“Mio figlio Martino è sempre stato impegnativo; quando è nato l’ostetrica me l’ha appoggiato subito sulla pancia e lui si è subito arrampicato per cercare il seno. È sempre stato vorace”, racconta Elena. “Serve sostegno, perché il post-parto è un momento delicato e abbastanza breve. L’informazione è fondamentale. Devi sapere una serie di cose, ma devi essere convinta che siano vere, che siano giuste. Devi volere e poter chiedere aiuto in quei giorni, e non occuparti dei fiori, delle visite in casa, dei regali, della carrozzina. Non ti devi occupare di queste cose, ma stare dietro a tutte le poppate di cui ha bisogno tuo figlio. E star dietro al fatto che puoi aver la montata lattea anche al sesto giorno. In base alla mia esperienza, posso dire che è fondamentale concentrarsi su come stai. E questo lo puoi fare soprattutto a casa; sono convinta che è lì che stai bene, che gli ormoni prendono il loro giro. Dopo il primo parto, nei primi giorni ero spossata, mentre per il secondo ho partorito alle sette e mezza di sera e la mattina dopo facevo colazione in cucina. Il secondo giorno dopo il parto, la mattina ho preparato da mangiare per tutti. Alle due del pomeriggio ero lessa, però l’ho fatto e ho allattato. In tanti ospedali il bambino è nella nursery, sono altri a decidere quando la mamma può allattare e per quanto tempo, ma a me questa cosa non è mai andata giù”.
Ina May Gaskin da oltre quarant’anni assiste le donne in gravidanza, durante il parto e nel puerperio. Durante un convegno di ostetriche, ha raccontato il suo primo approccio all’allattamento: “Negli anni Cinquanta e Sessanta in America non si vedevano donne allattare. Nella nostra comunità The Farm, in Tennessee, non c’era elettricità né acqua, quindi tutte le mamme allattavano. Ricordo che però nacque una bimba prematura e dovemmo trasferirla in ospedale. Lì non avevano mai visto allattare un bambino, i padri non assistevano ai parti e il neonato non veniva toccato dai genitori nella nursery. Era il 1971 e io avevo 25 anni. È stato allora, in quella situazione d’emergenza, che per la prima volta ho avuto a che fare con l’allattamento. La piccola restò in ospedale per cinque settimane, durante le quali non fu mai toccata dai genitori e fu allattata artificialmente. Nel frattempo sua madre aveva un sacco di latte. Non avevamo un frigorifero e così dovemmo escogitare un modo per non interrompere la produzione di latte. Decidemmo di farle allattare gli altri bambini della comunità. E, quando i piccoli non potevano stare lì tutta la notte, era il papà a succhiare… Prese un paio di chili! Gli dicevo “questo è latte benedetto, devi berlo!”. Quando fai questo tipo di cose ridi e la risata aiuta a mettere in circolo il latte. Quando portammo la bimba a casa, ci diedero alcune confezioni di latte artificiale. Dissi alla mamma “questo non va bene per te, hai allattato tutti questi bambini, hai tutto il latte necessario per poter crescere la tua bambina. E così è stato. Ora quella bimba è diventata un medico”.
Di problemi ne ha dovuti risolvere parecchi, spesso anche in modo eccentrico: “Mi capitò il caso di una donna che aveva i capezzoli introflessi. Se ne vergognava molto. Non sapevo cosa fare: manualmente era impossibile, ogni volta che cercavo di farlo uscire, il capezzolo rientrava. Ebbi un’idea: il marito! Funzionò, perché a forza di succhiare i capezzoli, egli riuscì a farli uscire e sua moglie riuscì ad allattare il loro bimbo. Anni dopo lessi un libro di un medico francese della metà dell’Ottocento che, a proposito del problema dei capezzoli introflessi raccomandava una ‘frequente suzione da parte del marito o di una governante ‘intelligente’: ne dedussi di essere intelligente anch’io! In alternativa, proponeva anche un cucciolo avvolto in una coperta… ve lo immaginate? Ma… di fronte alla sopravvivenza di un bambino tutto è permesso! Non credo che troverò mai questa soluzione in un manuale di allattamento. A volte, raccontare storie estreme come questa aiuta…
A The Farm abbiamo la nostra cultura, che non è esattamente la stessa che viene propagandata dalla Tv americana. Negli Stati Uniti c’è una concezione molto strana del corpo femminile e della maternità. Le signore bene educate si scandalizzano se una mamma allatta o cambia un pannolino in salotto. Bisogna farlo chiuse in bagno. Non sto esagerando. C’è una grande separazione tra madre e figlio. Per questo dico alle donne europee: attenzione, state diventando come noi. A The Farm abbiamo divorziato dalla cultura americana, per molto tempo non abbiamo avuto elettricità e telefoni. Questo ci ha “protetti” dalla medicalizzazione, permettendoci anche di sviluppare una nostra cultura dell’allattamento. Spesso le donne non riescono ad allattare perché non credono di esserne capaci. La cosa principale è che il bambino impari a succhiare correttamente. E la madre deve sapere di cosa si tratta. Se la mamma e il bimbo sono entrambi ignoranti, è come mettere insieme due magneti: essi si respingeranno, anche a livello emozionale”.
Per Ina May Gaskin “tutte le donne possono allattare. Ma non conosciamo le capacità del nostro corpo. Anche le nonne possono farlo: ne ho viste molte, in Africa, in Malesia e in Tailandia. È una pratica molto diffusa nei paesi poveri. Le mamme non devono essere giudicate o guardate in modo strano quando allattano, un atteggiamento messo in atto dalle persone gelose. La gelosia è un’emozione molto poco affascinante, che rende anche le persone più brutte!”.