CAPITOLO III

Ma è sicuro?

Cara Elisabetta, aver sentito che lei ha partorito in casa mi fa sentire meno “pazza” e “incosciente”. Ho partorito in casa tre volte e l’ultima in acqua, solo che questa nostra scelta viene giudicata da tutti, anche dalle persone più care, una scelta da irresponsabili. Io sono invece fermamente convinta che noi donne dobbiamo riappropriarci del parto, essere meno dipendenti dai luoghi comuni, dai medici. Partorire è l’esperienza più bella che una donna può fare e vorrei veramente gridarlo al mondo.
e-mail di Sara

Quando si parla di parto in casa la domanda più frequente è “ma è sicuro?”. Considerate che il 90% della popolazione che attualmente vive sulla Terra è nata in casa. Ma questa è solo una curiosità. In Italia, Paese del mondo occidentale che detiene il record di cesarei, questa opzione rappresenta circa lo 0,1% dei casi, pari a 1.000-1.500 parti in casa all’anno, su un totale di oltre 500 mila1. Una cifra irrisoria, anche se negli ultimi tempi c’è stata una lieve inversione di tendenza. Chi sceglie questa opzione ha in genere tra i 30 e i 40 anni, una cultura medio-superiore, è pluripara, con una precedente esperienza ospedaliera non troppo felice. Il primato italiano spetta alle Province autonome di Trento e Bolzano, che rispettivamente con lo 0,3 e lo 0,6% hanno superato l’Emilia Romagna, fino a un anno fa la regione con il più alto tasso di parti in casa, sceso dallo 0,8 nel 2004 allo 0,2 nel 2009, almeno secondo i dati più recenti2. È interessante il caso dell’Inghilterra, dove la percentuale è salita dal 2 al 2,85%. Ma non è un caso: quando entrano in gioco gli organismi statali, le cose cambiano. Il National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) ha chiesto al governo e al servizio sanitario di attrezzarsi per offrire a tutte le donne questa alternativa al parto ospedaliero e di contare sulla costante e adeguata assistenza di un’ostetrica. Una raccomandazione lanciata anche per contenere la piaga dei cesarei ingiustificati, il cui tasso in alcuni ospedali inglesi ha raggiunto il 34%. Ovviamente il parto in casa viene accuratamente selezionato3. “Le condizioni – spiega Marta Campiotti – sono basate su criteri oggettivi: la donna deve essere sana, avere una gravidanza fisiologica, non deve esserci il diabete, l’emoglobina deve essere pari o superiore a 9,5, il bambino deve essere a termine (tra la 37° e la 42° settimana), non essere podalico, il suo peso non deve essere inferiore ai 2,6 chilogrammi e non superiore ai 4,2-4,5 chilogrammi, bisogna valutare anche il bacino della mamma. La gravidanza deve essere seguita dall’ostetrica almeno dalla seconda metà. L’ospedale deve essere a 30-40 minuti di distanza, anche se ciò che conta è quando si decide di trasferire la donna. La cosa importante è che l’ostetrica riconosca il momento, e non tergiversi. Per noi è importante essere in due, il travaglio può durare molte ore, può subentrare la stanchezza, bisogna gestire la donna e il bambino, e la placenta”. In ogni caso, “non sempre un problema porta al trasferimento in ospedale”, spiega Verena Schmid. “L’ostetrica valuta se ci sono altre risorse che possono essere attivate e dovrebbe comunque sempre coinvolgere la donna nella scelta”.

È molto importante che la mamma abbia la volontà e la preparazione necessaria per assumere un ruolo attivo durante il parto e sia disposta ad affrontare il travaglio senza farmaci, utilizzando le tecniche disponibili per alleviare il dolore: il massaggio da parte del partner, l’adozione delle posizioni e dei movimenti che facilitano l’allineamento del feto per il passaggio attraverso la pelvi, l’immersione in acqua tiepida, l’agopuntura, l’aromaterapia, la riflessologia, fino all’ipnosi e all’hypnobirthing4.


Il dibattito sulla sicurezza del parto domiciliare è molto acceso. Per Verena Schmid il parto casalingo non può essere confrontato alla pari con il parto ospedaliero: “Le variabili sono infinite e subentrano fattori che la scienza non considera, quali la motivazione, l’attivazione delle risorse, l’intimità, la sessualità. Poi non viene valutato il tipo di approccio all’assistenza, che varia tantissimo da Paese a Paese e da gruppo a gruppo. Le ricerche partono dall’approccio medico, orientato al rischio, mentre il parto a domicilio richiede un approccio salutogenico, orientato alle risorse e alla centralità della donna”. Insomma, è come “valutare l’omeopatia o altre medicine olistiche con lo sguardo medico: non può che uscirne un ritratto limitato”. Quella del luogo in cui partorire è una scelta assolutamente personale, che riflette i bisogni e i valori individuali. Da un recente studio americano sulle motivazioni di questa scelta, è emerso che le donne ritengono che la propria casa sia il luogo più sicuro per mettere al mondo i loro bambini. Al secondo posto nella classifica delle motivazioni, la paura di interventi medici, precedenti esperienze negative in ospedale, il desiderio di controllo e di comfort legati all’ambiente domestico. Uno studio olandese, pubblicato nel giugno 2013 sul “British Medical Journal”, ha rilevato una sostanziale sicurezza per le donne che presentano una gravidanza non a rischio, soprattutto se non sono al primo parto. I ricercatori, diretti dall’ostetrica Ank de Lange del Dipartimento di Scienze Ostetriche dell’ospedale universitario VU di Amsterdam, hanno analizzato i dati di un registro nazionale relativi a oltre 146.000 donne a basso rischio seguite per la gravidanza dal 2004 al 2006, che per il 63% avevano scelto il parto in casa.

Una ricerca realizzata in Canada5 ha preso in esame tre gruppi: il primo di 2.899 donne che avevano pianificato un parto a domicilio assistite da un’ostetrica, il secondo di 4.552 donne che avevano pianificato un parto in ospedale assistito da un’ostetrica, il terzo di 5.331 donne che avevano pianificato un parto in ospedale assistito da medici. L’unicità di questo studio, effettuato tra il 2000 e il 2004, sta nel fatto che tutte le donne esaminate avevano gli stessi requisiti: erano in salute e a basso rischio. Inoltre, visto che la stessa squadra di ostetriche assisteva i parti a domicilio e quelli in ospedale, questo è il primo studio i cui risultati possono essere associati più facilmente con il luogo del parto. La ricerca ha evidenziato che il tasso di mortalità perinatale era sovrapponibile nei tre gruppi: lo 0,35 per mille fra i parti pianificati a casa; lo 0,57 per mille fra i parti pianificati in ospedale e assistiti dall’ostetrica e lo 0,64 per mille fra quelli pianificati in ospedale e assistiti da un medico, senza alcun caso di morte fra 8 e 28 giorni di vita neonatale. Fra le donne del gruppo del parto pianificato a casa sono state registrate frequenze inferiori di interventi ostetrici rispetto agli altri due gruppi. Fra i neonati del parto pianificato a casa è emersa una riduzione della necessità di rianimazione alla nascita o di ossigenoterapia per un periodo superiore a 24 ore, e una minore frequenza di aspirazione di meconio. Non si è verificata nessuna morte materna, e complicazioni come emorragia post-parto, febbre e infezioni si sono verificati in misura maggiore in ospedale, così come interventi ostetrici come forcipe ed episiotomia.


Da un altro studio americano realizzato nel 2005 e pubblicato dal “British Medical Journal” è risultato che il parto in casa pianificato e assistito da un’ostetrica ha percentuali simili di mortalità materna e neonatale rispetto a parti a basso rischio in ospedale, con una minore percentuale di interventi medici nei primi rispetto ai secondi6. Nel 1992, il Winterton Report, un’indagine sull’assistenza sanitaria alla maternità commissionata dal Parlamento britannico, sottolineava che “incoraggiare tutte le donne al parto in ospedale non è giustificabile dal punto di vista della sicurezza”. Non solo. Nel rapporto (che contiene oltre 100 raccomandazioni su gravidanza, travaglio e cure perinatali) si afferma che “non esiste evidenza convincente o inoppugnabile che gli ospedali diano una garanzia migliore di sicurezza per la maggioranza di mamme e bimbi. È possibile, ma non provato, che sia il contrario”.

Distribuzione regionale dei parti secondo dove essi avvengono

Sono ormai passati molti anni da quando, nel 1985, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ufficialmente stabilito che “non è mai stato scientificamente provato che l’ospedale è più sicuro della casa per una donna che ha avuto una gravidanza normale”7.

Una scelta libera o condizionata?

Il “British Medical Journal” ha pubblicato nel 1986 un editoriale a favore del parto in casa: “La maggior parte degli indicatori suggerisce che il parto a domicilio non presuppone un rischio maggiore dovuto agli interventi. È importante che l’opzione sia disponibile, specialmente per le donne con una gravidanza a basso rischio, alle quali bisogna consentire una libera scelta”. È proprio questo è il problema. Com’è possibile fare una libera scelta senza avere a disposizione le informazioni necessarie?


In Italia la maggioranza delle donne si sente più sicura tra le pareti di un nosocomio. Ma tra le future mamme c’è un crescente bisogno di vivere un momento così importante in un luogo più intimo, per evitare interventi inutili e non voluti e vivere il parto in prima persona. A rassicurarle c’è il più vasto studio mai condotto sul tema: sono infatti ben 530mila le nascita monitorate in una ricerca olandese realizzata nel 2009 e pubblicata dal “British Journal of Obstetrics and Gynaecology”. La ricerca mostra che “il parto a casa, se la gravidanza non è a rischio, è sicuro come in ospedale”. Lo studio, condotto in Olanda proprio perché è quello tra i Paesi europei dove i parti in casa vanno per la maggiore, non ha riscontrato differenze nei tassi di mortalità di madri e neonati nelle gravidanze portate a termine fra le mura domestiche o in ospedale. Ad accendere la curiosità dei ricercatori, guidati da Simone Buitendijk del TNO Institute for Applied Scientific Research, vi era il fatto che in Olanda si registrano tassi tra i più alti di morte alla nascita o durante il parto. Poiché in questo Paese un terzo delle nascite avviene in casa, alla vecchia maniera, c’era il timore che questo fosse un ulteriore fattore di rischio. L’indagine si è svolta su un campione di donne con gravidanze senza complicazioni: non avevano partorito in precedenza col cesareo, il bambino si trovava nella posizione ottimale e non aveva difetti congeniti. Quasi un terzo delle donne che avevano iniziato il travaglio a casa hanno dovuto essere comunque trasferite in ospedale per l’insorgenza di complicazioni, per esempio un battito cardiaco fetale anomalo o la necessità di antidolorifici più efficaci. Ma, anche i questi casi, il rischio corso da madre e figlio non è risultato maggiore che se la madre fosse stata fin dall’inizio in ospedale. Se la vostra è una gravidanza a basso rischio e volete evitare un cesareo, vi saranno utili anche i risultati del più vasto studio americano sul parto a domicilio8, che ha messo a confronto 1.046 parti in casa con altrettanti parti in ospedale. È emerso che in ospedale i casi di alta pressione nella mamma erano cinque volte superiori e triplicate le emorragie post-parto. Per il neonato: triplicate le percentuali di sofferenza fetale durante il travaglio e le difficoltà respiratorie, e quadruplicate le infezioni. Il tasso di mortalità neonatale? Il medesimo, mentre non si era verificata nessuna morte materna in entrambi i gruppi. Il ricercatore danese Ole Olsen ha confrontato i risultati di sei differenti studi osservazionali controllati, con gli esiti perinatali di 24.092 gravidanze selezionate e a basso rischio di cinque continenti. È emerso che la mortalità perinatale non differisce fra parto in casa e parto in ospedale; inoltre, nel gruppo delle nascite domiciliari è stata riscontrata una frequenza superiore di punteggio di Apgar alto e le madri avevano subìto un minor numero di lacerazioni perineali e induzioni al travaglio9.

Partorire in casa nel Terzo Millennio

Potrà sembrare un paradosso, ma partorire in casa nel XXI secolo è sicuro grazie ai ginecologi. Rispetto a cinquant’anni fa le condizioni socio-economiche e sanitarie sono molto migliorate. Come racconta Dina, un’ostetrica che ha studiato al Policlinico di Sant’Orsola di Bologna tra il 1945 e il 1948: “Quando arrivavo nelle case, fredde e senza luce, trovavo sempre la casa piena di gente. Le condizioni sanitarie in quegli anni erano tremende, le malattie veneree avevano un’altissima diffusione, le vaccinazioni erano praticamente inesistenti. L’antipolio arrivò solo negli anni Sessanta, e non c’era neanche la penicillina. Questo, com’è ovvio, portava a una mortalità altissima nell’infanzia e anche alle donne non andava meglio. Il bambino spesso nasceva dopo tre, quattro giorni di travaglio. Per mia fortuna non ho mai avuto casi di morte né nelle mamme né di bambini”. Nei momenti del bisogno, invece dei cellulari, esisteva un sistema di comunicazione “tra casa e casa, tra podere e podere. Se c’era una persona che stava male o una donna partoriente, veniva steso un grande lenzuolo bianco fuori dalla finestra, in modo che tutti potessero vederlo. Questo era un segnale di pericolo”10.


Graziella, classe 1927, ostetrica condotta a Ranchi, una frazione di Umbertide, in Umbria, si è diplomata nel 1949, quando aveva 22 anni: “Oltre agli attrezzi del mestiere, presi l’usanza di portare con me anche dei teli bianchi. Spesso nelle case mancava tutto. C’era tanta miseria. Tiravo fuori i teli dalla mia borsa, li consegnavo alle donne di casa, che li facevano bollire dentro un paiolo sul fuoco, poi li stendevano ed ecco che erano sterilizzati e pronti per l’uso. A volte entravo in case dove non avevano neppure un vestitino da far indossare al neonato. Allora lo coprivo alla meglio con quello che trovavo in casa”11.

A differenza di una volta, oltre alla mutata situazione sociale e sanitaria, possiamo contare sulla tecnologia, che può intervenire in caso di emergenza salvando la vita di mamma e bambino. Se non ci fossero gli ospedali e i ginecologi, le ecografie e gli esami del sangue, il parto a domicilio sarebbe rischioso. Ma il parto in casa selezionato consente alla donna di vivere questa scelta in totale tranquillità. Certo, ogni parto ha una percentuale di rischio, di imponderabile. “Non si può parlare di sicurezza assoluta né di assenza di rischio di fronte all’evento parto-nascita, dovunque esso avvenga”, sottolinea Marta Campiotti. “L’imponderabile esiste, sia nella nascita che nella vita”, osserva Verena Schmid. “Sia a casa che in ospedale un bambino può morire, una donna può avere complicanze inaspettate e qualche rarissima volta anche una donna può morire. Questo spaventa. Il parto, come la vita, è un evento incontrollabile. Tutti i tentativi di controllarlo sono vani, infatti grande è la frustrazione quando, nonostante tutti i controlli, l’imponderabile accade. Ci illudiamo di poter salvare delle vite, ma possiamo solo sostenere la vita con il massimo delle nostre possibilità e con gli strumenti a nostra disposizione. Riconoscere questo, aiuta a uscire dal senso di onnipotenza e rende gli operatori più umili e più capaci di accompagnare le situazioni. L’imponderabile è comunque un evento estremamente raro. La vita è largamente vincente. Resta il problema della sicurezza, che noi vorremmo assoluta, ma si può solamente parlare della massima sicurezza possibile. Cercarla nei luoghi del parto, nel tipo di operatore che assiste, significa collocarla all’esterno”. Chi sceglie il parto in casa è consapevole che la sicurezza assoluta non esiste, ma non per questo alza le braccia, si arrende a priori, aspettandosi comunque il peggio. “Le coppie e le ostetriche professioniste che pianificano un parto in casa sanno che il loro obiettivo principale è un parto sicuro, non un parto in casa a tutti i costi”, dice Pam England, nota ostetrica americana, autrice insieme a Rob Horowitz di Birthing from within12, un libro ispirato alla sua esperienza di mamma di due bambini nati in casa, poi sviluppata in un innovativo approccio olistico alla nascita e al post-parto. Nel libro sostiene che le mamme e i papà imparano che il trasferimento in ospedale di rado comporta un’emergenza legata al travaglio. Nella maggior parte delle volte i problemi in travaglio si sviluppano con lentezza: “Le ostetriche vigili li vedono arrivare come il fanale di un treno lungo un binario buio. In genere i trasferimenti non avvengono a causa di emergenze, ma per travagli prolungati, mancata progressione o mancanza di spinte, o quando passa troppo tempo da quando si rompono le acque. Il trasferimento avviene in macchina, insieme all’ostetrica, senza sirene spiegate. Di rado c’è bisogno di un’ambulanza”.


“Penso che, se una donna crede di mettere a rischio la vita di suo figlio con il parto in casa, questo significhi che non ha fiducia né in se stessa né in chi l’aiuta”, dice Elena, che ha partorito tra le mura domestiche. “L’ospedale dovrebbe essere un luogo dove si salvano le vite umane”, spiega, “ma dipende da come è gestito. E purtroppo mi sembra che, per come sono gestiti i reparti di maternità in Italia, l’ospedale, nonostante molte persone lavorino in modo serio, non sia così. Conosco una donna entrata il venerdì santo in ospedale, il lunedì ha partorito un bambino sano, ma dopo tre giorni di travaglio era completamente menomato. La famiglia ha ricevuto, anni fa, 300 milioni di lire di risarcimento: è stato provato che era stato causato dalla negligenza dei medici”.


Illuminante il pensiero di Vicki Noble: “Siamo arrivate a credere di non sapere come si fa ad avere bambini. Ci fa paura, ci terrorizza, ci rivolgiamo agli ‘esperti’ perché ci aiutino a farlo nel modo giusto. Ci rechiamo in ambienti sterili, privi di calore, lontani dalla casa e dalla famiglia, dove ci sdraiamo con le gambe divaricate e lasciamo che un tecnico rimuova il neonato dal nostro corpo. Ci siamo convinte che in qualsiasi altro modo met-teremmo in pericolo i bambini che stiamo dando alla luce: siamo convinte che arrecheremmo un danno irreparabile ai nostri figli e ci dimostreremmo irresponsabili nei loro confronti. Perciò accettiamo in silenzio i consigli del dottore Onnipotente e dei suoi assistenti dai camici bianchi, e di conseguenza quando partoriamo ci sottoponiamo a un ‘tasso di complicazione’ terribilmente elevato. Andiamo in ospedale per essere sicure, prendiamo medicine che ci aiutano a farlo meglio, osserviamo le regole e ci lasciamo rasare e tagliare nelle nostre parti sacre per evitare di lacerarci e contaminare il bambino”.

Proteggi te stessa

Di solito le donne che decidono di partorire in casa sono additate come sconsiderate, imprudenti, e devono fare i conti con il senso di colpa. In questa scelta, e parlo anche della mia esperienza personale, è molto importante essere convinte. “L’aspetto emotivo è fondamentale perché, quando la donna non è sicura della sua scelta, trova mille modi per fermare il processo e rinunciare”, sottolinea Marta Campiotti. “È importante che la donna e l’ostetrica abbiano la percezione della sicurezza. Quando manca, va sempre a finire con il trasferimento in ospedale. Per questo motivo occorre anche una relazione empatica tra la donna e l’ostetrica. Ma contano anche le influenze culturali, quelle della famiglia di origine e del gruppo sociale di appartenenza. È quindi molto importante il percorso che la coppia fa durante tutta la gravidanza o almeno dall’ultimo trimestre, per decondizionare alcuni aspetti, come il senso di colpa, che vanno analizzati e digeriti, nel corpo più che nella testa, e lasciare spazio al positivo. La donna diventa più consapevole dei suoi desideri, entra in maggior contatto con il suo bambino e le sue innate competenze di mammifera; in altre parole, sviluppa la sua intima capacità generativa. Quando è così, la sicurezza si sente nell’aria. Il processo del parto naturale è un processo armonico che attraversa naturalmente alti e bassi, forza e paura, gioia e dolore. La donna ha bisogno dell’aiuto dell’ostetrica nei momenti di crisi, di fatica: questo è normale. Noi ostetriche dobbiamo attivare il nostro sapere specifico insieme alla vigilanza e alla consapevolezza di ciò che sta succedendo. Nell’assistenza olistica non stiamo sul “fare”, ma sul “comprendere”. Se in una disarmonia occorre il mio aiuto, intervengo con strumenti dolci, e molto spesso così si ritorna alla fisiologia. Oppure si va in ospedale, ma è un trasferimento tranquillo; per intenderci, non con l’ambulanza, perché compito dell’ostetrica è riconoscere i segnali borderline molto prima dell’emergenza. Io in oltre 25 anni ho avuto solo due emergenze. È proprio nel borderline che si misura la competenza di una brava ostetrica”.


Insomma, al centro della sicurezza dovrebbe stare la donna, non l’operatore o il luogo. Per Verena Schmid “la sicurezza oggettiva, basata su grandi numeri, dà delle probabilità e può essere utile per orientare le politiche di assistenza, cosa che non succede. Ma c’è anche una sicurezza soggettiva che sta nella donna, nelle scelte che fa, nelle sue percezioni, che nasce dal suo senso interiore di sicurezza. Solo laddove la donna si sente sicura, si può aprire al parto”. Questo senso di sicurezza è influenzato da fattori culturali, dai messaggi dei media, dalla storia personale. E aumenta se a questo si associa una “relazione di fiducia e alla pari nell’assistenza, un ambiente intimo, la partecipazione diretta della donna alle scelte e soprattutto la continuità dell’assistenza. Potremmo rovesciare la prospettive”, aggiunge, “e anziché dire che il parto in ospedale e a casa sono sicuri più o meno allo stesso livello, potremmo dire che il parto in ospedale e a domicilio hanno la stessa percentuale di rischio, anche se basso. Questa prospettiva aiuta ad accettare la realtà di un rischio imponderabile, presente, con cui bisogna fare i conti. A questo punto diventano importanti le risorse da contrapporre a questo rischio”.


Per valutare la sicurezza del parto domiciliare bisognerebbe tener conto anche delle conseguenze a lungo termine della medicalizzazione. Verena Schmid ne cita alcune: la lesione del legame madre-bambino e della decisionalità soggettiva della donna, le depressioni, le sindromi da stress post-traumatico da parto, i disturbi perineali, i disturbi sessuali postparto, la violazione dell’integrità della donna, la qualità dell’esperienza. Rischi che “incidono sulla successiva qualità della vita della donna e della famiglia”. E di conseguenza, ne sono fermamente convinta, anche sulla nostra società (e sulla spesa pubblica). In questo senso, per Verena Schmid, “solo la donna può decidere quale tipo di rischio vuole assumere per sé e per il suo bambino, anche in base alle risorse di cui sente di poter disporre. Dico questo con la consapevolezza che il rischio è inevitabile e sapendo che in ogni donna madre si sviluppa un forte senso di protezione insieme a un istintivo sistema di allarme, se qualcosa non va”. Insomma, “il bersaglio sul quale puntare l’occhio indagatore della ricerca dovrebbe essere la donna. L’operatore e il luogo sono risorse disponibili, certamente importanti, ma non assolute”.

Il parto in casa
Il parto in casa
Elisabetta Malvagna
Nascere nell’intimità familiare, secondo natura.Tanti consigli pratici e utili suggerimenti per prepararsi ad affrontare al meglio il parto in casa, in completa sicurezza. Oggi la quasi totalità dei parti avviene in ospedale, e il 40% di questi termina con un taglio cesareo. Negli ultimi tempi, però, l’approccio alla maternità sta cambiando: cresce infatti il numero delle donne che vorrebbe vivere questo momento in modo più naturale, con intorno quanto di più caro.Nel suo libro Il parto in casa, dedicato a una scelta che in Italia è ancora oggetto di resistenze, pregiudizi e tabù, Elisabetta Malvagna, con occhio attento, indaga senza preconcetti su questa pratica e ne sostiene la sicurezza, documentando le sue teorie con un’ampia letteratura scientifica e proponendo un’interessante riflessione sul rapporto tra la donna moderna e la nascita.Partendo dalla propria esperienza di mamma di due bambini nati tra le mura domestiche, l’autrice riporta dati, statistiche e numerose testimonianze di personalità del settore, operatori e mamme che hanno scelto questa opzione. Sono poi forniti numerosi e utili consigli pratici per prepararsi ad affrontare questo straordinario momento al meglio e in completa sicurezza.Non mancano, infine, un decalogo sull’allattamento e un manuale di sopravvivenza per gravidanza, parto e post parto, oltre a capitoli sulla figura dell’ostetrica e sulle Case di Maternità. Conosci l’autore Elisabetta Malvagna, giornalista Ansa, scrittrice e blogger, studia da anni il tema della nascita.Ha fondato e cura i blog partoriresenzapaura.it, ispirato all’omonimo libro uscito nel 2008 e ormai divenuto un classico del settore, e partoincasa.it.