CAPITOLO IV

Il cesareo non è solo un 'taglietto'

Come si è visto, ormai in Italia quattro bimbi su 10 nascono con il bisturi. Alla fine degli anni Sessanta la percentuale era del 5%. Cosa è successo in questi ultimi 40 anni? La cosa grave è che, nella metà dei casi, sulle schede di dimissione il motivo del cesareo non viene indicato1. Ciò significa che una mamma su due non sa perché è stata sotto i ferri per dare alla luce il suo bambino! Il taglio cesareo dovrebbe essere praticato solo quando davvero necessario, in presenza di precise indicazioni cliniche. Secondo un’indagine condotta nel gennaio 2013 dal Ministero della salute con i Carabinieri dei Nas, invece, il 43% dei cesarei sarebbero ingiustificati.


Ormai le evidenze scientifiche dimostrano che andrebbe tassativamente evitato se, invece, l’obiettivo è solo quello di evitare il dolore del parto. Purtroppo le donne che lo scelgono non sono correttamente informate sui rischi di questo intervento chirurgico: secondo una ricerca svolta da un team di ricercatori a Ginevra e pubblicata sulla rivista “Pediatrics”2, la mortalità neonatale e le complicazioni legate al cesareo sono “spesso igno-rate e la loro importanza minimizzata”. I bambini nati da un parto cesareo, d’urgenza o elettivo, hanno un rischio di mortalità 5,7 volte superiore (0,57% contro lo 0,1%) rispetto a quelli venuti al mondo per via vaginale. Un parto cesareo è detto elettivo quando è praticato prima del travaglio o della rottura delle membrane. Se si escludono i cesarei d’urgenza, effettuati in seguito a complicazioni, il rischio per il bambino diminuisce, ma resta comunque due volte superiore rispetto ai parti naturali.


Da uno studio americano condotto su 38.000 donne dal dottor Christopher Glantz dell’Università di Rochester, è emerso che il rischio di taglio cesareo aumenta sensibilmente se il parto viene indotto prima della 39° settimana di gravidanza. Con questo intervento crescono le possibilità di contrarre infezioni, ledere organi e causare coaguli di sangue. Per 25 travagli indotti intorno alla 39° settimana ci sono almeno due tagli cesarei che potrebbero essere evitati in attesa del parto naturale.


Non solo: a differenza del parto normale, durante il quale il livello di stress cresce a poco a poco fino alla vera e propria nascita, nel cesareo i bambini sono impreparati e possono sviluppare livelli di stress troppo elevati, portando a un maggior rischio di allergie, diabete e leucemia. Gli scienziati del Karolinska Institutet di Stoccolma hanno analizzato campioni sanguinei dal cordone ombelicale di neonati appena dopo il parto e nei giorni successivi, scoprendo che “le condizioni alterate di nascita imprimono dei cambiamenti nelle cellule immunitarie. Cambiamenti che si manifestano più tardi nel corso della vita”. Anticipando la data del parto, inoltre, il cesareo crea di fatto più bimbi prematuri e riduce gli effetti benefici del travaglio sulla capacità di adattamento dei polmoni del neonato. È importante sapere che durante le contrazioni il bambino subisce una compressione nel canale vaginale che stimola la produzione di ormoni, che aiutano i polmoni a svuotarsi del fluido che rende difficile il primo respiro. Infatti, rispetto al parto vaginale, il cesareo raddoppia il rischio di problemi respiratori.

Non bisogna poi dimenticare le conseguenze sulla madre. Questa operazione chirurgica continua a essere propagandata come un mezzo sicuro per garantire la salute della donna e del bambino. In alcuni casi, quando si presentano patologie particolari, lo è di certo. Ma un parto cesareo elettivo senza una situazione d’emergenza, triplica il rischio di morte materna rispetto a un parto vaginale3, oltre a ridurre la possibilità di avere altri figli e raddoppiare il rischio di gravidanze extrauterine e di aborti spontanei4. Anche l’OMS, alla luce di una ricerca che ha analizzato oltre 100.000 nascite riunendo dati provenienti da nove paesi asiatici (Cambogia, Cina, Filippine, Giappone, India, Nepal, Sri Lanka, Thailandia e Vietnam), ha evidenziato come il taglio cesareo possa quasi triplicare i rischi di complicanze gravi rispetto al parto naturale. Con il cesareo aumenta anche la possibilità di emorragia e crescono di dieci volte le possibilità di finire in un reparto di terapia intensiva.


Il taglio cesareo è stato associato a numerosi danni a lungo termine, come la formazione di aderenze addominali e dolori pelvici cronici5. Rischi anche rispetto a eventuali gravidanze successive: placenta previa, distacco della placenta. Rottura uterina, isterectomia, neonati sottopeso e necessità di ricovero in reparto di terapia intensiva6. Inoltre, il rischio di mortalità materna è proporzionale al numero di cesarei7. Dati che, visto il costante aumento di cesarei nel mondo, stanno spingendo i ricercatori a chiedere ai responsabili della salute pubblica di informare meglio le donne sui rischi di questo intervento e di analizzarne più da vicino le implicazioni mediche e sanitarie, anche a lungo termine.

Il business del cesareo

Alcune regioni del Sud come la Campania hanno un tasso di cesarei che supera il 50%, mentre nella provincia di Bolzano la percentuale precipita al 23,1%: non vi sembrano differenze vagamente sospette? “Nel 1981 i parti erano la cosa più naturale del mondo. Le complicazioni erano poche e solo nell’11% dei casi si ricorreva al cesareo. Poi è arrivata la rivoluzione dei rimborsi a prestazione. E con loro è cambiata la storia dell’ostetricia italiana. Il motivo è in parte anche pecuniario. Una nascita naturale senza complicazioni rende per il tariffario nazionale all’ospedale 1.489,46 euro più 307 euro per giorno di ricovero. Il cesareo vale quasi mille euro in più (2.359,69) e più del doppio (3.371) in caso di complicazioni. Le mamme italiane, da allora, non sono cambiate. Ma i parti cesarei nel nostro paese oggi, potenza del dio denaro, sono il 38% del totale, contro la media europea del 15%”8. Le aziende ospedaliere, in quanto ‘aziende’, devono fare i conti anche con il profitto, i bilanci, le aspettative dei consigli di amministrazione. Se tutte le donne sane venissero lasciate partorire seguendo i ritmi del proprio corpo e del bambino, ci vorrebbe più tempo per partorire e più personale impegnato ad assistere i travagli. Di conseguenza, in strutture dove, ad esempio, nascono 2.500 bambini l’anno, il numero di parti diminuirebbe sensibilmente, con un proporzionale crollo di finanziamenti e rimborsi da parte dello Stato.


Secondo un rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute della donna, un parto cesareo senza complicazioni costa il 60% in più di un parto vaginale9. Di fronte a tutto ciò, il Tribunale del Malato ha proposto di parificare i rimborsi del parto cesareo e del parto vaginale, sull’esempio del Brasile, dove i cesarei sono crollati. Non solo: secondo uno studio condotto dalla American Association of Birth Centers e pubblicato sul “Journal of Midwifery Women’s Health”, se anche solo il 10% delle nascite avvenisse nei ‘centri nascita’ (negli Usa se ne contano 250), ci sarebbe un risparmio annuale di un miliardo di dollari l’anno e diminuirebbe drasticamente il numero di parti cesarei.

Negli Stati Uniti questo tipo di intervento ha registrato un boom e nel 2010 un terzo delle partorienti vi hanno ricorso, con una spesa molto superiore rispetto a quella del parto vaginale.


Ma parliamo anche delle cliniche. Per quale motivo nelle strutture private il taglio cesareo è più diffuso (58% nelle case di cura accreditate, 73% in quelle non accreditate) rispetto alle strutture pubbliche (35%)10? In teoria, chi partorisce in una struttura privata dovrebbe essere a basso rischio e, di conseguenza, anche avere meno probabilità di essere cesareizzata. In clinica questo intervento può costare – tra degenza, ginecologo, neonatologo, anestetista, pediatra, primo assistente, secondo assistente e infermiera – anche più di 20 mila euro (contro i circa 8 mila euro del parto vaginale). I costi sono coperti dalle compagnie assicurative (alcune delle quali rimborsano solo il cesareo: non è bizzarro?), e il rimborso per questo intervento chirurgico è, nella maggior parte dei casi, il triplo rispetto al parto vaginale11. Sarà un caso, ma alla Mater Dei, una delle più rinomate cliniche romane, 9 bambini su 10 nascono con il bisturi.


L’Istituto Superiore di Sanità ha emanato le linee guida che prevedono il taglio cesareo solo in presenza di alcune condizioni: in caso di posizione podalica del feto, non prima di aver tentato le manovre di rivolgimento esterno; se la placenta ostruisce il passaggio del feto; in caso di peso stimato di oltre 4,5 chilogrammi; se sono gemelli, ma solo in alcuni casi; e con specifiche indicazioni per alcune infezioni.


La pandemia di cesarei è dovuta anche a motivi legali. Secondo un’indagine condotta dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) da maggio a settembre 2009, nove ginecologi su dieci ritengono che la prima causa del cesareo in Italia siano le complicazioni medico-legali. I camici bianchi non hanno dubbi: il contenzioso rappresenta il vero problema da affrontare per risolvere questa anomalia. Nel complesso, la ricerca evidenzia che le motivazioni organizzative pesano più di quelle cliniche: 59% contro il 32%. Ma c’è anche un problema evidente nella formazione, perché la preparazione del ginecologo/ostetrico al parto vaginale è “inadeguata” per il 59%.


A quando un cambio di rotta?

Il parto in casa
Il parto in casa
Elisabetta Malvagna
Nascere nell’intimità familiare, secondo natura.Tanti consigli pratici e utili suggerimenti per prepararsi ad affrontare al meglio il parto in casa, in completa sicurezza. Oggi la quasi totalità dei parti avviene in ospedale, e il 40% di questi termina con un taglio cesareo. Negli ultimi tempi, però, l’approccio alla maternità sta cambiando: cresce infatti il numero delle donne che vorrebbe vivere questo momento in modo più naturale, con intorno quanto di più caro.Nel suo libro Il parto in casa, dedicato a una scelta che in Italia è ancora oggetto di resistenze, pregiudizi e tabù, Elisabetta Malvagna, con occhio attento, indaga senza preconcetti su questa pratica e ne sostiene la sicurezza, documentando le sue teorie con un’ampia letteratura scientifica e proponendo un’interessante riflessione sul rapporto tra la donna moderna e la nascita.Partendo dalla propria esperienza di mamma di due bambini nati tra le mura domestiche, l’autrice riporta dati, statistiche e numerose testimonianze di personalità del settore, operatori e mamme che hanno scelto questa opzione. Sono poi forniti numerosi e utili consigli pratici per prepararsi ad affrontare questo straordinario momento al meglio e in completa sicurezza.Non mancano, infine, un decalogo sull’allattamento e un manuale di sopravvivenza per gravidanza, parto e post parto, oltre a capitoli sulla figura dell’ostetrica e sulle Case di Maternità. Conosci l’autore Elisabetta Malvagna, giornalista Ansa, scrittrice e blogger, studia da anni il tema della nascita.Ha fondato e cura i blog partoriresenzapaura.it, ispirato all’omonimo libro uscito nel 2008 e ormai divenuto un classico del settore, e partoincasa.it.