CAPITOLO V

I vantaggi del parto in casa

Sono convinta che partorire nell’intimità della propria casa sia il modo migliore per accogliere la propria creatura. Un dono che i genitori fanno al proprio figlio fin da subito, dalla nascita. E che gli cambierà la vita.
Federica

Le donne che scelgono di partorire in casa non sono folli, irresponsabili, né patetiche nostalgiche dei tempi andati. Nessuna di loro vuole mettere a rischio la propria vita e tanto meno quella del proprio bimbo per superbia o per seguire una moda o un’ideologia. Il parto in casa avviene in base a un’attenta valutazione da parte dell’ostetrica che segue la gravidanza e che sarà presente al parto, ed è frutto della scelta consapevole e informata della donna e della coppia. Nella maggior parte dei casi chi affronta un parto naturale è già in piedi qualche ora dopo, il recupero è più rapido ed è più facile accudire il neonato ed eventuali altri figli.


Molte donne optano per un cesareo programmato perché, spaventate dalla sofferenza, pensano di poterla evitare con il bisturi. Ma non sempre è così: il dolore legato a quella che è un’operazione chirurgica vera e propria può durare per alcune settimane dopo il parto. Certo, è tutto molto soggettivo, dipende da donna a donna. Nei forum online si incontrano molte donne cesareizzate che esortano le future mamme con frasi come “Certo, il dolore dopo si sente, ma credimi, quando ti porteranno il tuo cucciolo tra le braccia, non ti ricorderai né del cesareo, né del dolore”; oppure “per la salute dei nostri cuccioli si sopporta ogni cosa e soprattutto si dimentica tutto appena si possono stringere”. Altre sono meno entusiaste e confessano che il cesareo “non è una passeggiata”: citano ‘simpatici’ clisteri e rasature del pube, insensibilità alle gambe per alcune ore dopo il parto a causa dell’epidurale, decorsi post operatori lunghi e dolorosi, fitte ai punti, febbre, flebo e impossibilità di bere e mangiare per parecchie ore, forti bruciori urinari dovuti al catetere. C’è anche chi parla di una “sensazione di un sasso cucito nella pancia, che dura un po’ di tempo”, della difficoltà a sedersi e a camminare (“sono uscita dopo quattro giorni con la sedia a rotelle”), cicatrici che possono dolere anche mesi dopo il parto, formicolii sul ‘taglietto’ che durano anni, forti dolori alla schiena per diversi mesi, tubicini molto fastidiosi che escono dalla pancia per drenare la ferita

Nel suo libro La gioia del parto, Ina May Gaskin1 elenca una serie di procedure e condizioni che implicano dolore dopo il parto: “La presenza di flebo è dolorosa quando è nel braccio, ma anche fino a due giorni dopo che è stata rimossa. Quanto più l’ago viene spostato e mosso nel braccio, tanto più farà male. Le donne che subiscono un cesareo tengono un catetere nella vescica fino a 24 ore dopo l’intervento. La procedura per un taglio cesareo di solito richiede il posizionamento di un drenaggio chirurgico che viene posto in prossimità della ferita per pulirla meglio. La rimozione di questo drenaggio al terzo giorno è dolorosa soprattutto se non viene somministrato un antidolorifico un’ora prima di questa procedura. Infine, la formazione di gas intestinale dopo una qualsiasi operazione chirurgica addominale (incluso un cesareo) è estremamente dolorosa. I punti della ferita possono poi interferire con l’agilità della donna nel maneggiare il neonato”.


Secondo le evidenze scientifiche, quando una donna può contare su un buon sostegno in travaglio fa meno richieste di analgesici. Ho visto in ospedale una giovane partoriente in travaglio convinta di non poter sopportare più il dolore. Sua madre era accanto a lei. La assisteva con calma e dolcezza. “Basta! Non ce la faccio, non ce la faccio!”, ripeteva la donna. Era sul punto di mollare, si aggrappava al letto, lamentandosi, disperata. “Ce la fai, certo che ce la fai”, la incitava tranquilla sua madre, accarezzandola. Le stava accanto, mettendole la mano sulla testa, massaggiandole la schiena, senza mai metterle fretta e incoraggiandola amorevolmente: aveva fiducia nelle sue capacità. E infatti, poco dopo, è nata una bellissima bambina, naturalmente.


Ci sono ottimi ospedali nei quali le partorienti sono lasciate libere di gestire il loro travaglio, ma non sempre è così. Bisogna informarsi bene prima di decidere il luogo del parto. Trovarsi in un luogo sconosciuto, tra persone estranee che cambiano a seconda dei turni ospedalieri, ed essere sottoposte a procedure oscure, sono tutti fattori che aumentano la percezione del dolore. “L’ignoranza produce paura, la paura provoca tensione, la tensione crea dolore”, diceva Grantly Dick-Read negli anni Venti2. E non bisogna mai fidarsi troppo della buona fama di una struttura: molto dipende dall’ora, dal giorno, dal personale che trovi. Più avanti riporto la storia di una donna che ha avuto una grande delusione rispetto alle sue aspettative.

Il dolore è un fattore di protezione

Nessuno nega che partorire faccia male. In casa, però, la donna ha totale libertà di movimento, un’importante risposta fisiologica al dolore troppo spesso trascurata dalle strutture ospedaliere: quando ha la possibilità di muoversi, infatti, la partoriente assume istintivamente le posizioni che facilitano la discesa del bambino – che quindi è meno soggetto a stress e a malposizioni – diminuendo il rischio di danni al bacino, al collo dell’utero e al perineo. Tonia ha tre figli, il primo nato in ospedale, gli altri due in casa e, insieme ad altre mamme che hanno avuto esperienza di allattamento al seno, ha fondato l’associazione di volontariato La Goccia Magica3. “Durante il primo parto mi si ruppe il sacco e passai 12 ore senza dolori. In ospedale cominciai ad assumere le mie posizioni per aiutare la discesa del bambino. L’ostetrica era indispettita perché non le avevo detto che le contrazioni erano cominciate. Non volevo subire interventi, ma all’ultimo momento mi hanno presa di peso e mi hanno fatto sdraiare sul lettino, hanno spinto sulla pancia e mi hanno tagliata. Ma mi sono lacerata di brutto, mi hanno messo una marea di punti.


Andrea pesava 4 chili e mezzo e aveva una testa molto grande, ma se mi avessero lasciato i miei tempi e la possibilità di stare in posizione verticale, probabilmente tutto questo non sarebbe successo. Infatti il secondo, Marco, nonostante pesasse anche lui 4 chili e mezzo, l’ho partorito senza neanche una lacerazione, in casa. Sì, era il secondo parto, ma avevo i punti precedenti, mi avevano detto che la pelle non era elastica come al primo. Con Andrea, durante le contrazioni cercavo di emettere un suono dalla bocca, avevo letto che aiuta la respirazione e apre il canale del parto. Su di me funzionava, ma in ospedale mi dicevano ‘stai zitta, non urlare!’. Io non urlavo, emettevo un suono profondo alla fine delle contrazioni, mi stavo aiutando. Mi hanno sgridato anche perché durante le ultime spinte non li ho chiamati. C’è una confusione tremenda su quello che dovrebbe essere il sostegno alle donne in quei momenti. Non devi dare fastidio e devi stare dentro al letto, così possono muoversi e agire come gli pare. Una donna che si muove più del normale e fa qualcosa di diverso dà fastidio”.


Ormai abbiamo dimenticato che il parto è un atto sessuale, un processo fisiologico regolato dagli ormoni – ossitocina, endorfine, adrenalina e prolattina – che vengono stimolati dal cervello e che sono indispensabili per uno svolgimento armonioso del travaglio. Il dolore non è un nemico, ma un fattore di protezione, una guida per la mamma. È “un elemento essenziale del travaglio fisiologico”, spiega Marsden Wagner. L’epidurale blocca questo processo, rallentandolo o fermandolo. Per riavviarlo si usa l’ossitocina. Questo, secondo Wagner, è “lo scenario tipico dei parti high-tech, dove un intervento ne richiede un altro per cercare di superare le complicazioni del primo. Nonostante l’ossitocina, con l’epidurale si quadruplica il rischio di ricorso al forcipe o ventosa e si raddoppia il rischio di ricorso al cesareo”. Se mantenuto al suo livello fisiologico minimo, il dolore fa emergere l’istinto di conservazione, ti fa assumere le posizioni giuste per proteggere i tuoi tessuti e le ossa del bacino, indica i limiti delle tue forze e ti prepara ad accogliere il bambino avviando con lui una buona relazione. Il dolore nel travaglio non ha nulla a che fare con il dolore provocato da una ferita, al quale si reagisce opponendosi, cercando di cacciarlo via. Non ci si rende conto che “il messaggio mandato dal dolore del parto è completamente differente. Ci dice ‘rilassa i tuoi muscoli pelvici. Lasciati andare, arrenditi, segui la marea. Non combatterla perché è più grande di te”4.

Oggi molte donne chiedono l’epidurale. Condivido in pieno il principio della possibilità di scelta, visto che questo tipo di anestesia, nonostante che la legge lo preveda, non viene offerto, gratuitamente, a tutte le partorienti. L’epidurale può essere un aiuto importante per molte mamme, ma prima di decidere sarebbe bene conoscere e valutare i possibili rischi. “Le donne che scelgono l’epidurale”, osserva Wagner, “barattano qualche ora di travaglio indolore con una probabilità del 30-40% di soffrire di mal di schiena gravi che persistono ancora dopo un anno nel 20% dei casi. Quante donne sanno poi del rischio dall’8 al 12% che l’ipotensione materna causi una riduzione del flusso del sangue placentare che può portare a una grave ipossia fetale?” Uno studio ha infatti dimostrato che nell’utero i bimbi possono diventare ‘letargici’ e avere problemi ad assumere la posizione giusta per il parto5.


Da una ricerca americana è risultato che i neonati le cui madri avevano ricevuto un’epidurale e/o altri analgesici durante il travaglio avevano maggiori difficoltà ad attaccarsi al seno. Al contrario, il 90-100% dei neonati non medicalizzati non ha mostrato alcun problema in questo senso6. “Numerosi interventi durante il parto diminuiscono la capacità di impostare una buona modalità di allattamento7, che invece comporta benefici a breve e a lungo periodo nelle mamme e nei bambini”8. Ma il problema è a monte. Se nei reparti di maternità le donne in travaglio vengono lasciate sole, senza un adeguato sostegno da parte degli operatori, senza privacy, costrette all’immobilità, costantemente minacciate da procedure chirurgiche e chimiche frutto di una concezione meccanica, interventistica e asettica del parto, in base alla quale il corpo femminile al momento del parto “non funziona”, è ovvio che, in queste condizioni, non avranno dubbi: non vedranno l’ora di farsi fare un’epidurale o un cesareo.


Molte donne optano per il bisturi perché “è più sicuro”. Ma anche qui è bene conoscerne i rischi.

La “sicurezza” dei farmaci

Una domanda: siamo proprio certe che farmaci e anestetici non abbiano conseguenze sui nostri bebè? Negli Stati Uniti, nonostante che la Federal Food and Drug Administration (Fda) abbia dichiarato vent’anni fa che “sulla base di prove effettuate, nessun farmaco è sicuro per il feto”, nel 2001 è stato lanciato un allarme: “Di nessun farmaco usato in ostetricia è stata dimostrata la sicurezza per il feto. Nessuna delle case farmaceutiche produttrici di tali farmaci approvati dal Fda ha effettuato esami neurologici periodici sui bambini esposti ai farmaci in utero. Ma la Fda non ha chiesto alle compagnie farmaceutiche questo tipo di dati”9. Riporto un post di una donna pubblicato in un forum online che la dice lunga sulla leggerezza con la quale le donne affrontano il problema dei farmaci e sulla responsabilità delle case farmaceutiche e della classe medica nei confronti delle partorienti: “Meglio il cesareo che i dolori del parto. Io l’ho fatto, non senti nulla, dopo qualche ora cominci ad avvertire dolori, ma chiedi Toradol e passano. Poi è la cicatrice che fa male, tanti auguri e stai serena”. C’è poco da stare serene! Il Toradol è un potente antinfiammatorio/antireumatico non steroideo il cui impiego – cito testualmente il foglietto informativo – è “controindicato in gravidanza, in prossimità o durante il parto e durante l’allattamento”. Il suo uso in prossimità del parto “può determinare il ritardo del parto stesso; inoltre può provocare, se somministrato in tale periodo, alterazioni dell’emodinamica del piccolo circolo del nascituro, con gravi conseguenze per la respirazione. Il farmaco è escreto in piccole quantità nel latte materno pertanto l’uso è controindicato durante l’allattamento”10. Credo che ogni commento sia superfluo. Per non parlare dell’ossitocina sintetica, ampiamente usata per indurre il travaglio, che interferisce negativamente in alcune importanti funzioni legate al rilascio di ossitocina naturale da parte della madre come, ad esempio, la riduzione di emorragie post-parto e l’avvio dell’allattamento11. È stato inoltre dimostrato che i metodi prenatali per calcolare l’età gestazionale sono imprecisi e hanno un margine di errore di due settimane12. Di conseguenza, in molti casi l’induzione del travaglio porta a far nascere il bambino prima del dovuto. Lungi da me fare del terrorismo psicologico, ma sapevate che più di un terzo dell’aumento del volume cerebrale del feto avviene nelle ultime 6-8 settimane di gestazione e che la materia grigia si quintuplica tra la 35° e la 40° settimana?13.

Seguire i tuoi tempi

Le donne che vogliono vivere il parto in modo più naturale, nel rispetto del proprio corpo e avendo il controllo su quanto sta accadendo, sono sempre più numerose, soprattutto se hanno vissuto un’esperienza ospedaliera negativa. Ad attrarle è la possibilità di far nascere il bambino in un ambiente intimo e protetto, circondate da persone che possono condividere un evento così importante e aiutarle nei momenti più delicati e difficili del travaglio, che in casa spesso è meno doloroso. Rispetto al parto ospedaliero, questa modalità di nascita offre un’opportunità in più: essendo una scelta basata sul rispetto dei ritmi naturali e della fisiologia del parto, permette di ritrovare l’equilibrio tra mente e corpo, fare pace con i propri bisogni più profondi, seguire i propri ritmi e i propri tempi. Ma anche di scoprire i propri limiti, accettarli e superarli. Quando una donna si assume la responsabilità del proprio parto, e non combatte il dolore ma lo accetta, superandolo, poi si sente potente, protagonista: una regina. “Ho partorito in casa 7 mesi fa”, mi racconta una neomamma, “è stata l’esperienza più emozionante della mia vita ed è stata la scelta migliore che potessi fare! Se dovessi partorire nuovamente e avessi la stessa gravidanza fisiologica non ci penserei due volte, vorrei farlo di nuovo. Non credo che in ospedale sarei stata lasciata libera di partorire come ho fatto a casa, vivendo tutto in modo così spontaneo. Ho scelto come e dove travagliare, dove partorire, la posizione dell’espulsione. Se mangiare cosa e quando, ogni tanto andavo ad accarezzare il mio cane… filmavo mio marito che si dava da fare a sistemare le cose… diciamo che l’ho vissuta in pieno! Con tutti i dolori, ma ho vissuto pienamente tutto e ne conservo un senso di grande appagamento e soddisfazione!”


Se deciderai di partorire in casa, al centro della scena ci sarai solo tu e il tuo bambino. Non dovrai subire imposizioni o interventi non voluti, né interferenze esterne. Potrai prendere le tue decisioni insieme all’ostetrica, trovando insieme le modalità, i tempi, i ritmi e le posizioni migliori da assumere. “Le ostetriche mi hanno dato consigli sulle posizioni da assumere per sentire meno male: è stato fondamentale, perché credo che stando sdraiata sarei diventata pazza”, racconta Oliva, 35 anni, mamma del piccolo Zeno, “Ci sono mille altre posizioni, in ginocchio, accovacciata; ogni donna sceglie la sua per alleviare il dolore delle contrazioni. Mi sono sentita protagonista, e anche molto animale. Io sono cresciuta in campagna, con gli animali, è stato esattamente così. È faticoso, ma ti metti giù e lo fai, piano piano”. L’ostetrica rispetterà i tuoi desideri e i tuoi bisogni, proteggendoti, come farebbe una mamma. Sentendoti sicura, protetta, troverai in te stessa, e non nei farmaci, le risorse necessarie per portare a buon fine il tuo compito.

Il racconto di Elena

“Mi si sono rotte le acque alle 5 del mattino e fino alle 9,45 ho fatto gli affari miei. Alle 9,50 sono partite le contrazioni, sempre più forti. Gabriella, la mia ostetrica, è arrivata e abbiamo fatto colazione, con la musica di Bruce Springsteen in sottofondo. Mi ha detto ‘vado a comprare un cellulare, se succede qualcosa chiamami’. Dopo cinque minuti sono piegata in due dalle contrazioni. Mio marito mi ha detto che forse era meglio chiamarla. In meno di tre ore sono arrivata a dilatazione completa, mentre il periodo espulsivo è durato cinque ore e mezzo, perché Martino era enorme, 4,250 chili e con una circonferenza cranica di 39 centimetri. Non usciva, ma le ostetriche hanno controllato il battito ad ogni contrazione ed è andato tutto bene, fino a quando Gabriella mi ha detto: ‘se non nasce tra un quarto d’ora-venti minuti, dobbiamo portarti in ospedale’. Ero stremata, ma questo forse mi ha dato la smossa finale, e lui è nato. Oltre che grande e grosso, aveva anche un braccino di traverso. Ma la cosa bella è che, pur avendo capito che c’era qualcosa che faceva tirare la cosa per le lunghe, ero riuscita ad avere totale fiducia in come stavano andando le cose. Sentivo la competenza e la sicurezza intorno a me. Le ostetriche avevano saputo monitorare la situazione. In ospedale mi avrebbero fatto il cesareo, uno dei primi motivi per cui si fa è quando i bambini sono grandi. Ho avuto tre-quattro punti di sutura, Martino si è subito attaccato al seno”.

I germi “amici”

Uno dei luoghi comuni sul parto domiciliare è che la casa sia più pericolosa dell’ospedale rispetto al rischio di contrarre infezioni. È esattamente il contrario. Gli ospedali, si sa, sono pieni di persone malate e i germi sono più pericolosi e aggressivi di quelli che abitano nella vostra casa, per via delle procedure del personale medico e infermieristico e dell’uso eccessivo di tecnologie e medicinali. Ogni famiglia si abitua ai propri germi e sviluppa una resistenza ad essi; inoltre, la presenza di pochissime persone esterne diminuisce notevolmente le possibilità di essere contagiati da germi “nemici”. Insomma, sono germi “familiari” e quindi meno pericolosi e aggressivi di quelli che proliferano nei nosocomi. E poi, sarai tu l’unica a usare il tuo bagno! Secondo uno studio dell’inglese National Childbirth Trust, dopo il parto circa il 22% delle donne ospedalizzate contraggono un’infezione, rispetto al 5% di quelle che partoriscono in casa.

I vantaggi per il bebè

In casa il neonato non viene manipolato da persone estranee e sempre diverse, ma solo dalla mamma, sulla quale può concentrare il suo interesse fin dalle prime ore di vita. Appena il tuo bimbo sarà nato, potrai stargli accanto tutto il tempo che vorrai, senza essere disturbata. Verrà così avviato serenamente il bonding14, quel processo fisico, emozionale e ormonale, di legame, di relazione e di accudimento tra la mamma, il neonato e il papà, che crea le basi per il futuro rapporto genitori-bambino e per le future relazioni sociali e affettive. Da ricerche sugli stadi comportamentali del neonato risulta che il mezzo più semplice ed efficace per creare un legame stabile e positivo tra i genitori e il bambino è metterlo nelle braccia della mamma, in contatto pelle-pelle, nelle due ore successive al parto. In quel momento il piccolo è molto attento, percepisce ciò che lo circonda. Comincia a cercare il seno materno e a guardare, a conoscere i genitori, ad essere rassicurato dall’abbraccio, dall’odore e dalla voce della mamma. Per questo bisognerebbe evitare interferenze esterne durante questo suo primo contatto con il mondo. “La sicurezza, la fiducia, la soddisfazione e la felicità che riesce a crearsi nelle prime ore dopo la nascita diventano la base per il rapporto tra i genitori e il bambino per gli anni a venire; quella manciata di minuti contiene un grande valore e gli errori che possiamo fare in quei minuti potrebbero richiedere anni per essere corretti”15.

Gli altri figli

Il parto è un’esperienza che dovrebbe tornare a far parte della nostra vita quotidiana e quindi della famiglia. Molte donne scelgono questa alternativa per permettere ai fratellini e alle sorelline di prendere parte all’evento e non restare separati dalla mamma a causa del ricovero. Non deve essere facile per un bambino scoprire non solo che la mamma è lontana da casa, ma anche che un piccolo sconosciuto abbia improvvisamente tutte le sue attenzioni. Potrà restare nei paraggi, magari entrando e uscendo ogni tanto dalla stanza del parto, per poi toccare subito dopo il fratellino, abbracciarlo e conoscerlo. L’importante è che qualcuno, un’amica o una persona di famiglia alla quale è affezionato, si possa occupare di lui mentre voi (e il vostro partner) state facendo il lavoro più duro. Comunque, prima di prendere una decisione al riguardo, è sempre meglio parlarne in anticipo con il papà e con l’ostetrica, che il bambino deve conoscere prima perché diventi per lui una figura amica.


Quando è nato Leonardo, in acqua, la mia primogenita aveva 3 anni e mezzo. Durante il travaglio e il parto abbiamo preferito farla stare qualche ora dai nonni, anche perché non sapevo che il travaglio sarebbe stato molto più breve del primo e, tra l’altro, temevo di impressionarla con le mie lunghe, potenti e sorprendenti “urla da squaw” (così le ha sempre definite mio marito) che avevano accompagnato la sua nascita. Un’ora dopo il parto tornò a casa, dove conobbe e abbracciò subito il fratellino che dormiva nel lettone. Non dimenticherò mai il suo sguardo quando entrò in camera da letto e vide quel fagottino circondato da cuscini e coperte. Chiese immediatamente di prenderlo in braccio e lo cullò teneramente per qualche minuto, osservandolo curiosa e felice. “Papà mi ripeteva di stare attenta a tenergli la testina con la mano”, racconta oggi Sara, “Mentre tenevo Leo in braccio mi sentivo una piccola mamma”. Siamo sicuri di averle fatto un regalo importante: quello di vivere un’esperienza fondamentale rispetto al parto, alla nascita, alla potenza femminile, all’intimità familiare, alla vita in generale. Come dice Sheila Kitzinger, “il bambino che assiste al parto in casa è testimone delle attenzioni e dell’amore di cui è oggetto la madre. È una lezione importante sulla partecipazione umana, la sensibilità e la tenerezza”16.

Vivere serenamente il “dopo”

Per Oliva, mamma di due bimbi nati in casa, il “dopo” è stato un momento speciale: “Quando ho visto Zeno è stato bellissimo”, racconta del primogenito. “Ho provato un enorme sollievo e dal quel momento in poi ho ringraziato per essere stata a casa mia e non in ospedale, con questi che lo prendono per i piedi, con le luci al neon, i rumori. Invece di stare qui a chiacchierare, a ridere. Poi ti metti a letto con il tuo bambino, e resti così per una settimana o per quanto ti pare, in questa bolla bellissima. Per i primi tre giorni il bambino, stanco del viaggio come te, dorme, non piange. Poi si sveglia e comincia a piangere, magari ha mal di pancia, il raffreddore. In ospedale se lo tengono in quei primi giorni in cui tutto va bene. Poi ti mandano a casa, proprio nel momento in cui spostarsi da un posto a un altro penso sia faticosissimo. E poi è una grande sicurezza sapere che le ostetriche sono sempre disponibili dopo che il bimbo è nato. Vengono tutti i giorni e tu non vivi tutto quello che creerebbe un po’ di panico. C’è la tendenza a lasciarti fare, senza dogmi e regole rigide. Per cui, anche se ti insegnano come attaccarlo al seno, per gli orari è tutto lasciato a come ti senti, a come vuoi fare tu. Questo è molto rassicurante perché scopri che non fai errori, e non ti frustri. Insomma, consiglio il parto in casa a tutte le donne, al cento per cento. Tante mamme che hanno vissuto parti medicalizzati ne parlano come un trauma. Io conosco solo questa esperienza, ma in ospedale non deve essere una cosa così bella. Lo è stata anche per il mio compagno, c’era un’armonia che non si è mai interrotta e che invece, in ospedale, credo possa rompersi per mille motivi, anche per la poca attenzione per il tuo stato d’animo e quello del tuo compagno. Insomma, per il poco rispetto dell’emotività”.

Non devi chiedere il permesso di partorire

In casa potrai assumere le posizioni che preferisci, muoverti, dormire, uscire a fare una passeggiata, una doccia, un bagno caldo, cantare, ascoltare la tua musica preferita, ballare, ridere, piangere, urlare. Potrai abbassare le luci, guardare la Tv, mangiare17, bere, non sarai disturbata dalle urla di altre mamme in travaglio, potrai accendere candele e incensi per profumare la casa. Nessuno ti sveglierà mentre riposi e non ci saranno persone sempre diverse che ti faranno visite interne o che monitoreranno le tue funzioni vitali ogni mezz’ora. Potrai brindare nel lettone, nessuno si affretterà a tagliare il cordone ombelicale, sarai tu e il tuo partner a fare il primo bagnetto al bimbo e potrai allattare quando e come vuoi. Parenti e amici non saranno poi costretti a rispettare i rigidi orari di visita dell’ospedale o della clinica. Ma non esagerare: chiedi al tuo partner di fare da filtro. Ricevere a tutte le ore può essere anche molto stancante! Approfittane invece per chiedere un aiuto nei primi giorni, quando avrai bisogno di riprenderti dalle fatiche del parto e sarai troppo stanca per cucinare. Ti consiglio di spartire tra gli eventuali visitatori la preparazione dei pasti: a un’amica puoi ordinare un paio di teglie di lasagne, a un’altra un arrosto, ai parenti dolci e bevande. E, se hai un animale domestico, anche lui potrà prendere parte ai festeggiamenti!

Il parto in casa
Il parto in casa
Elisabetta Malvagna
Nascere nell’intimità familiare, secondo natura.Tanti consigli pratici e utili suggerimenti per prepararsi ad affrontare al meglio il parto in casa, in completa sicurezza. Oggi la quasi totalità dei parti avviene in ospedale, e il 40% di questi termina con un taglio cesareo. Negli ultimi tempi, però, l’approccio alla maternità sta cambiando: cresce infatti il numero delle donne che vorrebbe vivere questo momento in modo più naturale, con intorno quanto di più caro.Nel suo libro Il parto in casa, dedicato a una scelta che in Italia è ancora oggetto di resistenze, pregiudizi e tabù, Elisabetta Malvagna, con occhio attento, indaga senza preconcetti su questa pratica e ne sostiene la sicurezza, documentando le sue teorie con un’ampia letteratura scientifica e proponendo un’interessante riflessione sul rapporto tra la donna moderna e la nascita.Partendo dalla propria esperienza di mamma di due bambini nati tra le mura domestiche, l’autrice riporta dati, statistiche e numerose testimonianze di personalità del settore, operatori e mamme che hanno scelto questa opzione. Sono poi forniti numerosi e utili consigli pratici per prepararsi ad affrontare questo straordinario momento al meglio e in completa sicurezza.Non mancano, infine, un decalogo sull’allattamento e un manuale di sopravvivenza per gravidanza, parto e post parto, oltre a capitoli sulla figura dell’ostetrica e sulle Case di Maternità. Conosci l’autore Elisabetta Malvagna, giornalista Ansa, scrittrice e blogger, studia da anni il tema della nascita.Ha fondato e cura i blog partoriresenzapaura.it, ispirato all’omonimo libro uscito nel 2008 e ormai divenuto un classico del settore, e partoincasa.it.