CAPITOLO V

La disgrafia

DSA e Disgrafia

Una volta esaminata la corretta fisiologia della scrittura va da sé che tutto ciò che da essa si discosta può sfociare in una difficoltà di scrittura o una disgrafia. Cominciamo col definire la disgrafia come uno dei disturbi specifici dell’apprendimento. La Consensus Conference dell’Istituto Superiore di Sanità (CC-ISS, 2011) definisce i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) “Disturbi che coinvolgono uno specifico dominio di abilità, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. Essi infatti interessano le competenze strumentali degli apprendimenti scolastici.


Sulla base del deficit funzionale vengono comunemente distinte le seguenti condizioni cliniche:


Dislessia: disturbo nella lettura (intesa come abilità di decodifica del testo)


Disortografia: disturbo nella scrittura (intesa come abilità di codifica fonografica e competenza ortografica)


Disgrafia: disturbo nella grafia (intesa come abilità grafo-motoria)


Discalculia: disturbo nelle abilità di numero e di calcolo (intese come capacità di comprendere e operare con i numeri).


“Le disfunzioni neurobiologiche alla base dei disturbi interferiscono con il normale processo di acquisizione della lettura, della scrittura e del calcolo. I fattori ambientali, rappresentati dalla scuola, dall’ambiente familiare e dal contesto sociale, si intrecciano con quelli neurobiologici e contribuiscono a determinare il fenotipo del disturbo e un maggiore o minore disadattamento.”1

È importante sottolineare che i soggetti con DSA hanno spesso un’intelligenza nella norma o superiore alla media, e che i deficit riguardano solo abilità specifiche. A volte sono presenti più carenze contemporaneamente o si accompagnano ad altri disturbi, come il disturbo da deficit di attenzione (ADHD – Attention Deficit Hyperactivity Disorder), disturbi del linguaggio o psicoemotivi (ansia ecc.)


La legge n.170 del 2010 “riconosce e individua i Disturbi Specifici dell’Apprendimento ed emana norme in materia. La legge dispone, per alunni e studenti con diagnosi DSA l’attivazione presso le istituzioni scolastiche di apposite misure educative e didattiche individualizzate e personalizzate, nonché di specifiche forme di valutazione”, anche in sede di Esame di Stato.


La legge 170/2010 è stato un grande traguardo, i disturbi specifici dell’apprendimento prima di allora non erano riconosciuti dalla legge né dalle istituzioni scolastiche e si poteva contare solo sulla sensibilità e la preparazione di singoli insegnanti “illuminati” per l’individuazione, la gestione e il supporto dei soggetti con questi deficit; individui che venivano spesso etichettati come svogliati, inetti o problematici perché non si conoscevano o non venivano riconosciuti come DSA. Erano sovente alunni che si disaffezionavano allo studio fin dai primi anni della scuola dell’obbligo, ritenuti e ritenendosi poco intelligenti o capaci; quelli che, ai tempi del libro Cuore, venivano infelicemente definiti “asini”.


Ora questi soggetti possono godere di attenzioni e benefici specifici che possono aiutarli nel percorso scolastico e renderli più consapevoli delle proprie difficoltà, trovando strategie adeguate per superarle, e includendoli nel gruppo classe.


Il riconoscimento dei DSA avviene tramite certificazione, redatta da un gruppo di specialisti quali neuropsichiatra infantile, psicologo, logopedista.


Il percorso di valutazione provvede innanzitutto a escludere danni o carenze neuronali, poi passa a una valutazione dell’intelligenza generale del bambino (QI) attraverso test e scale specifiche che vanno a considerare abilità quali: comprensione verbale, memoria di lavoro, ragionamento verbale e visuo-percettivo, velocità di elaborazione. Infine va a ricercare deficit e disturbi dell’apprendimento (dislessia, discalculia, disortografia e disgrafia).


Per quel che riguarda la disgrafia nella redazione di una valutazione DSA vengono solitamente adottate due scale di misura: la scala D e la scala BHK. Durante l’analisi della scrittura, questi test di stima valutano lettere e parole mal allineate, spazio insufficiente tra parole, curve acute di collegamento, irregolarità nei legamenti, assenza di collegamenti, collisioni di lettere, ripassature e correzioni. Vengono altresì valutate difficoltà visuo-spaziali (scrittura con spazi irregolari, scrittura fluttuante) e apprendimento e automatizzazioni di strategie inappropriate del gesto. Queste scale di misurazione (D e BHK) sono griglie di valutazione; chi sottopone il test, attraverso l’osservazione di un testo scritto, individua le anomalie del tracciato grafico e gli assegna un punteggio; la sintesi del test verrà indicata con un numero che, correlato ai parametri di riferimento, indicherà il grado di disgrafia riscontrato, questo verrà poi segnalato nella valutazione di disgrafia della certificazione.


La certificazione di DSA, che va presentata all’istituto scolastico frequentato dal soggetto, dà diritto, a bambini e famiglie, a un Piano Didattico Personalizzato (PDP); questo viene redatto dagli insegnanti in collaborazione con le famiglie e individua strumenti compensativi e dispensativi, e prevede strategie educative mirate e individualizzate per ogni soggetto, in base alle sue specifiche problematiche e ai suoi punti di forza. In questo modo insegnanti e famiglie hanno uno strumento a cui far riferimento per trovare i modi specifici e più efficaci per supportare il ragazzo nel suo percorso scolastico. L’alunno potrà così essere coinvolto nell’individuare le metodologie di apprendimento migliori, responsabilizzandolo, permettendogli di sviluppare strategie metacognitive, aiutandolo a comprendere le sue problematiche e come superarle in un processo che aumenta autostima e indipendenza. Lo scopo del PDP non è quello di abbassare il livello di difficoltà ma di concentrare il lavoro sull’essenziale, di considerare diversi stili di apprendimento e gratificare gli sforzi compiuti, non solo i risultati.


Sta poi ai genitori, al gruppo docente e all’istituto scolastico (che per legge prevede la nomina all’interno di una figura di riferimento per DSA e problemi di apprendimento) riuscire a individuare le giuste strategie per il ragazzo e creare un clima di consapevolezza e inclusione nel gruppo classe; favorendo la conoscenza di queste problematiche e sensibilizzando alunni, famiglie e insegnanti, con lo scopo di promuovere l’idea che questi soggetti non sono dissimili dagli altri ma hanno solo bisogno di accorgimenti educativi.


Vorrei rassicurare i genitori che si trovano ad affrontare un percorso di certificazione DSA, perché mi capita a volte di vederli spiazzati e preoccupati di fronte a questa situazione; ecco, vorrei dir loro che non c’è nulla di allarmante. È vero che questi ragazzi hanno bisogno di un’attenzione particolare, ma si tratta semplicemente di trovare tutti i mezzi necessari affinché il loro percorso scolastico ed educativo si svolga nel migliore e meno faticoso dei modi possibile. Tutto ciò non toglie nulla al ragazzo, che potrà acquisire il suo personale bagaglio culturale e avere esperienza della vita scolastica e di comunità esattamente come gli altri. Una certificazione DSA non gli impedirà di avere un’infanzia e poi un’adolescenza felice, né potrà incidere sulla sua capacità di affrontare la vita.

Disgrafia e il principio di Anna Karenina

La disgrafia dunque è la difficoltà grafo-motoria a eseguire segni alfabetici. Essa è caratterizzata da scarsa leggibilità della scrittura, disagio nell’esecuzione, disorganicità e disarmonia del gesto e del segno, errori di forma e proporzioni, presenza di affaticamento e dolori alla mano, braccio, spalla. La scrittura appare irregolare, le lettere non sono ben costruite e leggibili, ci sono difficoltà di collegamenti tra le lettere con collisioni o saldature, gli spazi sono mal gestiti, la mano scorre a fatica, vi è poco controllo del gesto che spesso è troppo veloce o a scatti, la presa dello strumento grafico è disfunzionale, il braccio è rigido o, meno spesso, troppo rilasciato, ipotonico.


Esistono diversi tipi di disgrafia con notevoli differenze tra di loro e individuarle è fondamentale sia per comprenderne le origini, sia per trovare un’adeguata strategia di recupero.


Seguendo il principio di Anna Karenina possiamo dire che “tutte le modalità di scrittura corretta si assomigliano, ma ogni modalità di scrittura scorretta è scorretta a modo suo”.


Individuare che tipo di disgrafia abbiamo davanti ci consentirà di affrontarla in modi diversi, attuando interventi diversi.


Secondo Julian Ajuriaguerra si possono individuare 5 tipi di disgrafie:


I rigidi: in questo caso abbiamo una scrittura inclinata, con poche curve e molti angoli acuti, tesa, senza scioltezza nella progressione. Spesso vi è una forte pressione sul foglio. Troviamo braccio, spalla e mano rigidi e contratti. Lo strumento grafico stretto a pugno, in una morsa. Quasi sempre lamentano dolore alla mano e affaticamento nella scrittura. Sono quei soggetti che si fermano spesso durante lo scritto per scrollare la mano in modo da scaricare la tensione. È un tipo di disgrafia, o di modalità, molto comune, ma anche, in generale, di facile risoluzione.


I molli: la scrittura qui appare irregolare, atrofizzata, allargata, le lettere sono poco strutturate, rilasciate, la pressione è minima, la presa incerta, la progressione è lenta e tremolante.


Gli impulsivi: qui troviamo una scrittura impropria, linee mal tenute, forme imprecise. Notiamo scoordinazione nel gesto, vi è rilassamento e tensione insieme, le finali sono lanciate, vi è scarsissimo controllo della mano sul foglio. Il tratto è ansioso, veloce, con arresti repentini, il tracciato molto irregolare.


I maldestri: la scrittura in questi casi ha un tratto di cattiva qualità, spazi mal gestiti, disordine, forme sproporzionate, confusione, ritocchi, linee con numerosi arresti e riprese, cancellature, parole fluttuanti. Gesti a scatti.


I lenti e precisi: questi spesso sfuggono dal sospetto di disgrafia, e sovente non vengono reputati disgrafici dagli insegnanti perché gli scritti appaiono leggibili; ma la velocità è scarsa, il soggetto cerca la precisione a scapito della scorrevolezza, segno che non è stata acquisita la padronanza del gesto. A un’accurata osservazione si possono notare negli occhielli dei tremolii, che dimostrano la lentezza della progressione del segno, che non è fluido, sicuro e scorrevole. Seppur la scrittura sia leggibile, queste scritture necessitano di un intervento riabilitativo perché troppa lentezza non permette di eseguire un lavoro nei tempi richiesti ed esige un notevole dispendio di energia.


Individuare a quale categoria appartiene una disgrafia è necessario per organizzare un programma di recupero efficiente e specifico. Serve per individuare le carenze, i punti deboli, su cosa andare a lavorare; inoltre è necessario per sintonizzarsi in qualche modo con il soggetto perché, giocoforza, i fattori emotivi e psicologici svolgono un ruolo sostanziale.


In diversi anni di rieducazione ho potuto constatare che, a grandi linee, i diversi tipi di disgrafia sono spesso correlati a specifiche caratteristiche psicologiche. Siccome stiamo parlando di persone, e non di macchine, non esiste un caso uguale all’altro né rigide catalogazioni. Ogni individuo ha le sue peculiarità, ma comprendere il tipo di persona che andiamo ad aiutare, mettendo in qualche modo in relazione il tipo di disgrafia, i colloqui con il soggetto e le osservazioni rilevate, servirà per trovare le strategie giuste e individuare le tecniche più appropriate, per stimolare il soggetto a superare le sue difficoltà; nel rispetto dei suoi ritmi e dei suoi limiti, creando un legame di fiducia e serena collaborazione.


Senza fare rigide categorizzazioni, e allo scopo di individuare meglio i soggetti con difficoltà di scrittura, possiamo osservare che spesso i bambini rigidi hanno una tensione di fondo, una sorta di energia bloccata che possiamo notare dalla difficoltà di rilasciare il braccio scrivente. Sono tesi e circospetti, oppure molto irrequieti, faticano a trovare la necessaria rilassatezza durante la scrittura e probabilmente non solo mentre scrivono. I gesti sono spesso grossolani. A volte sono diffidenti, hanno problemi a lasciarsi andare, a volte oppositivi. Hanno difficoltà a lasciare che la penna scorra sul foglio, la trattengono, con un eccessivo controllo che lascia intuire un timore di fondo o un’impossibilità allo slancio e alla leggerezza. In altri casi hanno una forte energia che faticano a controllare e l’ipercontrollo sfocia in rigidità.


I soggetti con disgrafia molle sono spesso bambini timidi, timorosi, con poca energia, delicati, che devono essere spronati, sostenuti, rassicurati. Sebbene siano spesso collaborativi, tendono a non prendere iniziative. Eseguono le consegne ma sono poco entusiasti. Sono spesso bambini teneri e sensibili. In molti casi hanno uno scarso rapporto con la propria corporeità e sono inibiti nel movimento.


Gli impulsivi sono di solito bambini ipercinetici, spesso con scarsa capacità di attenzione, con una grande energia, rapidi, eccitabili, amano giochi di movimento, sono sempre attivi, faticano a contenere il gesto per questo surplus di energia. Pensano sempre “al dopo”, faticano a stare fermi e soffermarsi a lungo sulle cose.


I maldestri sono di solito bambini che hanno poca consapevolezza del proprio corpo: sono insicuri, tergiversano, faticano a perseguire un’attività, sono discontinui, l’umore e l’energia sono variabili. Sovente sono goffi e impacciati. Le produzioni scritte sono disordinate, con cancellature, macchie e strappi.


I lenti e precisi appaiono accurati, spesso ansiosi, ci tengono a far bene e a sentirsi rassicurati. Spesso hanno un respiro poco regolare. A volte è il timore di sbagliare che toglie loro slancio nel gesto grafico, a volte una mancanza di senso del ritmo nella scrittura.


Inquadrare le diverse tipologie di disgrafia e di caratteristiche psicoemotive annesse, ci aiuta a comprendere meglio le radici del problema con la scrittura e a trovare una soluzione adeguata.


Ovviamente non ci sono tipi di disgrafia migliori o peggiori e i soggetti disgrafici sono comunque intelligenti, capaci, di solito senza particolari disagi psicologici, emotivi o cognitivi; semplicemente capita spesso che un apprendimento non adeguato di tecniche di scrittura, insieme a caratteristiche psicofisiche e di temperamento, sia sfociato in una difficoltà grafo-motoria.


Tocca dire che esistono casi di disgrafia perniciosi, di solito associati ad altri tipi di deficit o problematiche, che non si riesce a correggere. Sono rari in percentuale, ma esistono. Sarà un’accurata indagine e un potenziamento della scrittura fallito a stabilire se il recupero sia improbabile.

La rieducazione al gesto grafico

Si parla di educazione al gesto grafico in età prescolare e nei primi anni di scuola primaria quando si attuano tutte quelle strategie e interventi atti a sviluppare le abilità di base per la scrittura manuale e a impostare corrette modalità di scrittura. Si parla di rieducazione al gesto grafico quando, di fronte a difficoltà di scrittura o disgrafie conclamate, si attua un protocollo di riabilitazione tramite il ricondizionamento di modalità inappropriate acquisite e lo sviluppo di abilità carenti. Questa è possibile non solo in età scolare ma anche adolescenziale e oltre, qualora ce ne fosse esigenza.


La rieducazione prende in esame la scrittura problematica e il soggetto scrivente, individua quali siano le cause della cattiva grafia e trova modalità adeguate per superare l’ostacolo, andando a correggere gli automatismi disfunzionali, innestandone di nuovi e corretti, e/o lavorando su aspetti diversi che rendono la scrittura difficoltosa.


È un’operazione delicata che richiede molto intuito. Dal momento che si ha a che fare con esseri umani che non sono tutti uguali, in ogni caso e per ogni individuo bisogna trovare il modo specifico e personalizzato, rispettoso e non invasivo, di approcciare il soggetto. Bisogna individuare i punti su cui lavorare, stabilire un percorso individuale di recupero e potenziamento, trovando anche il modo di coinvolgere attivamente il soggetto affinché collabori nel percorso rieducativo. Inoltre è necessario aiutare il soggetto a recuperare fiducia in se stesso e il piacere di scrivere.


È un percorso che si fa in sinergia e il rapporto di fiducia tra rieducatore e soggetto disgrafico è fondamentale.


Le competenze del rieducatore aiuteranno il soggetto a riconoscere le sue problematiche e a trovare delle strategie per superarle. Il rieducatore supporterà l’individuo nel trovare risorse e strategie e a sviluppare abilità magari carenti, ma sempre, sempre evidenziando e ribadendo al soggetto disgrafico che ogni miglioramento è frutto del suo sforzo personale e delle sue abilità, non di quelle del rieducatore, cosicché possa recuperare l’autostima che aveva perso a causa delle sue difficoltà grafiche.


L’obiettivo secondario, ma non meno importante, è che attraverso la consapevolezza dei suoi sforzi appagati dal successo, il soggetto possa anche in futuro, davanti a delle difficoltà, sapere di poterle superare, trovando un modo adeguato.

Perché rieducare

Tra i Disturbi Specifici dell’Apprendimento la disgrafia è quella che preoccupa meno gli specialisti del settore che redigono le certificazioni. Dislessia e discalculia sono più difficili da gestire e richiedono interventi tempestivi e complessi, mentre l’uso di computer e dispositivi tecnologici danno comunque la possibilità ai soggetti disgrafici di scrivere, aggirando quindi l’ostacolo; pertanto la disgrafia viene quasi considerata “un male minore” che viene troppo spesso liquidato con le indicazioni di usare la videoscrittura ed eventualmente lo stampatello al posto del corsivo. Non sono molto d’accordo con questo approccio. A mio avviso consigliare la videoscrittura ai disgrafici è come dare la sedia a rotelle a qualcuno che si è rotto una gamba invece di fare una riabilitazione.


In alcune strutture che si occupano di individuazione e certificazione di soggetti DSA, in caso di disgrafia, vengono solo suggeriti metodi compensativi e dispensativi (uso della videoscrittura, privilegiare test orali a quelli scritti, uso dello stampatello maiuscolo), senza invitare a un percorso di recupero del gesto grafico. Spesso le cause di questo atteggiamento si rinvengono in strutture pubbliche ingolfate, nella mancanza di personale specializzato, o più semplicemente nell’ingenua idea che il computer possa dignitosamente sostituire la penna.


La maggior parte delle disgrafie possono essere rieducate, anche perché spesso sono dovute a cattivi apprendimenti iniziali o a qualche difficoltà fino-motoria che può essere migliorata. Anche laddove vi sia una disgrafia pura molto si può fare per migliorare la qualità dello scritto, la velocità, la padronanza del gesto, soprattutto in età evolutiva. Penso quindi che, eticamente, un tentativo di recupero vada sempre fatto, anche solo per i benefici collaterali che apporta un percorso riabilitativo e di potenziamento di varie abilità.


Rieducare la scrittura anziché affidarsi alla videoscrittura è auspicabile per diverse ragioni: primo, la scrittura è un traguardo culturale che l’uomo ha raggiunto, che gli è proprio ed è simbolo di sapere, ed è quindi giusto che chiunque possa essere messo nelle condizioni di utilizzarla.


Secondo, è uno strumento didattico necessario in tutto il percorso scolastico ed è trasversale a tutte le materie: si scrive anche studiando matematica e scienze, non solo per redigere testi in italiano. Non necessita di strumenti costosi e ipertecnologici, bastano un foglio e una penna e si usa ovunque e in qualunque situazione, senza la necessità di portare con se notebook o laptop, più difficilmente gestibili.


Terzo, la videoscrittura non stimola il cervello quanto la scrittura manuale. Scrivere a penna è diverso che scrivere con una tastiera; la realizzazione di un tracciato e l’uso di dita, mano, braccio coinvolgono diverse aree del cervello, le stesse coinvolte nel pensiero, nella memoria e nel linguaggio; un’operazione assai più complessa del riconoscere una lettera su una tastiera e premere sulla stessa.


Quarto, la rieducazione del gesto grafico promuove le abilità del bambino, integra il bambino nel gruppo classe e favorisce l’acquisizione di autonomia e autostima.


Quinto: la scrittura è democratica, accomuna tutti, appartiene a tutti.


La rieducazione al gesto grafico consente al soggetto disgrafico di diventare sempre più abile, di recuperare scioltezza e consapevolezza del gesto, di ottenere una scrittura più scorrevole e composta che rappresenti la sua personalità. Va quindi fatto il possibile perché ogni bambino e ogni ragazzo abbia la padronanza della scrittura manuale, affinché faccia parte del suo bagaglio culturale e sia per lui uno strumento efficace e sempre utilizzabile.

Il processo di rieducazione

Vediamo come viene affrontato un percorso di recupero del gesto grafico.


Innanzitutto vi è una valutazione iniziale del soggetto, il che è un elemento delicato e importante che serve a inquadrare la persona e individuare il problema. Il rieducatore deve raccogliere una serie di informazioni e crearsi un quadro generale. Sarà importante esaminare lo scritto ma anche farsi un’idea dell’individuo, della sua indole, della sua personalità, dell’ambiente in cui vive. È necessario tatto, delicatezza ed empatia; io ci aggiungo una buona dose di senso dell’umorismo e cordialità. Il bambino si può sentire inadeguato e sotto esame, bisogna quindi stemperare la tensione, mettersi in una posizione di figura di supporto, magari slegata dal contesto scolastico, e rassicurare il bambino.


Gli aspetti da prendere in considerazione per una valutazione sono numerosi: bisogna ricostruire la storia della grafia, osservare gli scritti e la loro evoluzione e al tempo stesso riuscire a farsi un’idea del soggetto, parlando con lui e con i genitori, raccogliendo informazioni sulle sue abitudini, la storia personale, l’approccio alla scuola, i rapporto con insegnanti e compagni, i giochi preferiti, gli sport praticati, se ha fratelli o sorelle più grandi o più piccoli, tutto ciò che può essere utile per comprendere il bambino o il ragazzo, sintonizzarsi con lui e capire dove può essere il problema.


Ovviamente si osserva la scrittura, non solo la produzione, ma soprattutto l’esecuzione: la postura, la presa, la tensione, il respiro, il tracciato. Queste saranno certo le indicazioni principali, ma bisogna anche capire lo scrivente, ha timori? È impacciato? È teso? Si distrae facilmente?


Comprendere la personalità del soggetto sarà fondamentale per trovare i giusti modi per costruire un rapporto di fiducia e per cogliere le tensioni di fondo che possono disturbare la scrittura. È un processo di conoscenza e sensibilità, di apertura e riflessione. La rieducazione non consiste nel semplice sottoporre degli esercizi grafo-motori ma nell’accogliere il soggetto, rassicurarlo, trovare il giusto approccio comunicativo che può essere molto diverso da bambino a bambino; consiste nel trovare le strategie di recupero più adatte in base alle problematiche, all’indole e ai tempi del bambino.


Gli esercizi di rieducazione saranno specifici e calibrati in base al tipo di problemi riscontrati, ai punti deboli da rafforzare, alle specificità individuali.


Non esiste quindi un programma standard da seguire in rieducazione; ci sono, sì, una serie di esercizi validi per tutti, ma succede spesso che specifici problemi vadano valutati e risolti usando intuito e fantasia. Faccio un esempio pratico accadutomi a volte in rieducazione: come rendere più leggeri e delicati un gesto e una presa troppo energici che bucano il foglio? Il punto è far percepire al bambino la “delicatezza” inventandosi degli espedienti o dei giochi. Se sperimenta la delicatezza può comprenderla, se la si spiega solo a parole no. Bisogna quindi “inventarsi” ed escogitare esercizi che possano aiutarlo a risolvere il problema, e qui sta alla sensibilità e alla creatività del rieducatore trovare quelli adatti. Può essere utile giocare con una piuma oppure con gli shangai, in modo da rendere più sensibile la mano, alleggerirla, ammorbidire i gesti, renderli più lievi e dolci; se conoscerà questa modalità, questa sensazione, potrà applicarla alla scrittura e se gli si chiederà di essere più leggero saprà a cosa ci si riferisce.


Bisogna quindi escogitare degli stratagemmi per problemi specifici diversi per ogni percorso di rieducazione.


Ci sono soggetti per cui le spiegazioni orali, le informazioni, sono utili, per altri sono più efficaci l’esperienza diretta e la ripetizione dei gesti corretti per automatizzarli. Ad esempio, ad alcuni soggetti una volta spiegato il funzionamento e la comodità di una presa corretta si autoregolano, se lo ricordano quando si trovano con penna e foglio davanti e si autocorreggono; altri devono ripetere l’esecuzione ed essere ripresi e corretti (con delicatezza) varie volte per arrivare a correggere la presa. I primi sono di solito individui più riflessivi, i secondi più d’azione. Non esiste un modo giusto di essere, ognuno ha le sue peculiarità individuali, tutto sta nel cogliere le differenze e adeguare l’approccio rieducativo.


Anche i tempi di recupero sono molto variabili. Alcuni soggetti e alcune problematiche sono piuttosto veloci da rieducare, altre richiedono più tempo. Dipende molto dalla persona, e anche in questo caso chi rieduca deve saper stabilire il programma di recupero adattandolo ai singoli individui; a volte una breve serie di incontri ben lavorati può bastare, a volte meglio diluire gli incontri nel tempo, stabilendo un programma più disteso e continuativo.


Un obiettivo fondamentale in rieducazione è far diventare il bambino consapevole dei suoi gesti. Quante volte davanti a una scrittura di pessima qualità abbiamo detto al bambino “Scrivi bene!”, ma il bambino non può svolgere un’azione che non ha sperimentato; se non conosce le sensazioni tattili, muscolari, percettive, fisiche del corretto gesto grafico come fa a metterle in pratica? Non bastano le parole, non basta dirglielo, lui vorrebbe farlo, ma non sa materialmente come si fa. Immaginate quindi la frustrazione nel non riuscire a soddisfare le richieste di genitori e insegnanti, nel non riuscire a eseguire un’operazione che agli altri riesce senza problemi o nel non riuscire a scrivere come vorrebbe lui stesso.


Il bambino deve conoscere, provare, sentire materialmente, fisicamente, quale sia il giusto movimento, l’adeguata tensione, la postura più adatta; sono gesti che vanno appresi attraverso il corpo, come un movimento di danza. Si impara a danzare danzando, non parlando di danza. Così si assimila il corretto modo di scrivere tramite il corpo, non parlandone, dandolo per scontato o pretendendo che ci arrivi da solo.


In un processo di rieducazione in base alle problematiche riscontrate si andranno a potenziare gli aspetti che si sono trovati lacunosi. In riferimento alle corrette modalità di scrittura e alle sue caratteristiche di respiro, fluidità, movimento, ritmo, si va a lavorare dove si sono notati dei deficit o dei nodi da sciogliere.


Se abbiamo riscontrato un respiro non fluido o delle apnee durante l’esecuzione dello scritto, andremo a lavorare sulla respirazione e la correlazione respiro-tracciato grafico. Se abbiamo notato dei problemi di tensione del braccio proporremo esercizi di rilassamento, di percezione della contrazione e distensione, di alleggerimento del braccio. Se ci sono problemi di modi errati di eseguire le lettere andremo a correggerli, innestando dei nuovi automatismi. Se ci sono problemi di collegamento tra le lettere corsive e di fluidità del tratto, faremo esercizi per liberare il gesto e renderlo più scorrevole. Se troviamo un gesto ipotonico, labile, troppo leggero, andremo a stimolare la tonicità del braccio, lo renderemo più sicuro, robusto, volitivo. Se abbiamo riscontrato un’impugnatura scorretta andremo a fare esercizi di sensibilizzazione della mano e delle dita per poi delicatamente sostituire la presa disfunzionale con quella corretta.


I bambini disgrafici spesso, e per ovvie ragioni, non amano scrivere e hanno un rapporto conflittuale con la scrittura, in alcuni casi quindi, sarà necessario in primo luogo restituire al bambino il piacere di scrivere attraverso esercizi di pittografia e di esecuzioni di linee e figure, evitando, in un primo momento, la scrittura vera e propria che suscita sentimenti di disagio.


Inoltre, per scardinare automatismi ben radicati bisogna agire un po’ d’astuzia. Con questo proposito andremo a far disegnare al bambino tracciati e pregrafismi con diverse tecniche grafiche e utilizzando corrette modalità di gesto grafico. Facendo credere “alla mano” del bambino che quello che sta facendo non è scrivere ma disegnare ed eseguire arabeschi, come fosse un’attività nuova che non riguarda l’ambito della scrittura, non si attiveranno i meccanismi automatizzati errati di presa, pressione, postura e movimento; al contrario, nell’eseguire questi tracciati creativi il soggetto userà le nuove strategie che introdurremo di presa, pressione, postura, come fosse appunto un’attività diversa dalla scrittura, che richiede nuovi criteri. In un successivo momento queste stesse nuove procedure verranno introdotte nella scrittura corsiva. In questo modo potremo innestare nuove modalità corrette di scrittura con dolcezza e senza forzature.


Tutto deve essere effettuato nel rispetto della personalità del soggetto. Per esempio un individuo energico, con una grafia impulsiva e poco controllata, non potrà essere trasformato in un soggetto mite e riflessivo, non è questo lo scopo. Lo scopo è quello di farlo diventare consapevole dei suoi gesti, della eventuale tensione del suo braccio scrivente e di un gesto poco controllato e, per contro, di fargli conoscere una diversa modalità di approccio alla scrittura, in modo che quando si trovi con una penna in mano sappia andare a recuperare le strategie apprese per una corretta esecuzione. Resterà un soggetto attivo e d’azione ma saprà mettersi nella condizione psicofisica adatta che gli consenta di scrivere nel migliore, e meno faticoso, modo possibile.


Vediamo come vengono affrontati in una riabilitazione alcuni aspetti fondamentali della scrittura manuale che abbiamo già visto e analizzato nelle pagine dedicate all’educazione al gesto grafico, ma che qui esaminiamo sotto un diverso profilo, quello del ricondizionamento del gesto inappropriato. Questo per rimarcare l’importanza di questi fattori nella scrittura. Sono aspetti che spesso sfuggono a chi non si occupa di scrittura nello specifico perché sovente non vengono valutati, prendendo erroneamente in considerazione solo la riproduzione fedele delle lettere alfabetiche e trascurando il fatto che la scrittura non è fatta solo dalle lettere che compongono le parole, ma dal gesto che si effettua per eseguirle.


Tengo a precisare che una rieducazione al gesto grafico richiede competenze specifiche e una preparazione adeguata; le indicazioni qui riportate sono a scopo illustrativo e divulgativo e non sostituiscono una professionalità apposita.

La pressione

La pressione inadeguata della matita sul foglio è un problema estremamente diffuso. Come abbiamo già detto, i bambini di oggi hanno poca dimestichezza con il corpo, che si acquisisce attraverso il gioco libero e le attività manuali, e sempre più spesso ne troviamo di poco consapevoli della propria fisicità che faticano a modulare la pressione del braccio in diversi frangenti e in particolare nella scrittura.


Una forte pressione, ricordiamo, rende lento e faticoso il tracciato che spesso risulta rigido. Al contrario, una pressione troppo leggera rende il tracciato instabile, mosso, tremolante, allargato o poco strutturato.


Se troviamo una pressione eccessiva andremo a lavorare sulla consapevolezza da parte del bambino della tensione del braccio. Andremo quindi, in prima istanza, ad agire a livello non solo del braccio ma di tutto il corpo, attraverso esercizi di psicomotricità e rilassamento per lo sviluppo della percezione del corpo e della muscolatura.


Potremo poi agire sul tracciato della matita passando prima per l’uso di diversi strumenti grafici ed esercizi che affinino la sensibilità alla pressione, e andremo ad alleggerire una mano troppo pesante attraverso la percezione della “leggerezza”.


Una pressione troppo debole andrà corretta attraverso esercizi che stimolino e tonifichino la muscolatura del braccio e che sviluppino la cognizione della traccia sul foglio e la sicurezza del tratto. Si utilizzeranno in questo caso attività e strumenti che richiedano vigore e sforzo muscolare.

Il respiro

Il respiro è vita, fulcro di ogni azione, baricentro, varia di velocità e intensità in base allo sforzo, all’emozione, allo stato d’animo e a un attento esame ci parla di noi. Abbiamo già visto quanto sia importante il respiro nell’atto di scrivere ed è difatti una delle funzioni che osservo nella scrittura di un soggetto in esame. A volte capita, per esempio, che alcuni bambini scrivano trattenendo il respiro. In altre il respiro non è fluido e fluisce a tratti. Anche questo è un aspetto che dipende dalla struttura psicoemotiva del bambino. Soggetti scoordinati, ipercinetici, o al contrario, ansiosi e timidi, hanno spesso un respiro difficoltoso e disturbato, poco fluido e ritmato. A volte le ragioni di un respiro discontinuo possono essere fisiologiche, sinusiti o asma, altre volte è un atteggiamento solo associato all’atto dello scrivere.


Un respiro fluido accompagna la scrittura, le dà ritmo, calma e rallenta un gesto che tende ad essere frettoloso, rende il tratto uniforme senza arresti repentini e inutili.


È buona norma accompagnare un percorso di rieducazione alla scrittura con esercizi di respirazione che rendano il bambino consapevole dell’atto di respirare, ed esercizi di respirazione unita al gesto grafico. Attività che abbinino l’esecuzione di tracciati più o meno complessi a inspirazione ed espirazione rendono il soggetto consapevole dell’intervento del respiro nella scrittura e allenano a una sorta di “sincronizzazione”.


Esercizi di respirazione sono anche utili in caso di disgrafie impulsive, in soggetti tesi, irrequieti o ansiosi.

La tensione e la fluidità: let’s dance

Anche l’eccessiva tensione del braccio è molto comune tra gli alunni di oggi. Spesso è indicativa di una tensione generale dell’organismo che magari va affrontata con qualche esercizio di rilassamento.


Per quanto in fase di apprendimento della scrittura la tensione del braccio sia, di fatto, del tutto naturale, bisogna fare in modo che il bambino, già in questa fase, comprenda la differenza tra tensione e rilassamento e che non arrivi a utilizzare la modalità di tensione del braccio come consuetudine.


In riabilitazione un gesto grafico fluido e armonioso è lo scopo principale, un gesto scorrevole e piacevole, senza dolore o affanno.


Il bambino deve riuscire ad arrivare a percepire la fluidità del suo tratto, il rilassamento del braccio e la sua necessaria leggera ritenzione muscolare; questo gli permetterà prima di tutto di goderne la piacevolezza, e in secondo luogo di acquisire l’agilità di un buon gesto grafico. Dare al bambino la consapevolezza del gesto e fargli conoscere la sensazione fisica del gesto fluido gli servirà ad autoregolarsi e autocorreggersi, di modo che qualora dovesse sentire rigidità, sappia come andare a ricercare le giuste modalità. Con queste nuove modalità andremo poi a ricostruire lettere e tracciato


Siccome è necessario far scoprire al soggetto la piacevolezza del gesto fluido, quello che dico spesso ai bambini è che la loro mano deve danzare sul foglio, si deve divertire. A questo scopo ci sono diversi esercizi, come percorsi, tracciati scivolati, uso di acquerelli, ma anche esercizi di distensione e rilassamento del braccio (e per estensione, di tutto il corpo) per arrivare a eseguire dei tracciati fluidi, con gesti piacevoli. Eseguire tracciati a mano libera, senza tensione, è un’attività divertente, rilassante e gradevole ed è necessario che il bambino realizzi quanto può essere appagante.


I ragazzi spesso rimangono sorpresi nello scoprire quanto scrivere possa essere piacevole e gratificante, proprio loro che hanno dovuto subire l’atto dello scrivere come una fatica dolorosa e incomprensibile. In una riabilitazione è fondamentale invece ridare al soggetto il piacere di scrivere ed è sempre molto bello assistere a questa rinascita.


Spesso occorre prendere la cosa alla lontana perché l’avversione verso la scrittura può essere consolidata da tempo; prima di cominciare a lavorare sul corsivo è meglio quindi soffermarsi su esercizi pittografici, sull’esecuzione di tracciati ampi e colorati, per riuscire a sbloccare il gesto e farlo danzare.

Questione di ritmo

Insieme al respiro il ritmo nella scrittura è di basilare importanza, anche se non viene quasi preso in considerazione se non si comprende a fondo la fisiologia della scrittura.


Un gesto troppo veloce compromette la corretta esecuzione delle lettere corsive e la loro leggibilità, uno troppo lento non permette un’adeguata rapidità di svolgimento.


I gesti veloci sono di solito peculiari di bambini molto attivi, con difficoltà di concentrazione, ansiosi, scoordinati. Spesso sono bambini insicuri dei propri gesti e che hanno poco controllo, sia in generale del proprio corpo, sia in particolare del braccio e della mano scrivente.


Una scrittura troppo lenta è spesso caratteristica di bambini ipotonici o insicuri, che temono di sbagliare. In apparenza è una scrittura gradevole e ordinata ma a guardarla con più attenzione si possono notare delle “ammaccature” soprattutto negli occhielli (le l, f, h), segno di un tratto che scorre poco, che non esegue un tracciato agile e disinvolto.


In questi casi lavorare sul ritmo dà ottimi risultati perché permette al bambino di trovare una cadenza adeguata e una velocità adatta, che altrimenti non riesce a percepire.


Si comincia col prendere confidenza con il ritmo battendo le mani o con un tamburo. Discriminare un ritmo veloce da uno lento aiuta a prendere coscienza della propria velocità di esecuzione. In seguito si eseguono tracciati semplici o più complessi, a matita, velocemente e poi lentamente, questo permette di percepire la differenza, soprattutto in termini di sensazione tattile e muscolare, tra un’esecuzione veloce e una lenta. Lo scopo per i soggetti con scrittura veloce è quello di acquisire la consapevolezza del proprio tratto rapido e di riuscire a moderarlo, coordinando una corretta esecuzione delle lettere a una velocità più trattenuta, miscelando respiro, ritmo, rilassamento del braccio scrivente e padronanza di sé.


Per i soggetti con scrittura lenta invece si tratta di liberare un gesto trattenuto, bloccato, e di acquisire sicurezza nel tratto. Bisogna insegnare al braccio scrivente a scorrere, a danzare, a trovare una cadenza più rapida. Prima con gesti ampi, poi più piccoli, seguendo un ritmo sempre più veloce.


Gli esercizi di ritmo e scrittura servono per trovare una velocità adeguata che sia sufficientemente veloce, che permetta una corretta e chiara esecuzione delle lettere e che dia una cadenza uniforme al tracciato. La velocità di scrittura varia da individuo a individuo, ma in ogni caso non potrà essere così veloce da rendere lo scritto poco leggibile o così lenta da indurre a restare indietro sui tempi di lavoro.


Una corretta educazione al gesto grafico permette di ovviare a molti di questi inconvenienti. Ma in caso di mancati apprendimenti o deficit specifici di qualche tipo, una rieducazione è sempre possibile. Non sempre le insegnanti hanno modo, per via dei tempi e degli spazi, di seguire soggetti con qualche difficoltà, ed è qui che una figura di riferimento, come il rieducatore al gesto grafico, acquista un senso e un valore.

Il piacere di scrivere a mano
Il piacere di scrivere a mano
Simona Cassarino
Fisiologia e pedagogia della scrittura, prevenzione della disgrafia.Rivalutare la scrittura manuale: strumento utile, funzionale, espressivo e formidabile per ogni individuo. Con esercizi e attività di pregrafismo e preparazione al gesto grafico. La scrittura manuale, personale e inimitabile, frutto di abilità cognitive e manuali, ha origini antiche perché ha accompagnato il cammino della civiltà ed è simbolo di sapere, mezzo di comunicazione ed espressione di sé.Oggi però il suo valore è messo in discussione dall’uso massiccio della videoscrittura e le grafie delle nuove generazioni sono sempre meno efficaci a causa dell’impoverimento delle capacità manuali.Il piacere di scrivere a mano è rivolto a tutti coloro che desiderano rivalutare la scrittura manuale, per riscoprirne il fascino, e a educatori e genitori che hanno il delicato compito di insegnarla ai bambini.In ambito pedagogico ed educativo il libro, ricco di esercizi e illustrazioni, intende offrire a insegnanti di scuola primaria e dell’infanzia strumenti e metodologie appropriate, volte a preparare il gesto grafico per la scrittura corsiva e stampatello, favorendo l’acquisizione di una grafia sciolta, chiara e armoniosa, e prevenendo problemi di difficoltà di scrittura.L’autrice propone inoltre moltissime attività di preparazione al gesto grafico e di sviluppo delle abilità di base attraverso il gioco, affronta le problematiche della scrittura manuale, della disgrafia e la sua prevenzione, valutando gli ostacoli dei soggetti con difficoltà di scrittura.Perché la scrittura manuale sia strumento utile, funzionale, espressivo e formidabile per ogni individuo, oggi e domani. Conosci l’autore Simona Cassarino, milanese, vive sulle sponde del lago d’Iseo, dove si occupa di disgrafia.Formata con l’Associazione Europea Disgrafie, svolge attività nelle scuole con progetti di educazione al gesto grafico e formazione insegnanti. Lavora come rieducatrice al gesto grafico con soggetti disgrafici ed esercita opera di divulgazione sulla scrittura manuale.