria con una serie di competenze che deve aver maturato per iniziare a imparare a scrivere. È quindi necessario che il bambino abbia sufficientemente sviluppato le abilità di base necessarie; andiamo a vedere quali nello specifico:

  • Lo sviluppo del sistema nervoso: questo deve essere adeguato all’età. Necessario, in caso di dubbio, assicurarsi che non vi siano dei deficit di ordine cognitivo o neurologico.
  • La conoscenza dello schema corporeo: il corpo fa da punto di riferimento spaziale e la conoscenza del proprio corpo rende consapevoli ed efficaci i movimenti e l’utilizzo degli arti.
  • L’orientamento spaziale: per discriminare destra e sinistra, l’alto e il basso, la direzionalità del tratto.
  • L’organizzazione spaziale: per sapersi muovere sul foglio, gestire lo spazio-foglio e organizzare lo scritto.
  • La lateralità: per la scelta della mano scrivente.
  • La coordinazione oculo-manuale: la capacità della mano di seguire l’occhio che si sposta sul foglio per dirigere il tratto.
  • Lo sviluppo motorio: per il controllo del corpo e del gesto.

Sviluppate e valutate le abilità di base, il bambino è pronto per imparare a scrivere.


Bisogna sempre assicurarsi che il bambino abbia raggiunto tutte le tappe necessarie prima di cominciare il training della scrittura. Vedo spesso genitori che insistono nell’insegnare ai bambini a scrivere precocemente, o quanto meno a invitarli a scrivere presto, prima dell’inizio della scuola primaria. Certo, vi sono bambini molto incuriositi dai processi di scrittura che spesso, autonomamente, ne intuiscono il meccanismo e cominciano a scrivere precocemente, già alla scuola dell’infanzia. Questo è comprensibile e non va ostacolato. A volte però sono i genitori che insistono affinché il bambino cominci presto a scrivere, pensando sia un segno di precocità e intelligenza.


Da un punto di vista didattico non è mai bene forzare i tempi. Come detto in precedenza, bisogna che tutte le abilità di base per la scrittura siano acquisite per un apprendimento armonico ed efficace; per esempio è inutile che un bambino sappia scrivere delle parole se la coordinazione motoria generale non è ben sviluppata perché il gesto grafico ne risentirebbe. C’è tutto il tempo alla scuola primaria per imparare a scrivere, quindi non c’è bisogno di precorrere i tempi, tanto più che senza una preparazione adeguata il bambino rischia di acquisire modalità scorrette poi difficili da rieducare. Non cerchiamo di forzare i tempi a scapito della qualità dello scritto, saper riconoscere e riprodurre dei segni alfabetici senza cura, con poca destrezza, senza avere coscienza della direzionalità, delle dimensioni, della pressione esercitata non è saper scrivere, rischiamo di dare un’informazione scorretta al bambino. L’intelligenza del bambino non si misura dalla precocità nella scrittura.


Se esiste una genuina curiosità verso la scrittura da parte di certi bambini è giusto soddisfarla, ma stiamo sempre attenti al gesto grafico, all’impugnatura, alla postura, alla pressione, all’armonia dello scritto, senza affrettare le cose. Scrivere non è un atto spontaneo ma un linguaggio simbolico assoggettato a regole precise e convenzionali che è necessario apprendere.


Come abbiamo visto, l’atto dello scrivere, anche se ordinario e quotidiano, è in realtà complesso e farlo proprio e assimilarlo richiede tempo e disciplina.


Se andiamo a osservare un giovane alunno alle prese con i primi approcci con la scrittura, vediamo che i suoi primi tentativi sono caratterizzati da un’energia mal canalizzata, c’è poca coordinazione e il bambino tende a muovere braccio, spalla, mano contemporaneamente; il busto è inclinato in avanti, il viso è vicino al foglio, il gomito non è un punto fermo, il polso è rigido, l’avambraccio è appoggiato sul tavolo oppure fluttuante. Solo con il tempo e i dovuti accorgimenti il bambino acquisisce la padronanza del gesto, il busto è eretto e staccato dal tavolo, il capo si solleva, il braccio si rilassa, la mano e le dita si muovono abilmente. Tutto questo avviene con una pratica graduale e con esercizi finalizzati.


A partire dai primi tentativi fino ad arrivare alla piena maturità la scrittura attraversa diverse fasi.


Julian de Ajuriaguerra, neuropsichiatra e psicoanalista di origine basca ma vissuto in Francia e che si è occupato lungamente di scrittura e disgrafia, individua tre fasi di apprendimento:


Fase pre-calligrafica: va dai 5/6 anni agli 8, cioè dal primo approccio con la scrittura all’acquisizione del gesto grafico. È la fase più difficoltosa e faticosa in cui il bambino deve acquisire tutte le regole: postura, impugnatura, la forma delle lettere, la relazione fonema-grafema ecc. In questa fase riscontriamo lentezza, pressione pesante, tremolii, riprese perché l’attenzione è concentrata sulla costruzione delle singole lettere. L’immaturità si nota nella maldestrezza e dalla scarsa agilità nell’usare lo strumento grafico. Dopo un primo momento di incertezza, nel secondo anno di scuola, la scrittura comincia ad essere più sicura, curata e aderente al modello, più precisa e ordinata. Se la scrittura appare disturbata potrebbe essere dovuto a mancati apprendimenti precedenti. Ogni bambino reagisce a modo suo all’incontro con la gestione dello spazio, dello strumento grafico e dell’elaborazione del segno. In questa fase si possono già notare le differenze tra bambino e bambino, differenze di pressione, controllo, precisione, dinamismo, in base a differenze caratteriali e di abilità psicomotorie.


Fase calligrafica: va dagli 8/9 anni ai 12. In questa fase le maggiori difficoltà grafo-motorie sono state superate, la scrittura è stata acquisita e si va consolidando. Rimane l’aderenza al modello scolastico, e di fatto le grafie in questa fase si assomigliano tutte perché si adeguano al modello ideale proposto dalla scuola. Si possono notare le prime personalizzazioni ma la grafia rimane conforme al modello. Di fatto alcune personalizzazioni potrebbero essere degli escamotage per aggirare delle difficoltà grafo-motorie e sono infatti un indice da valutare in caso di problematicità di scrittura. Le personalizzazioni in questa fase possono essere un modo semplificato di eseguire le lettere che il soggetto utilizza perché ha difficoltà a eseguirle in modo corretto; e sono cosa diversa dalle personalizzazione della scrittura in età adolescenziale.


La scrittura, in questa fase, diventa più veloce perché il bambino ha acquisito destrezza e automatismi. È la fase in cui si sviluppano le basi per una scrittura fluida e corretta che porteranno a elaborare la propria personale scrittura. È spesso in questo periodo che vengono a galla difficoltà di scrittura e disgrafie.


Fase post-calligrafica: coincide con la preadolescenza in cui gli equilibri tendono ad andare in crisi, anche per l’intervento degli ormoni. La personalità comincia a delinearsi e anche il modello di scrittura scolastico viene abbandonato per elaborare una scrittura personale che maturerà con la crescita e che rispecchierà, in qualche modo, la personalità e il temperamento dello scrivente. Ogni individuo elabora una sua personale scrittura che risponde a sue peculiari tendenze, inclinazioni, energie, pulsioni, come ogni prodotto artistico o personale.


Si possono notare, in questa fase di stravolgimenti, dei peggioramenti nella scrittura, con meno ordine, una gestione dello spazio invadente, dimensioni del calibro che si allargano o si restringono; sono spesso dovuti ai tentativi di ricerca di una propria grafia, e anche a uno stato agitativo tipico di questa età.


L’evoluzione della scrittura non si arresta certo con il periodo dell’adolescenza ma continua a definirsi con l’età, accompagnando la maturità psicologica del soggetto.

Partendo da un modello ortografico di base, imparato nei primi anni di scuola e più o meno simile per tutti, il modello verrà rielaborato, rimodellato da ognuno in base alle proprie inclinazioni e pulsioni profonde e inconsce, a modelli culturali e sociali coevi, e alla volontà di creare una grafia che rappresenti la persona che si vuole mostrare agli altri. Saranno queste tre spinte che creeranno la grafia peculiare di ognuno.

Il piacere di scrivere a mano
Il piacere di scrivere a mano
Simona Cassarino
Fisiologia e pedagogia della scrittura, prevenzione della disgrafia.Rivalutare la scrittura manuale: strumento utile, funzionale, espressivo e formidabile per ogni individuo. Con esercizi e attività di pregrafismo e preparazione al gesto grafico. La scrittura manuale, personale e inimitabile, frutto di abilità cognitive e manuali, ha origini antiche perché ha accompagnato il cammino della civiltà ed è simbolo di sapere, mezzo di comunicazione ed espressione di sé.Oggi però il suo valore è messo in discussione dall’uso massiccio della videoscrittura e le grafie delle nuove generazioni sono sempre meno efficaci a causa dell’impoverimento delle capacità manuali.Il piacere di scrivere a mano è rivolto a tutti coloro che desiderano rivalutare la scrittura manuale, per riscoprirne il fascino, e a educatori e genitori che hanno il delicato compito di insegnarla ai bambini.In ambito pedagogico ed educativo il libro, ricco di esercizi e illustrazioni, intende offrire a insegnanti di scuola primaria e dell’infanzia strumenti e metodologie appropriate, volte a preparare il gesto grafico per la scrittura corsiva e stampatello, favorendo l’acquisizione di una grafia sciolta, chiara e armoniosa, e prevenendo problemi di difficoltà di scrittura.L’autrice propone inoltre moltissime attività di preparazione al gesto grafico e di sviluppo delle abilità di base attraverso il gioco, affronta le problematiche della scrittura manuale, della disgrafia e la sua prevenzione, valutando gli ostacoli dei soggetti con difficoltà di scrittura.Perché la scrittura manuale sia strumento utile, funzionale, espressivo e formidabile per ogni individuo, oggi e domani. Conosci l’autore Simona Cassarino, milanese, vive sulle sponde del lago d’Iseo, dove si occupa di disgrafia.Formata con l’Associazione Europea Disgrafie, svolge attività nelle scuole con progetti di educazione al gesto grafico e formazione insegnanti. Lavora come rieducatrice al gesto grafico con soggetti disgrafici ed esercita opera di divulgazione sulla scrittura manuale.